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la Repubblica
DOMENICA 29 MARZO 2015
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LECTIO MAGISTRALIS DI FOTOGRAFIA
Ferdinando Scianna sarà al Maxxi di Roma martedì
31 marzo alle 19 all’Auditorium, ingresso libero
LITTLE PEOPLE
IL CASO
Lo strano gioco
della “favola”
senza le figure
On the road
alle origini
della musica nera
ALESSANDRA ROTA
GIANNI SANTORO
B
U
NO dei momenti più
Novak è un attore, regista, produttore di serie tv, nato nel 1979, che assomiglia a Mr Bean. Più giovane
e decisamente più belloccio,
ha scritto un libro per bambini. Senza figure; si intitola
proprio così: Il Libro Senza Figure. Una copertina bianca
con i caratteri neri, stessi colori per le pagine interne, dove però ogni tanto qualche
frase lampeggia in blu, arancione, rosso. Dice l’autore che
la conoscenza di questo curioso volume «genera tante risate nei bimbi, creando un’esperienza
gioiosa di
gioco e di lettura». Sul sito http://thebookwithnopictures.com
ci sono le
performance di Novak e
i ragazzini
intorno a lui
effettivamente sembrano allegri e felici. Una formula interessante e divertente quella proposta dallo scrittore
americano: non servono le
immagini per sviluppare la
fantasia, bastano le parole.
Per “utilizzare” al meglio l’album (tradotto da Daniela Almansi) vanno seguite delle
istruzioni: la persona che ha
in mano The Book With No
Pictures deve leggere ad alta
voce qualunque termine sia
stampato sui fogli. Un esempio? “Brurp”. Oppure
“Bloorf”. O ancora: «Glu, glu,
glu, ho la faccia da gnu. Il mio
unico amico al mondo è un ippopotamo che si chiama Pippo Pupù. Gnacchete, gniccete, gnocchete, flicchete, flacchete. Beep. Boop...». Cento
anni fa Aldo Palazzeschi aveva avuto un’idea simile con la
sua Fontana malata (Clof,
Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchette...). Solo che
non l’aveva pensata esattamente per i bambini, ma si
può sempre rimediare.
Il libro senza figure
di B.J.Novak
Bompiani, pagg. 48, euro 15
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ILLUSTRAZIONE DI ANNA GODEASSI
ENJAMIN Joseph Manaly
Il saggio.Vincenzo Farinella ricostruisce la Ferrara di Alfonso I d’Este
che, schivando le congiure, coltivava le sue passioni e il talento degli artisti
Alla corte del duca
mecenate illuminato
ANTONIO PINELLI
A
LFONSO I d’Este, il terzo duca di Ferrara (1476-1534), ha rappresentato
un raro caso di principe-artista, perennemente in equilibrio tra il mestiere delle armi, la pratica del governo e la passione per le arti figurative: i suoi contemporanei si stupivano, e talvolta anche si scandalizzavano, per il fatto che il signore estense fosse solito trascorrere molte ore nelle fucine e nei laboratori della corte, per fondere nuovi tipi di cannoni, intagliare oggetti in legno, realizzare vasellame di ceramica e, forse, anche veri e propri dipinti. Una passione eccentrica che, sul piano del mecenatismo, ha reso
Alfonso I uno dei committenti più affascinanti, ma anche meno studiati, della sua epoca.
