Anno III – Numero 469
Giovedì 04 Settembre 2014, S. Rosalia, Rosa
AVVISO
Ordine
1. UCFI: lunedì 8
settembre riunione
presso la sede
dell’Ordine.
2. Ordine: nuovo sito web
Notizie in Rilievo
Scienza e Salute
3. Chirurgia plastica:
da Aicpe un decalogo
su falsi miti
4. Cancro seno,
scoperta proteina con
un ruolo cruciale
5. Il pacemaker del
futuro, un orologio da
polso alimentato dai
battiti

Prevenzione e
Salute
6. Aiuto, non so dov’è la
mia vagina!
7. La frutta protegge il
cuore, riduce i rischi
infarto e ictus

Alimenti e Salute
8. Nate in laboratorio le
prime arachidi
antiallergia

Domande e
Risposta
9. Perché si dice
"prendere un granchio"?
Proverbio di oggi……..
Chello ca nun se pava, nun se stima.
Spesso non si apprezza ciò che non è costato soldi e fatica. Si sa che
quello che conquistiamo con difficoltà ci rende più orgogliosi.
Adesso che non abbiamo più affari in comune, non siamo più soci?
ORDINE: UNIONE DEI FARMACISTI
CATTOLICI – SEZ. NAPOLI
L’Unione dei Farmacisti Cattolici Italiani di Napoli (UCFI –
sez. Napoli) riprende il proprio cammino. Lunedì 8
Settembre riunione presso la sede dell’Ordine, h. 21.00
L’associazione UCFI di Napoli si riunirà Lunedì 8 settembre presso la sede
dell’Ordine per programmare le attività da svolgere nei prossimi mesi. Tutti
i Colleghi interessati possono partecipare.
PERCHÉ SI DICE
"PRENDERE UN GRANCHIO"?
Significa
sbagliarsi,
commettere un
errore
grossolano, ingannarsi. Non si direbbe, ma ha a che vedere con
il fidanzamento e il matrimonio.
Sbagliarsi, commettere un errore grossolano,
ingannarsi. Prendere un granchio – o anche
“prendere un gambero” – è un’espressione diffusa
in molti dialetti e con significati vari. Uno dei più
ricorrenti riguarda il fidanzamento e il
matrimonio. Il granchio è il rifiuto della donna,
dunque essere respinti è “prendere il granchio” (un po’ come “due di picche”).
PER ESTENSIONE. L’espressione si è ampliata ed è arrivata poi a indicare
qualsiasi tipo di strafalcione, di aspettativa disillusa, di valutazione sbagliata.
Altre immagini hanno concorso a formare questo modo di dire: il camminare
all’indietro del granchio (come il gambero) e l’immagine del pescatore che tira
su la rete sperando che sia piena di pesci trovandovi, invece, soltanto un
granchio. (Focus)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 469
PREVENZIONE E SALUTE
AIUTO, NON SO DOV’È LA MIA VAGINA!
Una recente indagine europea svela che la metà delle giovani donne non sa dove si
trova la vagina. Una situazione che dimostra come l’educazione sessuale e la
conoscenza anche soltanto anatomica siano disastrose, nonostante si sia nel XXI
secolo e nell’era dell’always connected, con tanto di
sovraccarico di informazioni.
Fa più sorridere o c’è da mettersi le mani in testa? Giudicate voi,
dopo aver letto dell’indagine europea che ha messo in evidenza come
la metà delle giovani donne di età compresa tra i 26 e i 35 anni non
sanno contrassegnare – in sostanza, individuare – una vagina su un
semplice diagramma medico anatomico riproducente gli apparati
uro-genitale e riproduttivo.
Ma non basta: difatti il 65% ha addirittura problemi d’imbarazzo con
termini quali vagina, vulva e così via.
La ricerca che ha messo in evidenza le lacune e i tabù di molte giovani donne è stata condotta
dall’istituzione britannica Eve Appeal, un’organizzazione che si occupa di cancro nelle donne.
L’indagine ha per es. dimostrato che una donna su cinque, di età compresa tra i 16 e i 26 anni, non è
stata in grado di nominare un solo corretto sintomo di uno dei cinque tumori ginecologici più diffusi
tra le donne, mentre quasi il 40% di esse ha utilizzato dei giri di parole come “parti femminili”, “punti
femminili”, per nominare gli organi sessuali, anziché i nomi corretti come vagina, vulva, utero eccetera.
