FRANÇOIS GUIZOT Storia della civiltà in Europa 1828

Storia
FRANÇOIS GUIZOT
Storia della civiltà in Europa
1828
PERCHÈ LEGGERE QUESTO LIBRO
In questo classico della storiografica romantica François Guizot raccolse le sue celebri
lezioni tenute alla Sorbona. Lo storico francese considera le molteplici forze che hanno
forgiato la storia del vecchio continente (l’impero, i barbari, la Chiesa, il feudalesimo, i
Comuni, le monarchie nazionali), mettendo in luce i loro influssi, positivi o negativi, sul
processo di civilizzazione. Il carattere originale della civiltà europea, che la differenzia da
tutte le altre, sta nel fatto che l’autorità e la libertà hanno convissuto senza mai ridursi
reciprocamente all’impotenza. Non c’è mai stato una classe sociale che sia riuscita, come
altrove, a imporre il proprio dominio su tutte le altre. In questa varietà di poteri, di idee,
di sviluppi sta, secondo Guizot, la grandezza della civiltà europea.
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PUNTI CHIAVE

Lo sviluppo della civiltà si manifesta nel campo sociale e nel campo morale

La civiltà europea è stata unitaria e pluralistica nello stesso tempo

In Europa nessuna forza è mai riuscita a prevalere completamente sulle altre

Questo equilibrio tra autorità e libertà ha fatto la grandezza della civiltà europea

L’influenza morale della Chiesa ha salvato la civiltà dopo il crollo dell’impero

Con il feudalesimo la vita privata si è imposta su quella pubblica

I Comuni si sono affrancati dopo una lunga lotta dal dominio dei signori feudali

Le crociate hanno determinato notevoli conseguenze culturali, economiche e
sociali

Le monarchie hanno incarnato l’ideale del sovrano imparziale garante del diritto

La Riforma protestante ha sconfitto l’assolutismo nel campo spirituale

La Rivoluzione inglese ha sconfitto l’assolutismo nel campo politico

Le Francia di Luigi XIV è stata il primo vero Stato sovrano

Nella Francia del ‘700 l’autorità morale è passata dal governo agli intellettuali

