Il Quinto Cielo Il Monte Pellecchia da Monteflavio

Il Quinto Cielo
Facili escursioni a piedi nel Lazio e dintorni
Il Monte Pellecchia da Monteflavio
Il Parco naturale regionale dei Monti Lucrétili:
dove osano le aquile, dove si nasconde lo Styrax Officinalis
30 Aprile 2011
Come arrivare: Da Roma si percorre la via Salaria superando Monterotondo scalo, e
proseguendo per un paio di km. fino al bivio a destra per Montelibretti,
Moricone e Palombara Sabina.
Ci si indirizza subito verso Moricone, e qui si svolta a sinistra in salita per il
paese di Monteflavio (760 m.).
Una volta giunti dentro al paese (52 km. complessivi dal Campidoglio), si gira a
destra imboccando la via di Monte Pellecchia in direzione della Pineta, uno
slargo con area attrezzata per pic-nic, con diversi barbecue e tavoli sparsi sotto
la pineta, dove si arriva dopo aver percorso quasi 3 km di strada sterrata e dove
conviene parcheggiare (950 m.).
Di qui parte l’itinerario a piedi, guidato dai caratteristici segni bianco-rossi.
Il ritorno, a fine giornata, può essere effettuato passando per Moricone, Stazzano
(bivio), Terme di Cretone, Salaria verso Monterotondo Scalo e Roma.
Partenza: Parcheggio alla Pineta, al termine di Via di Monte Pellecchia (950 m.), dopo il
borgo di Monteflavio
Mèta Monte Pellecchia (1368 m)
Abbigliamento abbigliamento adeguato alla stagione: pantaloni comodi ma caldi, una camicia a
Attrezzatura maniche lunghe, un pile o un maglione, un giubbotto di sicurezza per la pioggia
e da mettere comunque se fa freddo, un berretto, dei guanti; scarponcini da
trekking, almeno 1,5 litri di acqua, zainetto, pranzo al sacco. In macchina è bene
lasciare un paio di scarpe da ginnastica, un paio di calzettoni e una T-shirt di
ricambio da mettere al ritorno
Tempo di percorrenza: circa 5 ore tra andata e ritorno, escluse le soste
Segnavia rosso-bianco-rosso, nn. 312, 312A e 312B
Difficoltà: Escursionistica; il percorso è evidente
Dislivello: circa 550 metri
Quota minima: 950 m.
Quota massima: 1368 m.
Il percorso di avvicinamento.
L'
itinerario proposto permette di accedere alla lunga dorsale del rilievo più elevato dei Monti
Lucretili, il Monte Pellecchia (1368 m). Posto nel settore centro-settentrionale del sistema
montuoso il monte presenta un orientamento appenninico con morfologie dolci senza particolari
caratterizzazioni lungo il versante occidentale che contrasta sostanzialmente con i ripidi versanti
sud-orientali. Percorso facile che consente di ammirare nella sua completezza buona parte della
dorsale appenninica laziale-abruzzese tuttavia è interessato da periodi di innevamento sviluppandosi
lungo il rilievo più alto e in parte meno esposto alla mitigazione climatica degli influssi tirrenici.
I Lucretili costituiscono le prime montagne dell’Appennino che si
possono raggiungere da Roma ed il Monte Pellecchia ha la
particolarità di ospitare il nido d’aquila in assoluto più vicino a
Roma. Da debita distanza potremo ammirare la parete di roccia
dove si trova il nido dell’aquila.
Nella seconda metà di aprile, in genere si schiude l’uovo ed in
questo periodo la femmina sta al nido a covare l’uovo e poi,
successivamente, a vegliare il pulcino, mentre il padre cerca da
mangiare per tutta al famiglia. La valle dell’aquila e la sua tutela è stata uno dei primi luoghi del
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Lazio in cui ambientalisti e cacciatori si sono scontrati. Negli anni 70/80 il rispetto degli animali
selvatici e la sensibilità ambientale erano all’inizio e pochi pionieri ambientalisti si accampavano
con la tenda sotto il nido dell’aquila per evitare che qualcuno potesse arrecare disturbo.
Il punto di partenza dell'
itinerario può essere la Pineta di Monteflavio, una volta superato il paese
in auto lungo la via di Monte Pellecchia.