Lo studio ha inoltre trovato che più di una donna su 10, di età compresa tra i 16 e i 35 anni, è in
imbarazzo nel chiedere aiuto ai medici per quel che riguarda i problemi ginecologici.
Quasi un terzo, poi, non si è addirittura mai sottoposta a visita medica, sempre a causa
dell’imbarazzo.
L’indagine mostra dunque che vi è un netto contrasto con quanto popolarmente ritenuto, ossia che la
società moderna sia più aperta verso certe questioni, e che dovrebbe essere molto più facile per le
donne delle nuove generazioni parlare di salute ginecologica.
E, sebbene quasi tre quarti di tutte le donne intervistate attraverso ogni fascia d’età fossero d’accordo
con questa affermazione, i risultati hanno mostrato il contrario.
In più, oltre il 60% delle donne intervistate ha detto di pensare che le giovani donne sapessero di più
sulla salute ginecologica rispetto alle donne più anziane, ma i fatti hanno dimostrato anche in questo
caso il contrario: le donne anziane di età compresa tra i 66 e i 75 anni erano molto più istruite sui
loro corpi, con otto su dieci donne in grado di contrassegnare correttamente le ovaie, e quasi nove su
dieci indicare il grembo materno.
«Alla Eve Appeal sappiamo quanto sia importante promuovere per le donne di tutte le età il diritto
parlare dei segni e dei sintomi dei tumori ginecologici, e questa indagine ha messo in luce quanta
strada dobbiamo ancora percorrere per far sì che questo avvenga.
Questi tumori sono alcuni dei peggiori per le donne, con un tasso di mortalità del 40%. Comprendere i
sintomi può salvare la vita, che è il motivo per cui stiamo sollecitando le donne durante questo
Gynaecological Cancer Awareness a parlare più apertamente di questi temi salvavita».
Nell’era del “sempre connesso”, del libero accesso a una miriade di informazioni, la realtà dei fatti
dimostra dunque che siamo per contro sempre più ignoranti – nel senso che ignoriamo – su molti fatti
che invece andrebbero conosciuti a fondo. Ora possiamo sorridere o metterci le mani in testa.
(Salute, La Stampa)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 469
SCIENZA E SALUTE
CHIRURGIA PLASTICA:
DA AICPE UN DECALOGO SU FALSI MITI
La chirurgia plastica e' un argomento che fa discutere, anche se spesso se ne parla
in modo improprio: per questo l'Associazione Italiana di Chirurgia Plastica
Estetica (Aicpe) ha stilato una lista delle convinzioni errate più diffuse sul tema.
Il primo falso mito sfatato dagli esperti e' quello secondo il quale i
risultati della chirurgia plastica sono facce gonfie e corpi artificiali.
"La chirurgia plastica ben fatta da' risultati naturali e non artefatti, ha
detto Pierfrancesco Cirillo, segretario dell'Aicpe.
Secondo mito da sfatare: e' troppo cara. "Grazie alla tecnologia, ci sono
molte procedure non invasive accessibili a piu' persone".
Terzo: le minorenni fanno la coda dai chirurghi plastici. "In Italia le
richieste di interventi per motivi estetici da parte di minorenni - sono
fortunatamente davvero rarissime. Nel 2013 secondo i dati raccolti da Aicpe, solo lo 0,4 % del totale
degli interventi di chirurgia estetica in Italia ha riguardato minorenni".
Una quarta credenza errata è che le cicatrici siano molto visibili. "Tutti gli interventi chirurgici lasciano
delle cicatrici. I chirurghi plastici certificati, tuttavia, sono esperti proprio nell'aspetto estetico e quindi
cercano di nasconderle e minimizzarle, qualunque sia la procedura".
Quinto: liposuzione uguale dimagrimento. "La liposuzione non e' un'alternativa a una perdita di peso
permanente, ma e' un intervento che serve a ridefinire i contorni del corpo, eliminando il grasso in
eccesso accumulatosi localmente", ha precisato Cirillo.
Sesto: un medico vale l'altro. Per l'Aicpe bisogna assicurarsi che sia preparato.
Settimo: Altra notizia non corretta: le protesi al seno non sono sicure. "I controlli sono frequenti e
continui ed ormai ' scientificamente dimostrato che non esistono relazioni con l'insorgenza di cancro o
altre malattie", ha detto Cirillo.
