Avis juridique important 61998J0240 Sentenza della Corte del 27 giugno 2000. - Océano Grupo Editorial SA contro Roció Murciano Quintero (C-240/98) e Salvat Editores SA contro José M. Sánchez Alcón Prades (C-241/98), José Luis Copano Badillo (C-242/98), Mohammed Berroane (C243/98) e Emilio Viñas Feliú (C-244/98). - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Juzgado de Primera Instancia nº 35 de Barcelona - Spagna. - Direttiva 93/13/CEE Clausole vessatorie nei contratti stipulati con i consumatori - Clausola derogativa dalla competenza - Potere del giudice di esaminare d'ufficio l'illiceità di tale clausola. - Cause riunite C-240/98 a C-244/98. raccolta della giurisprudenza 2000 pagina I-04941 Massima 1 Una clausola attributiva di competenza, inserita in un contratto concluso tra un consumatore ed un professionista senza essere stata oggetto di negoziato individuale e volta ad attribuire la competenza esclusiva al tribunale nel cui foro si trova la sede del professionista, deve essere considerata abusiva ai sensi dell'art. 3 della direttiva 93/13, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina a danno del consumatore un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto. (v. punto 24) 2 La tutela assicurata ai consumatori dalla direttiva 93/13, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, comporta che il giudice nazionale, nell'esaminare l'ammissibilità di un'istanza propostagli, possa valutare d'ufficio l'illiceità di una clausola del contratto di cui è causa. Nell'applicare disposizioni di diritto nazionale precedenti o successive a tale direttiva, il giudice nazionale deve interpretarle quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della stessa. In particolare, l'obbligo di interpretazione conforme impone al giudice nazionale di preferire l'interpretazione che gli consenta di declinare d'ufficio la competenza attribuitagli da una clausola abusiva. (v. punti 29, 32, dispositivo 1-2) Parti Nei procedimenti riuniti da C-240/98 a C-244/98, aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dal Juzgado de Primera Instancia n. 35 di Barcellona (Spagna) nelle cause dinanzi ad esso pendenti tra Océano Grupo Editorial SA e Rocío Murciano Quintero (C-240/98) e tra Salvat Editores SA e José M. Sánchez Alcón Prades (C-241/98), José Luis Copano Badillo (C-242/98), Mohammed Berroane (C-243/98), Emilio Viñas Feliu (C-244/98), domanda vertente sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29), LA CORTE, 1 composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, L. Sevón, presidente di sezione, P.J.G. Kapteyn, C. Gulmann, J.-P. Puissochet, G. Hirsch, P. Jann (relatore), H. Ragnemalm, M. Wathelet, V. Skouris e dalla signora F. Macken, giudici, avvocato generale: A. Saggio cancelliere: H.A. Rühl, amministratore principale viste le osservazioni scritte presentate: - per la Océano Grupo Editorial SA e la Salvat Editores SA, dall'avv. A. Estany Segalas, del foro di Barcellona; - per il governo spagnolo, dal signor S. Ortiz Vaamonde, abogado del Estado, in qualità di agente; - per il governo francese, dalle signore K. Rispal-Bellanger, vicedirettore presso la direzione «Affari giuridici» del Ministero degli Affari esteri, e R. Loosli-Surrans, chargé de mission presso la stessa direzione, in qualità di agenti; - per la Commissione delle Comunità europee, dai signori J.L. Iglesias Buhigues, consigliere giuridico, e M. Desantes Real, funzionario nazionale messo a disposizione del servizio giuridico, in qualità di agenti, vista la relazione d'udienza, sentite le osservazioni orali della Océano Grupo Editorial SA, della Salvat Editores SA, del governo spagnolo, del governo francese e della Commissione all'udienza del 26 ottobre 1999, sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 16 dicembre 1999, ha pronunciato la seguente Sentenza Motivazione della sentenza 1 Con ordinanze 31 marzo 1998 (procedimenti C-240/98 e C-241/98) e 1_ aprile 1998 (procedimenti C242/98, C-243/98 e C-244/98), pervenute nella cancelleria della Corte l'8 luglio seguente, il Juzgado de Primera Instancia n. 35 di Barcellona ha sollevato, a norma dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), una questione pregiudiziale in merito all'interpretazione della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29; in prosieguo: la «direttiva»). 2 La questione è sorta nell'ambito di controversie tra la Océano Grupo Editorial SA e la signora Murciano Quintero, da una parte, e tra la Salvat Editores SA e i signori Sánchez Alcón Prades, Copano Badillo, Berroane e Viñas Feliu, dall'altra, riguardo al pagamento di somme dovute in esecuzione di contratti di vendita a rate conclusi tra le dette società e i convenuti nella causa principale. Contesto giuridico La normativa comunitaria 3 Ai sensi dell'art. 1, n. 1, della direttiva, quest'ultima è volta a «ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore». 4 L'art. 2 della direttiva dispone quanto segue: «Ai fini della presente direttiva si intende per: (...) b) "consumatore": qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale; c) "professionista": qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata». 5 A mente dell'art. 3, n. 1, della direttiva: «Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto». 2 6 L'art. 3, n. 3, della direttiva fa riferimento all'allegato della stessa, il quale contiene un «elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive». Il punto 1 di tale allegato riguarda le «Clausole che hanno per oggetto o per effetto di: (...) q) sopprimere o limitare l'esercizio di azioni legali o vie di ricorso del consumatore (...)». 7 A norma dell'art. 6, n. 1, della direttiva: «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolino il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive». 8 Ai sensi dell'art. 7, nn. 1 e 2, della direttiva: «1. Gli Stati membri, nell'interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori. 2. I mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che permettano a persone o organizzazioni, che a norma del diritto nazionale abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori, di adire, a seconda del diritto nazionale, le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi competenti affinché stabiliscano se le clausole contrattuali, redatte per un impiego generalizzato, abbiano carattere abusivo ed applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di siffatte clausole». 9 In forza dell'art. 10, n. 1, della direttiva, gli Stati membri erano tenuti a mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarvisi entro il 31 dicembre 1994. La normativa nazionale 10 In diritto spagnolo la tutela dei consumatori contro le clausole abusive inserite nei contratti ad opera di professionisti è stata inizialmente assicurata dalla Ley General 26/1984, de 19 de julio, para la Defensa de los Consumidores y Usuarios (legge generale 19 luglio 1984, n. 26, relativa alla tutela dei consumatori e degli utenti, Boletín Oficial del Estado n. 176 del 24 luglio 1984; in prosieguo: la «legge n. 26/1984»). 11 Ai sensi dell'art. 10, n. 1, lett. c), della legge n. 26/1984, le clausole, condizioni o disposizioni riguardanti in modo generale l'offerta o la promozione di prodotti o di servizi devono essere conformi alla buona fede e garantire un giusto equilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti, ciò che, in ogni caso, esclude l'uso di clausole abusive. In forza dell'art. 10, n. 4, della legge, le clausole abusive, definite come clausole che danneggiano il consumatore in modo sproporzionato e ingiusto o che causano uno squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti a danno dei consumatori, sono nulle. 12 La trasposizione integrale della direttiva è stata realizzata con la Ley 7/1998, de 13 de abril, sobre Condiciones Generales de la Contratación (legge 13 aprile 1998, n. 7, sulle condizioni generali di contratto, Boletín Oficial del Estado n. 89 del 14 aprile 1998; in prosieguo: la «legge n. 7/1998»). 13 L'art. 8 della legge n. 7/1998 prevede la nullità delle condizioni generali pregiudizievoli per l'aderente e in contrasto con le disposizioni della legge e, in particolare, delle condizioni generali abusive inserite nei contratti conclusi con un consumatore ai sensi della legge n. 26/1984. 14 Inoltre, la legge n. 7/1998 integra la legge n. 26/1984 aggiungendo, in particolare, un art. 10 bis - il cui n. 1 riproduce in sostanza l'art. 3, n. 1, della direttiva - e una disposizione addizionale che riprende buona parte dell'elenco, allegato alla direttiva, delle clausole che possono essere dichiarate abusive, precisando che tale elenco ha solo carattere minimo. Ai sensi del punto 27 di tale disposizione addizionale, è considerato abusivo l'inserimento nel contratto di una clausola che preveda esplicitamente come foro competente un foro diverso da quello del domicilio del consumatore o del luogo di esecuzione dell'obbligazione. Le cause principali e la questione pregiudiziale 15 I convenuti nelle cause principali, tutti domiciliati in Spagna, tra il 4 maggio 1995 e il 16 ottobre 1996 hanno concluso, ciascuno per proprio conto, un contratto di acquisto a rate, a fini personali, di un'enciclopedia. Le ricorrenti nelle cause principali sono i venditori di tali enciclopedie. 3 16 I contratti contenevano una clausola di attribuzione della competenza alle autorità giudiziarie di Barcellona (Spagna), città in cui non è domiciliato nessuno dei convenuti nelle cause principali, ma in cui si trova la sede delle ricorrenti. 17 Poiché gli acquirenti delle enciclopedie non hanno versato le somme dovute alle scadenze pattuite, tra il 25 luglio e il 19 dicembre 1997 i venditori hanno promosso innanzi al Juzgado de Primera Instancia n. 35 di Barcellona il procedimento detto «juicio de cognición» (procedimento sommario riservato alle controversie di valore limitato) chiedendo la condanna dei convenuti nelle cause principali al pagamento delle somme dovute. 18 Tali ricorsi non sono stati notificati ai convenuti nelle cause principali, in quanto il giudice a quo dubita di essere competente a conoscere delle controversie. Esso rileva infatti che il Tribunal Supremo ha ripetutamente dichiarato abusive clausole attribuitive di competenza come quelle di cui è causa nelle controversie che è chiamato a dirimere. Tuttavia, stando a tale giudice, le pronunce dei tribunali nazionali sono contraddittorie quanto alla possibilità di rilevare d'ufficio la nullità delle clausole abusive nell'ambito di procedimenti relativi alla tutela degli interessi dei consumatori. 19 Stando così le cose, il Juzgado de Primera Instancia n. 35 di Barcellona, ritenendo che la soluzione delle controversie richiedesse un'interpretazione della direttiva, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale, che nelle cinque ordinanze di rinvio è formulata in termini identici: «Se la tutela assicurata al consumatore dalla direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, consenta al giudice nazionale di pronunciarsi ex officio sul carattere abusivo di una di dette clausole in sede di valutazione dell'ammissibilità di un'istanza proposta dinanzi ai giudici ordinari». 20 Con ordinanza del presidente della Corte 20 luglio 1998, le cinque cause da C-240/98 a C-244/98 sono state riunite ai fini della fase scritta e di quella orale del procedimento e della sentenza. 21 In via preliminare occorre rilevare che una clausola come quella controversa nelle cause principali può essere qualificata abusiva a norma della direttiva qualora, senza aver costituito oggetto di negoziato individuale, sia stata inserita in un contratto concluso tra un consumatore ed un professionista ai sensi della stessa. 22 Una clausola del genere, volta ad attribuire la competenza per tutte le controversie derivanti dal contratto al giudice del foro in cui si trova la sede del professionista, impone al consumatore l'obbligo di assoggettarsi alla competenza esclusiva di un tribunale che può essere lontano dal suo domicilio, il che può rendergli più difficoltosa la comparizione in giudizio. Nel caso di controversie di valore limitato, le spese di comparizione del consumatore potrebbero risultare dissuasive e indurlo a rinunziare a qualsiasi azione o difesa. Siffatta clausola rientra pertanto nella categoria di quelle che hanno lo scopo o l'effetto di sopprimere o limitare l'esercizio di azioni legali da parte del consumatore, categoria contemplata al punto 1, lett. q), dell'allegato della direttiva. 23 Al contrario, tale clausola consente al professionista di concentrare tutto il contenzioso attinente alla sua attività professionale presso il tribunale nel cui foro si trova la sede di tale attività, il che agevola la sua comparizione in giudizio e, nel contempo, la rende meno onerosa. 24 Ne discende che una clausola attributiva di competenza, inserita in un contratto concluso tra un consumatore ed un professionista senza essere stata oggetto di negoziato individuale e volta ad attribuire la competenza esclusiva al tribunale nel cui foro si trova la sede del professionista, deve essere considerata abusiva ai sensi dell'art. 3 della direttiva, se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina a danno del consumatore un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto. 25 Quanto alla questione se un giudice, cui è stata sottoposta una controversia relativa ad un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, possa rilevare d'ufficio l'illiceità di una clausola di tale contratto, si deve ricordare che il sistema di tutela istituito dalla direttiva è fondato sull'idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse. 26 L'obiettivo perseguito dall'art. 6 della direttiva, che obbliga gli Stati membri a prevedere che le clausole abusive non vincolino i consumatori, non potrebbe essere conseguito se questi ultimi fossero tenuti a eccepire essi stessi l'illiceità di tali clausole. In controversie di valore spesso limitato, gli onorari dei legali possono essere superiori agli interessi in gioco, il che può dissuadere il consumatore 4 dall'opporsi all'applicazione di una clausola abusiva. Sebbene in controversie del genere le norme processuali di molti Stati membri consentano ai singoli di difendersi da soli, esiste un rischio non trascurabile che, soprattutto per ignoranza, il consumatore non faccia valere l'illiceità della clausola oppostagli. Ne discende che una tutela effettiva del consumatore può essere ottenuta solo se il giudice nazionale ha facoltà di valutare d'ufficio tale clausola. 27 Del resto, come osserva l'avvocato generale al paragrafo 24 delle conclusioni, il sistema di tutela istituito dalla direttiva si basa sull'idea che la diseguaglianza tra il consumatore e il professionista possa essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale. Per questo motivo l'art. 7 della direttiva, il quale, al n. 1, impone agli Stati membri di fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive, precisa al n. 2 che tali mezzi comprendono la possibilità per le organizzazioni di consumatori riconosciute di adire le autorità giudiziarie perché queste accertino se clausole redatte per un uso generalizzato siano abusive e, eventualmente, ne dichiarino l'illiceità, anche quando esse non siano state inserite in un contratto determinato. 28 Come ha rilevato il governo francese, in un sistema che richiede l'attuazione preventiva di azioni collettive specifiche volte a porre termine agli abusi pregiudizievoli per gli interessi dei consumatori, è difficilmente concepibile che il giudice, chiamato a dirimere una controversia su un contratto determinato contenente una clausola abusiva, non possa disapplicarla solo perché il consumatore non ne fa valere l'illiceità. Occorre invece osservare che la facoltà per il giudice di esaminare d'ufficio l'illiceità di una clausola costituisce un mezzo idoneo al conseguimento tanto dell'obiettivo fissato dall'art. 6 della direttiva, che è quello di impedire che il consumatore sia vincolato da una clausola abusiva, quanto dell'obiettivo dell'art. 7, dato che tale esame può avere un effetto dissuasivo e, pertanto, contribuire a far cessare l'inserimento di clausole abusive nei contratti conclusi tra un professionista e i consumatori. 29 Da tutto ciò che precede risulta che la tutela assicurata ai consumatori dalla direttiva comporta che il giudice nazionale, esaminando la ricevibilità dell'istanza presentatagli, possa valutare d'ufficio l'illiceità di una clausola del contratto di cui è causa. 30 Nel caso in cui non sia stata trasposta una direttiva, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza (sentenze 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing, Racc. pag. I-4135, punto 8; 16 dicembre 1993, causa C-334/92, Wagner Miret, Racc. pag. I-6911, punto 20, e 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori, Racc. pag. I-3325, punto 26), nell'applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale deve interpretarlo quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, per conseguire il risultato perseguito da quest'ultima e conformarsi in tal modo all'art. 189, terzo comma, del Trattato CE (divenuto art. 249, terzo comma, CE). 31 Pertanto, il giudice di rinvio, il quale deve dirimere una controversia che verte su una materia disciplinata dalla direttiva e trova origine in fatti successivi alla scadenza del termine di trasposizione di quest'ultima, deve interpretare le disposizioni di diritto nazionale vigenti alla data dei fatti, ricordate ai punti 10 e 11 della presente sentenza, quanto più possibile conformemente alla direttiva, in modo che possano essere applicate d'ufficio. 32 Dalle considerazioni sopra svolte risulta che, nell'applicare disposizioni di diritto nazionale precedenti o successive a tale direttiva, il giudice nazionale deve interpretarle quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della stessa. In particolare, l'obbligo di interpretazione conforme impone al giudice nazionale di preferire l'interpretazione che gli consenta di declinare d'ufficio la competenza attribuitagli da una clausola abusiva. Decisione relativa alle spese Sulle spese 33 Le spese sostenute dal governo spagnolo, da quello francese e dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nelle cause principali il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. 5 Dispositivo Per questi motivi, LA CORTE, pronunciandosi sulla questione sottopostale dal Juzgado de Primera Instancia n. 35 di Barcellona con ordinanze 31 marzo e 1_ aprile 1998, dichiara: 1) La tutela assicurata ai consumatori dalla direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, comporta che il giudice nazionale, nell'esaminare l'ammissibilità di un'istanza propostagli, possa valutare d'ufficio l'illiceità di una clausola del contratto di cui è causa. 2) Nell'applicare disposizioni di diritto nazionale precedenti o successive a tale direttiva, il giudice nazionale deve interpretarle quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della stessa. In particolare, l'obbligo di interpretazione conforme impone al giudice nazionale di preferire l'interpretazione che gli consenta di declinare d'ufficio la competenza attribuitagli da una clausola abusiva. Gestito dall'Ufficio delle pubblicazioni 6 Avis juridique important 62000J0473 Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 21 novembre 2002. - Cofidis SA contro Jean-Louis Fredout. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal d'instance de Vienne - Francia. - Direttiva 93/13/CEE - Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori - Azione proposta da un professionista - Disposizione interna che vieta al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare, d'ufficio o a seguito di un'eccezione sollevata dal consumatore, il carattere abusivo di una clausola. - Causa C-473/00. raccolta della giurisprudenza 2002 pagina I-10875 Parti Nel procedimento C-473/00, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, dal Tribunal d'instance di Vienne (Francia) nella causa dinanzi ad esso pendente tra Cofidis SA e Jean-Louis Fredout, domanda vertente sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29), LA CORTE (Quinta Sezione), composta dal sig. M. Wathelet, presidente di sezione, dai sigg. C.W.A. Timmermanns, D.A.O. Edward, A. La Pergola e P. Jann (relatore), giudici, avvocato generale: sig. A. Tizzano cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale viste le osservazioni scritte presentate: - per la Cofidis SA, dall'avv. B. Célice; - per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra R. Loosli-Surrans, in qualità di agenti; - per il governo austriaco, dal sig. H. Dossi, in qualità di agente; - per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. D. Martin e M. França, in qualità di agenti, vista la relazione d'udienza, sentite le osservazioni orali della Cofidis SA, rappresentata dall'avv. B. Soltner, del sig. M. Fredout, rappresentato dall'avv. J. Franck, del governo francese, rappresentato dalla sig.ra R. Loosli-Surrans, e della Commissione, rappresentata dal sig. M. França, in qualità di agenti, all'udienza del 17 gennaio 2002, sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 18 aprile 2002, ha pronunciato la seguente Sentenza Motivazione della sentenza 1 Con sentenza 15 dicembre 2000, rettificata con sentenza 26 gennaio 2001, pervenute alla Corte rispettivamente il 27 dicembre 2000 e il 29 gennaio 2001, il Tribunal d'instance di Vienne ha sollevato, a norma dell'art. 234 CE, una questione pregiudiziale vertente sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29; in prosieguo: la «direttiva»). 7 2 Tale questione è stata sollevata nell'ambito di una controversia fra la Cofidis SA (in prosieguo: la «Cofidis»), società di diritto francese, e il sig. Fredout, a proposito del pagamento di somme dovute in esecuzione di un contratto di credito stipulato da quest'ultimo con la suddetta società. Contesto normativo Normativa comunitaria 3 A termini dell'art. 1 della direttiva: «1. La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore. 2. Le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative (...) non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva». 4 L'art. 3, n. 1, della direttiva dispone: «Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto». 5 L'art. 4 della direttiva precisa il modo in cui il carattere abusivo di una clausola dev'essere valutato. Il n. 2 di tale disposizione recita: «La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell'oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall'altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile». 6 Ai sensi dell'art. 6, n. 1, della direttiva: «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive». 7 A termini dell'art. 7, n. 1, della direttiva: «Gli Stati membri, nell'interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori». Normativa nazionale 8 Le disposizioni relative alle clausole abusive si trovano nel libro I «Informazione dei consumatori e formazione dei contratti», titolo III «Condizioni generali dei contratti», capitolo 2, intitolato «Clause abusive» del code de la consommation (codice delle leggi per la tutela del consumatore). 9 L'art. L. 132-1 del suddetto codice, come modificato dalla legge 1_ febbraio 1995, n. 95-96, concernente le clausole abusive e la presentazione dei contratti, definisce ciò che si deve intendere per «clausole abusive» e precisa che queste «devono considerarsi come non scritte». Secondo il giudice a quo, tale sanzione equivale ad una nullità che, in conformità alle regole generali in materia contrattuale, può essere dedotta in giudizio entro cinque anni mediante azione, mentre l'eccezione di nullità è imprescrittibile. 10 L'art. L. 311-37 del code de la consommation, cui fa riferimento la sentenza di rinvio, si trova nella sezione III («Indebitamento»), titolo I («Credito»), capitolo 1, dal titolo «Credito al consumo». Tale capitolo contiene in particolare norme molto precise in materia di forma. 11 L'art. L. 311-37, primo comma, del detto codice dispone: «Il Tribunal d'instance è competente in materia di controversie sorte dall'applicazione del presente capitolo. Le azioni promosse innanzi ad esso devono essere avviate, a pena di decadenza, entro due anni dall'evento che vi ha dato origine (...)». Causa principale e questione pregiudiziale 12 Con contratto 26 gennaio 1998 la Cofidis ha concesso al sig. Fredout un'apertura di credito. Dato che alle scadenze previste le rate mensili non erano state pagate, la Cofidis ha citato dinanzi al Tribunal d'instance di Vienne il sig. Fredout per il pagamento di quanto dovuto. 8 13 Dall'ordinanza di rinvio risulta che l'offerta di credito si presenta in forma di un foglio stampato su entrambe le facce, che contiene sulla faccia anteriore la menzione «richiesta gratuita di disponibilità pecuniaria» a grandi caratteri, mentre le menzioni relative ai tassi d'interesse convenzionali o ad una clausola penale figurano in caratteri piccoli sul retro della pagina. Il Tribunale d'instance di Vienne ne ha dedotto che «le clausole finanziarie (...) mancano di leggibilità» e che «tale mancanza di leggibilità va collegata alla menzione della "gratuità" (...) in forma particolarmente appariscente», la quale era atta a trarre in errore il consumatore. Ne ha concluso che «le clausole finanziarie possono ritenersi abusive». 14 Tuttavia, trattandosi di una controversia riguardante un'operazione di credito al consumo, il Tribunal d'instance di Vienne ha ritenuto che sia applicabile il termine di decadenza di due anni previsto dall'art. L. 311-37 del code de la consommation e che esso gli vieti di annullare le clausole di cui ha accertato l'abusività. 15 Alla luce di quanto sopra il Tribunale d'instance di Vienne ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Premesso che la tutela offerta dalla direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, garantisce a questi ultimi che il giudice nazionale, nell'applicare le disposizioni di diritto nazionale precedenti o successive a detta direttiva, le interpreti nei limiti del possibile alla luce della lettera e della finalità di quest'ultima; se tale esigenza d'interpretazione conforme del sistema di protezione dei consumatori di cui alla direttiva impone al giudice nazionale, adito da un professionista per la condanna al pagamento di un consumatore con il quale ha stipulato un contratto, di non applicare una disposizione procedurale nazionale di natura eccezionale, come quella prevista dall'art. L. 311-37 del code de la consommation, nella misura in cui tale disposizione non consente al giudice nazionale di annullare, su domanda del consumatore o d'ufficio, le clausole abusive che vizino il contratto qualora quest'ultimo sia stato stipulato oltre due anni prima dell'instaurazione del giudizio e consente in tal modo al professionista di avvalersi in giudizio di dette clausole e di fondarvi la propria iniziativa giudiziaria». Sulla questione pregiudiziale 16 Con tale questione, il giudice a quo chiede in sostanza se la tutela che la direttiva garantisce ai consumatori osti ad una normativa interna che, in un'azione promossa da un professionista nei confronti di un consumatore e basata su un contratto stipulato tra di loro, vieta al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare d'ufficio o a seguito di un'eccezione sollevata dal consumatore il carattere abusivo di una clausola inserita nel suddetto contratto. Sulla ricevibilità 17 In via preliminare, la Cofidis e il governo francese esprimono dubbi quanto alla rilevanza della questione sollevata con riguardo alla soluzione della causa principale e quindi quanto alla ricevibilità della domanda pregiudiziale. 