Il tratto compreso tra il paese e la Pineta, dove parte
l'
attacco del sentiero di montagna, pur sviluppandosi
su una strada sterrata, presenta da un punto di vista
storico un notevole interesse. L'
intero percorso
proposto è parte della famosa "strada della Neve",
una via che congiungeva queste aree montane con la
via Salaria e quindi con Roma permettendo lo
svolgimento di una delle attività cardine dell'
antica
economia locale imperniata sulla raccolta, la
conservazione e il commercio della neve. Attività
nota sin dall'
età romana, sicuramente attestata nella
non lontana Villa Adriana a Tivoli, fu fortemente
incrementata durante i sec XVII e XVIII da parte
delle autorità papali attraverso veri e propri bandi di
gara pubblici per l'
affidamento del commercio. La
neve veniva raccolta e costipata in pozzi - pozzi
della neve - che si trovano dislocati sulla dorsale del
Pellecchia per poi essere caricata su carri e
trasportata fino a Roma. L'
attività perse valore quando la tecnologia della seconda metà
dell'
ottocento permise di produrre nelle città il ghiaccio.
Questo tratto preliminare percorribile in auto - oppure a piedi in circa cinquanta minuti - permette di
osservare un paesaggio agro-silvo-pastorale impostato su quote medio-alte (800-1000 m) nel quale
prevale un'
economia legata in larga parte all'
allevamento semi brado dei cavalli. Stazzi lignei
(recinti per gli animali), covoni e vallecole coltivate sono inframezzati da pascoli cespugliati in
abbandono con prugnolo, maggiociondolo e rovo e limitati lembi di cedui matricinati a carpino,
orniello e cerro.
A circa due chilometri dal borgo sulla sinistra della strada sorgono i resti della chiesetta della
Madonna delle Carbonere. Siamo alla base del Monte Mozzone, sul tracciato dell'
antica strada della
neve. I resti della chiesetta campestre sono probabilmente da mettere in relazione proprio al
commercio di questo "prodotto". E'stato ipotizzato che in origine la struttura potesse essere una
madonnella dedicata alla Madonna della Neve a cui venivano attribuite funzioni magico-religiose e
di protezione dell'
attività economica di commercializzazione di un prodotto "effimero", legato agli
eventi atmosferici da cui dipendeva una parte rilevante dell'
economia locale. Una volta venuto a
mancare il mercato della neve, il culto venne rifunzionalizzato a protezione della attività del
carbone, da cui il toponimo locale di Madonna delle Carbonere.
Nella zona circostante la Pineta molti sostengono che è ancora possibile trovare funghi porcini,
galletti, ovuli, mazze di tamburo, pinaroli, russule.
L’itinerario a piedi.
Oltrepassata una sbarra sulla destra del parcheggio, si percorre la carrareccia lungo la Serra dei
Ricci, ammirando la dorsale del monte Pellecchia che si erge sulla sinistra e degrada verso una
piccola sella a sud-est mentre in basso a sinistra si distende la Valle San Rico.
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In breve si raggiunge fonte Nocella dove ci si può rifornire di acqua potabile. La prima parte del
percorso si svolge lungo la suddetta carrareccia in costante leggera salita e può essere un pò noiosa,
ma ci dà la possibilità di superare la quota di di 1000 m. sul versante più selvaggio della montagna
che è pure quello dove nidifica la coppia di aquile.
La località si trova nella parte meridionale del costone della Serra dei Ricci, area destinata a
rimboschimento con specie alloctone che raggiunge un'
estensione di circa 60 ettari. Dominano le
conifere come il pino nero, il cipresso e il cipresso dell'
Arizona; il rimboschimento abbastanza ben
sviluppato nella porzione nord-occidentale risulta invece fortemente compromesso nell'
area
sommitale dall'
eccessivo pascolo e dall'
esposizione ad agenti atmosferici avversi. La dubbia scelta
di impiantare specie arboree non autoctone è in parte attenuata dal fatto che il bosco artificiale
rappresenta un buon "catalizzatore" per lo scoiattolo (Sciurus vulgaris meridionalis) qui facilmente
osservabile grazie alle conifere che forniscono il nutrimento.