Lo straordinario volume di Vincenzo Farinella, Alfonso I d’Este, le immagini e il potere: da
Ercole de’ Roberti a Michelangelo, riassume quasi 15 anni di ricerche intorno all’arte e alla cultura ferraresi del Rinascimento, idealmente condotte sulle orme di Aby Warburg e
Roberto Longhi: per la prima volta viene ricostruita analiticamente la figura di questo
straordinario mecenate, che una volta diventato duca di Ferrara nel 1505, mise in atto uno
spregiudicato tentativo di aggiornamento
della cultura figurativa locale in prospettiALFONSO I
va nazionale, guardando a Venezia, a FiD’ESTE, LE
renze e a Roma. Alfonso I, infatti, non solo
IMMAGINI E IL
chiamò a corte artisti modernissimi come lo
POTERE
scultore veneziano Antonio Lombardo e il
di Vincenzo
pittore padano Dosso Dossi, ma cercò di
Farinella
coinvolgere anche i più celebrati geni della
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sua epoca, da Tiziano a Fra’ Bartolomeo, da
PAGG. 1056
Raffaello a Michelangelo, per trasformare
EURO 65
Ferrara in una vera e propria capitale dell’arte italiana.
Se lo studiolo nell’appartamento privato di
Alfonso in Castelvecchio, tutto rivestito di marmi candidi e policromi magistralmente intagliati da Antonio Lombardo, può essere letto
come una risposta alle difficoltà dei primi anni
di regno, e in particolare alla congiura ordita
dai fratelli del duca, nel desiderio di creare un
vero e proprio “specchio del principe” dove risaltassero le qualità morali e politiche necessarie all’esercizio del buon governo, il “camerino
delle pitture”, dove si alternarono Giovanni
Bellini, Dosso Dossi e Tiziano con i suoi celeberrimi Baccanali, risulta interpretabile come il
tentativo, in anni di duro scontro con la corte
pontificia, di riaffermare il prestigio della cultura estense, illuminata dalla presenza di Ludovico Ariosto. Perfino la «delizia» del Belvedere, il luogo di ozio e di piacere allestito su un’isoletta in mezzo al Po ad un passo dalle mura di
Ferrara, dove si erano concentrati molti capolavori voluti da Alfonso I come il memorabile
Giove pittore di farfalle di Dosso, andrà intesa
come un luogo concepito per mostrare ai sudditi e ai forestieri un vero e proprio “paradiso del
principe”, una sorta di promessa della futura
età dell’oro garantita allo stato estense dalla
lungimiranza politica e dalla cultura del duca.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
emozionanti è quello
con Sonny “Sunshine”
Payne: «Un ragazzo di quasi
novant’anni che tutti i santi
giorni, eccetto il weekend,
conduce in diretta alle 12.15
per circa una trentina di minuti un programma alla radio dedicato alla musica blues. Da oltre cinquant’anni». Sono questi i piccoli grandi incontri di
cui si nutre Blues Highway,
con cui Giuliano Malatesta ci
guida in un “viaggio alle origini della musica americana, da
Chicago a New Orleans”.
Sonny Payne vive e lavora ancora a Helena,
un piccolo villaggio dell’Arkansas, a
metà del tragitto. L’itinerario
della memoria
è insieme un
cammino a ritroso lungo la
Highway 61: è questa la traiettoria che dopo il 1917, con la
chiusura del “quartiere del
peccato” Storyville a New Orleans, dove il jazz aveva trovato casa tra bordelli e club, seguirono numerosi musicisti risalendo il Mississippi per cercare lavoro al nord, a St. Louis
e Chicago. Malatesta parte
dalla fine, dalla città dell’Illinois, e scende verso la Louisiana, incrociando la storia del
blues e degli Stati Uniti stessi,
tra cittadine dove ancora cinquanta anni fa studenti bianchi sbarravano l’ingresso dei
campus a giovani neri, diner
che per password scelgono “elvislives”, e poi il desolato museo di Scott Joplin, il trionfo
del kitsch di Graceland, l’incrocio dove Robert Johnson
vendette l’anima al diavolo. A
fine viaggio, ad accoglierlo nel
Delta del Mississippi a New
Orleans non c’è il calore del
jazz, ma le nuove attrattive dopo l’uragano: il “Katrina tour”
proposto dall’ente del turismo
e il gettonatissimo club “Hurricane City”.
Blues Highway
di Giuliano Malatesta
Arcana
pagg. 142, euro 15
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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