18 La Cofidis sostiene che le clausole ritenute abusive dal giudice a quo non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva. Trattandosi di clausole finanziarie inserite in un contratto di credito, esse verterebbero sulla definizione dell'oggetto principale di questo. Quindi, ai sensi dell'art. 4, n. 2, della direttiva, esse sarebbero escluse dall'ambito di applicazione della stessa. Le clausole in questione non potrebbero essere considerate prive di chiarezza giacché non sarebbero altro che la riproduzione di un modello di contratto elaborato dal legislatore nazionale, il quale non sarebbe soggetto, in forza dell'art. 1, n. 2, della direttiva, alle disposizioni di questa. 19 La Cofidis aggiunge che a torto il giudice a quo ha ritenuto applicabile al settore delle clausole abusive il termine di decadenza previsto dall'art. L. 311-37 del code de la consommation in materia di credito al consumo. Il governo francese rileva che la questione del giudice a quo suscita effettivamente dubbi e che la Corte di cassazione francese non ha ancora avuto l'occasione di pronunciarsi sul punto. 20 A tale riguardo occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, nell'ambito della collaborazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall'art. 234 CE, spetta esclusivamente al giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell'emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Il rigetto di una domanda presentata da un giudice nazionale è possibile laddove appaia in modo manifesto che l'interpretazione del diritto comunitario o l'esame della validità di una norma comunitaria, chiesti dal detto giudice, non abbiano alcuna relazione 9 con l'effettività o l'oggetto della controversia nella causa principale (v., in particolare, sentenze 22 giugno 2000, causa C-318/98, Fornasar e a., Racc. pag. I-4785, punto 27, e 10 maggio 2001, cause riunite C-223/99 e C-260/99, Agorà e Excelsior, Racc. pag. I-3605, punti 18 e 20). 21 Nel caso di specie il giudice a quo ritiene che talune delle clausole finanziarie stampate del contratto di credito sottoposto al suo giudizio siano viziate da una mancanza di chiarezza e di comprensibilità. Tale mancanza sarebbe in particolare riconducibile all'uso, nel modulo utilizzato dall'istituto di credito, di termini d'ispirazione pubblicitaria che farebbero pensare ad un'asserita gratuità dell'operazione che il giudice a quo ritiene tale da indurre il consumatore in errore. 22 In proposito, occorre rilevare che, in quanto esse non si limitano a rispecchiare disposizioni legislative o regolamentari imperative e in quanto la loro redazione è tacciata di ambiguità, non risulta manifestamente che le clausole in questione esulino dall'ambito di applicazione della direttiva, così come delimitato dagli artt. 1, n. 2, e 4, n. 2, di questa. 23 Per rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva, le suddette clausole devono tuttavia rispondere ai criteri definiti dall'art. 3, n. 1, della direttiva, cioè devono essere state oggetto di un negoziato individuale e devono, malgrado il requisito della buona fede, determinare a danno del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto. Benché il giudice a quo non abbia fornito alcun elemento su quest'ultimo punto, non può escludersi che tale condizione sia soddisfatta. 24 Quanto alla questione se il termine di decadenza di cui all'art. L. 311-37 del code de la consommation si applichi o no alle clausole abusive, si tratta di una questione di diritto nazionale che, in quanto tale, esula dalla competenza della Corte. 25 Di conseguenza, non risulta in modo manifesto che la questione sollevata non abbia alcun rapporto con l'oggetto della controversia nella causa principale. 26 Ne consegue che la domanda pregiudiziale è ricevibile e che la questione in essa formulata dev'essere quindi risolta, presupponendo che le clausole che il giudice a quo considera abusive soddisfino i criteri definiti dagli artt. 1, n. 2, 3, n. 1, e 4, n. 2, della direttiva. Nel merito 27 La Cofidis e il governo francese cercano in primo luogo di stabilire una distinzione tra la causa principale da quelle che hanno dato luogo alla sentenza 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (Racc. pag. I-4941). Secondo loro, consentendo al giudice nazionale di valutare d'ufficio l'abusività di una clausola attributiva di giurisdizione, la Corte gli ha semplicemente permesso di rilevare esso stesso la propria incompetenza. Nella causa principale si tratterebbe però di valutare se il giudice debba o no applicare un termine di decadenza imposto dal legislatore nazionale. 28 La Cofidis e il governo francese sostengono in secondo luogo che, mancando nella direttiva una disposizione relativa ad un eventuale termine di decadenza, la questione dell'applicazione di un siffatto termine rientra nel principio dell'autonomia processuale. Spetta quindi all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro disciplinare le modalità procedurali delle azioni giudiziarie intese a garantire la tutela dei diritti che i singoli traggono dalla direttiva nell'osservanza dei principi di equivalenza e di effettività. Ora, la Corte ha dichiarato in diverse occasioni la compatibilità con tali principi di termini di decadenza più brevi di quello biennale previsto dall'art. L. 311-37 del code de la consommation (sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe, Racc. pag. 1989, e 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani, Racc. pag. I-4025). 29 Il sig. Fredout afferma che occorre interpretare in senso ampio la citata sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores. A suo avviso, la Corte, in detta sentenza, ha considerato la possibilità per il giudice nazionale di valutare d'ufficio la legittimità di una clausola abusiva come un mezzo che consente di raggiungere il risultato stabilito dall'art. 6 della direttiva, cioè garantire che le clausole abusive non vincolino il consumatore. Ora, tale risultato non potrebbe essere conseguito qualora detta possibilità fosse soggetta ad un termine. Nel caso dei contratti di credito al consumo, la maggior parte dei procedimenti verrebbero promossi dal mutuante professionista, al quale basterebbe attendere la scadenza del suddetto termine per avviare l'azione di pagamento, privando così il consumatore della tutela istituita dalla direttiva. 30 Il governo austriaco, pur riconoscendo che la direttiva lascia agli Stati membri un rilevante margine di discrezionalità e che un termine di prescrizione può contribuire alla certezza del diritto, fa presente 10 che, tenuto conto dell'effetto di decadenza del termine in questione e della sua brevità, è dubbio che esso consenta di raggiungere il risultato prescritto dagli artt. 6 e 7 della direttiva. 31 La Commissione, che propugna anch'essa un'interpretazione ampia della citata sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, ritiene che la fissazione di un limite temporale al potere riconosciuto al giudice di rilevare d'ufficio l'illegittimità di una clausola abusiva sia contrario alle finalità della direttiva. Consentire agli Stati membri di stabilire siffatti limiti, eventualmente diversi, sarebbe inoltre contrario al principio dell'applicazione uniforme del diritto comunitario. 32 In proposito, occorre ricordare che, al punto 28 della citata sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, la Corte ha affermato che la facoltà per il giudice di esaminare d'ufficio l'abusività di una clausola costituisce un mezzo idoneo al conseguimento tanto dell'obiettivo fissato dall'art. 6 della direttiva, che è quello di impedire che il consumatore sia vincolato da una clausola abusiva, quanto dell'obiettivo dell'art. 7, dato che tale esame può avere un effetto dissuasivo che contribuisce a far cessare l'inserimento di clausole abusive nei contratti conclusi tra un professionista e i consumatori. 33 Questa facoltà riconosciuta al giudice è stata ritenuta necessaria per garantire al consumatore una tutela effettiva, tenuto conto in particolare del rischio non trascurabile che questi ignori i suoi diritti o incontri difficoltà per esercitarli (sentenza Océan Grupo Editoral e Salvat Editores, citata, punto 26). 34 La tutela prevista a favore dei consumatori dalla direttiva si estende così ai casi in cui il consumatore che ha stipulato con un professionista un contratto contenente una clausola abusiva si astenga dal dedurre l'abusività di detta clausola perché ignora i suoi diritti o perché viene dissuaso dal farli valere a causa delle spese che un'azione giudiziaria comporterebbe. 35 Risulta quindi che nei procedimenti aventi ad oggetto l'esecuzione di clausole abusive, promossi da professionisti nei confronti di consumatori, la fissazione di un limite temporale al potere del giudice di disattendere, d'ufficio o a seguito di un'eccezione sollevata dal consumatore, siffatte clausole può compromettere l'effettività della tutela voluta dagli artt. 6 e 7 della direttiva. Infatti, per privare i consumatori del beneficio di tale protezione, ai professionisti basta attendere la scadenza del termine fissato dal legislatore nazionale per chiedere l'esecuzione delle clausole abusive che essi continuerebbero ad utilizzare nei contratti. 36 Si deve quindi ritenere che una norma processuale che vieti al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare d'ufficio o a seguito di un'eccezione sollevata da un consumatore l'abusività di una clausola la cui esecuzione viene richiesta dal professionista è idonea a rendere eccessivamente difficile, nelle controversie in cui i consumatori sono convenuti, l'applicazione della tutela che la direttiva intende loro conferire. 37 Questa interpretazione non viene contraddetta dal fatto che, come rilevano la Cofidis e il governo francese, la Corte ha più volte affermato che termini di decadenza più brevi di quello di cui trattasi nella causa principale non sono incompatibili con la tutela dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario (sentenze Rewe e Palmisani, citate). E' sufficiente infatti ricordare che ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l'applicazione del diritto comunitario dev'essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nel complesso del procedimento, nonché dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali (sentenza 14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I4599, punto 14). Le citate sentenze Rewe e Palmisani, invocate dalla Cofidis e dal governo francese, sono quindi il risultato di valutazioni specifiche, effettuate in considerazione dell'insieme del contesto di fatto e di diritto proprio di ciascuna causa e che non possono essere trasposte automaticamente in settori diversi da quelli nell'ambito del quale sono state formulate. 38 Alla luce di quanto sopra, la questione sollevata va quindi risolta nel senso che la tutela che la direttiva garantisce ai consumatori osta ad una normativa interna che, in un'azione promossa da un professionista nei confronti di un consumatore e basata su un contratto stipulato tra loro, vieta al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare d'ufficio o a seguito di un'eccezione sollevata dal consumatore l'abusività di una clausola inserita nel suddetto contratto. Decisione relativa alle spese Sulle spese 39 Le spese sostenute dai governi francese e austriaco, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella 11 causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Dispositivo Per questi motivi, LA CORTE (Quinta Sezione), pronunciandosi sulla questione sottopostale dal Tribunal d'instance di Vienne con sentenza 15 dicembre 2000, rettificata con sentenza 26 gennaio 2001, dichiara: La direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, osta ad una normativa interna che, in un'azione promossa da un professionista nei confronti di un consumatore e basata su un contratto stipulato tra loro, vieta al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare d'ufficio o a seguito di un'eccezione sollevata dal consumatore il carattere abusivo di una clausola inserita nel suddetto contratto. Gestito dall'Ufficio delle pubblicazioni 12 Causa C-302/04 Ynos kft contro János Varga (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Szombathelyi Városi Bíróság) «Art. 234 CE — Direttiva 93/13/CEE — Consumatori — Clausole abusive — Normativa nazionale resa conforme alla direttiva dopo la conclusione da parte di uno Stato terzo di un accordo di associazione con le Comunità europee e prima dell’adesione del detto Stato all’Unione europea — Incompetenza della Corte» Conclusioni dell’avvocato generale A. Tizzano, presentate il 22 settembre 2005 Sentenza della Corte (Grande Sezione) 10 gennaio 2006 Massime della sentenza Questioni pregiudiziali — Competenza della Corte — Limiti (Art. 234 CE) La Corte è competente a interpretare una direttiva comunitaria soltanto per quanto attiene alla sua applicazione in un nuovo Stato membro, a decorrere dalla data di adesione di quest’ultimo all’Unione europea. Di conseguenza, la Corte non è competente a risolvere le questioni pregiudiziali formulate da un giudice ungherese e vertenti sull’interpretazione dell’art. 6, n. 1, della direttiva 93/13, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, quando i fatti oggetto della causa principale sono anteriori all’adesione della Repubblica di Ungheria all’Unione europea. (v. punti 36-38) SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione) 10 gennaio 2006 (*) «Art. 234 CE – Direttiva 93/13/CEE – Consumatori – Clausole abusive – Normativa nazionale resa conforme alla direttiva dopo la conclusione da parte di uno Stato terzo di un accordo di associazione con le Comunità europee prima dell’adesione del detto Stato all’Unione europea – Incompetenza della Corte» Nel procedimento C-302/04, 13 avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dallo Szombathelyi Városi Bíróság (Ungheria) con decisione 10 giugno 2004, pervenuta in cancelleria il 14 luglio 2004, nella causa Ynos Kft. contro János Varga, LA CORTE (Grande Sezione), composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, A. Rosas, K. Schiemann e J. Makarczyk, presidenti di sezione, dai sigg. C. Gulmann, A. La Pergola, K. Lenaerts, P. Kūris, E. Juhász, G. Arestis, M. Ilešič (relatore) e A. Ó Caoimh, giudici, avvocato generale: sig. A. Tizzano cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 21 giugno 2005, considerate le osservazioni presentate: – per il governo ungherese, dal sig. P. Gottfried nonché dalle sig.re J. Fazekas e R. Sommsich, in qualità di agenti; – per il governo ceco, dal sig. T. Boček, in qualità di agente; – per il governo spagnolo, dal sig. F. Díez Moreno, in qualità di agente; – per il governo lettone, dalle sig.re A. Zikmane e E. Balode-Buraka, in qualità di agenti; – per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di agente; – per il governo polacco, dal sig. T. Nowakowski, in qualità di agente; – per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. A. Aresu nonché dalle sig.re K. Riczné Talabér e M.-J. Jonczy, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 settembre 2005, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 6, n. 1, della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29; in prosieguo: la «direttiva»). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la società Ynos Kft. (in prosieguo: la «Ynos»), che svolge l’attività di agente immobiliare, e il sig. Varga in merito all’esecuzione di un contratto di intermediazione per la vendita di un immobile. Contesto normativo 14 La normativa comunitaria L’adesione della Repubblica di Ungheria all’Unione europea 3 L’accordo europeo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica d’Ungheria, dall’altra (GU 1993, L 347, pag. 2; in prosieguo: l’«accordo di associazione») è stato firmato il 16 dicembre 1991 ed è entrato in vigore il 1° febbraio 1994. 4 L’art. 67 di tale accordo così dispone: «Le parti contraenti riconoscono che il principale requisito per l’integrazione economica dell’Ungheria nella Comunità è il ravvicinamento della legislazione presente e futura di questo paese a quella della Comunità. L’Ungheria deve pertanto adoperarsi affinché la legislazione futura sia, nei limiti del possibile, compatibile con quella comunitaria». 5 L’art. 68 del medesimo accordo così dispone: «Il ravvicinamento delle legislazioni comprende segnatamente i seguenti settori: (…) tutela dei consumatori, (…)». 6 L’art. 2, figurante nella parte prima, intitolata «Principi», dell’atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica d’Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca e agli adattamenti dei Trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 2003, L 236, pag. 33; in prosieguo: l’«atto di adesione») così prevede: «Dalla data di adesione le disposizioni dei trattati originari e gli atti adottati dalle istituzioni prima dell’adesione (…) vincolano i nuovi Stati membri e si applicano in tali Stati alle condizioni previste da detti trattati e dal presente atto». 7 Nella parte quinta dell’atto di adesione, intitolata «Disposizioni di applicazione del presente atto», figura un titolo II, «Applicabilità degli atti delle istituzioni», nel quale sono compresi gli artt. 53-59. 8 L’art. 53 di tale atto dispone: «Dalla data di adesione i nuovi Stati membri sono considerati come destinatari delle direttive e delle decisioni ai sensi dell’articolo 249 del Trattato CE e dell’articolo 161 del Trattato CEEA, purché tali direttive e decisioni siano state notificate a tutti gli Stati membri attuali. (…) I nuovi Stati membri sono considerati come aventi ricevuto notifica di tali direttive e decisioni dopo l’adozione». 9 L’art. 54 del detto atto dispone: «I nuovi Stati membri mettono in vigore le misure necessarie per conformarsi, dalla data di adesione, alle disposizioni delle direttive (…), ai sensi dell’articolo 249 del Trattato CE (…), a meno che un altro termine sia previsto negli allegati di cui all’articolo 24 o in altre disposizioni del presente atto o dei suoi allegati». La direttiva 10 L’art. 1, n. 1, della direttiva così dispone: «La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore». 11 L’art. 6, n. 1, della direttiva è così formulato: 15 «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive». La normativa nazionale 12 Ai sensi dell’art. 3, n. 1, della legge sulla ratifica dell’accordo di associazione (a Magyar Köztársaság és az Európai Közösségek és azok tagállamai között társulás létesítéséről szóló, Brüsszelben, 1991. december 16-án aláírt Európai Megállapodás kihírdetéséről szóló 1994. évi I. törvény) del 4 gennaio 1994 (Magyar Közlöny 1994/1), in vigore dal 1° febbraio 1994, si deve garantire che la preparazione e la conclusione degli accordi internazionali della Repubblica d’Ungheria così come l’elaborazione e l’adozione delle norme giuridiche interne siano conformi al detto accordo di associazione. 13 Il n. 2 del medesimo articolo dispone che, nell’elaborazione e nell’adozione delle norme giuridiche, è necessario conformarsi alle esigenze poste dall’art. 67 del medesimo accordo. 14 Le pertinenti disposizioni di diritto nazionale in materia di clausole contrattuali abusive figurano segnatamente agli artt. 209 e 239 del codice civile ungherese, nella versione risultante dalla legge n. CXLIX/97, recante modifiche del codice civile della Repubblica d’Ungheria n. IV/1959 (a Magyar Köztársaság Polgári Törvénykönyvéről szóló 1959. évi IV. törvény módósításáról szóló 1997. évi. CXLIX. törvény) del 19 dicembre 1997 (Magyar Közlöny 1997/115; in prosieguo: il «codice civile»), entrato in vigore il 1° marzo 1998. 15 L’art. 209, n. 1, del codice civile dispone che, se un contratto contiene una clausola generale abusiva, la parte lesa può impugnare tale clausola. 16 L’art. 209/B, n. 1, del detto codice stabilisce che una condizione generale del contratto o una clausola di un contratto stipulato tra un consumatore e un operatore economico è abusiva quando, in contrasto con il requisito della buona fede, stabilisce unilateralmente e ingiustificatamente, a danno di una delle parti, i diritti e gli obblighi dei contraenti derivanti dal contratto. 17 Secondo l’art. 239 del codice civile, in caso d’invalidità parziale di un contratto, e salvo contraria disposizione di legge, il contratto non è considerato integralmente invalido, a meno che non venga constatato che le parti non l’avrebbero concluso in assenza della parte invalida. 18 L’art. 11, n. 5, della legge n. CXLIX/97 e l’art. 3, n. 2, del decreto governativo n. 18/1999 (II.5.) sulle clausole ritenute abusive nei contratti stipulati con i consumatori (a fogyasztóval kötött szerződésben tisztességtelennek minősülő feltételekről szóló Kormányrendelet) del 5 febbraio 1999 ( Magyar Közlöny 1999/8; in prosieguo: il «decreto governativo») enunciano che in tali contratti devono essere contenute norme compatibili con la direttiva. La controversia di cui alla causa principale e le questioni pregiudiziali 19 Il 10 gennaio 2002 la Ynos concludeva con il sig. Varga un contratto di intermediazione (in prosieguo: il «contratto») per la vendita di un immobile. Il prezzo lordo che il sig. Varga aveva dichiarato di voler ricavare era di fiorini ungheresi (HUF) 70 187 500. 20 Il contratto conteneva, in linea di massima, clausole che riprendono le condizioni generali di un contratto tipo. 21 Ai termini del punto 5 del contratto, le parti convenivano che consideravano l’intermediazione giunta a buon fine e la transazione effettuata se, nell’ambito di tale operazione, fosse stato concluso un contratto con uno dei clienti dell’intermediario. Nella seconda frase del medesimo punto veniva altresì stipulato che «il mandante accetta che l’intermediario ha diritto alla commissione anche nel caso in cui un cliente trovato dall’intermediario fa una proposta di acquisto o di locazione relativa all’immobile di 16 proprietà del mandante a un prezzo quantomeno uguale a quello fissato dal mandante e dall’intermediario nel contratto integrando i criteri formali che si applicano all’operazione di cui trattasi, anche se il mandante rifiuta tale proposta». 22 Nel caso in cui l’intermediazione fosse giunta a buon fine, la Ynos aveva diritto, secondo il contratto, a una commissione pari al 2% del prezzo convenuto, maggiorata dell’imposta sul valore aggiunto. La commissione era dovuta al momento della firma del contratto di vendita o del corrispondente preliminare. Se tale commissione non fosse stata pagata, l’intermediario aveva il diritto di percepire la commissione maggiorata di una penale per il ritardo del 30%. 23 L’11 marzo 2002, i gestori della Ynos, il sig. Varga, il figlio del sig. Varga quale venditore dell’immobile, nonché i sigg. Ragasits e Kovács quali acquirenti, firmavano un accordo di principio per la stipula del contratto (in prosieguo: l’«accordo di principio»), nel quale fissavano il prezzo di vendita dell’immobile e convenivano che il contratto o il preliminare di vendita sarebbe stato concluso entro il 15 marzo 2002 al più tardi. Per tale data, tuttavia, né il contratto né il preliminare di vendita venivano stipulati. 24 L’immobile veniva infine venduto nel 2003 a persona diversa dai sigg. Ragasits e Kovács. 25 La Ynos ha proposto un ricorso dinanzi allo Szombathelyi Városi Bíróság (Tribunale di Szombathelyi) deducendo che l’intermediazione era stata portata a buon fine ai sensi del contratto in quanto le parti avevano stipulato l’accordo di principio. Ha concluso che il sig. Varga fosse condannato a pagarle la commissione prevista dal contratto, maggiorata degli interessi e delle spese. 26 Il sig. Varga concludeva chiedendo il rigetto della domanda. Ha sostenuto che la seconda frase del punto 5 del contratto costituisce una clausola abusiva. Ha aggiunto che il contratto di vendita dell’immobile era stato stipulato senza l’intermediazione della Ynos. 27 La Ynos sostiene che la detta seconda frase non costituisce una clausola abusiva ai sensi dell’art. 209/B del codice civile. 28 Il giudice a quo ritiene che la controversia, nella misura in cui sia dato di constatare l’esistenza di una clausola abusiva, come sostenuto dal convenuto, dovrà essere decisa alla luce della direttiva. 29 Ciò considerato, lo Szombathelyi Városi Bíróság ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se l’art. 6, n. 1, della [direttiva 93/13] (…), a norma del quale gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolino il consumatore alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, possa essere interpretato nel senso che può costituire il fondamento di una disposizione nazionale come l’art. 209, n. 1, della legge n. IV del 1959, relativa al codice civile, applicabile nel caso in cui venga accertato il carattere abusivo di una condizione generale di un contratto e ai sensi della quale le clausole abusive risultano prive di efficacia obbligatoria nei confronti del consumatore non ipso iure, ma solo quando il consumatore vi si sia opposto con un’apposita dichiarazione, vale a dire quando le abbia impugnate con successo. 2) Se dalla disposizione della direttiva, secondo la quale il contratto resta vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive, possa conseguire che, in una situazione in cui il professionista opera avvalendosi di clausole abusive che, secondo il suo diritto nazionale, non vincolano il consumatore, ma, senza tali clausole, che formano parte del contratto, il detto professionista non avrebbe stipulato il detto contratto con il consumatore, non venga meno la validità di tutto il contratto, se questo è eseguibile senza le clausole abusive. 3) Se, dal punto di vista dell’applicazione del diritto comunitario, sia rilevante che la controversia principale sia sorta prima dell’adesione della Repubblica di Ungheria all’Unione europea, ma dopo l’adattamento del suo diritto nazionale alla direttiva». 17 Sulla competenza della Corte 30 Con la terza questione, che va risolta per prima, il giudice a quo vuole in sostanza sapere se la Corte sia competente a risolvere la prima e la seconda delle questioni sollevate. In effetti, i fatti di cui alla causa principale risalgono a epoca anteriore all’adesione della Repubblica d’Ungheria all’Unione europea, ma successiva al ravvicinamento dell’ordinamento giuridico di tale Stato alla direttiva. Osservazioni sottoposte alla Corte 31 Il governo ungherese e la Commissione delle Comunità europee sostengono che la direttiva non è applicabile alla controversia di cui alla causa principale, in quanto i fatti risalgono a epoca anteriore all’adesione della Repubblica d’Ungheria all’Unione europea. Sostengono che questa controversia dev’essere risolta in applicazione delle norme di legge nazionali in vigore al momento della stipula del contratto in esame e del sorgere di tale controversia. 