Si prosegue lungo la cresta del Colle di Caparnassa (1064 m.) da dove si può ammirare il versante
occidentale del Monte Pellecchia profondamente solcato da impluvi e vallecole erosive mentre, in
contrasto con il paesaggio brullo e fortemente pascolato, sono le estese formazioni forestali dei
boschi di transizione tra querceto misto e faggeto che ricoprono il versante meridionale del Monte
Mozzone e tutto lo spartiacque settentrionale del Fosso del Cerreto. Il toponimo del Colle del
Castagnone tradisce la presenza di particelle isolate di castagno (Castanea sativa). Il pascolo,
eccessivo nel settore attraversato ed in particolare nelle pendici del Pellecchia, rappresenta tuttora
un forte fattore limitativo all'
espansione e allo sviluppo delle formazioni forestali. Il suolo, già di
per sé poco evoluto, si presenta fortemente lisciviato e dilavato con la cotica erbosa percorsa da
innumerevoli piste che il bestiame allo stato brado si apre nei pascoli cespugliati. Le deiezioni degli
animali acidificando il terreno favoriscono lo sviluppo localizzato di una flora nitrofila favorita
dalla presenza di azoto che concorre ad un mancato rinnovamento del bosco.
Si prosegue quindi allo scoperto poco sotto la cresta, fino ad intravedere (1340 s.l.m.) una grossa
croce in alto sulla nostra sinistra. A questo punto si abbandona il sentiero per raggiungere la croce e
quindi la vetta (1368 s.l.m.).
Sotto la croce si trova una targa a ricordo della sciagura aerea del 1960 in cui perirono 4 persone.
L’elica piegata e un altro pezzo dell’aereo sono stati cementati accanto alla targa, vicino alla quale
si trova anche il classico libro in cui apporre la propria firma a ricordo dell’escursione.
Dalla dorsale si apprezza un vastissimo colpo
d'occhio verso il monte Gennaro, la cresta
sommitale, gli altri monti circostanti e i
caratteristici paesi sotto di noi, ma anche una
superba visuale sui gruppi preappenninici e
appenninici in primo piano i Monti Ruffi che
celano in parte i Simbruini versosud-est, i
Prenestini e il Vulcano Laziale verso sud; a
oriente si stagliano nettamente gli elevati
massicci abruzzesi del Velino-Sirente, del
Gran Sasso e in lontananza della Maiella,
parzialmente celati dai rilievi del Monte
Navegna e Monte Cervia soprastanti i laghi
del Turano e del Salto. Verso nord/nord-est
la vista spazia in direzione della cima di Monte Casarene, mentre a settentrione si apprezza la
dorsale dei Monti Sabini con l'imponente gruppo del Terminillo sullo sfondo.
Dopo aver ammirato lo stupendo panorama, si può scegliere di riprendere il sentiero per proseguire,
in una trentina di minuti, fin verso la fine della cresta, in corrispondenza del Pizzo Pellecchia (1327
s.l.m.), per poi ritornare indietro alla cima. Dopo di che si ridiscende verso le macchine.
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Il Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili
Il Parco è gestito da un consorzio formato dai rappresentanti dai 13 Comuni che lo compongono e
dalla IX e X Comunità Montana del Lazio: Monteflavio, Montorio Romano, Moricone, Marcellina,
Palombara Sabina, San Polo dei Cavalieri, Vicovaro, Roccagiovine, Licenza e Percile in provincia
di Roma ed i comuni di Orvinio, Poggio Romano e Scandriglia in provincia di Rieti.
Venne istituito con L.R. n° 41 del 26/6/89. I centri visita si trovano a: Palombara Sabina, Moricone,
Monteflavio, Montorio Romano, Scandriglia, Poggio Moiano, Orvinio,
Il Parco dei Monti Lucretili rappresenta con i suoi 18000 Ha a soli 35-60 km da Roma la prima
scalea dell’Appennino verso il bassopiano tirrenico. Allineato secondo l’asse N-S questo tratto
dell’Appennino, nel quale prevalgono nella sequenza stratigrafica i calcarei di sedimentazione
marina, è contraddistinto da un territorio estremamente eterogeneo in cui riconosciamo tre
corrugamenti principali, separati da linee di faglia e percorsi torrentizi.
Il primo gruppo è quello costituito dal Monte Gennaro (1271 m) che si prolunga verso sud-ovest
inglobando il monte Morra (1036 m) e il Monte Arcaro (944 m). Il contrasto tra l’aspetto
pianeggiante, a tratti dolcemente collinare dell’agro romano-sabino, fa percepire questo primo
gruppo come uno sbarramento netto, una sorta di quinta scenica della città di Roma.