Tutti i poteri assoluti degenerano e vanno limitati
RIASSUNTO
Il processo di civilizzazione
È evidente, scrive Guizot all’inizio delle sue lezioni, che esiste una civiltà europea. Nella
civiltà dei vari Stati d’Europa si manifesta infatti una certa unità. Non meno prodigiosa,
tuttavia, è la sua varietà. Gli elementi cruciali della sua storia si possono rintracciare ora in
Francia, ora in Inghilterra, ora in Germania, ora in Italia o in Spagna. La Francia è stata
spesso il centro e il focolare della civiltà del’Europa. Questo non significa che sia stata
sempre all’avanguardia in ogni campo. In diverse epoche è stata superata nelle arti
dall’Italia o nelle istituzioni politiche dall’Inghilterra. Tuttavia ogni grande idea, ogni
grande principio di civiltà è passato, per potersi diffondere in ogni altro luogo, dalla
Francia. Le idee francesi sono più popolari, si presentano più chiare alle masse e vi
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penetrano più facilmente, grazie a quelle caratteristiche del genio francese come
la chiarezza, la socievolezza e la simpatia.
Ma cosa si intende per civiltà? Questa parola contiene l’idea di progresso o di sviluppo, e
suscita l’idea di un popolo la cui condizione diviene migliore. La civiltà si manifesta sotto
due aspetti: nel progresso collettivo e sociale, e nello sviluppo interiore degli uomini. Il
progresso sociale e quello morale sono reciprocamente correlati, perché il miglioramento
individuale spinge a una missione sociale, e nello stesso tempo un fatto sociale positivo
apporta un beneficio spirituale agli uomini.
Il carattere pluralistico della civiltà europea
Quando si esaminano le civiltà che hanno preceduto quella dell’Europa moderna, sia in
Asia che altrove, compresa la stessa civiltà greca e romana, è impossibile non essere
colpiti dall’unità che vi regna. Sembrano generate da un solo fatto, da una sola idea: ad
esempio, il principio teocratico nell’India e in Egitto. Una delle forze che si disputavano il
predominio ha prontamente vinto, prendendo possesso esclusivo della società. La
coesistenza e la lotta di forze diverse sono state solo crisi passeggere. La civiltà europea si
rivela invece incomparabilmente più ricca di ogni altra e tale da aver provocato il maggior
numero di sviluppi diversi. Da quindici secoli il suo stato è quello di uno sviluppo continuo.
Mentre nelle altre civiltà il dominio esclusivo di un solo principio fu causa di tirannia,
nell’Europa moderna la libertà è risultata dalla varietà degli elementi dell’ordine sociale
(monarchia, aristocrazia, democrazia, teocrazia), dallo stato di lotta nel quale sono
costantemente vissuti e dall’impossibilità di escludersi a vicenda. La varietà agitata, ma
feconda, è dunque il carattere distintivo della civiltà europea. Sta qui, secondo Guizot,
“una vera, una immensa superiorità”.
Il crollo dell’impero romano e il ruolo della Chiesa
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L’impero romano era composto esclusivamente di città, collegate tra loro da grandi
strade. La molteplicità di strade che oggi si incrociano in tutte le direzioni era allora
sconosciuta. Lontano dalle città il territorio era coperto di paludi e di foreste. Le
campagne non erano abitate. I proprietari terrieri erano abitanti delle città che ogni tanto
uscivano per visitare le loro proprietà terriere, dove vi mantenevano un certo numero di
schiavi. La popolazione era agglomerata nelle città, e nulla somigliava a quella
innumerevole quantità di villaggi, di borghi, di castelli, di chiese disperse nel paese dopo il
Medioevo.
Il sistema romano, con la preponderanza quasi esclusiva delle città e la non-esistenza
sociale delle campagne, era il riflesso del dispotismo amministrativo. Una rete di
funzionari, ben legati sia tra di loro sia con la corte imperiale, erano intenti unicamente a
far passare nella società la volontà del governo centrale, ed estrarre dalla società le forze
e i tributi necessari al potere. Questo impero lottò a lungo, in uno stato continuo di
decadenza, ma difendendosi sempre, contro la dissoluzione che lo minava internamente