32 Secondo il governo ceco, la circostanza che il procedimento dinanzi al giudice nazionale sia iniziato prima dell’adesione della Repubblica d’Ungheria non è di per sé determinante. Ciò che conta è che il rapporto giuridico di cui alla causa principale si è concluso prima di tale adesione. 33 I governi austriaco, spagnolo, lettone e austriaco sostengono, per contro, che, a partire dall’adesione all’Unione europea, il giudice nazionale del nuovo Stato membro è obbligato, in un caso come quello di cui alla causa principale, a interpretare le disposizioni di diritto nazionale intese al ravvicinamento di queste ultime con la direttiva, nell’ottica di quest’ultima. Quando una questione pregiudiziale viene sollevata da un giudice nazionale ai sensi dell’art. 234 CE, la Corte sarebbe in linea di principio tenuta a darvi soluzione. Inoltre, il governo lettone ricorda che, secondo la costante giurisprudenza, la Corte si riconosce competente a statuire su domande di pronuncia pregiudiziale vertenti su disposizioni comunitarie, in situazioni in cui i fatti di cui alla causa principale si collocano al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto comunitario, ma nelle quali tali disposizioni di diritto sono state rese applicabili dal diritto nazionale (sentenze 18 ottobre 1990, cause riunite C-297/88 e C-197/89, Dzodzi, Racc. pag. I-3763, punto 36, e 17 luglio 1997, causa C-130/95, Giloy, Racc. pag. I-4291, punto 23). Tale governo precisa a questo riguardo che, se una disposizione di diritto nazionale è di contenuto identico a quella di diritto comunitario, le dette due disposizioni devono ricevere uniforme interpretazione, a prescindere dalla questione se l’adesione di uno Stato membro all’Unione europea sia intervenuta prima o dopo il ravvicinamento della normativa nazionale di questo Stato con il diritto comunitario. Giudizio della Corte 34 Dall’ordinanza di rinvio risulta che lo Szombathelyi Városi Bíróság chiede con la prima e la seconda questione l’interpretazione da parte della Corte dell’art. 6, n. 1, della direttiva, al fine di valutare la portata di norme di diritto nazionale. 35 Si deve tuttavia ricordare che, secondo la decisione di rinvio, i fatti di cui alla causa principale risalgono a epoca anteriore all’adesione della Repubblica d’Ungheria all’Unione europea. 36 Orbene, la Corte è competente a interpretare la direttiva soltanto per quanto attiene alla sua applicazione in un nuovo Stato membro, a decorrere dalla data di adesione di quest’ultimo all’Unione europea (v., in tal senso, sentenza 15 giugno 1999, causa C-321/97, Andersson e WåkeråsAndersson, Racc. pag. I-3551, punto 31). 37 Dal momento che nella specie i fatti di cui alla causa principale sono anteriori all’adesione della Repubblica d’Ungheria all’Unione europea, la Corte non è competente a interpretare la direttiva. 38 Considerato quanto precede, la terza questione pregiudiziale dev’essere risolta dichiarando che in circostanze come quelle di cui alla causa principale, i cui fatti sono anteriori all’adesione di uno Stato all’Unione europea, la Corte non è competente a risolvere la prima e la seconda questione. 18 Sulle spese 39 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: In circostanze come quelle di cui alla causa principale, i cui fatti sono anteriori all’adesione di uno Stato all’Unione europea, la Corte di giustizia non è competente a risolvere la prima e la seconda questione. 19 Causa C-429/05 Max Rampion e Marie-Jeanne Godard, coniugata Rampion contro Franfinance SA e K par K SAS (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal d’instance de Saintes) «Direttiva 87/102/CEE — Credito al consumo — Diritto del consumatore di procedere contro il creditore nell’ipotesi di mancata esecuzione o di esecuzione non conforme del contratto relativo ai beni o ai servizi finanziati dal credito — Presupposti — Menzione del bene o del servizio finanziato nell’offerta di credito — Apertura di credito con possibilità di far uso del credito concesso in momenti differenti — Possibilità, per il giudice nazionale, di rilevare d’ufficio il diritto del consumatore di procedere contro il creditore» Conclusioni dell’avvocato generale P. Mengozzi, presentate il 29 marzo 2007 Sentenza della Corte (Prima Sezione) 4 ottobre 2007 Massime della sentenza 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Tutela dei consumatori in materia di credito al consumo — Direttiva 87/102 (Direttiva del Consiglio 87/102, come modificata dalla direttiva 98/7, art. 11, n. 2) 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Tutela dei consumatori in materia di credito al consumo — Direttiva 87/102 (Direttiva del Consiglio 87/102, come modificata dalla direttiva 98/7, artt. 11, n. 2, e 14) 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Tutela dei consumatori in materia di credito al consumo — Direttiva 87/102 (Direttiva del Consiglio 87/102, come modificata dalla direttiva 98/7, art. 11, n. 2) 1. L’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, come modificata dalla direttiva 98/7, che verte sul diritto del consumatore di procedere contro il creditore, si applica sia ad un credito inteso a finanziare una singola operazione sia ad un’apertura di credito che consenta al consumatore di utilizzare il credito in momenti differenti. Infatti, nessun elemento tratto dalla lettera di tale disposizione sembra deporre nel senso che essa non si applichi alle aperture di credito. Inoltre, l’art. 11, n. 3, della stessa direttiva 20 prevede espressamente un’eccezione all’applicazione del n. 2 di tale articolo. Tuttavia, non sono le aperture di credito ad esserne escluse in termini generali. Per di più, l’obiettivo perseguito dall’art. 11, n. 2 può essere conseguito solo se tale disposizione si applica anche quando il credito consente una molteplicità di impieghi. Tale disposizione, infatti, letta alla luce del ventunesimo ‘considerando’ della direttiva 87/102, si propone di conferire al consumatore, nelle circostanze ivi definite, diritti nei confronti del creditore, che si aggiungono ai suoi normali diritti contrattuali nei riguardi di questo e del fornitore dei beni o dei servizi. Peraltro, il detto art. 11, n. 2, consente di modulare in maniera differenziata la tutela che dev’essere offerta al consumatore per poter tener conto delle specificità di un siffatto credito rispetto ad un credito concesso per un singolo acquisto. (v. punti 39-40, 42-44) 2. Gli artt. 11 e 14 della direttiva 87/102, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, come modificata dalla direttiva 98/7, devono essere interpretati nel senso che ostano a che il diritto del consumatore di procedere contro il creditore, previsto dall’art. 11, n. 2, della direttiva medesima, sia subordinato alla condizione che la previa offerta di credito rechi menzione del bene o della prestazione di servizi finanziati. Infatti, l’art. 11, n. 2, secondo comma, della detta direttiva, che prevede che gli Stati membri stabiliscano entro quali limiti e a quali condizioni il diritto è esercitabile nei confronti del creditore, non può essere interpretato nel senso che consente agli Stati membri di assoggettare il diritto di agire in giudizio di cui gode il consumatore a condizioni ulteriori rispetto a quelle esaustivamente indicate dall’art. 11, n. 2, primo comma. Tale interpretazione è corroborata dall’art. 14 della direttiva 87/102 il quale sottolinea, in termini generali, l’importanza accordata dal legislatore comunitario alle disposizioni di tutela poste da tale direttiva ed alla loro stretta applicazione. Inoltre, il n. 2 di questo stesso art. 14 osta, in particolare, a che una normativa nazionale possa consentire al creditore di evitare, mediante la semplice omissione della menzione dei beni o dei servizi finanziati, che il consumatore proceda nei suoi confronti in forza dell’art. 11, n. 2, della direttiva medesima. (v. punti 46, 48-50, dispositivo 1) 3. La direttiva 87/102, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, come modificata dalla direttiva 98/7, dev’essere interpretata nel senso che consente al giudice nazionale di applicare d’ufficio le disposizioni che traspongono nel diritto interno il suo art. 11, n. 2, relativo al diritto del consumatore di procedere contro il creditore. (v. punto 69, dispositivo 2) SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 4 ottobre 2007 (*) «Direttiva 87/102/CEE – Credito al consumo – Diritto del consumatore di procedere contro il creditore nell’ipotesi di mancata esecuzione o di esecuzione non conforme del contratto relativo ai beni o ai servizi finanziati dal credito – Presupposti – Menzione del bene o del servizio finanziato nell’offerta di credito – Apertura di credito con possibilità di far uso del credito concesso in momenti differenti – 21 Possibilità, per il giudice nazionale, di rilevare d’ufficio il diritto del consumatore di procedere contro il creditore» Nel procedimento C-429/05, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunal d’instance de Saintes (Francia) con decisione 16 novembre 2005, pervenuta in cancelleria il 2 dicembre 2005, nella causa Max Rampion, Marie-Jeanne Godard Rampion contro Franfinance SA, K par K SAS, LA CORTE (Prima Sezione), composta dal sig. P. Jann (relatore), presidente di sezione, dai sigg. A. Tizzano, A. Borg Barthet, M. Ilešič e E. Levits, giudici, avvocato generale: sig. P. Mengozzi cancelliere: sig. M.-A. Gaudissart, capo unità vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 febbraio 2007, considerate le osservazioni presentate: – per la Franfinance SA, dal sig. B. Soltner, avocat; – per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra R. Loosli-Surrans, in qualità di agenti; – per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e A. Dittrich, in qualità di agenti; – per il governo spagnolo, dal sig. F. Díez Moreno, in qualità di agente; – per il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dalla sig.ra W. Ferrante, avvocato dello Stato; – per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di agente; – per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. A. Aresu e J.-P. Keppenne, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 29 marzo 2007, ha pronunciato la seguente Sentenza 22 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 22 dicembre 1986, 87/102/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo (GU 1987, L 42, pag. 48), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/7/CE (GU L 101, pag. 17; in prosieguo: la «direttiva 87/102»), segnatamente dei suoi artt. 11 e 14. 2 Tale domanda è stata sollevata nel contesto di una controversia tra il sig. Rampion e la sig.ra Godard Rampion (nel prosieguo: i «coniugi Rampion»), da una parte, e le società Franfinance SA (in prosieguo: la «Franfinance») e K par K SAS (in prosieguo: la «K par K»), dall’altra, con riguardo ad un contratto di vendita di finestre e ad un’apertura di credito ai fini del finanziamento di tale contratto. Contesto normativo Normativa comunitaria 3 La direttiva 87/102 tende al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo. 4 L’art. 11 di tale direttiva così recita: «1. Gli Stati membri provvedono affinché l’esistenza di un contratto di credito non pregiudichi in alcun modo i diritti del consumatore nei confronti del fornitore di beni o di servizi acquisiti in base a tale contratto qualora i beni o servizi non siano forniti o non siano comunque conformi al contratto di fornitura. 2. Quando: a) per l’acquisto di beni o la fornitura di servizi il consumatore conclude un contratto di credito con una persona diversa dal fornitore, e b) tra il creditore e il fornitore dei beni o dei servizi esiste un precedente accordo in base al quale il credito è messo esclusivamente da quel creditore a disposizione dei clienti di quel fornitore per l’acquisto di merci o di servizi di tale fornitore, e c) il consumatore di cui alla lettera a) ottiene il credito in conformità al precedente accordo, e d) i beni o i servizi considerati dal contratto di credito non sono forniti o sono forniti soltanto in parte, o non sono conformi al relativo contratto di fornitura, e) il consumatore ha proceduto contro il fornitore, ma non ha ottenuto la soddisfazione cui aveva diritto, il consumatore ha il diritto di procedere contro il creditore. Gli Stati membri stabiliranno entro quali limiti e a quali condizioni il diritto è esercitabile. 3. Il paragrafo 2 non è applicabile quando la singola operazione è di un valore inferiore a un importo pari a 200 [euro]». 5 L’art. 14 della direttiva 87/102 prevede quanto segue: «1. Gli Stati membri provvedono affinché i contratti di credito non deroghino, a detrimento del consumatore, alle disposizioni del diritto nazionale che danno esecuzione o che corrispondono alla presente direttiva. 23 2. Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per impedire che le norme emanate in applicazione della presente direttiva siano eluse mediante una speciale formulazione dei contratti e in particolare attraverso la distribuzione dell’importo del credito in più contratti». Diritto interno 6 L’art. L. 311-20 del Code de la consommation prevede, ai fini dell’applicazione dell’art. 11 della direttiva 87/102, che, «[q]ualora la previa offerta menzioni il bene o la prestazione di servizi finanziati, gli obblighi del mutuatario prendono effetto solo dal momento della consegna del bene o dalla fornitura della prestazione (…)». 7 A tal riguardo, l’art. L. 311-21 del codice medesimo precisa che, «[i]n caso di contestazione circa l’esecuzione del contratto principale, il Tribunale potrà, fino alla risoluzione della controversia, sospendere l’esecuzione del contratto di credito. Quest’ultimo è risolto o annullato di pieno diritto quando il contratto per il quale è stato concluso è, a sua volta, giudizialmente risolto o annullato (…)». Causa principale e questioni pregiudiziali 8 Il 5 settembre 2003, dopo una visita a domicilio da parte del venditore, i coniugi Rampion ordinavano alla K par K alcune finestre, per un prezzo totale di EUR 6150. In forza del contratto di vendita concluso a tal fine, le finestre dovevano essere consegnate entro un termine da sei ad otto settimane a decorrere dalle misurazioni effettuate dal tecnico addetto. 9 Secondo il giudice del rinvio, da tale contratto di vendita risulta un finanziamento totale dell’acquisto realizzato mediante credito concesso dalla Franfinance. 10 In pari data, i coniugi Rampion sottoscrivevano con la Franfinance un’apertura di credito per un tetto massimo pari all’importo della vendita. L’offerta di credito indica l’identità del venditore con la menzione «compte plate-forme K par K», ma non specifica il bene finanziato. 11 Alla consegna delle finestre ordinate, il 27 novembre 2003, i coniugi Rampion appuravano che i davanzali e gli infissi erano infestati da parassiti. I lavori non venivano proseguiti e, con lettera del 5 gennaio 2004, gli interessati dichiaravano di voler risolvere il contratto di vendita. 12 Non avendo ricevuto risposta per loro soddisfacente alla richiesta di risoluzione del contratto, con atti del 29 ottobre e del 2 novembre 2004 i coniugi Rampion citavano in giudizio la K par K e la Franfinance chiedendo che il contratto di vendita fosse dichiarato nullo, con conseguente risoluzione del contratto di credito, argomentando che il contratto di vendita non recava l’indicazione precisa del termine di consegna dei beni di cui trattasi, in contrasto con il requisito previsto dal Code de la consommation. 13 In subordine, i coniugi Rampion chiedevano la risoluzione per inadempimento del contratto di vendita, deducendo che la K par K, avendo proposto la fornitura e la posa degli elementi di carpenteria quando il relativo supporto era difettoso, era venuta meno all’«obbligo di consigliare» («obligation de conseil») gravante sulla stessa. 14 Le convenute nella causa principale facevano valere, segnatamente, che non sussisteva alcuna interdipendenza tra i due contratti, dal momento che, contrariamente a quanto previsto dall’art. L. 311-20 del Code de la consommation, l’indicazione del bene finanziato non risultava dall’offerta di credito. Inoltre, si sarebbe trattato di un’apertura di credito e non di un credito vincolato al finanziamento della vendita. 15 Il giudice del rinvio, nell’ambito del dibattimento dinanzi al medesimo svoltosi, sollevava d’ufficio diversi motivi attinenti a disposizioni del Code de la consommation relative al credito al consumo ed alla vendita a domicilio. 24 16 In tale contesto, il Tribunal d’instance de Saintes decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se gli artt. 11 e 14 della direttiva (…) 87/102/CEE vadano interpretati nel senso che consentono al giudice di applicare le norme sull’interdipendenza tra il contratto di credito ed il contratto di fornitura di beni o di servizi, finanziato grazie a tale credito, quando il contratto di credito non menziona il bene il cui acquisto è finanziato o è stato concluso nella forma di apertura di credito senza menzione del bene finanziato. 2) Se la direttiva (…) 87/102/CEE abbia una finalità più ampia della mera tutela del consumatore, che si estenda all’organizzazione del mercato consentendo al giudice di applicare d’ufficio le disposizioni che ne derivano». Sulle questioni pregiudiziali Sulla prima questione Sulla ricevibilità 17 In primo luogo, la Franfinance fa valere che non spetta alla Corte pronunciarsi in ordine alla prima questione, dal momento che essa, in realtà, riguarda esclusivamente l’applicazione di disposizioni del diritto nazionale relative ai requisiti necessari ai fini della sussistenza di un credito vincolato. La direttiva 87/102, infatti, si limiterebbe a disciplinare un’armonizzazione minima e il suo art. 11 preciserebbe che gli Stati membri stabiliscono, in particolare, a quali condizioni il consumatore può esercitare il diritto di procedere contro il creditore. 18 A tal riguardo, si deve riconoscere che la direttiva 87/102, come emerge dal suo art. 15 e dal suo venticinquesimo ‘considerando’, a norma dei quali tale direttiva non impedisce agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più rigorose a tutela dei consumatori, si limita ad un’armonizzazione minima delle disposizioni nazionali relative al credito al consumo. 19 Tuttavia, la prima questione sottoposta concerne espressamente l’interpretazione dell’art. 11 della detta direttiva; è pacifico che tale disposizione sia stata trasposta nel diritto francese, in particolare, dagli artt. L. 311-20 e L. 311-21 del Code de la consommation che consentono al debitore, a talune condizioni, di ottenere la sospensione, la risoluzione o l’annullamento del contratto di credito. 20 Orbene, la questione se e, eventualmente, in qual misura il diritto di agire in giudizio, previsto dall’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102 a favore del consumatore nei confronti del creditore, possa essere subordinato dal diritto nazionale a condizioni diverse rispetto a quelle elencate da tale disposizione, riguarda l’analisi nel merito della prima questione sottoposta. L’aggiunta di qualsivoglia requisito supplementare, infatti, comporta il rischio di collocare le disposizioni di diritto nazionale al di là del livello di armonizzazione perseguito da questa direttiva e non si può, pertanto, ritenere immediatamente che rientri unicamente in tale diritto. 21 In secondo luogo, secondo la Franfinance, la Corte è tanto meno competente a esprimersi in ordine a tale questione dal momento che il giudice del rinvio, in realtà, non intende acclarare che, nella causa principale, i debitori possano effettivamente agire in giudizio nei confronti del creditore ai sensi dell’art. 11 della direttiva 87/102, bensì che sia riconosciuta l’interdipendenza tra i contratti in oggetto per fini del tutto diversi. Il giudice del rinvio intenderebbe, in realtà, applicare norme del diritto francese aventi una natura ed un oggetto differenti, in quanto non sarebbero attinenti a tale diritto di agire in giudizio, bensì prevedrebbero la decadenza automatica del creditore dal proprio diritto agli interessi qualora nell’offerta di credito non ricorrano talune menzioni relative a tale interdipendenza. 22 La Commissione delle Comunità europee esprime, con riguardo alla ricevibilità delle questioni pregiudiziali ovvero alla competenza della Corte quanto alla loro soluzione, una riserva attinente al fatto che il giudice del rinvio non indica con precisione la ragione per la quale una risposta è necessaria ai fini della soluzione della causa principale. 25 23 A tal riguardo, si deve ricordare che le questioni relative all’interpretazione del diritto comunitario proposte dal giudice nazionale nell’ambito del contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza (v. sentenze 15 maggio 2003, causa C-300/01, Salzmann, Racc. pag. I-4899, punti 29 e 31, nonché 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I-11421, punto 25). 24 Il rigetto, da parte della Corte, di una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (v., in particolare, sentenze 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra, Racc. pag. I-2099, punto 39; 15 giugno 2006, causa C-466/04, Acereda Herrera, Racc. pag. I-5341, punto 48, e Cipolla e a., cit., punto 25). 25 Orbene, è giocoforza rilevare che non risulta in modo manifesto che l’interpretazione delle norme comunitarie richiesta dal giudice del rinvio non abbia alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale, né che le questioni relative all’interpretazione di tali norme siano di tipo ipotetico. Se è pur vero che la prima questione sottoposta menziona, in termini estremamente generici, l’applicazione delle «norme sull’interdipendenza tra il contratto di credito ed il contratto di fornitura di beni o di servizi», dalla decisione di rinvio non risulta che tale questione riguardi esclusivamente, in realtà, l’applicazione di disposizioni di diritto nazionale diverse da quelle di trasposizione dell’art. 11 della direttiva 87/102, ovvero ricomprese nella sua sfera di applicazione. 26 Ciò premesso, la presunzione di rilevanza della prima questione sottoposta non viene meno. 27 Tuttavia, dal momento che, nell’ambito della procedura di collaborazione istituita dall’art. 234 CE, spetta alla Corte fornire al giudice nazionale una soluzione utile che gli consenta di dirimere la controversia con cui è adito, spetta alla Corte stessa, se del caso, riformulare le questioni ad essa deferite (v., segnatamente, sentenze 28 novembre 2000, causa C-88/99, Roquette Frères, Racc. pag. I-10465, punto 18; 20 maggio 2003, causa C-469/00, Ravil, Racc. pag. I-5053, punto 27, e 4 maggio 2006, causa C-286/05, Haug, Racc. pag. I-4121, punto 17). 28 Così, la prima questione sottoposta dev’essere intesa come volta a chiarire se gli artt. 11 e 14 della direttiva 87/102 vadano interpretati nel senso che ostano a che il diritto di agire in giudizio, previsto dall’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102, di cui gode il consumatore nei confronti del creditore, sia subordinato al requisito che la previa offerta di credito menzioni il bene o la prestazione di servizio finanziati. 29 Alla luce delle suesposte considerazioni, la prima questione sottoposta dev’essere ritenuta ricevibile. Sul merito 30 Tutti i governi che hanno presentato osservazioni alla Corte, al pari della Commissione, ritengono che il diritto di agire in giudizio, di cui gode il consumatore ai sensi dell’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102, non possa essere subordinato alla menzione espressa del bene finanziato nel contratto di credito. A tal riguardo, si fondano sia sul tenore letterale di tale disposizione, sia sulla finalità della direttiva, e cioè la tutela del consumatore. 31 La Franfinance, per contro, fa valere che il contratto che ha concluso con i coniugi Rampion costituisce un’autentica apertura di credito, che potrebbe avere molteplici impieghi. A differenza di un credito vincolato, che servirebbe al finanziamento di un’unica operazione, una siffatta apertura di credito non sarebbe assoggettata alla regola di interdipendenza di cui all’art. 11 della direttiva 87/102, dal momento che il creditore non può assumersi tutti i rischi economici connessi con ogni acquisto. Eventuali abusi o frodi dovrebbero essere valutati caso per caso. 26 – Sulla sfera di applicazione ratione materiae della direttiva 87/102 e, segnatamente, del suo art. 11, n. 2 32 In limine, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva 87/102, la direttiva medesima si applica ai contratti di credito, i quali sono definiti al n. 2, lett. c), primo comma, dello stesso articolo, come contratti in base ai quali «il creditore concede o promette di concedere al consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra analoga facilitazione finanziaria». Tale definizione ampia del concetto di «contratto di credito» trova conferma, come dedotto dalla Commissione all’udienza, nel decimo ‘considerando’ della direttiva 87/102, ai termini del quale «si può ottenere una migliore protezione del consumatore prescrivendo determinate condizioni da applicare a tutte le forme di credito». 33 Tuttavia, come risulta dall’art. 1, n. 2, lett. c), secondo comma, e dall’art. 2 della direttiva 87/102 nonché dai suoi ‘considerando’ dall’undicesimo al quattordicesimo, alcuni contratti di credito o tipi di transazioni sono o possono essere, in ragione della loro natura specifica, del tutto o in parte esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva stessa. Tra le ipotesi previste da tali disposizioni non ricorre l’apertura di credito. 34 Un’apertura di credito il cui unico scopo consista nel mettere a disposizione del consumatore un credito utilizzabile in momenti differenti non è nemmeno esclusa, quantomeno parzialmente, dalla sfera di applicazione della direttiva 87/102 in forza dell’art. 2, n. 1, lett. e), della direttiva medesima. 35 Occorre infatti ricordare che, ai termini di tale disposizione, la direttiva 87/102 non si applica «al credito concesso da un istituto di credito o da un istituto finanziario sotto forma di apertura di credito in conto corrente, diversi dai conti coperti da una carta di credito». Tuttavia, ai sensi del detto art. 2, n. 1, lett. e), le disposizioni previste dall’art. 6 della direttiva 87/102 si applicano a siffatti crediti. 36 Orbene, la nozione di «conto corrente» ai sensi del detto art. 2, n. 1, lett. e), che, costituendo un’eccezione, va interpretato in senso stretto, presuppone, come risulta dall’espressione «credito concesso sotto forma di apertura di credito in conto corrente», che l’obiettivo di tale conto non si limiti a mettere a disposizione del cliente un credito. Un siffatto conto costituisce, al contrario, una piattaforma più o meno generale che consente al cliente di effettuare operazioni finanziarie, caratterizzata dal fatto che gli importi versati su tale conto, dal cliente stesso o da un terzo, non sono necessariamente finalizzati a rinnovare un credito concesso sul conto stesso. In altre parole, un saldo negativo per il cliente, autorizzato nella forma di un’apertura di credito, non è che uno dei possibili stati in cui può trovarsi quel conto, che può presentare anche un saldo positivo per il cliente. 