In realtà questo territorio è estremamente eterogeneo e a salti di quota netti e verticali, come quelli
che caratterizzano il monte Morra, si alternano piani carsici, rilievi modesti, piccole valli e profondi
solchi torrentizi.
Il secondo gruppo è quello della dorsale del Monte Pellecchia che, con i suoi 1368 m, rappresenta
il maggiore rilievo dei Monti Lucretili; superiorità altimetrica che si percepisce a stento, soprattutto
a nord ovest, vista la sua omogenea conformazione poco ripida e la sua punta arrotondata; carattere
che contrasta profondamente con le aree nei pressi di Licenza distinte da profonde incisioni.
Infine il terzo gruppo è quello costituito, secondo una linea nord–sud che va da Poggio Moiano ad
Orvino, da Monte Pendente (1098 m), a seguire la Cima Casarene (1191 m), Monte Castellano
(1084m), Cima Guardia (879).
Al fascino di quest’area così eterogenea, dove agli erti banchi calcarei si alternano le morfologie
carsiche a dossi e vallecole, contribuisce indubbiamente il sistema ideografico superficiale che fa
capo a nord-ovest al Tevere a sud–est all’Aniene e a nord-est al Turano, caratterizzato da suggestive
e profonde incisioni come quella del Fosso dei Ronci, di Vena Caprara, di Casoli, e della
Scarpellata.
Il carsismo rappresenta una delle caratteristiche più affascinanti dell’intera area protetta. Dovuto
all’erosione ed alla corrosione dei banchi calcarei da parte delle acque meteoriche di scorrimento
superficiale e sotterraneo, questo fenomeno ha dato vita ad un particolare e suggestivo paesaggio di
cui mirabili esempi sono: lo splendido piano carsico del Patrone di Monte Gennaro, lungo 1 km e
largo massimo 500m, caratterizzato dalla presenza di piccole doline di crollo ed inghiottitoi; la
conca prativa di Campitello, ad est del Pratone; e quella di prato Favale a 750m nel versante NO di
Monte Morra. Due doline di crollo interessanti sono il Pozzo dei Casali, a Nord di Percile, ed il
Pozzo di Pellecchia, a quota 1067 m, sotto il Colle Serre.
Risultato di un carsismo ipogeo, arrestatosi per l’impermeabilizzazione dei bacini ad opera dei
detriti argillosi, sono due laghetti: i Lagustelli di Percile posti al limite orientale del comprensorio.
Due conche imbutiformi di forma pressoché circolare separate da una sella che ne unisce i lembi
superiori. Il lago più grande, noto con il nome di Fraturno, ha un diametro di circa 100 m; il suo
alveo dapprima presenta un gradino che mitiga la discesa verso la superficie d’acqua, dopo di che
scende a picco fino a raggiungere una profondità massima di 15-16m. Quello più a Nord, più
piccolo, sembra un grosso pozzo; l’acqua si trova 25m più in basso del bordo dell’alveo che misura
80 m di diametro.
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La presenza dell’uomo in queste aree, pressoché costante dall’età del ferro, ne ha profondamente
mutato l’ecosistema naturale e, percorrendo questo territorio, si prova la medesima sensazione del
guardare un famoso e pregevole dipinto deteriorato, molto lacunoso, che nonostante il forte ed
irreversibile degrado, ancora mirabilmente mostra, nelle parti intatte, la grandiosità del suo creatore.
Lo sfruttamento del suolo, la conformazione morfologica assai eterogenea, l’influenza del mare, e
anche la riconolizzazione da parte della natura d’aree di coltivazione e pascolo abbandonate, hanno
dato luogo all’attuale assetto vegetazionale dei Monti Lucretili che è quanto mai particolare per le
sue associazioni vegetali. Distinguiamo così, in una stessa area, vegetazione mediterranea associata
a biotopi d’origine balcanico-orientale, elemento peculiare del parco.
Nell’area pedemenotana sud occidentale troviamo esemplari
della macchia mediterranea, mirto, cisto, terebinto e
leccio, associate a boscaglie d’ornello e roverella, ma anche
a macchie di styrax officinale, Carpino orientale e Albero di
Giuda, specie endemiche delle aree balcanico-orientali.