e contro l’invasione dei barbari.
Dopo il suo crollo fu la Chiesa a conquistare i barbari, divenendo il legame di civiltà tra il
mondo romano e quello barbarico. La chiesa mantenne un’influenza morale in quel
mondo dominato dalla pura forza, diffuse l’idea di una legge divina superiore a tutte le
leggi umane e, per difendersi dai re barbari, stabilì il grande principio della separazione
del potere spirituale dal potere temporale, che sta all’origine della libertà di coscienza.
Questi sono i tre grandi benefici che nel secolo V la Chiesa sparse sul mondo intero.
Pregi e difetti del feudalesimo
La società europea è sorta dunque dall’unione di tre società basate su principi diversi:
romana, cristiana e germanica. Quest’ultima introdusse il senso dell’indipendenza
individuale. Il suo carattere fondamentale era la fedeltà di un uomo verso un altro uomo,
senza obblighi fondati sui principi generali della società. Il feudalesimo cambiò la
distribuzione della popolazione sulla superficie del territorio, che divenne più dispersa. La
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campagna prevalse sulla città, la proprietà privata sulla proprietà pubblica, la vita
personale sulla vita collettiva, la famiglia sulla società. L’importanza sociale della donna,
di gran lunga superiore a quella delle società antiche, si sviluppò proprio nell’Europa
feudale.
Quale apporto diede il feudalesimo alla civiltà? Sul piano individuale sviluppò
positivamente il carattere e le passioni. La fierezza e l’orgoglio del feudatario nascono dal
fatto che tutti i suoi poteri provengono da lui solo, e non vengono, come per gli
aristocratici antichi, dall’appartenenza a una classe o una corporazione (la piramide
gerarchica feudale fu in realtà un tentativo successivo di adattare il feudalesimo alle
categorie dell’assolutismo). Proprio perché mancava di una giustificazione ideologica
condivisa, il dominio feudale è sempre stato avversato con un odio inestinguibile dal
popolo delle campagne. Mentre il dispotismo monarchico o teocratico è stato accolto,
talvolta con affetto, da chi lo subiva, questo non accadde mai con il feudalesimo. La
tirannia basata sulla volontà personale e capricciosa di un individuo è probabilmente
l’unica che l’uomo non è mai disposto ad accettare.
Sul piano politico il feudalesimo non riuscì a realizzare una società politica basata sulla
libertà. Fu una sorta di sistema federativo, estremamente decentralizzato, senza un
potere sovraordinato capace di far rispettare il diritto generale. Questo sistema, che
lascia una porzione di governo a ogni singolo signore, è il più difficile da mantenere, e
richiede il maggior sviluppo di ragione, di moralità e di civiltà: tutti caratteri ben lontani
dall’ignoranza, dalle passioni brutali e dallo stato morale imperfetto dell’uomo sotto il
feudalesimo.
Le grandi Iotte dei Comuni
Solo nel secolo XI i Comuni appaiono chiaramente sulla scena del mondo. I Comuni
medievali sono delle città murate e fortificate che si autogovernano e che, grazie a lotte
durate secoli, riescono a sottrarsi al dominio del signore feudale. Le ricchezze generate
dai mercanti delle città erano infatti oggetto di bramosia per i signori. Ogni volta che il
proprietario del dominio entro il quale si trovava una città aveva bisogno di denaro, la sua
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violenza si esercitava sui borghesi. I mercanti non potevano rientrare in pace nella
loro città, perché le strade e i sentieri erano assediate senza posa dal signore e dai suoi
uomini.
I borghesi si ribellarono dunque alle continue estorsioni dei signori feudali.
L’affrancamento dei Comuni fu il frutto di una vera insurrezione generale, di una vera
guerra, dichiarata dalla popolazione della città ai suoi signori. I borghesi si armarono ed
espulsero dalle loro città gli uomini del feudatario. Le case borghesi erano costruite
apposta per la guerra, con il primo piano molto elevato e una torre all’angolo, munita alla
sommità di una piattaforma che fungeva da osservatorio. Grazie anche al legame con il re,