37 Peraltro, né la struttura né l’obiettivo della direttiva 87/102, che è volta, in particolare, a tutelare il consumatore, depongono nel senso dell’esclusione dalla sfera di applicazione della direttiva medesima dei contratti di credito concessi nella forma di un’apertura di credito, il cui unico scopo consiste nel mettere a disposizione del consumatore un credito utilizzabile in momenti differenti. 38 Con riguardo, più precisamente, alla sfera di applicazione dell’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102, dal disposto di tale disposizione non risulta, contrariamente a quanto sostenuto dalla Franfinance, che essa trova applicazione limitatamente al contratto di credito volto al finanziamento di un solo contratto di vendita o di servizi. 39 Come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 58 delle sue conclusioni, nessun elemento tratto dalla lettera di tale disposizione sembra deporre nel senso che essa non si applichi alle aperture di credito. In particolare, l’uso del termine «contratto» al singolare alla fine dell’art. 11, n. 2, lett. d), della direttiva 87/102, che, tra le condizioni richieste per l’esercizio del diritto di agire in giudizio, prevede la circostanza che «i beni o i servizi considerati dal contratto di credito non [siano] forniti o [siano] forniti soltanto in parte, o non [siano] conformi al relativo contratto di fornitura», non giustifica la lettura riduttiva di tale disposizione operata dalla Franfinance. 40 Inoltre, l’art. 11, n. 3, della stessa direttiva prevede espressamente un’eccezione all’applicazione del n. 2 di tale articolo. Tuttavia, non sono le aperture di credito ad esserne escluse in termini generali. 27 41 Quanto all’argomento della Franfinance secondo cui l’art. 11 della direttiva 87/102 non può applicarsi ad un’apertura di credito, dal momento che il creditore non può assumersi tutti i rischi economici connessi con ogni acquisto, occorre rilevare che tali rischi sono considerevolmente ridotti per il fatto che il n. 2 di tale articolo conferisce al consumatore il diritto di procedere contro il creditore solo quando sussiste, conformemente al requisito previsto dal detto n. 2, lett. b), «tra il creditore e il fornitore dei beni o dei servizi (…) un precedente accordo in base al quale il credito è messo esclusivamente da quel creditore a disposizione dei clienti di quel fornitore per l’acquisto di merci o di servizi di tale fornitore» e il consumatore, conformemente al requisito previsto allo stesso n. 2, lett. c), ha ottenuto «il credito in conformità al precedente accordo». 42 L’obiettivo perseguito dall’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102 può essere conseguito solo se tale disposizione si applica anche quando il credito consente una molteplicità di impieghi. Tale disposizione, infatti, dev’essere letta alla luce del ventunesimo ‘considerando’ della direttiva 87/102, ai termini del quale, in particolare, «per quanto riguarda i beni e servizi che il consumatore ha sottoscritto per contratto di acquistare a credito, il consumatore, almeno nelle circostanze sotto definite, deve godere, nei confronti del creditore, di diritti che si aggiungono ai suoi normali diritti contrattuali nei riguardi di questo e del fornitore di beni o servizi». 43 Peraltro, il fatto che un acquisto tra altri finanziati mediante la medesima apertura di credito possa, in forza dell’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102, consentire al consumatore di procedere contro il creditore non significa necessariamente che tale azione incida sull’apertura di credito complessivamente intesa. Infatti, come sottolineato dall’avvocato generale ai paragrafi 65 e segg. delle sue conclusioni, tale disposizione della direttiva 87/102 consente di modulare in maniera differenziata la tutela che dev’essere offerta al consumatore per poter tener conto delle specificità di un siffatto credito rispetto ad un credito concesso per un singolo acquisto. 44 Pertanto, si deve ritenere che l’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102 si applichi sia ad un credito inteso a finanziare una singola operazione sia ad un’apertura di credito che consenta al consumatore di utilizzare il credito in momenti differenti. Sul diritto di procedere contro il creditore previsto dall’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102 45 Quanto alla questione se l’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102 osti a che il diritto di agire in giudizio che esso prevede sia subordinato alla condizione che la previa offerta di credito rechi menzione del bene o della prestazione di servizi finanziati, occorre rilevare che tale condizione non è prevista tra le cinque condizioni cumulativamente richieste al primo comma di tale disposizione. 46 È pur vero che, ai sensi del secondo comma della detta disposizione, «[g]li Stati membri stabiliranno entro quali limiti e a quali condizioni il diritto è esercitabile». Tuttavia, come ha osservato il governo tedesco ed ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 71 delle sue conclusioni, tale disposizione non può essere interpretata nel senso che consente agli Stati membri di assoggettare il diritto di agire in giudizio di cui gode il consumatore a condizioni ulteriori rispetto a quelle esaustivamente indicate dall’art. 11, n. 2, primo comma, della direttiva 87/102. 47 Infatti, da un canto, il secondo comma dell’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102, come emerge dal suo disposto, presuppone l’esistenza del diritto di agire in giudizio previsto dal primo comma della disposizione medesima. D’altro canto, sarebbe in contrasto con l’obiettivo perseguito da tale direttiva, che consiste, in particolare, nel garantire in tutti gli Stati membri il rispetto di una norma di tutela minima del consumatore in materia di credito al consumo, il fatto di consentire che il diritto del consumatore di procedere contro il creditore, in forza dell’art. 11, n. 2, primo comma, della detta direttiva, sia assoggettato ad una condizione di forma come quella oggetto della causa principale. 48 Tale interpretazione è corroborata dall’art. 14, n. 1, della direttiva 87/102, ai termini del quale «[g]li Stati membri provvedono affinché i contratti di credito non deroghino, a detrimento del consumatore, alle disposizioni del diritto nazionale che danno esecuzione o che corrispondono alla presente direttiva», nonché dallo stesso art. 14, n. 2, ai sensi del quale «[g]li Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per impedire che le norme emanate in applicazione della presente direttiva siano eluse mediante una speciale formulazione dei contratti (…)». 28 49 Il detto art. 14, infatti, sottolinea in termini generali l’importanza accordata dal legislatore comunitario alle disposizioni di tutela poste dalla direttiva 87/102 ed alla loro stretta applicazione. Inoltre, come è stato dedotto dai governi francese, tedesco, spagnolo ed italiano, nonché dalla Commissione, il n. 2 di questo stesso articolo osta, in particolare, a che una normativa nazionale possa consentire al creditore di evitare, mediante la semplice omissione della menzione dei beni o dei servizi finanziati, che il consumatore proceda nei suoi confronti in forza dell’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102. 50 Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, la prima questione sottoposta dev’essere risolta dichiarando che gli artt. 11 e 14 della direttiva 87/102 devono essere interpretati nel senso che ostano a che il diritto del consumatore di procedere contro il creditore, previsto dall’art. 11, n. 2, della direttiva medesima, sia subordinato alla condizione che la previa offerta di credito rechi menzione del bene o della prestazione di servizi finanziati. Sulla seconda questione Sulla ricevibilità 51 La Franfinance fa valere che la seconda questione sottoposta, che non è utile ai fini della soluzione della controversia di cui alla causa principale, è irricevibile. Il giudice del rinvio, infatti, non avrebbe necessità di sollevare d’ufficio la questione dell’interdipendenza sussistente tra il contratto principale ed il contratto di credito, poiché tale questione è stata direttamente sollevata dai coniugi Rampion, avendo essi domandato al giudice del rinvio di dichiarare la nullità del contratto di vendita e, «di conseguenza», la risoluzione del contratto accessorio di finanziamento. 52 Il governo francese ha sostenuto, all’udienza, che i coniugi Rampion hanno chiesto al giudice del rinvio che il contratto di vendita fosse dichiarato nullo, con conseguente risoluzione del contratto di credito, invocando diversi motivi, senza peraltro far valere la sussistenza di un’interdipendenza tra i due contratti in esame. Il giudice del rinvio, se tuttavia si è interrogato in ordine a tale punto, non lo ha realmente fatto d’ufficio, dal momento che, nelle loro rispettive difese, sia la K par K sia la Franfinance avrebbero fatto valere che, in assenza di menzione del bene venduto sull’offerta di credito, il contratto di credito non costituiva un contratto di credito vincolato. 53 La Commissione ha rilevato, all’udienza, che nella causa principale non risulta con certezza che il giudice del rinvio sia stato indotto a sollevare d’ufficio la questione relativa a tale interdipendenza. Infatti, chiedendo conseguentemente alla nullità del contratto di vendita la risoluzione del contratto di credito, gli stessi coniugi Rampion si sarebbero fondati sull’interdipendenza sussistente tra i due detti contratti. Inoltre, alla luce degli argomenti svolti in difesa della K par K e della Franfinance nella causa principale, si potrebbe porre la questione se il giudice del rinvio non fosse stato già adito con riguardo al motivo attinente a tale interdipendenza. 54 Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza citata al precedente punto 24, il rigetto, da parte della Corte, di una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte. 55 Orbene, nei motivi della sua decisione attinenti alla seconda questione sottoposta, il giudice del rinvio rileva esplicitamente che le disposizioni di cui agli artt. L. 311-20 e L. 311-21 del Code de la consommation non sono state fatte valere dai coniugi Rampion. Ciò premesso, non appare in modo manifesto che tale questione, relativa alla possibilità, per il giudice, di applicare d’ufficio tali disposizioni di diritto nazionale, non abbia alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale o che la questione posta sia di tipo ipotetico. 56 La seconda questione sottoposta, pertanto, dev’essere ritenuta ricevibile. Sul merito 29 57 Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 87/102 debba essere interpretata nel senso che essa consente al giudice nazionale di applicare d’ufficio le disposizioni che traspongono nel diritto nazionale il suo art. 11, n. 2, in particolare in considerazione del fatto che tale direttiva ha una finalità più ampia della mera tutela del consumatore, che si estende all’organizzazione del mercato. 58 La questione relativa alla finalità della direttiva 87/102 si pone nel contesto specifico della giurisprudenza della Cour de cassation (Francia) che opera, come emerge dalla decisione di rinvio e, in particolare, dalle osservazioni del governo francese, una distinzione tra le norme di «ordre public de direction» (ordine pubblico di direzione) – adottate nell’interesse generale e rilevabili d’ufficio dal giudice – e quelle di «ordre public de protection» (ordine pubblico di protezione), adottate nell’interesse di una categoria di soggetti e di cui possono avvalersi solo i soggetti appartenenti a tale categoria. La disciplina del credito al consumo sarebbe ricompresa tra queste ultime norme. 59 Orbene, la Corte ha più volte rilevato che, come emerge dai suoi ‘considerando’, la direttiva 87/102 è stata adottata al duplice scopo di assicurare, da un canto, la realizzazione di un mercato comune del credito al consumo (terzo-quinto ‘considerando’) e, d’altro canto, di proteggere i consumatori che ottengono tali crediti (sesto, settimo e nono ‘considerando’) (sentenze 23 marzo 2000, causa C-208/98, Berliner Kindl Brauerei, Racc. pag. I-1741, punto 20, e 4 marzo 2004, causa C-264/02, Cofinoga, Racc. pag. I-2157, punto 25). 60 Del resto, il giudice del rinvio chiede se la giurisprudenza della Corte relativa alla possibilità, per il giudice, di rilevare d’ufficio le disposizioni di cui alla direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29), quale risulta, in particolare, dalle sentenze 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (Racc. pag. I-4941), e 21 novembre 2002, causa C-473/00, Cofidis (Racc. pag. I-10875), sia trasponibile alla direttiva 87/102. 61 Al punto 26 della menzionata sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, la Corte ha dichiarato che l’obiettivo perseguito dall’art. 6 della direttiva 93/13, che obbliga gli Stati membri a prevedere che le clausole abusive non vincolino i consumatori, non potrebbe essere conseguito se questi ultimi fossero tenuti a eccepire essi stessi l’illiceità di tali clausole. In controversie di valore spesso limitato, gli onorari dei legali possono essere superiori agli interessi in gioco, il che può dissuadere il consumatore dall’opporsi all’applicazione di una clausola abusiva. Sebbene in controversie del genere le norme processuali di molti Stati membri consentano ai singoli di difendersi da soli, esiste un rischio non trascurabile che, soprattutto per ignoranza, il consumatore non faccia valere l’illiceità della clausola oppostagli. Ne discende che una tutela effettiva del consumatore può essere ottenuta solo se il giudice nazionale ha facoltà di valutare d’ufficio tale clausola. 62 Richiamandosi a tale punto della menzionata sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, la Corte, al punto 33 della sentenza Cofidis, citata, ha confermato che la facoltà così riconosciuta al giudice di valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola è stata ritenuta necessaria per garantire al consumatore una tutela effettiva, tenuto conto in particolare del rischio non trascurabile che questi ignori i suoi diritti o incontri difficoltà per esercitarli (v., del pari, sentenza 26 ottobre 2006, causa C-168/05, Mostaza Claro, Racc. pag. I-10421, punto 28). 63 Come hanno fatto valere i governi spagnolo e italiano, nonché la Commissione, e come osservato dall’avvocato generale ai paragrafi 102 e seguenti delle sue conclusioni, tali rilievi sono parimenti validi con riguardo alla tutela dei consumatori prevista dall’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102. 64 A tal riguardo, occorre ricordare che il detto art. 11, n. 2, pur perseguendo la duplice finalità richiamata al precedente punto 59, è volto a conferire al consumatore, in circostanze ben definite, taluni diritti nei confronti del creditore che si aggiungono ai suoi normali diritti contrattuali nei riguardi di questo e del fornitore di beni o servizi (v. supra, punto 42). 65 Tale finalità non potrebbe essere effettivamente perseguita se il consumatore stesso fosse costretto a far valere il proprio diritto di agire in giudizio, di cui gode nei confronti del creditore in forza delle 30 disposizioni del diritto nazionale che traspongono l’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102, in particolare in ragione del rischio non trascurabile che il consumatore ignori i suoi diritti o incontri difficoltà per esercitarli. Come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 107 delle sue conclusioni, il fatto che la causa principale è stata attivata dai coniugi Rampion e che essi vi sono rappresentati da un avvocato non giustifica una conclusione diversa, dal momento che il problema va risolto facendo astrazione dalle circostanze concrete del singolo procedimento. 66 La Franfinance, tuttavia, fa valere che la seconda questione sottoposta, in realtà, è volta a consentire che venga irrogata d’ufficio la sanzione prevista dal diritto francese nell’ipotesi in cui non ricorrano talune menzioni che, secondo tale diritto, devono ricorrere nella previa offerta relativa ad un credito vincolato, vale a dire la decadenza del creditore dal proprio diritto agli interessi. Orbene, si tratterebbe di una vera e propria «sanzione privata», che non potrebbe mai essere irrogata d’ufficio senza violare il principio dispositivo e il diritto all’equo processo, sancito dall’art. 6 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. 67 Nello stesso senso, il governo francese ha rilevato, all’udienza, richiamandosi alla sentenza 14 dicembre 1995, cause riunite C-430/93 e C-431/93, van Schijndel e van Veen (Racc. pag. I-4705), che, se un consumatore non invoca dinanzi al giudice la decadenza degli interessi che deve al creditore, tale giudice non può sollevare d’ufficio l’assenza di menzione, nella offerta previa di credito, del bene o del servizio finanziati, senza decidere ultra petita. 68 A tal riguardo, occorre rilevare che la seconda questione sottoposta riguarda esclusivamente, come emerge dai precedenti punti 55 e 57, l’art. 11, n. 2, della direttiva 87/102 nonché le disposizioni che ne garantiscono la trasposizione nel diritto interno, nella specie, secondo il giudice del rinvio, gli artt. L. 311-20 e L. 311-21 del Code de la consommation. Nella decisione del giudice del rinvio non risulta, in alcun modo, un’eventuale sanzione consistente nella decadenza del creditore dal proprio diritto agli interessi. Né si è sostenuto dinanzi alla Corte che tali disposizioni del Code de la consommation prevedano una sanzione siffatta. Così, gli argomenti ripresi al punto precedente non sono pertinenti nel contesto della presente analisi, che non comprende la questione se il giudice nazionale possa pronunciare d’ufficio una sanzione come quella fatta valere dalla Franfinance. 69 Pertanto, la seconda questione sottoposta va risolta dichiarando che la direttiva 87/102 dev’essere interpretata nel senso che consente al giudice nazionale di applicare d’ufficio le disposizioni che traspongono nel diritto interno il suo art. 11, n. 2. Sulle spese 70 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: 1) Gli artt. 11 e 14 della direttiva del Consiglio 22 dicembre 1986, 87/102/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/7/CE, devono essere interpretati nel senso che ostano a che il diritto del consumatore di procedere contro il creditore, previsto dall’art. 11, n. 2, della direttiva medesima, come modificata, sia subordinato alla condizione che la previa offerta di credito rechi menzione del bene o della prestazione di servizi finanziati. 2) La direttiva 87/102, come modificata dalla direttiva 98/7, dev’essere interpretata nel senso che consente al giudice nazionale di applicare d’ufficio le disposizioni che traspongono nel diritto interno il suo art. 11, n. 2. 31 Causa C-168/05 Elisa María Mostaza Claro contro Centro Móvil Milenium SL (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Audiencia Provincial de Madrid) «Direttiva 93/13/CEE — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Mancata contestazione del carattere abusivo di una clausola in sede di procedura arbitrale — Possibilità di sollevare tale eccezione nell’ambito della procedura di impugnazione del lodo» Conclusioni dell’avvocato generale A. Tizzano, presentate il 27 aprile 2006 Sentenza della Corte (Prima Sezione) 26 ottobre 2006 Massime della sentenza Ravvicinamento delle legislazioni — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Direttiva 93/13 [Direttiva del Consiglio 93/13, artt. 3, n. 1, lett. t), e 6, n. 1] La direttiva 93/13, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretata nel senso che essa implica che un giudice nazionale chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione di un lodo arbitrale rilevi la nullità dell’accordo arbitrale ed annulli il lodo, nel caso ritenga che tale accordo contenga una clausola abusiva, anche qualora il consumatore non abbia fatto valere tale nullità nell’ambito del procedimento arbitrale, ma solo in quello per l’impugnazione del lodo. (v. punto 39 e dispositivo) SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 26 ottobre 2006 (*) «Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Mancata contestazione del carattere abusivo di una clausola in sede di procedura arbitrale – Possibilità di sollevare tale eccezione nell’ambito della procedura di impugnazione del lodo» Nel procedimento C-168/05, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dall’Audiencia Provincial de Madrid (Spagna) con decisione 15 febbraio 2005, pervenuta in cancelleria il 14 aprile 2005, nella causa Elisa María Mostaza Claro contro Centro Móvil Milenium SL, 32 LA CORTE (Prima Sezione), composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. K. Lenaerts, E. Juhász, J.N. Cunha Rodrigues (relatore) e M. Ilešič, giudici, avvocato generale: sig. A. Tizzano cancelliere: sig. R. Grass vista la fase scritta del procedimento, considerate le osservazioni presentate: – per la Centro Móvil Milenium SL, dal sig. H. García Pi, abogado; – per il governo spagnolo, dal sig. E. Braquehais Conesa, in qualità di agente; – per il governo tedesco, dalla sig.ra C. Schulze-Bahr, in qualità di agente; – per il governo ungherese, dal sig. P. Gottfried, in qualità di agente; – per il governo finlandese, dalla sig.ra T. Pynnä, in qualità di agente; – per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. A. Aresu e L. Escobar Guerrero, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 27 aprile 2006, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29; in prosieguo: la «direttiva»). 2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Mostaza Claro e la Centro Móvil Milenium SL (in prosieguo: la «Móvil») relativamente alla validità di una clausola compromissoria contenuta nel contratto che essa ha concluso con tale società. Contesto normativo Normativa comunitaria 3 L’art. 3, n. 1, della direttiva così prevede: «Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto». 4 L’art. 6, n. 1, della direttiva è così formulato: «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro 33 legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive». 5 L’art. 7, n. 1, della direttiva è del seguente tenore: «Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori». 6 L’allegato alla direttiva contiene un elenco indicativo delle clausole che possono essere dichiarate abusive. Tra queste, il n. 1, lett. q), dell’allegato annovera le clausole che hanno per oggetto o per effetto di «sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali o vie di ricorso del consumatore, in particolare obbligando il consumatore a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione di arbitrato non disciplinata da disposizioni giuridiche, limitando indebitamente i mezzi di prova a disposizione del consumatore o imponendogli un onere della prova che, ai sensi della legislazione applicabile, incomberebbe a un’altra parte del contratto». Normativa nazionale 7 Nel diritto spagnolo la tutela dei consumatori contro le clausole abusive è stata garantita inizialmente dalla legge generale 19 luglio 1984, n. 26/1984, relativa alla tutela dei consumatori e degli utenti (Ley General 26/1984 para la Defensa de los Consumidores y Usuarios, BOE n. 176 del 24 luglio 1984; in prosieguo: la «legge n. 26/1984»). 8 La legge n. 26/1984 è stata modificata dalla legge 13 aprile 1998, n. 7/1998, relativa alle condizioni generali dei contratti (Ley 7/1998 sobre Condiciones Generales de la Contratación, BOE n. 89 del 14 aprile 1998; in prosieguo: la «legge n. 7/1998»), che ha recepito la direttiva nel diritto interno. 9 La legge n. 7/1998 ha in particolare aggiunto alla legge n. 26/1984 un art. 10 bis e una prima disposizione addizionale. 10 Ai sensi dell’art. 10 bis, n. 1, della legge n. 26/1984, «si considerano clausole abusive tutte quelle disposizioni non oggetto di negoziato individuale che, malgrado il requisito della buona fede, causano a danno del consumatore uno squilibrio significativo dei diritti e dei doveri delle parti nascenti dal contratto. In ogni caso, si considerano clausole abusive le disposizioni enunciate nella disposizione addizionale della presente legge (…)». 11 La prima disposizione addizionale della legge n. 26/1984 riprende in sostanza l’elenco delle clausole che possono essere dichiarate abusive allegato alla direttiva, precisando che lo stesso non ha carattere esaustivo. Ai sensi del punto 26 della citata disposizione addizionale, si considera abusivo «l’assoggettamento ad arbitrati diversi da quello relativo a controversie in materia di consumo, a meno che si tratti di organi arbitrali istituiti da disposizioni legislative per un settore o ambito specifico». 12 L’art. 8 della legge n. 7/1998 così prevede: «1. Sono nulle di pieno diritto le condizioni generali pregiudizievoli per l’aderente e in contrasto con le disposizioni della presente legge o di qualsiasi altra norma imperativa o proibitiva, a meno che esse sanzionino in modo diverso la violazione delle stesse. 2. In particolare, sono nulle le condizioni generali abusive inserite nei contratti conclusi con un consumatore, tra cui rientrano, in ogni caso, quelle definite dall’art. 10 bis e dalla prima disposizione addizionale della legge [generale n. 26/1984] (…)». 34 13 All’epoca dei fatti di cui alla causa principale, la procedura arbitrale era disciplinata dalla legge 5 dicembre 1988, n. 36/1988, relativa all’arbitrato (Ley 36/1988 de Arbitraje, BOE n. 293 del 7 dicembre 1988; in prosieguo: la «legge n. 36/1988»). 14 L’art. 23, n. 1, della legge n. 36/1988 prevedeva quanto segue: «L’opposizione all’arbitrato per incompetenza oggettiva degli arbitri, inesistenza, nullità o decadenza dell’accordo arbitrale deve essere proposta dalle parti in concomitanza con la presentazione dei loro rispettivi motivi iniziali». 15 L’art. 45 della legge n. 36/1988 era del seguente tenore: «Il lodo può essere annullato solo nei casi seguenti: 1. Qualora l’accordo arbitrale sia nullo. (…) 5. Qualora il lodo sia contrario all’ordine pubblico». Causa principale e questione pregiudiziale 16 Il 2 maggio 2002 è stato concluso tra la Móvil e la sig.ra Mostaza Claro un contratto di abbonamento ad una linea di telefonia mobile. Tale contratto conteneva una clausola compromissoria che sottoponeva ogni controversia relativa allo stesso all’arbitrato dell’Asociación Europea de Arbitraje de Derecho y Equidad (Associazione europea per l’arbitrato secondo diritto e secondo equità; in prosieguo: l’«AEADE»). 17 Poiché la sig.ra Mostaza Claro non ha rispettato la durata minima dell’abbonamento, la Móvil ha avviato un procedimento arbitrale dinnanzi all’AEADE. Con lettera del 25 luglio 2003 quest’ultima ha concesso alla sig.ra Mostaza Claro un termine di dieci giorni per rifiutare l’arbitrato, precisando che, in caso di rifiuto, sarebbe rimasta aperta la via giurisdizionale. La sig.ra Mostaza Claro ha presentato alcuni argomenti nel merito, ma non ha rifiutato la procedura arbitrale né ha invocato la nullità della clausola compromissoria. La controversia è stata poi decisa in senso a lei sfavorevole. 