Lo Styrax Officinalis (o ‘storace’) è un po’ il simbolo dei
Monti Lucretili, tanto che i suoi fiori sono rappresentati nel
logo del parco; con molta probabilità sfuggito all’ultima
glaciazione würmiana in un nicchia calcarea calda, ha
ripreso a riprodursi e vegetare in forma arbustiva e raramente arborea, solo in quest’area della
penisola. È chiamato anche mella bianca, parola che viene dal dialetto di Palombara Sabina. È
l'
unica specie ad areale europeo del genere che comprende oltre un centinaio di specie a
distribuzione tropicale. È una pianta caducifoglia a portamento arbustivo ma arriva anche all'
aspetto
di alberello; fiorisce in aprile-maggio. I fiori sono bianchi, profumati e dolci. Porta foglie intere
ovate, pelose per peli stellati nella pagina inferiore.
Il piano basale del versante occidentale del
complesso di Monte Gennaro e Monte
Matano è ricoperto da una foresta a
macchia composta di lecci, mentre sopra i
600 m si trovano aree boschive di faggi.
Nelle aree interne, prevalenti sono le
foreste caducifoglie d’aceri; non mancano
fitti castagneti, specie nelle aree vicino a S.
Polo, la cui commistione con lembi di
Carpini Betulus e Orientalis, uniti ad aceri
e all’originario sottobosco d’agrifoglio,
tradiscono la natura primitiva di quest’area
coperta da un bosco olocenico.
Le estensioni d’ulivi sono molto diffuse,
specie nel settore sud occidentale, ed
arrivano sino a 550 m; intercalate spesso
da siepi con laurus nobilis, gradualmente si
riallacciano, attraverso le macchie di styrax, alla vegetazione naturale di lecci.
Coperture d’orchidee, ranuncolacee, iris, lilium, narcisi, bucaneve impreziosiscono l’area del parco
che nei periodi di fioritura offre spettacoli indimenticabili come quello sotto Monte Guardia o
quello della cima di Monte Pellecchia, che in marzo si tinge di giallo per le corolle dei piè di gallo e
dei crocus vernus.
Naturalmente la popolazione faunistica ha seguito le sorti di quella vegetazionale, risentendo
pesantemente della presenza umana; malgrado questo, il parco dà ospitalità ad un gran numero di
specie animali. Tra i mammiferi troviamo esemplari d’istrice, tassi, lepri, scoiattoli, volpi e
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cinghiali. In località "le Mollie" è stata realizzata un’area faunistica per il capriolo, con l’obiettivo
di avviare il ripopolamento del parco da parte di questo cervide.
La comunità ornitica è assai vasta e variegata: nelle aree boschive, al limite dei coltivi, nidificano il
verdone, il cardellino, il fringuello, la cinciallegra, l'
usignolo, il rigogolo, il Re di Quaglie e la
quaglia; nelle faggete troviamo: il picchio comune, il picchio rosso, il picchio muratore ed il cuculo;
mentre in prossimità di corsi d’acqua vivono i merli acquaioli e gli usignoli di fiume.
Tra i rapaci diurni sono presenti: lo sparviero, la poiana, il falco pellegrino, il gheppio e, anche se
raro, il nibbio reale. Nella parete sud-orientale del Monte Pellecchia nidifica una coppia d’aquile
reali. I rapaci notturni, che spesso prediligono per la loro nidificazione i ruderi ampliamente diffusi
nelle aree del parco, sono rappresentati dal gufo comune, dall'
assiolo, dal barbagianni, dalla civetta
e dall’allocco.
Nel Parco vivono 13 specie di rettili, tra i più comuni ricordiamo: il saettone, il biacco, la biscia ed
il ramarro; decisamente più rari sono esemplari di testuggine comune e d’orbettino.
Una nutrita varietà d’anfibi tra i quali: la salamandrina dagli occhiali, il tritone, i rospi comuni, la
raganella e vari tipi di rana, popolano i fontanili abbandonati, i bacini lacustri e i fossi.
Il territorio del parco è solcato da 53 sentieri ufficiali e numerosi sono gli itinerari suggeriti dai
centri visita aperti nei diversi comuni, distinti per interesse prevalente, difficoltà e percorribilità a
piedi a cavallo ed i bicicletta.
Numerosi gli eventi organizzati durante il corso dell’anno per promuovere la conoscenza e la
valorizzazione di questo splendido territorio.
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