i borghesi riuscirono alla fine ad avere la meglio, e nel secolo XII l’affrancamento dei
Comuni può dirsi realizzato. Le carte comunali di quest’epoca sono dei veri e propri
trattati di pace tra i borghesi e i loro signori.
L’Europa moderna nacque dunque dalla lotta tra le diverse classi della società. Nel resto
del mondo, invece, questa lotta ebbe risultati ben diversi. In Asia, ad esempio, ha
trionfato completamente una classe. Il regime delle caste si è sostituito a quello delle
classi, e la società è caduta nell’immobilità: «Nulla di tutto questo, grazie a Dio, è
accaduto in Europa. Nessuna delle classi è riuscita a vincere o ad assoggettare le altre; la
lotta, anziché divenire un principio di immobilità, è stata una causa di progresso» (p. 270).
Successivamente queste classi in lotta si sono riavvicinate e assimilate. Nei secoli
successivi ogni paese dell’Europa ha visto nascere e svilupparsi nel proprio seno uno
spirito generale, una comunanza di interessi, di idee e di sentimenti. Dalla varietà,
dall’inimicizia e dalla guerra è uscita nell’Europa moderna l’idea dell’unità nazionale.
Le crociate
La principale caratteristica delle crociate fu l’universalità, in quanto fenomeno
sovranazionale e interclassista. Furono il primo avvenimento europeo, perché tutti i
popoli cristiani vi presero parte. I francesi rappresentavano il grosso dell’esercito crociato,
ma vi erano anche tedeschi, italiani, spagnoli, inglesi. Prima delle crociate non si era mai
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vista l’Europa commuoversi di un medesimo sentimento o agire per una stessa
causa. Le crociate hanno dunque rivelato per la prima volta l’esistenza dell’Europa
cristiana. Nello stesso tempo le crociate furono, all’interno di ogni paese, un avvenimento
nazionale. Tutte le classi si animarono dello stesso slancio e vi parteciparono: re, signori,
prelati, borghesi, contadini. Venne alla luce l’unità morale delle nazioni, un fatto
altrettanto nuovo che l’unità europea.
Quali furono gli effetti delle crociate? Sul piano spirituale paradossalmente indebolirono
le idee religiose, dato che il contatto con una società e costumi diversi aprì le menti e
ampliò gli orizzonti culturali. Sul piano sociale si verificò una riduzione del numero dei
piccoli feudi, perché i proprietari furono costretti a venderli ai re o a concedere carte ai
Comuni per far denaro e andare alla crociata. Sul piano economico le crociate diedero un
grande impulso al commercio marittimo, che a sua volta favorì l’ingrandimento di alcuni
Comuni. Infine, sul piano militare le crociate furono la continuazione della grande lotta
impegnata già da quattro secoli tra il cristianesimo e l’islamismo. Diedero un paio di secoli
di respiro ai cristiani spostando il teatro dello scontro dall’Europa, dov’era stato fino a
quel momento, all’Asia.
Le monarchie nazionali
Nei secoli successivi gli strumenti di governo si accentrarono e il quadro sociale si
semplificò. Nell’Europa moderna non troviamo più come forze dominanti la nobiltà
feudale, il clero, i re, i borghesi, i coloni e i servi, ma soltanto due grandi figure che
occupano da sole la scena della storia: il governo e il paese. Tra il ‘300 e il ‘500 la
monarchia si rafforzò infatti in Francia, in Spagna, in Germania, in l’Inghilterra. La
diplomazia e la politica estera caddero in mano ai re. Gli antichi elementi particolari e
locali si snaturarono e cedettero il posto al sistema dei poteri pubblici. Le libertà
tradizionali perirono e sorsero nuovi poteri più regolari, più accentrati: «Vi è qualcosa di
profondamente triste - osserva lo storico francese - in questo spettacolo del crollo delle
vecchie libertà europee; esso ispirò ai contemporanei i più amari sentimenti. In Francia, in
Germania e soprattutto in Italia i patrioti del secolo XV hanno combattuto con ardore e
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deplorarono disperatamente questa rivoluzione, che, da ogni parte, faceva sorgere
ciò che essi avevano il diritto di chiamare dispotismo» (p. 350).
Bisogna tuttavia comprendere le ragioni dell’affermazione di un istituto, la monarchia,