18 La sig.ra Mostaza Claro ha impugnato dinanzi al giudice del rinvio il lodo arbitrale dell’AEADE, sostenendo che il carattere abusivo della clausola compromissoria comportava la nullità dell’accordo arbitrale. 19 Nell’ordinanza di rinvio, l’Audiencia Provincial de Madrid (Corte d’appello di Madrid) osserva che non vi è dubbio che la citata clausola compromissoria sia una clausola contrattuale abusiva, e di conseguenza che sia nulla. 20 Tuttavia, poiché la sig.ra Mostaza Claro non ha fatto valere tale nullità nell’ambito del procedimento arbitrale, al fine di interpretare il diritto nazionale in modo conforme alla direttiva, l’Audiencia Provincial de Madrid ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se la tutela dei consumatori garantita dalla [direttiva 93/13/CEE] possa implicare che il giudice chiamato a pronunciarsi su un ricorso di annullamento di un lodo arbitrale rilevi la nullità del compromesso arbitrale ed annulli il lodo, ritenendo che il detto compromesso arbitrale contenga una clausola abusiva pregiudizievole per il consumatore, quando tale questione è fatta valere nel ricorso di annullamento ma non è stata addotta dal consumatore nell’ambito del procedimento arbitrale». Osservazioni preliminari 35 21 Risulta dagli atti trasmessi alla Corte dal giudice del rinvio che quest’ultimo ha accertato il carattere abusivo della clausola compromissoria contenuta nel contratto concluso tra la Móvil e la sig.ra Mostaza Claro. 22 Si deve ricordare in proposito che la Corte non può pronunciarsi sull’applicazione dei criteri generali utilizzati dal legislatore comunitario per definire il concetto di clausola abusiva ad una clausola specifica, che dev’essere esaminata sulla base delle circostanze concrete del caso (sentenza 1° aprile 2004, causa C-237/02, Freiburger Kommunalbauten, Racc. pag. I-3403, punto 22). 23 Spetta dunque al giudice nazionale determinare se una clausola contrattuale come quella oggetto della controversia nella causa principale possieda i requisiti necessari per essere qualificata abusiva ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva (sentenza Freiburger Kommunalbauten, cit., punto 25). Sulla questione pregiudiziale 24 Secondo una costante giurisprudenza, in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali per garantire la salvaguardia dei diritti di cui i soggetti godono ai sensi dell’ordinamento comunitario, in forza del principio dell’autonomia processuale degli Stati membri, a condizione, tuttavia, che tali modalità non siano meno favorevoli di quelle relative a situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, sentenze 16 maggio 2000, causa C-78/98, Preston e a., Racc. pag. I-3201, punto 31, e 19 settembre 2006, cause riunite C-392/04 e C-422/04, i-21 Germany e Arcor, Racc. pag. I-0000, punto 57). 25 Il sistema di tutela istituito dalla direttiva è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse (sentenza 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, Racc. pag. I-4941, punto 25). 26 Una tale disuguaglianza tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale (sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, cit., punto 27). 27 È sulla base di tali principi che la Corte ha affermato che la facoltà per il giudice di esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola costituisce un mezzo idoneo al conseguimento tanto dell’obiettivo fissato dall’art. 6 della direttiva, che è quello di impedire che un consumatore individuale sia vincolato da una clausola abusiva, quanto dell’obiettivo dell’art. 7, dato che tale esame può avere un effetto dissuasivo e, pertanto, contribuire a far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti conclusi tra un professionista e i consumatori (sentenze Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, cit., punto 28, e 21 novembre 2002, causa C-473/00, Cofidis, Racc. pag. I-10875, punto 32). 28 Questa facoltà riconosciuta al giudice è stata ritenuta necessaria per garantire al consumatore una tutela effettiva, tenuto conto in particolare del rischio non trascurabile che questi ignori i suoi diritti o incontri difficoltà per esercitarli (sentenze Océan Grupo Editoral e Salvat Editores, cit., punto 26, nonché Cofidis, cit., punto 33). 29 La tutela prevista dalla direttiva a favore dei consumatori si estende così ai casi in cui il consumatore che ha stipulato con un professionista un contratto contenente una clausola abusiva si astenga dal dedurre l’abusività della detta clausola perché ignora i suoi diritti o perché viene dissuaso dal farli valere a causa delle spese che un’azione giudiziaria comporterebbe (sentenza Cofidis, cit., punto 34). 30 Alla luce di quanto sopra, l’obiettivo perseguito dall’art. 6 della direttiva, il quale, come è stato ricordato al punto 27 della presente sentenza, impone agli Stati membri di prevedere che le clausole abusive non vincolino i consumatori, non potrebbe essere raggiunto qualora il giudice investito di 36 un’impugnazione di un lodo arbitrale non potesse valutare la nullità di tale decisione per il solo motivo che il consumatore non ha fatto valere la nullità della clausola compromissoria nell’ambito del procedimento arbitrale. 31 Una simile omissione da parte del consumatore non potrebbe dunque in alcun caso essere compensata dall’azione di soggetti terzi rispetto alle parti contrattuali. Il sistema di tutela speciale creato dalla direttiva risulterebbe in definitiva compromesso. 32 È proprio in tal senso che la normativa spagnola si è evoluta. Infatti, sebbene non sia applicabile alla causa principale, va ricordato che la legge 23 dicembre 2003, n. 60/2003, in materia di arbitrato (Ley 60/2003 de Arbitraje, BOE n. 309 del 26 dicembre 2003) non richiede più che l’opposizione all’arbitrato, in particolare a causa di nullità dell’accordo arbitrale, sia proposta all’atto della presentazione delle domande iniziali delle parti. 33 La Móvil e il governo tedesco sostengono che, consentendo al giudice di valutare la nullità di un accordo arbitrale nel caso in cui il consumatore non abbia sollevato tale eccezione in sede di procedimento arbitrale, si intaccherebbe gravemente l’efficacia dei lodi arbitrali. 34 Tale argomento si regge sulla considerazione che le esigenze di efficacia del procedimento arbitrale giustificano il fatto che il controllo dei lodi arbitrali abbia un carattere limitato, e che l’annullamento di un lodo possa essere ottenuto solo in casi eccezionali (sentenza 1° giugno 1999, causa C-126/97, Eco Swiss, Racc. pag. I-3055, punto 35). 35 Tuttavia, la Corte ha già affermato che, nei limiti in cui un giudice nazionale deve, in base alle proprie norme di diritto processuale nazionale, accogliere un’impugnazione di un lodo arbitrale fondata sulla violazione delle norme nazionali di ordine pubblico, esso deve ugualmente accogliere una domanda fondata sulla violazione delle norme comunitarie di tale tipo (v., in tal senso, sentenza Eco Swiss, cit., punto 37). 36 L’importanza della tutela dei consumatori ha in particolare condotto il legislatore comunitario a stabilire, all’art. 6, n. 1, della direttiva, che le clausole abusive contenute in un contratto concluso tra un consumatore e un professionista «non vincolano il consumatore». Si tratta di una norma imperativa che, in considerazione dell’inferiorità di una delle parti contrattuali, mira a sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza delle parti stesse. 37 D’altra parte la direttiva, che ha lo scopo di rafforzare la tutela dei consumatori, costituisce, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. t), CE, un provvedimento indispensabile per l’adempimento dei compiti affidati alla Comunità e, in particolare, per l’innalzamento del livello e della qualità della vita al suo interno (v., per analogia, a proposito dell’art. 81 CE, sentenza Eco Swiss, cit., punto 36). 38 La natura e l’importanza dell’interesse pubblico su cui si fonda la tutela che la direttiva garantisce ai consumatori giustificano inoltre che il giudice nazionale sia tenuto a valutare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale, in tal modo ponendo un argine allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista. 39 Considerato quanto precede, occorre risolvere la questione dichiarando che la direttiva dev’essere interpretata nel senso che essa implica che un giudice nazionale chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione di un lodo arbitrale rilevi la nullità dell’accordo arbitrale ed annulli il lodo, nel caso ritenga che tale accordo contenga una clausola abusiva, anche qualora il consumatore non abbia fatto valere tale nullità nell’ambito del procedimento arbitrale, ma solo in quello per l’impugnazione del lodo. Sulle spese 37 40 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: La direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretata nel senso che essa implica che un giudice nazionale chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione di un lodo arbitrale rilevi la nullità dell’accordo arbitrale ed annulli il lodo, nel caso ritenga che tale accordo contenga una clausola abusiva, anche qualora il consumatore non abbia fatto valere tale nullità nell’ambito del procedimento arbitrale, ma solo in quello per l’impugnazione del lodo. 38 Causa C-243/08 Pannon GSM Zrt. contro Erzsébet Sustikné Győrfi (domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Budaörsi Városi Bíróság) «Direttiva 93/13/CEE — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Effetti giuridici di una clausola abusiva — Potere e obbligo del giudice nazionale di esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola attributiva di competenza — Criteri di valutazione» Massime della sentenza 1. Ravvicinamento delle legislazioni — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Direttiva 93/13 (Direttiva del Consiglio 93/13, art. 6) 2. Ravvicinamento delle legislazioni — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Direttiva 93/13 (Direttiva del Consiglio 93/13) 3. Ravvicinamento delle legislazioni — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Direttiva 93/13 (Direttiva del Consiglio 93/13, art. 3) 1. L’art. 6, n. 1, della direttiva 93/13, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale abusiva non vincola il consumatore e che non è necessario, in proposito, che egli abbia in precedenza impugnato utilmente siffatta clausola. Infatti, l’obiettivo perseguito dall’art. 6 della citata direttiva, il quale consiste nel rafforzare la tutela dei consumatori, non potrebbe essere conseguito se i consumatori fossero tenuti a eccepire essi stessi l’abusività di una clausola contrattuale. Inoltre, una tutela effettiva del consumatore può essere ottenuta solo se si riconosce al giudice nazionale la facoltà di valutare d’ufficio siffatta clausola. (v. punti 23, 28, dispositivo 1) 2. Il giudice nazionale deve esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine. Se esso considera abusiva una siffatta clausola, non la applica, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga. Tale obbligo incombe al giudice nazionale anche in sede di verifica della propria competenza territoriale. Infatti, il giudice adito ha il compito di garantire l’effetto utile della tutela cui mirano le disposizioni della direttiva 93/13, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. Di conseguenza, il ruolo così attribuito al giudice nazionale dal diritto comunitario nell’ambito di cui trattasi non si limita alla semplice facoltà di pronunciarsi sull’eventuale natura abusiva di una clausola contrattuale, bensì comporta parimenti l’obbligo di esaminare d’ufficio tale questione, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto 39 necessari a tal fine, incluso il caso in cui debba pronunciarsi sulla propria competenza territoriale. Nell’esecuzione di tale obbligo il giudice nazionale non deve tuttavia, in forza della direttiva, disapplicare la clausola in esame qualora il consumatore, dopo essere stato avvisato da detto giudice, non intenda invocarne la natura abusiva e non vincolante. (v. punti 32, 33, 35, dispositivo 2) 3. Spetta al giudice nazionale stabilire se una clausola contrattuale, come una clausola attributiva di competenza, risponda ai criteri richiesti per poter essere considerata abusiva ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva 93/13, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. A tal fine, il giudice nazionale deve tener conto del fatto che può essere considerata abusiva una clausola contenuta in un contratto concluso tra un consumatore e un professionista, la quale sia stata introdotta senza essere stata oggetto di negoziato individuale e sia volta ad attribuire la competenza esclusiva al tribunale della circoscrizione in cui si trova la sede del professionista. (v. punto 44, dispositivo 3) SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione) 4 giugno 2009 (*) «Direttiva 93/13/CEE − Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Effetti giuridici di una clausola abusiva – Potere e obbligo del giudice nazionale di esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola attributiva di competenza – Criteri di valutazione» Nel procedimento C-243/08, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Budaörsi Városi Bíróság (Ungheria), con decisione 22 maggio 2008, pervenuta in cancelleria il 2 giugno 2008, nella causa Pannon GSM Zrt. contro Erzsébet Sustikné Győrfi, LA CORTE (Quarta Sezione), composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. T. von Danwitz, sig.ra R. Silva de Lapuerta (relatore), dai sigg. E. Juhász e J. Malenovský, giudici, dalla avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 2 aprile 2009, considerate le osservazioni presentate: – per la Pannon GSM Zrt., dagli avv.ti J. Vitári, C. Petia e M.B. Bíró, ügyvédek; 40 – per il governo ungherese, dalle sig.re J. Fazekas, R. Somssich, K. Borvölgyi e dal sig. M. Fehér, in qualità di agenti; – per il governo ceco, dal sig. M. Smolek, in qualità di agente; – per il governo spagnolo, dal sig. J. López-Medel Bascones, in qualità di agente; – per il governo francese, dal sig. B. Cabouat e dalla sig.ra R. Loosli-Surrans, in qualità di agenti; – per il governo austriaco, dalle sig.re C. Pesendorfer e A. Hable, in qualità di agenti; – per il governo del Regno Unito, dal sig. S. Ossowski, in qualità di agente, assistito dal sig. T. de la Mare, barrister; – per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. W. Wils e B. Simon, in qualità di agenti, vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29; in prosieguo: la «direttiva»). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra l’impresa Pannon GSM Zrt. (in prosieguo: la «Pannon») e la sig.ra Sustikné Győrfi, in merito all’esecuzione di un contratto d’abbonamento telefonico stipulato tra dette parti. Contesto normativo La normativa comunitaria 3 4 Ai sensi del suo art. 1, la direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore. L’art. 3 della direttiva così dispone: «1. Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto. 2. Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto. (…) 3. L’allegato contiene un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive». 41 5 Il n. 1, lett. q), di tale allegato concerne le clausole che hanno per oggetto o per effetto di: «sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali o vie di ricorso del consumatore (...)». 6 L’art. 4, n. 1, della direttiva prevede: «Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende». 7 Ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva: «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive». 8 L’art. 7, nn. 1 e 2, della direttiva sancisce quanto segue: «1. Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori. 2. I mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che permettano a persone o organizzazioni, che a norma del diritto nazionale abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori, di adire, a seconda del diritto nazionale, le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi competenti affinché stabiliscano se le clausole contrattuali, redatte per un impiego generalizzato, abbiano carattere abusivo ed applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di siffatte clausole». La normativa nazionale 9 All’epoca dei fatti oggetto della causa principale erano applicabili il codice civile, nella sua versione risultante dalla legge n. CXLIX del 1997 (Magyar Közlöny 1997/115, in prosieguo: il «codice civile»), e il decreto governativo n. 18/1999 sulle clausole ritenute abusive nei contratti stipulati con i consumatori (Magyar Közlöny 1998/8), nella sua versione in vigore all’epoca della controversia principale. 10 Conformemente all’art. 209, n. 1, del codice civile, una parte può impugnare ogni condizione contrattuale generale considerata abusiva. Ai sensi del n. 4 dell’art. 209 B di detto codice, disposizioni speciali determinano le clausole considerate abusive nei contratti di consumo. In forza dell’art. 235, n. 1, del codice civile, se utilmente impugnato il contratto controverso perde efficacia a decorrere dalla data della sua conclusione. Ai sensi dell’art. 236, n. 1, del codice civile, l’impugnazione dev’essere comunicata per iscritto all’altra parte entro il termine di un anno. 11 Il decreto governativo n. 18/1999, come in vigore all’epoca della controversia principale, suddivide le clausole contrattuali in due categorie. Rientrano in una prima categoria le clausole contrattuali la cui inclusione nei contratti di consumo è vietata e che, di conseguenza, sono nulle di pieno diritto. La seconda categoria raggruppa le clausole considerate abusive finché non sia fornita prova contraria e l’autore di una siffatta clausola può confutare tale presunzione. Causa principale e questioni pregiudiziali 12 Il 12 dicembre 2004 la sig.ra Sustikné Győrfi aveva stipulato con la Pannon un contratto d’abbonamento relativo alla fornitura di servizi di telefonia mobile. Il contratto era stato concluso a mezzo di un formulario fornito dalla Pannon in cui si stabiliva che, con la sottoscrizione del contratto, 42 la sig.ra Sustikné Győrfi prendeva conoscenza e accettava il contenuto del regolamento di esecuzione che includeva le condizioni contrattuali generali e che costituiva parte inscindibile del contratto. 13 In forza di tale regolamento di esecuzione, entrambe le parti nella causa principale riconoscevano competente il foro della sede della Pannon per qualsivoglia controversia eventualmente derivante dal contratto di abbonamento o ad esso connessa. Tale clausola attributiva di competenza non era stata negoziata tra le due parti. 14 Ritenendo che la sig. ra Sustikné Győrfi non si fosse conformata ai suoi obblighi contrattuali, la Pannon ha avviato, in applicazione della citata clausola, un procedimento d’ingiunzione di pagamento dinanzi al Budaörsi Városi Bíróság (tribunale municipale di Budaörs), tribunale nella cui circoscrizione si trova la sua sede sociale. 15 Il giudice adito ha emanato l’ingiunzione richiesta dalla Pannon. La sig. ra Sustikné Győrfi ha quindi presentato opposizione contro tale ingiunzione, nei termini impartiti dalla legge, rendendo in tal modo contraddittorio il procedimento. 16 Detto giudice ha rilevato che la residenza della sig. ra Sustikné Győrfi non si trovava nella sua circoscrizione giudiziaria. Esso ha constatato che la sig.ra Sustikné Győrfi, che percepisce una pensione d’invalidità, ha la sua residenza stabile a Dombegyház, nella provincia di Békés, cioè a 275 chilometri di distanza da Budaörs, e ha precisato che le possibilità di trasporto tra Budaörs e Dombegyház sono molto limitate in quanto non esiste un collegamento diretto né mediante treno né mediante autobus. 17 Il Budaörsi Városi Bíróság ha osservato che le norme di procedura applicabili prevedono che il foro territorialmente competente è quello della circoscrizione in cui risiede la sig.ra Sustikné Győrfi, vale a dire il Battonyai Városi Bíróság (tribunale municipale di Battonya). 18 Il giudice del rinvio ha chiarito che ai sensi del codice di procedura civile l’organo giurisdizionale della circoscrizione interessata rileva d’ufficio la questione della sua competenza territoriale. Tuttavia, non trattandosi di una competenza esclusiva, esso non potrà più rilevare l’incompetenza una volta che il convenuto abbia presentato un primo atto difensivo con deduzioni relative al merito della controversia. Il giudice adito potrebbe verificare l’esattezza dei fatti addotti al fine di determinare la propria competenza territoriale solo nell’eventualità che questi ultimi siano contrari a fatti noti o a fatti che l’organo giurisdizionale conosca d’ufficio, così come nel caso in cui tali fatti siano improbabili o vengano contestati dalla controparte. 19 Ciò considerato, il Budaörsi Városi Bíróság, nutrendo dubbi sull’eventuale abusività della clausola attributiva di competenza inclusa nelle condizioni generali del contratto controverso, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se l’art. 6, n. 1, della direttiva [93/13], ai sensi del quale gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato da un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, possa essere interpretato nel senso che il fatto che il consumatore non sia vincolato da una clausola abusiva predisposta dal professionista non opera ipso iure ma, esclusivamente, nel presupposto che il consumatore impugni utilmente tale clausola abusiva mediante una specifica domanda in tal senso. 2) Se la tutela dei consumatori garantita dalla direttiva [93/13] imponga che il giudice nazionale – indipendentemente dalla natura del procedimento, sia esso o meno contraddittorio – anche senza una specifica domanda in tal senso, ossia senza un’impugnazione fondata sull’abusività della clausola, si pronunci d’ufficio sulla natura abusiva di una clausola contrattuale ad esso sottoposta e, in tal modo, verifichi d’ufficio, nel contesto dell’esame della sua competenza territoriale, le clausole stabilite dal professionista. 3) In caso di soluzione affermativa alla seconda questione, quali criteri debbano essere presi in considerazione e ponderati da parte del giudice del rinvio nell’ambito di tale esame». 43 Sulle questioni pregiudiziali Sulla prima questione 20 Con la prima questione il giudice del rinvio chiede se l’art. 6, n. 1, della direttiva, ai sensi del quale le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un professionista ed un consumatore non vincolano quest’ultimo, debba essere interpretato nel senso che il consumatore non è vincolato esclusivamente nei casi in cui egli abbia impugnato utilmente siffatta clausola. 21 Per risolvere la questione sottoposta si deve rammentare, in via preliminare, che l’obbligo imposto agli Stati membri dall’art. 6, n. 1, della direttiva mira ad accordare un diritto al cittadino, in qualità di consumatore, e definisce il risultato che la direttiva intende conseguire (v. sentenze 10 maggio 2001, causa C-144/99, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-3541, punto 18, e 7 maggio 2002, causa C-478/99, Commissione/Svezia, Racc. pag. I-4147, punti 16 e 18). 22 In tal modo, il sistema di tutela istituito dalla direttiva è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse (sentenza 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, Racc. pag. I-4941, punto 25). 23 La Corte ha parimenti deciso, al punto 26 di detta sentenza, che l’obiettivo perseguito dall’art. 6 della direttiva non potrebbe essere conseguito se i consumatori fossero tenuti a eccepire essi stessi l’abusività di una clausola contrattuale e che una tutela effettiva del consumatore può essere ottenuta solo se si riconosce al giudice nazionale la facoltà di valutare d’ufficio siffatta clausola. 24 Occorre sottolineare in proposito che, se si deve garantire tale facoltà al giudice nazionale, occorre escludere l’interpretazione dell’art. 6, n. 1, della direttiva nel senso che il consumatore non è vincolato da una clausola contrattuale abusiva esclusivamente nel caso in cui egli abbia presentato una specifica domanda a riguardo. Siffatta interpretazione escluderebbe, infatti, che il giudice nazionale, nell’ambito dell’esame della ricevibilità della domanda sottopostagli, possa valutare l’abusività di una clausola contrattuale d’ufficio e in assenza di un’esplicita richiesta del consumatore. 25 Relativamente agli effetti giuridici che devono essere connessi ad una clausola abusiva, la Corte ha precisato, nella sua sentenza 26 ottobre 2006, causa C-168/05, Mostaza Claro (Racc. pag. I-10421, punto 36), che l’importanza della tutela dei consumatori ha condotto il legislatore comunitario a stabilire, all’art. 6, n. 1, della direttiva, che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista «non vincolano il consumatore». Essa ha sottolineato che si tratta di una norma imperativa che, in considerazione dell’inferiorità di una delle parti contrattuali, mira a sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza delle parti stesse. 26 La Corte ha aggiunto, al punto 37 di detta sentenza, che la direttiva, la quale ha lo scopo di rafforzare la tutela dei consumatori, costituisce, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. t), CE, un provvedimento indispensabile per l’adempimento dei compiti affidati alla Comunità e, in particolare, per l’innalzamento del livello e della qualità della vita al suo interno. 27 Di conseguenza, l’espressione «alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali», enunciata all’art. 6, n. 1, della direttiva, non può essere intesa nel senso che essa consente agli Stati membri di assoggettare il carattere non vincolante di una clausola abusiva ad una condizione come quella menzionata nella prima questione pregiudiziale. 28 Si deve pertanto risolvere la prima questione dichiarando che l’art. 6, n. 1, della direttiva dev’essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale abusiva non vincola il consumatore e che non è necessario, in proposito, che egli abbia in precedenza impugnato utilmente siffatta clausola. Sulla seconda questione 44 29 Con la seconda questione il giudice del rinvio interroga la Corte in merito agli obblighi incombenti al giudice nazionale in forza delle disposizioni della direttiva, al fine di sapere se quest’ultimo, in sede di verifica della propria competenza e indipendentemente dalla natura del ricorso, debba pronunciarsi, se necessario d’ufficio, sull’abusività di una clausola contrattuale. 30 Per risolvere tale questione si deve rammentare che la Corte, nella sua sentenza 21 novembre 2002, causa C-473/00, Cofidis (Racc. pag. I-10875, punto 34), ha rilevato che la tutela prevista a favore dei consumatori dalla direttiva si estende ai casi in cui il consumatore che ha stipulato con un professionista un contratto contenente una clausola abusiva si astenga dal dedurre l’abusività di detta clausola perché ignora i suoi diritti o perché viene dissuaso dal farli valere a causa delle spese che un’azione giudiziaria comporterebbe. 