Ottavo: Si dice inoltre che con le protesi non si può allattare al seno, invece molte donne lo fanno.
Nono: Altro falso mito è che la chirurgia plastica sia troppo rischiosa. Come tutte le procedure
chirurgiche, secondo l'Aicpe, non bisogna mai dimenticare che anche quelle di chirurgia plastica hanno
dei rischi, che sono minori se ci si rivolge a un chirurgo plastico certificato. (Agi)
NATE IN LABORATORIO LE PRIME ARACHIDI
ANTIALLERGIA
Ricercatori della scuola di agricoltura del North Carolina hanno creato le prime
noccioline anti-allergiche mai esistite.
Il prodotto, che verrà commercializzato dall'azienda Xemerge, contiene
livelli bassissimi delle componenti allergiche e potrebbe venire utilizzato
su di una quantità di alimenti vastissima, ed estremamente popolari
specialmente negli Stati Uniti dove il burro di noccioline fa parte del
menù quotidiano. «Si tratta di uno dei prodotti tecnologicamente più
avanzati nel campo dell'industria alimentare che abbia mai visto - è un composto non organicamente
modificato, non cambia le caratteristiche ed il sapore delle noccioline, ne mantiene la funzionalità ed i
valori nutritivi, ed abbiamo dati provenienti da sperimentazioni cliniche».
Jianmei Yu e il suo team di scienziati all'univ. del North Carolina sono riusciti a rimuovere la maggior
parte delle componenti allergiche, immergendo le noccioline in una soluzione enzimatica. (Il Mattino)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 469
LA FRUTTA PROTEGGE IL CUORE,
RIDUCE I RISCHI INFARTO E ICTUS
A prescindere dal tipo, è uno scudo per le patologie cardiovascolari
Che siano mele, fragole o mirtilli non importa. Il consumo della frutta protegge il cuore, riducendo il
rischio di infarto, ictus ischemico ed emorragico. Lo ha
dimostrato uno studio della University of Oxford
presentato al congresso della Società europea di
cardiologia di Barcellona.
Ricerca durata sette anni - L'analisi è stata condotta per
sette anni su una popolazione di quasi mezzo milione di
persone in Cina. Il 18% dei partecipanti aveva un consumo
quotidiano, in media di circa 150 grammi, mentre il 6,3%
ha dichiarato di non mangiarne mai.
"Più se ne mangia, più il rischio cala" - Nel gruppo più "salutista" il rischio di malattie
cardiovascolari è risultato più basso rispetto a quello con il consumo minore, rispettivamente del 15%
per l'infarto, del 25% per l'ictus ischemico e del 40% per quello emorragico.
Anche dal punto di vista del rischio complessivo di morte il consumo di frutta si è rivelato protettivo,
con un calo del 32% rispetto a chi non la mangia mai.
Huaidong Du, l'autore principale dello studio, ha affermato: "Questi dati dimostrano chiaramente che
il consumo di frutta fresca riduce il rischio cardiovascolare. Non solo, più se ne mangia più il rischio
cala". (Salute, Tgcom24)
CANCRO SENO,
SCOPERTA PROTEINA CON UN RUOLO CRUCIALE
Potrà portare allo sviluppo di futuri farmaci per bloccare il tumore
E' stato identificato dai ricercatori dell'Istituto nazionale tumori di Milano un nuovo meccanismo
responsabile delle metastasi nel cancro al seno. Alla base di tutto c'è
una proteina chiamata osteopontina. Pubblicato sulla rivista scientifica
Cancer Research, per gli esperti si tratta di un meccanismo di vitale
importanza per comprendere come si diffonde e potrà aiutare a
migliorare la ricerca di una cura più efficace.
Il ruolo chiave di una proteina - Alla base di tutto c'è una proteina
chiamata osteopontina, normalmente presente al di fuori delle cellule.
Questa regola diversi processi fisiologici, tra cui la stessa sopravvivenza
cellulare. Il ruolo di questa molecola, nel tumore, è però duplice.
I ricercatori spiegano: "L'osteopontina prodotta dalla cellula tumorale ne assicura la sopravvivenza in
un ambiente ostile mentre quella trattenuta all'interno dei globuli bianchi contribuisce a proteggere le
cellule tumorali che stanno formando la metastasi dall'attacco del sistema immunitario".