che già dominava da tempo immemorabile in Asia, nelle Americhe e in Africa. È
impossibile che un tale risultato sia il frutto del puro caso o della sola usurpazione: «Tutte
le volte che vedrete un grande avvenimento svilupparsi o riprodursi per una lunga serie di
secoli, non attribuitelo mai alla forza» (p. 301). La forza da sola non può mai governare la
società. Sotto la sua apparenza agiscono le idee e gli influssi morali.
La monarchia è stata accolta dai popoli e dai filosofi non come imperio della volontà
personale e capricciosa di un solo uomo, ma come espressione di un potere supremo e
imparziale, elevato al di sopra delle lotte della società, che interviene solo nelle grandi
crisi. Nella monarchia gli uomini ricercano l’ideale della sovranità del diritto. Quando la
società è dilaniata dalle lotte delle volontà personali, aspira con passione verso un
sovrano al quale tutti gli individui sono obbligati a sottomettersi; e appena si presenta
qualche istituto che abbia alcuni dei caratteri del sovrano di diritto, la società vi aderisce
con trasporto. Il sistema primitivo dell’Europa, le vecchie libertà feudali e comunali,
avevano fallito nell’organizzare la società. Solo la monarchia, commenta Guizot, poteva
contenere una società che l’egoismo tendeva senza posa a distruggere.
La riforma protestante
Il risultato della Riforma protestante fu l’abolizione del potere assoluto nel campo
spirituale. In realtà le conseguenze storiche della Riforma andarono ben oltre le intenzioni
dei suoi propugnatori, dato che la rivoluzione religiosa del secolo XVI non conobbe mai i
veri principi della libertà intellettuale, non portò mai fino alle ultime conseguenze il
principio del libero esame. Essa affrancò lo spirito umano, ma pretendeva ancora di
governarlo con la legge. Anche i protestanti infatti perseguitarono le minoranze
dissenzienti, provocando nei sostenitori della Riforma imbarazzi e contraddizioni.
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Tuttavia, contro i suoi stessi disegni iniziali, ovunque la Riforma sia penetrata ha
generato un immenso progresso nella attività e nella libertà del pensiero verso
l’emancipazione dello spirito umano. La controprova, secondo Guizot, è rappresentata dai
due paesi in cui la rivoluzione religiosa è stata soffocata. Mentre nelle parti dell’Europa
nelle quali la Riforma ha occupato un grande posto lo spirito umano conseguì un’attività e
una libertà fino ad allora sconosciute, in quelle dove non penetrò, come la Spagna e
l’Italia, esso cadde, nella stessa epoca, nella mollezza e nell’inerzia.
La rivoluzione inglese
I due grandi fatti della storia moderna sono dunque da una parte il libero esame, la libertà
dello spirito umano; dall’altro l’accentramento politico. Nel ‘500 si assiste dunque a una
sorta di contraddizione: l’assolutismo viene sconfitto nel campo religioso, ma vince nel
campo politico. In Inghilterra, ad esempio, il regno dei Tudor raggiunse un grado di
accentramento e di energia fino ad allora ignorato. È in questo paese, nel quale le forze
favorevoli alla libertà politica si unirono a quelle per la libertà religiosa, che i principi del
libero esame e della monarchia pura si scontrarono per la prima volta.
Alla fine la vittoriosa rivoluzione inglese strappò per sempre l’Inghilterra al partito della
monarchia pura e universale per divenire lo strumento e il sostegno della libertà religiosa.
In ciò sta l’aspetto europeo della Gloriosa Rivoluzione del 1688. Il suo vero significato, il
suo carattere essenziale, fu il tentativo di abolire il potere assoluto nell’ordine temporale
come nell’ordine spirituale.
L’assolutismo di Luigi XIV
Secondo Guizot il Re Sole fece, per la Francia, qualcosa di analogo al governo consolare di
Napoleone: risollevò un paese che, durante il governo del cardinal Richelieu e la minore
età di Luigi XIV, era caduto in condizioni miserevoli, con gli eserciti spagnoli alle frontiere,
il pericolo continuo di un’invasione, i dissensi interni spinti al massimo, la guerra civile, il
governo debole e privo di prestigio all’interno come all’esterno. Le prime vittorie di Luigi