31 Occorre parimenti osservare che la Corte ha deciso, al punto 38 della citata sentenza Mostaza Claro, che la natura e l’importanza dell’interesse pubblico su cui si fonda la tutela che la direttiva garantisce ai consumatori giustificano che il giudice nazionale sia tenuto a valutare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale, in tal modo ponendo un argine allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista. 32 Il giudice adito ha dunque il compito di garantire l’effetto utile della tutela cui mirano le disposizioni della direttiva. Di conseguenza, il ruolo così attribuito al giudice nazionale dal diritto comunitario nell’ambito di cui trattasi non si limita alla semplice facoltà di pronunciarsi sull’eventuale natura abusiva di una clausola contrattuale, bensì comporta parimenti l’obbligo di esaminare d’ufficio tale questione, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, incluso il caso in cui deve pronunciarsi sulla propria competenza territoriale. 33 Nell’esecuzione di tale obbligo il giudice nazionale non deve tuttavia, in forza della direttiva, disapplicare la clausola in esame qualora il consumatore, dopo essere stato avvisato da detto giudice, non intenda invocarne la natura abusiva e non vincolante. 34 Alla luce di quanto esposto, le caratteristiche specifiche del procedimento giurisdizionale, che si svolge nel contesto del diritto nazionale tra il professionista e il consumatore, non possono costituire un elemento atto a limitare la tutela giuridica di cui deve godere il consumatore in forza delle disposizioni della direttiva. 35 Si deve pertanto risolvere la seconda questione dichiarando che il giudice nazionale deve esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine. Se esso considera abusiva una siffatta clausola, non la applica, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga. Tale obbligo incombe al giudice nazionale anche in sede di verifica della propria competenza territoriale. Sulla terza questione 36 Con la terza questione il giudice del rinvio mira ad ottenere indicazioni in merito agli elementi che il giudice nazionale deve prendere in considerazione al fine di valutare l’eventuale carattere abusivo di una clausola contrattuale. 37 Per risolvere tale questione si deve osservare che, riferendosi alle nozioni di buona fede e di significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti, l’art. 3 della direttiva definisce solo in modo astratto gli elementi che conferiscono il carattere abusivo ad una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale (sentenza 1° aprile 2004, causa C-237/02, Freiburger Kommunalbauten, Racc. pag. I-3403, punto 19). 38 In tale contesto, l’allegato cui rinvia l’art. 3, n. 3, della direttiva contiene solo un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive (sentenza Freiburger Kommunalbauten, cit., punto 20). 45 39 Inoltre, l’art. 4 della direttiva prevede che il carattere abusivo di una clausola contrattuale dev’essere valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione. 40 Tuttavia, relativamente alla clausola oggetto della controversia principale, occorre rammentare che la Corte ha dichiarato, nella citata sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, punti 21-24, che, in un contratto concluso tra un consumatore e un professionista ai sensi della direttiva, una clausola previamente redatta da un professionista e che non è stata oggetto di negoziato individuale, volta ad attribuire la competenza per tutte le controversie derivanti dal contratto al giudice del foro in cui si trova la sede del professionista, risponde a tutti i criteri per poter essere qualificata abusiva alla luce della direttiva. 41 Infatti, come sottolineato dalla Corte al punto 22 della citata sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, una clausola del genere impone al consumatore l’obbligo di assoggettarsi alla competenza esclusiva di un tribunale che può essere lontano dal suo domicilio, il che può rendergli più difficoltosa la comparizione in giudizio. Nel caso di controversie di valore limitato, le spese di comparizione del consumatore potrebbero risultare dissuasive e indurlo a rinunziare a qualsiasi azione o difesa. La Corte ha pertanto statuito, al detto punto 22, che siffatta clausola rientra nella categoria di quelle che hanno lo scopo o l’effetto di sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali da parte del consumatore, categoria contemplata al punto 1, lett. q), dell’allegato della direttiva. 42 Se è vero che la Corte, nell’ambito dell’esercizio della competenza ad essa conferita all’art. 234 CE, al punto 22 della citata sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, ha interpretato i criteri generali utilizzati dal legislatore comunitario per definire la nozione di clausola abusiva, è pur vero che essa non può pronunciarsi sull’applicazione di tali criteri generali ad una clausola particolare che dev’essere esaminata in relazione alle circostanze proprie al caso di specie (v. sentenza Freiburger Kommunalbauten, cit., punto 22). 43 Alla luce di quanto suesposto spetta al giudice del rinvio stabilire se una clausola contrattuale possa essere qualificata abusiva ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva. 44 Si deve pertanto risolvere la terza questione nel senso che spetta al giudice nazionale stabilire se una clausola contrattuale, come quella oggetto della controversia principale, risponda ai criteri richiesti per poter essere considerata abusiva ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva. A tal fine, il giudice nazionale deve tener conto del fatto che può essere considerata abusiva una clausola contenuta in un contratto concluso tra un consumatore e un professionista, la quale sia stata introdotta senza essere stata oggetto di negoziato individuale e sia volta ad attribuire la competenza esclusiva al tribunale della circoscrizione in cui si trova la sede del professionista. Sulle spese 45 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara: 1) L’art. 6, n. 1, della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale abusiva non vincola il consumatore e che non è necessario, in proposito, che egli abbia in precedenza impugnato utilmente siffatta clausola. 2) Il giudice nazionale deve esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto 46 necessari a tal fine. Se esso considera abusiva una siffatta clausola, non la applica, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga. Tale obbligo incombe al giudice nazionale anche in sede di verifica della propria competenza territoriale. 3) Spetta al giudice nazionale stabilire se una clausola contrattuale, come quella oggetto della controversia principale, risponda ai criteri richiesti per poter essere considerata abusiva ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva 93/13. A tal fine, il giudice nazionale deve tener conto del fatto che può essere considerata abusiva una clausola contenuta in un contratto concluso tra un consumatore e un professionista, la quale sia stata introdotta senza essere stata oggetto di negoziato individuale e sia volta ad attribuire la competenza esclusiva al tribunale della circoscrizione in cui si trova la sede del professionista. 47 SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 6 ottobre 2009 (*) «Direttiva 93/13/CEE – Contratti stipulati con i consumatori – Clausola compromissoria abusiva – Nullità – Lodo arbitrale che ha acquisito autorità di cosa giudicata – Esecuzione forzata – Facoltà del giudice nazionale dell’esecuzione di rilevare d’ufficio la nullità di una clausola compromissoria abusiva – Principi di equivalenza e di effettività» Nel procedimento C-40/08, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Juzgado de Primera Instancia n. 4 de Bilbao (Spagna), con decisione 29 gennaio 2008, pervenuta in cancelleria il 5 febbraio 2008, nella causa Asturcom Telecomunicaciones SL contro Cristina Rodríguez Nogueira, LA CORTE (Prima Sezione), composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. M. Ilešič, A. Tizzano (relatore), E. Levits e J.-J. Kasel, giudici, avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak cancelliere: sig. R. Grass vista la fase scritta del procedimento, considerate le osservazioni presentate: – per la Asturcom Telecomunicaciones SL, dagli avv.ti P. Calderón Plaza e P. García Ibaceta, abogados; – per il governo spagnolo, dal sig. J. López-Medel Bascones, in qualità di agente; – per il governo ungherese, dalle sig.re K. Veres e R. Somssich, nonché dal sig. M. Fehér, in qualità di agenti; – per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. W. Wils e R. Vidal Puig, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 maggio 2009, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29). 48 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un ricorso per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale divenuto definitivo che vede opposte la società Asturcom Telecomunicaciones SL (in prosieguo: la «Asturcom») e la sig.ra Rodríguez Nogueira relativamente al pagamento di somme dovute in esecuzione di un contratto d’abbonamento alla telefonia mobile che tale società aveva stipulato con la sig.ra Rodríguez Nogueira. Contesto normativo La normativa comunitaria 3 L’art. 6, n. 1, della direttiva 93/13 così recita: «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive». 4 L’art. 7, n. 1, della medesima direttiva è del seguente tenore: «Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori». 5 L’allegato alla stessa direttiva contiene un elenco indicativo delle clausole che possono essere dichiarate abusive. Tra di esse, il punto 1, lett. q), dell’allegato, annovera le clausole che hanno per oggetto o per effetto di «sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali o vie di ricorso del consumatore, in particolare obbligando il consumatore a rivolgersi esclusivamente a una giurisdizione di arbitrato non disciplinata da disposizioni giuridiche, limitando indebitamente i mezzi di prova a disposizione del consumatore o imponendogli un onere della prova che, ai sensi della legislazione applicabile, incomberebbe a un’altra parte del contratto». La normativa nazionale 6 Nel diritto spagnolo la tutela dei consumatori contro le clausole abusive è stata garantita inizialmente dalla legge generale n. 26/1984, relativa alla tutela dei consumatori e degli utenti (Ley General 26/1984 para la Defensa de los Consumidores y Usuarios) del 19 luglio 1984 (BOE n. 176, del 24 luglio 1984; in prosieguo: la «legge 26/1984»). 7 La legge 26/1984 è stata modificata dalla legge n. 7/1998, relativa alle condizioni generali dei contratti (Ley 7/1998 sobre Condiciones Generales de la Contratación) del 13 aprile 1998 (BOE n. 89, del 14 aprile 1998; in prosieguo: la «legge 7/1998»), che ha recepito la direttiva 93/13 nel diritto interno. 8 La legge 7/1998 ha aggiunto alla legge 26/1984, inter alia, un art. 10 bis il cui n. 1 è del seguente tenore: «[s]i considerano clausole abusive tutte quelle disposizioni contrattuali che non hanno costituito oggetto di negoziato individuale le quali, malgrado il requisito della buona fede, determinano a danno del consumatore uno squilibrio significativo dei diritti e degli obblighi contrattuali delle parti. In ogni caso, si considerano clausole abusive le disposizioni contrattuali elencate nella prima disposizione aggiuntiva della presente legge. (…)». 9 L’art. 8 della legge 7/1998 così prevede: «1. Sono nulle le condizioni generali pregiudizievoli per l’aderente e in contrasto con le disposizioni della presente legge o di qualsiasi altra norma imperativa o proibitiva, a meno che queste ultime non sanzionino diversamente la loro violazione. 49 2. In particolare, sono nulle le condizioni generali abusive inserite nei contratti conclusi con i consumatori quali definite, in ogni caso, dall’art. 10 bis e dalla prima disposizione aggiuntiva della legge generale 26/1984 (…)». 10 All’epoca dei fatti di cui alla causa principale la procedura arbitrale era disciplinata dalla legge n. 60/2003, relativa all’arbitrato (Ley de Arbitraje) del 23 dicembre 2003 (BOE n. 309, del 26 dicembre 2003; in prosieguo: la «legge 60/2003»). 11 L’art. 8, nn. 4 e 5, della legge 60/2003 stabiliva quanto segue: «4. Il tribunale di primo grado del luogo in cui è stato pronunciato il lodo è competente per decidere sulla sua esecuzione forzata ai sensi dell’art. 545, n. 2, del codice di procedura civile (…). 5. Il ricorso per annullamento del lodo arbitrale è proposto dinanzi all’Audiencia Provincial del luogo in cui esso è stato pronunciato». 12 L’art. 22, nn. 1 e 2, della legge 60/2003 così disponeva: «1. Gli arbitri possono decidere in ordine alla propria competenza, incluse le eccezioni relative all’esistenza o alla validità della clausola compromissoria ed ogni altra eccezione il cui accoglimento impedisca di esaminare il merito della controversia. A tali effetti, una clausola compromissoria contenuta in un contratto è considerata indipendente dalle altre clausole contrattuali. Una decisione arbitrale che dichiari nullo il contratto non comporta di per sé la nullità della clausola compromissoria. 2. Le eccezioni di cui al precedente paragrafo devono essere sollevate al più tardi nell’atto di risposta, senza che il fatto di aver designato o concorso a designare l’arbitro costituisca un impedimento. L’eccezione relativa all’usurpazione di competenza da parte degli arbitri dev’essere proposta non appena l’arbitro tratti la materia assertivamente estranea al suo ambito di competenza. Gli arbitri possono ammettere le eccezioni sollevate successivamente solo se il ritardo sia giustificato». 13 L’art. 40 della legge 60/2003 così recitava: «È possibile chiedere l’annullamento di un lodo ai sensi delle disposizioni del presente titolo». 14 L’art. 41, n. 1, della legge 60/2003 conteneva le seguenti disposizioni: «Un lodo può essere annullato solo qualora la parte ricorrente deduca e dimostri quanto segue: (...) f) che il lodo è contrario all’ordine pubblico. (...)». 15 Ai sensi dell’art. 41, n. 4, della medesima legge, il ricorso d’annullamento doveva essere presentato entro i due mesi successivi alla notifica del lodo arbitrale. 16 L’art. 43 della stessa legge così recitava: «Il lodo definitivo produce fra le parti effetti di cosa giudicata. Contro di esso può essere chiesta solo la revocazione conformemente alle disposizioni del codice di procedura civile applicabili alle decisioni definitive». 17 Ai sensi dell’art. 44 della stessa legge: 50 «L’esecuzione forzata dei lodi arbitrali è disciplinata dalle disposizioni del codice di procedura civile e del presente titolo». 18 Ai sensi dell’art. 517, n. 2, punto 2, della legge n. 1/2000, sulla procedura civile (Ley 1/2000 de Enjuiciamiento Civil) del 7 gennaio 2000 (BOE n. 7, dell’8 gennaio 2000; in prosieguo: la «legge 1/2000»), i lodi ovvero le decisioni arbitrali sono suscettibili di esecuzione forzata. 19 L’art. 559, n. 1, della legge 1/2000 è formulato nei termini seguenti: «L’esecutato può altresì opporsi all’esecuzione per i seguenti vizi procedurali: 1. mancanza o difetto di legittimazione passiva dell’esecutato o del suo rappresentante; 2. mancanza o difetto di legittimazione attiva dell’esecutante o del suo rappresentante o omessa giustificazione di tale legittimazione; 3. nullità assoluta del decreto di esecuzione per mancanza di disposizioni di condanna nella sentenza o nel lodo arbitrale, perché il documento presentato non soddisfa i requisiti di legge per essere dotato di esecutorietà o perché, in sede di esecuzione, sono state violate le disposizioni dell’art. 520 della presente legge; 4. difetto di autenticità del titolo esecutivo, ove si tratti di lodo arbitrale non autenticato da notaio». Causa principale e questione pregiudiziale 20 Il 24 maggio 2004 veniva stipulato un contratto di abbonamento per la telefonia mobile tra la Asturcom e la sig.ra Rodríguez Nogueira. Tale contratto conteneva una clausola compromissoria la quale sottoponeva ogni controversia concernente l’esecuzione del contratto stesso all’arbitrato dell’Asociación Europea de Arbitraje de Derecho y Equidad (Associazione europea per l’arbitrato secondo diritto e secondo equità; in prosieguo: l’«AEADE»). La sede di tale ente arbitrale, che non è indicata nel contratto, si trova a Bilbao. 21 Poiché la sig.ra Rodríguez Nogueira non saldava alcune fatture e recedeva dal contratto prima dello scadere della durata minima dell’abbonamento convenuta, la Asturcom avviava nei suoi confronti un procedimento arbitrale dinanzi alla AEADE. 22 Il lodo arbitrale emesso il 14 aprile 2005 condannava la sig.ra Rodríguez Nogueira a pagare una somma pari a EUR 669,60. 23 Poiché la sig.ra Rodríguez Nogueira non proponeva alcuna azione di annullamento contro tale lodo arbitrale, quest’ultimo diventava definitivo. 24 Il 29 ottobre 2007 l’Asturcom ha adito il Juzgado de Primera Instancia n. 4 de Bilbao una domanda di esecuzione forzata del suddetto lodo arbitrale. 25 Nell’ordinanza di rinvio, tale giudice constata che la clausola compromissoria contenuta nel contratto d’abbonamento ha carattere abusivo, tenuto conto, in particolare, del fatto che, anzitutto, le spese che il consumatore avrebbe dovuto sostenere per recarsi alla sede dell’ente arbitrale erano superiori all’importo della somma oggetto della controversia principale. Secondo tale giudice, inoltre, tale sede è situata ad una considerevole distanza dal domicilio del consumatore e non è indicata nel contratto. Infine, l’ente arbitrale elabora esso stesso i contratti di telefonia che sono poi utilizzati dalle imprese di telecomunicazioni. 26 Tuttavia, il giudice del rinvio osserva anche che, da un lato, la legge 60/2003 non consente agli arbitri di rilevare d’ufficio la nullità delle clausole compromissorie abusive e, d’altro lato, che la legge 1/2000 51 non prevede alcuna disposizione relativa alla valutazione del carattere abusivo delle clausole compromissorie ad opera del giudice competente a statuire su un ricorso per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale divenuto definitivo. 27 In tali circostanze, nutrendo dubbi riguardo alla compatibilità della normativa nazionale con il diritto comunitario, in particolare per quanto riguarda le norme procedurali interne, il Juzgado de Primera Instancia n. 4 de Bilbao ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se la tutela dei consumatori garantita dalla [direttiva 93/13] implichi che il giudice chiamato a pronunciarsi su una domanda di esecuzione forzata di un lodo arbitrale definitivo, emesso in assenza del consumatore, rilevi d’ufficio la nullità della convenzione d’arbitrato e, di conseguenza, annulli il lodo, in quanto la detta convenzione arbitrale contiene una clausola abusiva pregiudizievole per il consumatore». Sulla questione pregiudiziale 28 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 93/13 debba essere interpretata nel senso che un giudice nazionale investito di una domanda per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale che ha acquisito autorità di cosa giudicata, emesso in assenza del consumatore, sia tenuto a rilevare d’ufficio il carattere abusivo della clausola compromissoria contenuta in un contratto concluso tra un professionista e detto consumatore, nonché ad annullare tale lodo. 29 Per rispondere alla questione posta, va ricordato anzitutto che il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse (sentenze 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, Racc. pag. I-4941, punto 25, e 26 ottobre 2006, causa C-168/05, Mostaza Claro, Racc. pag. I-10421, punto 25). 30 In considerazione di siffatta situazione di inferiorità, l’art. 6, n. 1, della stessa direttiva prevede che le clausole abusive non vincolano il consumatore. Come risulta dalla giurisprudenza, si tratta di una norma imperativa che mira a sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza delle parti stesse (sentenze Mostaza Claro, cit., punto 36, e 4 giugno 2009, causa C-243/08, Pannon GSM, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 25). 31 Per garantire la tutela voluta dalla direttiva 93/13, la Corte ha altresì più volte sottolineato che la disuguaglianza tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale (sentenze citate Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, punto 27, e Mostaza Claro, punto 26). 32 È sulla base di tali principi che la Corte ha così statuito che il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale (sentenza Mostaza Claro, cit., punto 38). 33 La causa in esame si distingue tuttavia da quella che ha dato luogo alla citata sentenza Mostaza Claro per il fatto che la sig.ra Rodríguez Nogueira è rimasta completamente passiva nel corso dei diversi procedimenti relativi alla controversia che la oppone alla Asturcom e, in particolare, non ha proposto un’azione diretta ad ottenere l’annullamento del lodo arbitrale emesso dalla AEADE invocando il carattere abusivo della clausola compromissoria, cosicché tale lodo ha ormai acquisito autorità di cosa giudicata. 34 Va pertanto stabilito se l’esigenza di sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza delle parti stesse, imponga al giudice dell’esecuzione di garantire una tutela assoluta del consumatore, anche in assenza 52 di qualsiasi azione giudiziaria proposta da quest’ultimo per far valere i propri diritti e nonostante le norme procedurali nazionali che attuano il principio dell’autorità della cosa giudicata. 35 A tal proposito è necessario anzitutto rammentare l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico comunitario sia negli ordinamenti giuridici nazionali. 36 La Corte, infatti, ha già avuto occasione di precisare che, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione (sentenze 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler, Racc. pag. I-10239, punto 38; 16 marzo 2006, causa C-234/04, Kapferer, Racc. pag. I-2585, punto 20, e 3 settembre 2009, causa C-2/08, Fallimento Olimpiclub, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22). 37 Di conseguenza, secondo la giurisprudenza della Corte, il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione di una disposizione, di qualsiasi natura essa sia, del diritto comunitario da parte di tale decisione (v., in particolare, sentenze 1° giugno 1999, causa C-126/97, Eco Swiss, Racc. pag. I-3055, punti 47 e 48; Kapferer, cit., punto 21, e Fallimento Olimpiclub, cit., punto 23). 38 In assenza di una normativa comunitaria in materia, le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi. Esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, citate sentenze Kapferer, punto 22, e Fallimento Olimpiclub, punto 24). 39 Per quanto riguarda, in primo luogo, il principio di effettività, occorre ricordare che la Corte ha già affermato che ciascun caso in cui si pone la questione se una norma procedurale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto comunitario dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (sentenze 14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 14, e Fallimento Olimpiclub, cit., punto 27). 40 Nella fattispecie, il lodo arbitrale di cui trattasi nella causa principale è divenuto definitivo per il fatto che il consumatore interessato non ha proposto ricorso d’annullamento avverso detto lodo entro il termine all’uopo previsto. 41 In proposito, si deve rilevare che, secondo una giurisprudenza costante, è compatibile con il diritto comunitario la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza nell’interesse della certezza del diritto (v., in tal senso, sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe-Zentralfinanz e Rewe-Zentral, Racc. pag. 1989, punto 5; 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani, Racc. pag. I-4025, punto 28, e 12 febbraio 2008, causa C-2/06, Kempter, Racc. pag. I-411, punto 58). Infatti, termini del genere non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico comunitario (v., in tal senso, sentenza 24 settembre 2002, causa C-255/00, Grundig Italiana, Racc. pag. I-8003, punto 34). 42 Si deve pertanto verificare la ragionevolezza di un termine di due mesi, quale quello previsto all’art. 41, n. 4, della legge 60/2003, scaduto il quale, in assenza di ricorso d’annullamento, un lodo arbitrale diviene definitivo e acquisisce quindi autorità di cosa giudicata. 53 43 Nella fattispecie, si deve constatare, da un lato, che, come la Corte ha già rilevato, un termine di ricorso di 60 giorni non è di per sé censurabile (v., in tal senso, sentenza Peterbroeck, cit., punto 16). 44 In effetti, siffatto termine di decadenza appare ragionevole nel senso che permette tanto di valutare se sussistano motivi per contestare un lodo arbitrale quanto, eventualmente, di preparare il ricorso d’annullamento contro detto lodo. A tal proposito, è necessario rilevare che, nella presente causa, non è stato in alcun modo sostenuto che le norme procedurali nazionali che disciplinano la proposizione del ricorso d’annullamento di un lodo arbitrale, e in particolare il termine di due mesi a tal fine previsto, siano irragionevoli. 45 D’altro canto, si deve precisare che, ai termini dell’art. 41, n. 4, della legge 60/2003, il termine inizia a decorrere dalla notifica della sentenza arbitrale. Nella causa principale, quindi, il consumatore non può trovarsi in una situazione in cui il termine di prescrizione inizi a decorrere, o addirittura sia scaduto, senza che egli abbia neppure avuto conoscenza degli effetti della clausola compromissoria abusiva nei suoi confronti. 46 In tali circostanze, siffatto termine di ricorso risulta conforme al principio di effettività, in quanto non è idoneo, di per sé, a rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti che i consumatori traggono dalla direttiva 93/13 (v., in tal senso, sentenza 27 febbraio 2003, causa C-327/00, Santex, Racc. pag. I-1877, punto 55). 47 In ogni caso, il rispetto del principio di effettività non può, in circostanze come quelle della causa principale, giungere al punto di esigere che un giudice nazionale debba non solo compensare un’omissione procedurale di un consumatore ignaro dei propri diritti, come nella causa che ha dato luogo alla citata sentenza Mostaza Claro, ma anche supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato che, come la convenuta nella causa principale, non ha partecipato al procedimento arbitrale e neppure proposto un’azione d’annullamento contro il lodo arbitrale divenuto per tale fatto definitivo. 48 Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve constatare che le norme procedurali stabilite dal sistema spagnolo di tutela dei consumatori contro le clausole contrattuali abusive non rendono impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai consumatori dalla direttiva 93/13. 49 Per quanto riguarda, in secondo luogo, il principio di equivalenza, quest’ultimo esige che le condizioni imposte dal diritto nazionale per applicare d’ufficio una norma di diritto comunitario non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano l’applicazione d’ufficio delle norme di pari rango del diritto nazionale (v., in questo senso, in particolare, sentenza 14 dicembre 1995, cause riunite C-430/93 e C-431/93, van Schijndel e van Veen, Racc. pag. I- 4705, punti 13 e 17, e la giurisprudenza citata). 