Scoperta utile per futuri farmaci - Lo studio, condotto prima in laboratorio su animali, è stato poi
esteso all'analisi delle metastasi polmonari di pazienti con carcinoma al seno. In queste metastasi è
stata confermata la presenza di cellule contenenti osteopontina.
Gli scienziati concludono: "Questa scoperta sarà rilevante per sviluppare futuri farmaci in grado di
contrastare le molteplici azioni dell'osteopontina nello sviluppo delle metastasi". (Salute, Tgcom24)
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FARMADAY – IL NOTIZIARIO IN TEMPO REALE PER IL FARMACISTA
Anno III – Numero 469
SCIENZA E SALUTE
IL PACEMAKER DEL FUTURO, UN OROLOGIO DA POLSO
ALIMENTATO DAI BATTITI
L’idea: sfruttare il meccanismo dell’orologio per raccogliere dal cuore energia
meccanica, trasformandola in stimoli in grado di risincronizzare il ritmo cardiaco
Il battito del cuore ricorda il tic-tac di un orologio. I marca-tempo “elettrici” che regolano la
contrazione delle fibre muscolari del cuore sono simili alla batteria che comanda un meccanismo al
quarzo. Ma il cuore è più preciso di un orologio e gode di una garanzia a vita. A meno che una
patologia, un sovraffaticamento, un input genetico, un difetto di
“alimentazione” non ne minino la regolarità ritmica.
E come un orologiaio interviene a ridare tempo all’orologio, così la
cardiologia ritara i battiti del cuore. Aggiungendo a ciò che la natura ha
creato un regolatore esterno. Un pacemaker.
Al congresso della Società europea di cardiologia (Esc) in corso a
Barcellona è stato presentato il pacemaker del futuro.
Un cardio-orologio che si “aggancia” sul cuore. Made in Svizzera, dove
di orologi se ne intendono. Un mastro orologiaio forse ha coordinato il lavoro di aritmologi e
bioingegneri, fatto sta che il nuovo pacemaker è derivato da un orologio. In più non si rompe, non si
scarica e non va sostituito. È senza batterie, alimentato solo dai movimenti del cuore (come un
orologio con meccanismo automatico si ricarica con il movimento del polso).
Come funziona il cardio-orologio: Dunque finché c’è battito, c’è energia per alimentarlo. L’idea è
stata quella di sfruttare il meccanismo dell’orologio automatico per raccogliere dal cuore energia
meccanica, trasformandola poi in stimoli elettrici in grado di risincronizzare il ritmo cardiaco.
Rolf Vogel, cardiologo e ingegnere dell’università di Berna, ci ha lavorato 4 anni.
Per fabbricare il prototipo il team di ricercatori è partito da un orologio automatico da polso
commerciale, ha eliminato tutti gli ingranaggi che non servivano così da alleggerirlo in peso e misure.
Poi quanto rimasto perché utile all’obiettivo è stato inglobato in una custodia biopolimerica da
“cucire” direttamente sul cuore.
Quindi i test di funzionalità. Prima utilizzando un circuito elettrico messo a punto in laboratorio, poi
agganciandolo al cuore di maiali dove è riuscito a produrre fino a 130 battiti al minuto.
Un record per un dispositivo senza batteria. Adrian Zurbuchen, dell’Artorg Center for Biomedical
Engineering dell’ateneo bernese, spiega: «Con le sue contrazioni regolari, presenti 24 ore su 24 e 7
giorni su 7, il muscolo cardiaco è una fonte di energia molto promettente».
Si evita la sostituzione delle batterie: Il principale vantaggio sembra proprio la possibilità di
evitare la periodica sostituzione delle batterie, che costringe il paziente a un nuovo intervento
chirurgico, aumentando i costi e il rischio di complicanze.
Ma di vantaggi ne promette anche altri, sarà la sperimentazione a evidenziarli.
Il modello è da perfezionare, perché all’orologio che raccoglie l’energia dei battiti si affianca per ora un
dispositivo di memoria dove l’energia creata viene immagazzinata temporaneamente per poi essere
trasformata in mini-scariche “regola-cuore”.
Un misuratore del tempo che da il tempo al cuore.
Il prossimo passo sarà cercare di compattare il tutto, integrando le varie parti in un unico device.
Vi sono anche margini di miglioramento, perché nel mondo dell’orologeria vi sono anche meccanismi
automatici da 36mila frequenze al minuto. Cosi presto si potrà dire di avere un cuore a 23 rubini.
(Salute, Corriere)