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XIV fecero l’effetto della vittoria napoleonica di Marengo dopo le catastrofi della
Rivoluzione: assicurarono il territorio e risollevarono l’onore nazionale.
Le guerre di Luigi XIV ebbero un carattere incomparabilmente più razionale delle guerre
francesi precedenti. Non furono fantasie o avventure, ma furono fatte per motivi politici,
nell’interesse della potenza o della sicurezza del paese. Né avevano alcun carattere
ideologico: al Re Sole non interessava diffondere l’assolutismo. Si scontrò anzi con i
sovrani assoluti inglesi e spagnoli, badando solo all’interesse politico e alla forza dello
Stato francese. La nascita del sistema dell’equilibrio in Europa risale a tale epoca. La
Francia di Luigi XIV fu il primo vero Stato sovrano, il primo governo che si sia presentato
agli sguardi dell’Europa come un potere sicuro del fatto suo, non più obbligato a
contendere la propria esistenza ai nemici interni, tranquillo sul proprio territorio, e con la
sola preoccupazione di governare.
Viene allora da chiedersi come mai un potere così ben stabilito sia caduto così
rapidamente in decadenza nel secolo successivo. Le ragioni stanno nei vizi incorreggibili
del potere assoluto: «Per il solo fatto che questo governo non aveva altro principio che il
potere assoluto e poggiava unicamente su tale base la sua decadenza fu rapida e
meritata» (p. 425). La Francia di Luigi XIV era infatti priva di istituzioni e di forze politiche
indipendenti capaci di azione spontanea e di resistenza. Le istituzioni libere, spiega
Guizot, sono una garanzia non solo della saggezza dei governi, ma anche della loro durata.
Il governo di Luigi XIV fu un grande fatto potente e brillante, ma senza radici.
L’illuminismo
Se nel Settecento la monarchia francese non aveva quasi più nulla della potenza del Re
Sole, fu la società francese, separata dal suo governo, spesso anzi contro di esso, a
guidare nei suoi progressi il mondo europeo. Non si è mai visto, scrive Guizot, un governo
tanto inattivo, apatico e inerte come quello francese del tempo. Tutta l’attività e tutta
l’ambizione è passata dal governo al paese. Esso solo, con la sua opinione e il suo
movimento intellettuale, possiede l’autorità morale, che è la vera autorità.
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L’Illuminismo rese universale il libero esame. Tutto divenne argomento di studio e
di dubbio. Lo spirito umano si sentì chiamato a riformare ogni cosa, e giunse a
considerare se stesso come una specie di creatore: «istituzioni, opinioni, costumi, la
società e l’uomo stesso, tutto parve da rifare e la ragione umana se ne assunse il compito.
Quando mai simile audacia le era venuta in mente?» (p. 429). Ma anche lo spirito umano,
in possesso del potere assoluto, ne fu corrotto e fuorviato. Cominciò a disprezzare
ingiustamente i fatti stabiliti e le idee antiche, facendosi condurre da questa avversione
all’errore e alla tirannide.
È nostro dovere riconoscere, conclude lo storico francese, che ogni potere, sia esso
intellettuale o temporale, appartenga a governi o popoli, a filosofi o a ministri, si eserciti
per una causa o per un’altra, porta con sé un vizio naturale, un principio di debolezza e di
abuso che obbliga ad assegnargli un limite: «Soltanto la libertà generale di tutti i diritti, di
tutti gli interessi, di tutte le opinioni, la libera manifestazione di tutte queste forze, la loro
coesistenza legale può contenere ogni forza e ogni potenza entro i limiti legittimi,
impedirle di commettere usurpazioni a danno di altre, far sì che il libero esame sussista
realmente a beneficio di tutti» (p. 430).
CITAZIONI RILEVANTI
La frammentazione feudale del potere.
«Ma nessuno, a cominciare dal primo dei signori, dal re, era in condizione d’imporre la
legge a tutti gli altri, di farsi obbedire. Notate che tutti i mezzi di potere e di azione
mancavano; non vi erano eserciti permanenti, né imposte permanenti, né tribunali
permanenti. Le forze, le istituzioni sociali erano, in qualche modo, obbligate a
ricominciare, a ricrearsi ogni volta che ne avessero bisogno. Occorreva creare tribunali