50 Al fine di verificare se detto principio sia rispettato nella causa di cui è investito il giudice nazionale, spetta a quest’ultimo, il solo a disporre della conoscenza diretta delle modalità procedurali dei ricorsi nell’ambito dell’ordinamento nazionale, esaminare tanto l’oggetto quanto gli elementi essenziali dei ricorsi di natura interna con i quali si asserisce che sussista un’analogia (v., in particolare, sentenza 16 maggio 2000, causa C-78/98, Preston e a., Racc. pag. I-3201, punti 49 e 56). Tuttavia, ai fini della valutazione che il giudice nazionale dovrà compiere, la Corte può fornirgli taluni elementi relativi all’interpretazione del diritto comunitario (v. sentenza Preston, cit., punto 50). 51 Orbene, com’è stato ricordato al punto 30 della presente sentenza, occorre precisare che l’art. 6, n. 1, della direttiva 93/13 è una norma imperativa. Si deve, inoltre, rilevare che, secondo la giurisprudenza della Corte, tale direttiva, nella sua integralità, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. t), CE, costituisce un provvedimento indispensabile per l’adempimento dei compiti affidati alla Comunità europea e, in particolare, per l’innalzamento del livello e della qualità della vita al suo interno (sentenza Mostaza Claro, cit., punto 37). 52 Così, considerate la natura e l’importanza dell’interesse pubblico sul quale si fonda la tutela che la direttiva 93/13 garantisce ai consumatori, si deve constatare che il suo art. 6 deve essere considerato 54 come una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico. 53 Ne consegue che, qualora un giudice nazionale investito di una domanda per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale definitivo debba, secondo le norme procedurali interne, valutare d’ufficio la contrarietà di una clausola compromissoria con le norme nazionali d’ordine pubblico, egli è parimenti tenuto a valutare d’ufficio il carattere abusivo di detta clausola alla luce dell’art. 6 della direttiva 93/13, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine (v., in tal senso, sentenza Pannon GSM, cit., punto 32). 54 Siffatto obbligo incombe del pari al giudice nazionale quando, nell’ambito del sistema giurisdizionale interno, dispone di una mera facoltà di valutare d’ufficio la contrarietà di una clausola del genere con le norme nazionali d’ordine pubblico (v., in tal senso, citate sentenze van Schijndel e van Veen, punti 13, 14 e 22, nonché Kempter, punto 45). 55 Orbene, per quel che riguarda la causa principale, secondo il governo spagnolo, il giudice dell’esecuzione di un lodo arbitrale divenuto definitivo è competente a valutare d’ufficio la nullità di una clausola compromissoria, contenuta in un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista, per essere tale clausola contraria alle norme nazionali di ordine pubblico. Siffatta competenza sarebbe stata peraltro ammessa in numerose sentenze recenti dell’Audiencia Provincial de Madrid, nonché dell’Audiencia Nacional. 56 Spetta pertanto al giudice del rinvio verificare se ciò sia così nella controversia di cui è investito. 57 Infine, per quanto riguarda le conseguenze della constatazione da parte del giudice dell’esecuzione dell’esistenza di una clausola compromissoria abusiva in un contratto stipulato da un professionista con un consumatore, si deve ricordare che l’art. 6, n. 1, della direttiva 93/13 esige che gli Stati membri prevedano che le clausole abusive non vincolano i consumatori, «alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali». 58 Pertanto, come suggerito dal governo ungherese nelle sue osservazioni scritte, spetta al giudice del rinvio trarre, conformemente al diritto nazionale, tutte le conseguenze che comporta, per il lodo arbitrale, l’esistenza di una clausola compromissoria, purché tale clausola non sia in grado di vincolare il consumatore. 59 Alla luce di quanto precede, la questione posta va risolta dichiarando che la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che un giudice nazionale investito di una domanda per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale che ha acquisito autorità di cosa giudicata, emesso in assenza del consumatore, è tenuto, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, a valutare d’ufficio il carattere abusivo della clausola compromissoria contenuta in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, qualora, secondo le norme procedurali nazionali, egli possa procedere a tale valutazione nell’ambito di ricorsi analoghi di natura interna. In tal caso, incombe a detto giudice di trarre tutte le conseguenze che ne derivano secondo il diritto nazionale affinché il consumatore di cui trattasi non sia vincolato da detta clausola. Sulle spese 60 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: La direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretata nel senso che un giudice 55 nazionale investito di una domanda per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale che ha acquisito autorità di cosa giudicata, emesso in assenza del consumatore, è tenuto, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, a valutare d’ufficio il carattere abusivo della clausola compromissoria contenuta in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, qualora, secondo le norme procedurali nazionali, egli possa procedere a tale valutazione nell’ambito di ricorsi analoghi di natura interna. In tal caso, incombe a detto giudice di trarre tutte le conseguenze che ne derivano secondo il diritto nazionale affinché il consumatore di cui trattasi non sia vincolato da detta clausola. 56 SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione) 17 dicembre 2009 (*) «Direttiva 85/577/CEE – Art. 4 – Tutela dei consumatori – Contratti negoziati fuori dei locali commerciali – Diritto di recesso – Obbligo d’informazione da parte del commerciante – Nullità del contratto – Misure appropriate» Nel procedimento C-227/08, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dall’Audiencia Provincial de Salamanca (Spagna), con decisione 20 maggio 2008, pervenuta in cancelleria il 26 maggio 2008, nella causa Eva Martín Martín contro EDP Editores SL, LA CORTE (Prima Sezione), composta dal sig. A. Tizzano (relatore), presidente di sezione, facente funzione di presidente della Seconda Sezione,dai sigg. A. Borg Barthet e M. Ilešič, giudici, avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 12 marzo 2009, considerate le osservazioni presentate: – per la EDP Editores SL, dall’avv. J.M. Sanchez Garcia, abogado; – per il governo spagnolo, dalla sig.ra B. Plaza Cruz e dal sig. J. López-Medel Bascones, in qualità di agenti; – per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di agente; – per la Commissione europea, dai sigg. R. Vidal Puig e W. Wils, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 7 maggio 2009, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 4 della direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985, 85/577/CEE, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali (GU L 372, pag. 31; in prosieguo: la «direttiva»). 2 Tale domanda è stata sottoposta nell’ambito di una controversia tra la EDP Editores SL (in prosieguo: la «EDP») e la sig.ra Eva Martín Martín relativamente al rifiuto di quest’ultima di rispettare gli impegni 57 presi al momento della sottoscrizione di un contratto concluso presso il suo domicilio con un rappresentante della EDP. Contesto normativo La normativa comunitaria 3 I ‘considerando’ dal quarto al sesto della direttiva così recitano: «(...) la caratteristica dei contratti conclusi fuori dai locali commerciali del commerciante è che, di regola, il commerciante prende l’iniziativa delle trattative, il consumatore è impreparato di fronte a queste trattative e si trova preso di sorpresa; (...) il consumatore non ha spesso la possibilità di confrontare la qualità e il prezzo che gli vengono proposti con altre offerte; (...) (...) è opportuno accordare al consumatore il diritto di rescissione da esercitarsi entro un termine non inferiore a sette giorni, per permettergli di valutare gli obblighi che derivano dal contratto; (...) occorre inoltre adottare opportuni provvedimenti affinché il consumatore sia informato per iscritto del suo diritto a disporre di questo periodo di riflessione (...)». 4 L’art. 1, n. 1, della direttiva dispone quanto segue: «La presente direttiva si applica ai contratti stipulati tra un commerciante che fornisce beni o servizi e un consumatore: (…) – durante una visita del commerciante: i) al domicilio del consumatore o a quello di un altro consumatore; (…) qualora la visita non abbia luogo su espressa richiesta del consumatore». 5 Ai sensi dell’art. 4 della direttiva: «Il commerciante deve informare per iscritto il consumatore, nel caso di transazioni contemplate all’articolo 1, del suo diritto di rescindere il contratto entro i termini di cui all’articolo 5, nonché del nome e indirizzo della persona nei cui riguardi può essere esercitato tale diritto. Detta informazione deve recare una data e menzionare gli elementi che permettono d’individuare il contratto. Essa è consegnata al consumatore: a) al momento della stipulazione del contratto nel caso dell’articolo 1, paragrafo 1; (…) Gli [S]tati membri fanno sì che la loro legislazione nazionale preveda misure appropriate per la tutela dei consumatori qualora non venga fornita l’informazione di cui al presente articolo». 6 L’art. 5 della direttiva stabilisce che: «1. Il consumatore ha il diritto di rescindere il proprio impegno indirizzando una comunicazione entro un termine di almeno 7 giorni dal momento in cui ha ricevuto l’informazione di cui all’articolo 4, e secondo le modalità e condizioni prescritte dalla legislazione nazionale. (…) 58 2. Con l’invio della comunicazione il consumatore è liberato da tutte le obbligazioni derivanti dal contratto rescisso». 7 L’art. 8 della direttiva in parola così dispone: «La presente direttiva non osta a che gli [S]tati membri adottino o mantengano in vigore disposizioni ancora più favorevoli in materia di tutela dei consumatori nel settore da essa disciplinato». La normativa nazionale 8 9 La legge 21 novembre 1991, n. 26, relativa ai contratti conclusi fuori dei locali commerciali (BOE n. 283, del 26 novembre 1991) traspone la direttiva nel diritto spagnolo. L’art. 3 di tale legge prevede che: «1. Il contratto o la proposta contrattuale di cui all’art. 1 devono essere formalizzati per iscritto in doppia copia, unitamente ad un modulo di revoca del consenso, e vanno datati e sottoscritti dal consumatore di proprio pugno. 2. Il documento contrattuale deve presentare in caratteri evidenti, immediatamente sopra allo spazio riservato alla firma del consumatore, un riferimento chiaro e preciso al diritto di quest’ultimo di revocare il consenso accordato, nonché ai presupposti e agli effetti dell’esercizio di tale diritto. 3. Il modulo di revoca del consenso deve recare in caratteri evidenti il titolo “modulo di revoca” e indicare il nome e l’indirizzo della persona cui deve essere inviato nonché gli elementi identificativi del contratto e delle parti contraenti. 4. Una volta sottoscritto il contratto, l’imprenditore o la persona che agisce per suo conto ne trasmette una copia al consumatore insieme al modulo di revoca del consenso. 5. Spetta all’imprenditore provare l’adempimento degli obblighi di cui al presente articolo». 10 L’art. 4 della legge n. 26/1991 riporta le conseguenze del mancato rispetto dei requisiti ex art. 3 della stessa e stabilisce che: «Il contratto stipulato o la proposta formulata in violazione delle condizioni stabilite dall’articolo precedente possono essere annullati su domanda del consumatore. In nessun caso la causa di nullità potrà essere invocata dall’imprenditore, salvo che l’inadempimento sia interamente imputabile al consumatore». 11 Ai sensi dell’art. 9 della legge citata: «I diritti conferiti al consumatore dalla presente legge sono irrinunciabili. Ciononostante, si considereranno valide le clausole contrattuali che risultino più favorevoli per il consumatore». Causa principale e questione pregiudiziale 12 Il 20 maggio 2003 la sig.ra Martín Martín sottoscriveva, presso il suo domicilio, un contratto con un rappresentante dell’EDP avente ad oggetto l’acquisto di 15 volumi di un’opera, di 5 dischi DVD e di un lettore DVD. Tali prodotti le sono stati consegnati il 2 giugno 2003. 13 Non avendo ricevuto i pagamenti per la merce fornita, l’EDP ha chiesto al Juzgado de Primera Instancia n. 1 de Salamanca (Tribunale civile di Salamanca) di emettere un decreto ingiuntivo di pagamento nei confronti della sig.ra Martín Martín reclamando l’importo di EUR 1 861,52, maggiorato degli interessi di mora e delle spese. 59 14 La convenuta, condannata, con decisione 14 giugno 2007, a pagare l’importo richiesto, ha interposto appello dinanzi all’Audiencia Provincial de Salamanca (Corte d’appello di Salamanca). 15 Nell’ordinanza di rinvio l’Audiencia Provincial de Salamanca ritiene, innanzitutto, che il contratto di cui trattasi potrebbe essere dichiarato nullo dal momento che la convenuta non è stata debitamente informata del suo diritto di revoca del proprio consenso entro 7 giorni dal ricevimento della merce né delle condizioni e conseguenze dell’esercizio di tale diritto. Il giudice a quo rileva, tuttavia, che la sig.ra Martín Martín non ha mai fatto valere la nullità, né dinanzi al giudice di primo grado né con il ricorso in appello. 16 Orbene, tenuto conto della circostanza che l’art. 4 della legge n. 26/1991 esige che sia il consumatore a chiedere la dichiarazione di nullità del contratto concluso in violazione delle condizioni fissate all’art. 3 della stessa legge e che, nel diritto spagnolo, nei procedimenti civili di norma vige il cosiddetto principio «dispositivo» («de justicia rogada»), in forza del quale il giudice non può prendere in considerazione d’ufficio fatti, prove e domande non presentati dalle parti, l’Audiencia Provincial de Salamanca si chiede se, per potersi pronunciare sull’appello interposto avverso la decisione di primo grado, debba prendere in considerazione unicamente i motivi dedotti nell’ambito dell’opposizione e nel procedimento d’appello oppure se, invece, le disposizioni della direttiva le consentano di dichiarare d’ufficio l’eventuale nullità del contratto. 17 In tale contesto l’Audiencia Provincial de Salamanca ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se l’art. 153 CE, letto in combinato disposto con gli artt. 3 CE e 95 CE, con l’art. 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU L 364, pag. 1)], nonché con la [direttiva], e in particolare con l’art. 4 di quest’ultima, debba essere interpretato nel senso che consente al giudice investito del ricorso d’appello avverso la sentenza di primo grado di dichiarare d’ufficio la nullità di un contratto rientrante nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva, qualora risulti che tale nullità non è mai stata eccepita in alcun momento dal consumatore convenuto, né nell’ambito dell’opposizione al procedimento ingiuntivo, né in sede di udienza, né nel ricorso di appello». Sulla questione pregiudiziale 18 Con la sua questione l’Audiencia Provincial de Salamanca chiede, in sostanza, se l’art. 4 della direttiva debba essere interpretato nel senso che consente ad un giudice nazionale di rilevare d’ufficio la violazione di tale disposizione e di dichiarare la nullità di un contratto compreso nell’ambito di applicazione della direttiva in parola in quanto il consumatore non è stato informato del suo diritto di recesso, e ciò benché la nullità di cui trattasi non sia mai stata fatta valere dal consumatore dinanzi ai giudici nazionali competenti. 19 Per fornire una soluzione a detta questione occorre, innanzitutto, ricordare che il diritto comunitario, in via di principio, non impone ai giudici nazionali di sollevare d’ufficio un motivo basato sulla violazione di disposizioni comunitarie, qualora l’esame di tale motivo li obblighi ad esorbitare dai limiti della lite quale è stata circoscritta dalle parti, basandosi su fatti e circostanze diversi da quelli che la parte processuale che ha interesse all’applicazione di dette disposizioni ha posto a fondamento della propria domanda (v. in tal senso, in particolare, sentenze 14 dicembre 1995, causa C-430/93, van Schijndel e van Veen, Racc. pag. I-4705, punto 22, nonché 7 giugno 2007, cause riunite da C-222/05 a C-225/05, van der Weerd e a., Racc. pag. I-4233, punto 36). 20 Tale limitazione del potere del giudice nazionale è giustificata dal principio secondo il quale l’iniziativa di un processo spetta alle parti e che, pertanto, il giudice può agire d’ufficio solo in casi eccezionali in cui il pubblico interesse esige il suo impulso (v. citate sentenze van Schijndel e van Veen, punto 21, nonché van der Weerd e a., punto 35). 21 Si deve quindi determinare, in primo luogo, se la disposizione comunitaria di cui alla causa principale, ossia l’art. 4 della direttiva, possa essere considerata come basata su siffatto interesse pubblico. 60 22 In proposito è necessario osservare che, come risulta segnatamente dal quarto e quinto ‘considerando’, la direttiva è volta a tutelare il consumatore contro i rischi derivanti dalle circostanze specifiche inerenti alla conclusione dei contratti fuori dei locali commerciali (sentenza 10 aprile 2008, causa C-412/06, Hamilton, Racc. pag. I-2383, punto 32), i contratti in parola sono caratterizzati dalla circostanza che è di regola il commerciante a prendere l’iniziativa delle trattative e che il consumatore non si è per nulla preparato ad una vendita a domicilio, in particolare confrontando la qualità e il prezzo proposti con altre offerte. 23 È considerando tale squilibrio che la direttiva assicura la tutela del consumatore disponendo, in primis, a suo favore un diritto di recesso. Questo diritto, infatti, mira proprio a compensare gli svantaggi risultanti per il consumatore da una vendita fuori dei locali commerciali, attribuendogli la possibilità, durante almeno sette giorni, di valutare gli obblighi che derivano dal contratto (v., in tal senso, sentenza Hamilton, cit., punto 33). 24 Al fine di rafforzare la tutela del consumatore in una situazione in cui è colto di sorpresa, la direttiva richiede, inoltre, all’art. 4, che il commerciante informi per iscritto il consumatore del suo diritto di rescindere il contratto nonché delle modalità e condizioni relative all’esercizio del diritto di cui trattasi. 25 Infine, dall’art. 5, n. 1, della direttiva risulta che il termine minimo menzionato di sette giorni va calcolato a partire dal momento in cui il consumatore ha ricevuto dal commerciante l’informazione in questione. Siffatta prescrizione, come la Corte ha avuto l’occasione di precisare, si spiega con la considerazione che, se il consumatore non ha conoscenza dell’esistenza di un diritto di recesso, si trova nell’impossibilità di esercitarlo (sentenza 13 dicembre 2001, causa C-481/99, Heininger, Racc. pag. I-9945, punto 45). 26 In altre parole, il sistema di tutela configurato dalla direttiva presuppone non solamente che il consumatore, in quanto parte debole, disponga del diritto di rescindere il contratto, ma anche che abbia contezza dei propri diritti venendone espressamente informato per iscritto. 27 Di conseguenza occorre constatare che l’obbligo d’informazione ex art. 4 della direttiva riveste un ruolo centrale nell’economia generale della stessa, in quanto garanzia essenziale, come osservato dall’avvocato generale ai paragrafi 55 e 56 delle sue conclusioni, di un esercizio effettivo del diritto di recesso e, pertanto, dell’effetto utile della tutela dei consumatori voluta dal legislatore comunitario. 28 Una disposizione del genere, di conseguenza, concerne l’interesse pubblico che, ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 20 della presente sentenza, può giustificare un intervento positivo del giudice nazionale al fine di supplire allo squilibrio esistente fra il consumatore e il commerciante nell’ambito dei contratti conclusi fuori dei locali commerciali. 29 Si deve pertanto considerare che, qualora il consumatore non fosse stato debitamente informato circa il suo diritto di recesso, il giudice nazionale adito può far valere d’ufficio la violazione delle disposizioni dell’art. 4 della direttiva. 30 Ciò posto, al fine di risolvere la questione sottoposta dall’Audiencia Provincial de Salamanca, è necessario, in secondo luogo, apportare alcune precisazioni relativamente alle conseguenze derivanti da una siffatta violazione e, più specificamente, dalla possibilità per il giudice nazionale adito di dichiarare la nullità del contratto concluso senza osservare l’obbligo d’informazione di cui trattasi. 31 A tale proposito la Corte ha avuto l’occasione di precisare che, se l’art. 4, terzo comma, della direttiva attribuisce agli Stati membri la responsabilità di disciplinare gli effetti del mancato rispetto dell’obbligo d’informazione, i giudici nazionali investiti di una controversia fra singoli, devono, dal canto loro, interpretare, per quanto possibile, alla luce del testo e della finalità della direttiva, il complesso delle norme nazionali per giungere a una soluzione conforme all’obiettivo da essa perseguito (v. in particolare, in tal senso, sentenza 25 ottobre 2005, causa C-350/03, Schulte, Racc. pag. I-9215, punti 69, 71 e 102). 61 32 In tale contesto va rilevato, da un lato, che la nozione di «misure appropriate per la tutela dei consumatori» cui si riferisce l’art. 4, terzo comma, della direttiva riconosce alle autorità nazionali un margine discrezionale quanto alla determinazione delle conseguenze da trarre dalla mancanza d’informazione, purché questa discrezionalità sia esercitata in conformità dello scopo principale della direttiva al fine di preservare la tutela riconosciuta ai consumatori in condizioni adeguate con riferimento alle circostanze distintive del caso di specie. 33 D’altro lato, occorre parimenti ricordare che la direttiva procede ad un’armonizzazione minima, poiché, stando ai termini dell’art. 8, essa non osta a che gli Stati membri adottino o mantengano in vigore disposizioni ancora più favorevoli in materia di tutela dei consumatori nel settore da essa disciplinato (v., in tal senso, sentenza Hamilton, cit., punto 48). 34 Di conseguenza, una misura, come quella considerata dal giudice del rinvio, consistente nel dichiarare la nullità del contratto controverso può qualificarsi «appropriata», ai sensi del menzionato art. 4, terzo comma, in quanto sanziona l’inosservanza di un obbligo il cui rispetto, come illustrato ai punti 26 e 27 della presente sentenza, è essenziale ai fini della formazione della volontà del consumatore e della realizzazione del livello di tutela voluto dal legislatore comunitario. 35 Va infine precisato che, da un lato, siffatta conclusione non esclude affatto che altre misure possano ugualmente assicurare il livello di tutela in parola, come, ad esempio, la riapertura dei termini applicabili in materia di recesso dal contratto, in modo da consentire al consumatore di esercitare il diritto attribuitogli dall’art. 5, n. 1, della direttiva. D’altro lato, il giudice nazionale adito potrebbe altresì dover tenere conto, in talune circostanze, della volontà del consumatore di non voler far valere la nullità del contratto in discussione (v., per analogia, sentenza 4 giugno 2009, causa C-243/08, Pannon GSM, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 33). 36 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono occorre risolvere la questione sottoposta nel senso che l’art. 4 della direttiva non osta a che un giudice nazionale dichiari d’ufficio la nullità di un contratto rientrante nell’ambito di applicazione di tale direttiva a causa della circostanza che il consumatore non era stato informato del suo diritto di recesso, anche qualora detta nullità non sia mai stata fatta valere dal consumatore dinanzi ai giudici nazionali competenti. Sulle spese 37 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: L’art. 4 della direttiva del Consiglio 20 dicembre 1985, 85/577/CEE, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali non osta a che un giudice nazionale dichiari d’ufficio la nullità di un contratto rientrante nell’ambito di applicazione di tale direttiva a causa della circostanza che il consumatore non era stato informato del suo diritto di recesso, anche qualora detta nullità non sia mai stata fatta valere dal consumatore dinanzi ai giudici nazionali competenti. 62 SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione) 9 novembre 2010 (*) «Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive figuranti nei contratti stipulati con i consumatori – Criteri di valutazione – Esame d’ufficio, da parte del giudice nazionale, del carattere abusivo di una clausola attributiva di competenza giurisdizionale – Art. 23 dello Statuto della Corte» Nel procedimento C-137/08, avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Budapesti II. és III. kerületi bíróság (Ungheria), con decisione 27 marzo 2008, pervenuta in cancelleria il 7 aprile 2008, nella causa VB Pénzügyi Lízing Zrt. contro Ferenc Schneider, LA CORTE (Grande Sezione), composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts e J.-C. Bonichot (presidenti di sezione), dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta (relatore), dai sigg. M. Ilešič, J. Malenovský, U. Lõhmus, E. Levits, A. Ó Caoimh, L. Bay Larsen e dalla sig.ra P. Lindh, giudici, avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak cancelliere: sig. A. Calot Escobar vista la fase scritta del procedimento, considerate le osservazioni presentate: – per il governo ungherese, dalle sig.re J. Fazekas, R. Somssich, e K. Borvölgyi, nonché dal sig. M. Fehér, in qualità di agenti; – per l’Irlanda, dal sig. D. J. O’Hagan, in qualità di agente, assistito dal sig. A. M. Collins, SC; – per il governo spagnolo, dal sig. J. López-Medel Báscones, in qualità di agente; – per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra C.M. Wissels, in qualità di agente; – per il governo del Regno Unito, dai sigg. S. Ossowski e L. Seeboruth, in qualità di agenti, nonché dal sig. T. de la Mare, barrister; – per la Commissione europea, dai sigg. B.D. Simon e W. Wils, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 luglio 2010, ha pronunciato la seguente 63 Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29; in prosieguo: la «direttiva»). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la VB Pénzügyi Lízing Zrt. (in prosieguo: la «VB Pénzügyi Lízing») e il sig. Schneider in merito ad una domanda di ingiunzione di pagamento. Contesto normativo Il diritto dell’Unione 3 L’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea è formulato nei seguenti termini: «Nei casi contemplati dall’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea la decisione del giudice nazionale che sospende il [procedimento] e si rivolge alla Corte di giustizia è notificata a quest’ultima a cura di tale giudice nazionale. Tale decisione è quindi notificata a cura del cancelliere della Corte alle parti in causa, agli Stati membri e alla Commissione, nonché all’istituzione, all’organo o all’organismo dell’Unione che ha adottato l’atto di cui si contesta la validità o l’interpretazione. Nel termine di due mesi da tale ultima notificazione, le parti, gli Stati membri, la Commissione e, quando ne sia il caso, l’istituzione, l’organo o l’organismo dell’Unione che ha adottato l’atto di cui si contesta la validità o l’interpretazione ha il diritto di presentare alla Corte memorie ovvero osservazioni scritte. (…)». 4 5 Ai sensi del suo art. 1, n. 1, la direttiva è volta a «ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore». L’art. 3, nn. 1 e 2 della direttiva dispone quanto segue: «1. Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto. 2. Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto. (...)». 6 L’art. 3, n. 3, della direttiva fa riferimento all’allegato di quest’ultima che contiene un «elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive». Il n. 1 di predetto allegato riguarda le «[c]lausole che hanno per oggetto o per effetto di: (...) 64 q) 7 sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali o vie di ricorso del consumatore (...)». Ai termini dell’art. 6, n. 1, della direttiva: «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive». 8 L’art. 7, nn. 1 e 2, della direttiva sancisce: «1. Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori. 2. I mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che permettano a persone o organizzazioni, che a norma del diritto nazionale abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori, di adire, a seconda del diritto nazionale, le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi competenti affinché stabiliscano se le clausole contrattuali, redatte per un impiego generalizzato, abbiano carattere abusivo ed applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di siffatte clausole». Il diritto nazionale 9 All’epoca dei fatti della causa principale erano applicabili il codice civile, nella sua versione risultante dalla legge n. III del 2006, e il decreto governativo n. 18/1999, relativo alle clausole ritenute abusive nei contratti stipulati con un consumatore. 10 Ai sensi dell’art. 209/A, n. 2, del codice civile, in un contratto stipulato con un consumatore, una clausola abusiva che è stata predisposta come clausola contrattuale generale, o preventivamente e unilateralmente dalla controparte del consumatore senza che sia stata negoziata individualmente, è nulla. 11 Il decreto governativo n. 18/1999 suddivide le clausole contrattuali in due categorie. Rientrano nella prima categoria le clausole contrattuali la cui inserzione nei contratti conclusi con i consumatori è vietata e che, di conseguenza, sono nulle di pieno diritto. La seconda categoria raggruppa le clausole considerate abusive finché non sia fornita prova contraria; l’autore di siffatte clausole può confutare tale presunzione. 12 L’art. 155/A, n. 2, della legge relativa alla procedura civile così dispone: «Il tribunale decide di deferire alla Corte di giustizia delle Comunità europee una questione pregiudiziale con ordinanza e sospende contemporaneamente il giudizio. Nella sua ordinanza, il tribunale formula la questione sottoposta alla Corte di giustizia onde ottenere una decisione in via pregiudiziale e comunica i fatti e la normativa ungherese pertinenti, nella misura necessaria affinché la Corte possa risolvere la questione sollevata. Il tribunale notifica la sua ordinanza alla Corte e contemporaneamente la invia, per informazione, al Ministro della giustizia». 13 Ai sensi dell’art. 164, n. 1, della detta legge, la prova degli elementi di fatto necessari per dirimere la controversia grava, in via generale, sulla parte che ha interesse a che il giudice li accerti come verificatisi. Il n. 2 del medesimo articolo prevede che il giudice possa disporre d’ufficio misure istruttorie ove consentito dalla legge. Causa principale e questioni pregiudiziali 65 14 In data 14 aprile 2006, le parti della controversia principale hanno stipulato un contratto di mutuo destinato a finanziare l’acquisto di un autoveicolo. 15 Allorché il sig. Schneider ha cessato di adempiere ai suoi obblighi contrattuali, la VB Pénzügyi Lízing ha risolto il contratto di mutuo e ha adito il giudice del rinvio al fine di ottenere il rimborso di un credito pari a HUF 317 404, nonché il pagamento degli interessi di mora sull’importo non corrisposto e delle spese processuali. 16 La VB Pénzügyi Lízing non ha presentato la sua domanda di ingiunzione di pagamento dinanzi al giudice competente nella cui circoscrizione il sig. Schneider ha la propria residenza, ma si è avvalsa della clausola attributiva di competenza giurisdizionale inserita nel suddetto contratto di mutuo, la quale sottopone un’eventuale controversia tra le parti alla competenza del giudice del rinvio. 17 L’ingiunzione richiesta è stata pronunciata nell’ambito di un procedimento cosiddetto «non contraddittorio», che non esige che il giudice interessato tenga un’udienza o senta la controparte. Al momento dell’adozione dell’ingiunzione di cui trattasi, il giudice del rinvio non si è interrogato sulla propria competenza territoriale e neppure sulla clausola attributiva di competenza giurisdizionale contenuta nel contratto di mutuo. 18 Il sig. Schneider ha presentato un’opposizione contro tale ingiunzione di pagamento dinanzi al giudice del rinvio, senza precisarne tuttavia i motivi. L’opposizione ha avuto come conseguenza giuridica di rendere la procedura contraddittoria e questa si è dunque svolta conformemente al diritto processuale civile comune. 19 Il suddetto giudice del rinvio ha constatato che la residenza del sig. Schneider non si trovava nella propria circoscrizione territoriale, allorché le norme di procedura civile prevedono che il giudice territorialmente competente a conoscere di una controversia, come quella di cui è stato investito, sia quello nella cui circoscrizione si trova la residenza del convenuto. 20 In tale contesto il Budapesti II. és III. kerületi bíróság (Tribunale dei distretti II e III di Budapest) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se la tutela dei consumatori garantita dalla direttiva (...) richieda che il giudice nazionale valuti d’ufficio – indipendentemente dalla natura del procedimento, sia esso o meno contraddittorio – anche senza una specifica richiesta al riguardo, nell’ambito dell’esame della sua competenza territoriale, il carattere abusivo di una clausola contrattuale ad esso sottoposta. 2) In caso di risposta positiva alla prima questione, quali aspetti possa prendere in considerazione il giudice nazionale nel contesto di tale esame, in particolare quando una clausola contrattuale non attribuisce la competenza territoriale all’organo giurisdizionale nella cui circoscrizione si trova la sede del professionista ma a un altro organo giurisdizionale, sebbene ubicato nelle vicinanze di tale sede. 3) Se, ai sensi dell’art. 23, primo comma, dello [Statuto della Corte], sia esclusa la possibilità che il giudice nazionale informi d’ufficio relativamente al procedimento pregiudiziale il Ministro della giustizia del suo stesso Stato membro, contemporaneamente all’avvio del procedimento in questione». Procedimento dinanzi alla Corte 66 21 Con decisione del Presidente della Corte 13 febbraio 2009, la trattazione della causa è stata sospesa fino alla pronuncia della sentenza 4 giugno 2009, causa C-243/08, Pannon GSM (Racc. pag. I-4713). 22 In seguito alla pronuncia di suddetta sentenza, in data 2 luglio 2009, il giudice del rinvio ha comunicato alla Corte che non considerava più necessario che essa risolvesse la prima e la seconda delle questioni sottoposte nella sua decisione 27 marzo 2008. Per contro, tale giudice ha dichiarato che desiderava ancora ottenere la soluzione della terza questione. 23 Inoltre, detto giudice si interroga sul ruolo della Corte, allorquando si tratta di garantire l’applicazione uniforme, in tutti gli Stati membri, del livello di protezione dei diritti dei consumatori prescritto dalla direttiva. A tal riguardo, esso dichiara di dedurre dai punti 34 e 35 della citata sentenza Pannon GSM che le caratteristiche specifiche del procedimento giurisdizionale che si svolge nel contesto del diritto nazionale tra il professionista e il consumatore non possono costituire un elemento atto a limitare la tutela giuridica di cui deve godere il consumatore in forza delle disposizioni della direttiva. Dai summenzionati punti 34 e 35 emergerebbe segnatamente che il giudice nazionale deve esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale non appena disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine. 24 Orbene, ad avviso del giudice del rinvio, le indicazioni fornite dalla Corte nei punti rilevanti della citata sentenza Pannon GSM non permetterebbero di definire la questione se il giudice nazionale possa esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale soltanto quando disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tale effetto o se, al contrario, l’esame d’ufficio di tale carattere abusivo implichi anche che, nell’ambito di quest’ultimo, il giudice nazionale sia tenuto ad accertare d’ufficio gli elementi di fatto e di diritto necessari per il suddetto esame. 25 Alla luce di queste considerazioni, il Budapesti II. és III. kerületi bíróság ha deciso di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali a titolo integrativo: «1) Se la Corte, ai sensi dell’art. [267 TFUE] abbia la competenza anche per interpretare la nozione di «clausola abusiva» di cui all’art. 3, n. 1, della direttiva (...), nonché le clausole elencate nell’allegato della medesima direttiva. 2) In caso di risposta positiva, se la domanda di pronuncia pregiudiziale con la quale si domanda una siffatta interpretazione possa vertere, nell’interesse di un’applicazione uniforme in tutti gli Stati membri del livello di tutela dei diritti dei consumatori garantito dalla direttiva (...), sulla questione relativa a quali siano gli aspetti che il giudice nazionale può o deve tenere in considerazione allorché i criteri generali stabiliti dalla direttiva vadano applicati ad una specifica clausola individuale. 3) Se il giudice nazionale che ravvisi autonomamente la possibile sussistenza di una clausola contrattuale abusiva possa, d’ufficio, effettuare un’indagine volta ad accertare gli elementi di diritto e di fatto necessari a compiere tale valutazione, laddove il diritto processuale nazionale ammetta un siffatto esame solo su richiesta delle parti e una siffatta richiesta non sia stata avanzata». Sulle questioni pregiudiziali Sulla terza questione sollevata inizialmente 26 Con tale questione, il giudice del rinvio si interroga sul fatto se l’art. 23, primo comma, dello Statuto della Corte, osti ad una disposizione di diritto nazionale ai sensi della quale il giudice 67 che avvia un procedimento di rinvio pregiudiziale ne informa contemporaneamente, d’ufficio, il Ministro della giustizia. 27 A tale riguardo, va rilevato che l’art. 23, primo comma, dello Statuto della Corte, che prevede che la decisione del giudice nazionale che sospende il procedimento e adisce la Corte venga notificata a quest’ultima a cura di tale giudice nazionale e che detta decisione venga poi notificata a cura del cancelliere della Corte, tra l’altro e a seconda dei casi, alle parti in causa, agli Stati membri e alla Commissione, nonché ad altre istituzioni, organi o organismi dell’Unione, non contiene alcuna indicazione relativa ad altre misure informative che possono essere adottate dal giudice nazionale nell’ambito della sua decisione di adire la Corte con un rinvio pregiudiziale. 28 Al fine di risolvere la questione deferita, va sottolineato che il sistema posto in essere dall’art. 267 TFUE, per assicurare l’unità dell’interpretazione del diritto dell’Unione negli Stati membri, istituisce una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali attraverso un procedimento estraneo ad ogni iniziativa delle parti (v. sentenze 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani, Racc. pag. I-4025, punto 31; 12 febbraio 2008, causa C-2/06, Kempter, Racc. pag. I-411, punto 41, nonché 16 dicembre 2008, causa C-210/06, Cartesio, Racc. pag. I-9641, punto 90). 29 Infatti, il rinvio pregiudiziale poggia su un dialogo tra giudici, il cui avvio si basa interamente sulla valutazione della pertinenza e della necessità del detto rinvio compiuta dal giudice nazionale (v. citate sentenze Kempter, punto 42 e Cartesio, punto 91). 30 In considerazione dei summenzionati principi sottesi al meccanismo pregiudiziale e alla luce della questione posta, occorre determinare se l’obbligo di informazione di cui trattasi possa avere un’incidenza sulle facoltà di cui dispongono i giudici nazionali in forza dell’art. 267 TFUE. 31 A tale proposito, non sembra che un obbligo, come quello di cui trattasi nella causa principale, possa essere considerato un’ingerenza nel meccanismo di dialogo giurisdizionale istituito dall’art. 267 TFUE. 32 Infatti, l’obbligo imposto ai giudici nazionali dello Stato membro interessato di informare il Ministro della giustizia, al momento della trasmissione della decisione di rinvio alla Corte, non costituisce un presupposto per un siffatto rinvio. Pertanto, esso non può incidere sul diritto di detti giudici di introdurre una domanda di pronuncia pregiudiziale né ledere le prerogative ad essi conferite in forza dell’art. 267 TFUE. 33 Peraltro, non risulta che un’eventuale violazione di tale obbligo di informazione comporti conseguenze giuridiche che possano sovrapporsi alla procedura di cui all’art. 267 TFUE. 34 Inoltre, e come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 74 delle sue conclusioni, non è stato dedotto alcun indizio dal quale si possa desumere che, a causa dell’obbligo di informazione di cui trattasi, i giudici nazionali dello Stato membro interessato potrebbero essere dissuasi dall’adire la Corte con un rinvio pregiudiziale. 35 Di conseguenza, la terza questione posta inizialmente va risolta nel senso che l’art. 23, primo comma, dello Statuto della Corte non osta a una disposizione di diritto nazionale ai sensi della quale il giudice che avvia un procedimento di rinvio pregiudiziale ne informa contemporaneamente, d’ufficio, il Ministro della giustizia dello Stato membro interessato. Sulla prima e sulla seconda questione sollevate a titolo integrativo 68 36 Con tali questioni, che vanno esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede se l’art. 267 TFUE debba essere interpretato nel senso che la competenza della Corte verte sull’interpretazione della nozione di «clausola abusiva», di cui all’art. 3, n. 1, della direttiva e all’allegato di quest’ultima, nonché sui criteri che possono o devono essere applicati dal giudice nazionale nell’ambito dell’esame di una clausola contrattuale con riguardo alle disposizioni della direttiva. 37 Al fine di risolvere le suddette questioni, va rammentato che la procedura delineata dall’art. 267 TFUE configura uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, grazie al quale la prima fornisce ai secondi gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione ad essi necessari per la soluzione delle controversie che sono chiamati a dirimere (v., in particolare, sentenze 8 novembre 1990, causa C-231/89, Gmurzynska-Bscher, Racc. pag. I-4003, punto 18, e 12 marzo 1998, causa C-314/96, Djabali, Racc. pag. I-1149, punto 17). 38 Per quanto riguarda le disposizioni del diritto dell’Unione che possono formare oggetto di una sentenza della Corte a norma dell’art. 267 TFUE, va rammentato che quest’ultima è competente a statuire sull’interpretazione dei trattati e degli atti emanati dalle istituzioni, organi o enti dell’Unione senza eccezione alcuna (v. sentenze 13 dicembre 1989, causa C-322/88, Grimaldi, Racc. pag. 4407, punto 8, e 11 maggio 2006, causa C-11/05, Friesland Coberco Dairy Foods, Racc. pag. I-4285, punti 35 e 36). 39 Di conseguenza e per quanto riguarda una normativa che fa parte del diritto dell’Unione, la Corte può essere chiamata da un giudice nazionale ad interpretare le nozioni contenute in un istituto di diritto derivato, quale la nozione di «clausola abusiva», menzionata dalla direttiva e dal suo allegato. 40 A tale proposito, la Corte ha statuito che gli artt. 3, n. 1, e 4, n. 1, della direttiva definiscono, nel loro complesso, i criteri generali che permettono di valutare la natura abusiva delle clausole contrattuali soggette alle disposizioni della direttiva (v. sentenza 3 giugno 2010, causa C-484/08, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 33, e giurisprudenza ivi citata). 41 Peraltro, una questione analoga è stata sollevata nell’ambito del rinvio pregiudiziale che ha dato luogo alla citata sentenza Pannon GSM, nel senso che, nella causa all’origine di tale sentenza, il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di fornirgli indicazioni in merito agli elementi che il giudice nazionale deve prendere in considerazione al fine di valutare l’eventuale carattere abusivo di una clausola contrattuale. 42 A tale riguardo, ai punti 37-39 della predetta sentenza, la Corte ha rilevato che l’art. 3 della direttiva definisce solo in modo astratto gli elementi che conferiscono un carattere abusivo ad una clausola contrattuale che non è stata oggetto di un negoziato individuale, che l’allegato cui rinvia l’art. 3, n. 3, della direttiva contiene solo un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive e che, a norma dell’art. 4 della direttiva, il carattere abusivo di una clausola contrattuale dev’essere valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione. 43 In tale contesto, nella soluzione apportata alla suddetta questione, la Corte ha precisato che spetta al giudice nazionale stabilire se una clausola contrattuale soddisfi i criteri richiesti per essere qualificata come «abusiva» ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva e che, a tal fine, il giudice nazionale deve tener conto del fatto che può essere considerata abusiva una clausola contenuta in un contratto concluso tra un consumatore e un professionista che sia stata inserita senza essere stata oggetto di negoziato individuale e attribuisca la competenza 69 esclusiva al tribunale nella cui circoscrizione è ubicata la sede del professionista (v. sentenza Pannon GSM, cit., punto 44). 44 La prima e la seconda questione, poste a titolo integrativo, vanno dunque risolte dichiarando che l’art. 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che la competenza della Corte verte sull’interpretazione della nozione di «clausola abusiva», di cui all’art. 3, n. 1, della direttiva e all’allegato della medesima, nonché sui criteri che il giudice nazionale può o deve applicare in sede di esame di una clausola contrattuale con riguardo alle disposizioni della direttiva, fermo restando che spetta al suddetto giudice pronunciarsi, in base ai criteri sopra citati, sulla qualificazione concreta di una specifica clausola contrattuale in funzione delle circostanze proprie del caso di specie. Sulla terza questione posta a titolo integrativo 45 Con tale questione, formulata in termini molto generici, il giudice del rinvio cerca di definire le responsabilità che gli incombono, in forza delle disposizioni della direttiva, dal momento in cui egli si interroga sul carattere eventualmente abusivo di una clausola contrattuale attributiva della competenza giurisdizionale territoriale esclusiva. Detto giudice chiede segnatamente se, in una situazione del genere, il giudice nazionale sia tenuto a procedere ad un’istruttoria d’ufficio, al fine di accertare gli elementi di fatto e di diritto necessari per valutare l’esistenza di una siffatta clausola, nell’ipotesi in cui il diritto nazionale preveda una tale istruttoria soltanto su istanza di una delle parti. 46 Per rispondere alla questione posta, va ricordato che, come emerge da una giurisprudenza costante, il sistema di tutela istituito dalla direttiva è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte preventivamente dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse (v. sentenze 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, Racc. pag. I-4941, punto 25; 26 ottobre 2006, causa C-168/05, Mostaza Claro, Racc. pag. I-10421, punto 25, nonché 6 ottobre 2009, causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones, Racc. pag. I-9579, punto 29). 47 La Corte ha altresì statuito che, in considerazione di siffatta situazione di inferiorità, l’art. 6, n. 1, della stessa direttiva prevede che le clausole abusive non vincolino i consumatori. Come si evince dalla giurisprudenza, si tratta di una norma imperativa che mira a sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti un equilibrio reale, atto a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime (sentenze Mostaza Claro, cit., punto 36, e Asturcom Telecomunicaciones, punto 30). 48 Per garantire la tutela voluta dalla direttiva, la Corte ha sottolineato che la situazione di disuguaglianza tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale (v. sentenze cit. Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, punto 27, Mostaza Claro, punto 26, nonché Asturcom Telecomunicaciones, punto 31). 49 Pertanto, nell’ambito delle funzioni che gli incombono in forza delle disposizioni della direttiva, il giudice nazionale deve verificare se una clausola del contratto, che forma oggetto della controversia di cui è investito, rientri nell’ambito di applicazione della direttiva in parola. In caso affermativo, detto giudice è tenuto a valutare, se necessario d’ufficio, suddetta clausola alla luce dei requisiti di tutela del consumatore previsti dalla direttiva in esame. 50 Per quanto riguarda la prima fase dell’esame che il giudice nazionale deve effettuare, dal combinato disposto degli artt. 1 e 3 della direttiva emerge che quest’ultima si applica ad ogni clausola attributiva della competenza giurisdizionale territoriale esclusiva, inserita in un 70 contratto concluso tra un professionista e un consumatore, che non sia stata oggetto di un negoziato individuale. 51 Per garantire l’efficacia della tutela dei consumatori voluta dal legislatore dell’Unione, il giudice nazionale deve dunque, in tutti i casi e a prescindere dalle norme di diritto interno, determinare se la clausola controversa sia stata o meno oggetto di un negoziato individuale tra un professionista e un consumatore. 52 Per quanto riguarda la seconda fase dell’esame di cui trattasi, va rilevato che la clausola del contratto, che forma oggetto della controversia principale, prevede, come rilevato dal giudice del rinvio, la competenza territoriale esclusiva di un giudice che non è quello nella cui circoscrizione si trova la residenza del convenuto, né quello nella cui circoscrizione è ubicata la sede della ricorrente, ma quello che si trova in prossimità della sede di quest’ultima tanto sul piano geografico quanto dal punto di vista dei collegamenti. 53 Per quanto riguarda una clausola che era stata inserita in un contratto concluso tra un consumatore ed un professionista senza essere stata oggetto di negoziato individuale e volta ad attribuire una competenza esclusiva al tribunale nel cui foro si trovava la sede del professionista, al punto 24 della citata sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, la Corte ha statuito che una siffatta clausola deve essere considerata abusiva, ai sensi dell’art. 3 della direttiva, se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina a danno del consumatore un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto. 54 Va rilevato che la clausola in merito alla quale il giudice nazionale si interroga nella causa principale, alla stregua di una clausola volta ad attribuire la competenza per tutte le controversie derivanti dal contratto al giudice nella cui circoscrizione si trova la sede del professionista, impone al consumatore l’obbligo di assoggettarsi alla competenza esclusiva di un tribunale che può essere lontano dal suo domicilio, il che può rendergli più difficoltosa la comparizione in giudizio. Nel caso di controversie di valore limitato, le spese di comparizione del consumatore potrebbero risultare dissuasive e indurlo a rinunciare a qualsiasi azione o difesa. Siffatta clausola rientra pertanto nella categoria di quelle che hanno lo scopo o l’effetto di sopprimere o ostacolare l’esercizio di azioni legali da parte del consumatore, categoria contemplata al punto 1, lett. q), dell’allegato della direttiva (v. sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, cit., punto 22). 55 Inoltre, una siffatta clausola attributiva di competenza giurisdizionale esclusiva consente al professionista di concentrare tutto il contenzioso attinente alla sua attività professionale dinanzi ad un unico giudice, che non è quello del foro del consumatore, il che agevola la comparizione in giudizio di suddetto professionista e, al contempo, rende quest’ultima meno onerosa (v., in tal senso, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, cit., punto 23). 56 Pertanto, la terza questione posta a titolo integrativo va risolta nel senso che il giudice nazionale deve adottare d’ufficio misure istruttorie al fine di accertare se una clausola attributiva di competenza giurisdizionale territoriale esclusiva contenuta nel contratto, che costituisce l’oggetto della controversia di cui è investito e che è stato concluso tra un professionista e un consumatore, rientri nell’ambito di applicazione della direttiva e, in caso affermativo, valutare d’ufficio il carattere eventualmente abusivo di una siffatta clausola. Sulle spese 57 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le 71 spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 1) L’art. 23, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea non osta a una disposizione di diritto nazionale ai sensi della quale il giudice che avvia un procedimento di rinvio pregiudiziale ne informa contemporaneamente, d’ufficio, il Ministro della giustizia dello Stato membro interessato. 2) L’art. 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che la competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea verte sull’interpretazione della nozione di «clausola abusiva», di cui all’art. 3, n. 1, della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, e all’allegato della medesima, nonché sui criteri che il giudice nazionale può o deve applicare in sede di esame di una clausola contrattuale con riguardo alle disposizioni della direttiva, fermo restando che spetta al suddetto giudice pronunciarsi, in base ai criteri sopra citati, sulla qualificazione concreta di una clausola contrattuale particolare in funzione delle circostanze proprie del caso di specie. 3) Il giudice nazionale deve adottare d’ufficio misure istruttorie al fine di accertare se una clausola attributiva di competenza giurisdizionale territoriale esclusiva contenuta nel contratto, che costituisce l’oggetto della controversia di cui è investito e che è stato concluso tra un professionista e un consumatore, rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in caso affermativo, valutare d’ufficio il carattere eventualmente abusivo di una siffatta clausola. 72