per ogni processo, creare un esercito quando si doveva fare una guerra, crearsi un reddito
al momento in cui si aveva bisogno di denaro; tutto era occasionale, accidentale,
particolare; mancava ogni mezzo di governo centrale, permanente, indipendente» (p.
194-195).
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Il diritto feudale di resistenza.
«Il solo diritto politico che il regime feudale abbia saputo far valere nella società europea
fu il diritto di resistenza … il diritto di resistenza che il regime feudale sostenne e praticò
era il diritto di resistenza personale; diritto terribile, antisociale, poiché, facendo appello
alla forza, alla guerra, distrugge la società stessa; diritto che tuttavia non deve mai essere
abolito nel fondo del cuore degli uomini, giacché la sua abolizione equivale all’accettare la
schiavitù» (p. 198-199).
Il combattivo borghese medievale
«I borghesi di quel tempo, signori, avevano sempre la corazza sul petto, la picca in pugno;
la loro vita era quasi altrettanto tempestosa, guerriera e dura che quella dei signori
contro i quali combattevano. In questi continui pericoli, lottando contro tutte le difficoltà
della vita pratica, essi avevano acquistato quel maschio carattere, quell’energia ostinata,
che nella molle attività dei tempi moderni si sono alquanto perduti» (p. 273).
La necessaria limitazione del potere monarchico
«Affermo, e il più semplice buon senso lo riconosce, che la sovranità di diritto, completa e
permanente, non può appartenere a nessuno; che ogni attribuzione della sovranità di
diritto a una forza umana, qualunque essa sia, è radicalmente falsa e pericolosa. Donde la
necessità della limitazione di tutti i poteri, quali ne siano i nomi e le forme; donde la
radicale illegittimità di ogni potere assoluto, qualunque ne sia l’origine: conquista, eredità
o elezione» (p. 305).
Il genio francese
«Il principio della monarchia pura, del potere regio assoluto, aveva dominato in Spagna
sotto Carlo V e Filippo II, prima di svilupparsi In Francia sotto Luigi XIV. Parimenti, il
principio del libero esame aveva regnato in Inghilterra, nel Seicento, prima di svilupparsi
in Francia nel Settecento. Tuttavia, la monarchia pura non era partita dalla Spagna, né il
libero esame dall’Inghilterra per invadere l’Europa. Fu necessario che passassero
attraverso la Francia per estendere le loro conquiste; fu necessario che la monarchia pura
e la libertà di esame divenissero francesi per diventare europee. Tale carattere espansivo
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della civiltà francese, tale genio sociale della Francia presente in tutte le età ha
dunque brillato soprattutto in quella della quale ci occupiamo in questo momento» (p.
413-414).
L’AUTORE
François Guizot (1787-1874) nacque a Nîmes il 4 ottobre 1787 da una famiglia borghese
ugonotta. Suo padre, avvocato, venne ghigliottinato durante il Terrore. Guizot fu quindi
educato a Ginevra dalla madre secondo un rigido calvinismo. Laureato in legge a Parigi,
nel 1812 divenne professore di storia alla Sorbona (1812). Si dedicò poi alla carriera
politica. Eletto deputato conservatore, sostenne la monarchia liberale di Luigi Filippo ma
si oppose a ogni proposta di estensione del suffragio elettorale. Fu Ministro dell’Interno,
dell’Istruzione, degli Esteri e infine, nel 1847, presidente del Consiglio. Venne però
travolto dalla rivoluzione del 1848. Durante il suo esilio in Inghilterra si dedicò
nuovamente alla ricerca storica, concentrandosi soprattutto sui periodi della Rivoluzione
francese e della Prima rivoluzione inglese. Continuò l’attività di divulgazione storica sino
alla sua morte, avvenuta il 12 settembre del 1874 presso l’Abbazia di Val-Richer.
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NOTA BIBLIOGRAFICA
François Guizot, Storia della civiltà in Europa, Einaudi, Torino, 1956, p. 432, traduzione e
introduzione di Armando Saitta.
Edizione utilizzata: Il Saggiatore, Milano, 1973.
Titolo originale : Histoire générale de la civilisation en Europe.
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