TEMI E TESTI 159 MAURO SCALERCIO UMANESIMO E STORIA DA SAID A VICO UNA PROSPETTIVA VICHIANA SUGLI STUDI POSTCOLONIALI Introduzione di GIUSEPPE CACCIATORE ROMA 2016 EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA Prima edizione: ottobre 2016 ISBN 978-88-6372-964-1 eISBN 978-88-6372-965-8 Il volume è pubblicato con un contributo del CNR – Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno Si ringrazia Monica Riccio, Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno (ISPF), per l’editing del volume È vietata la copia, anche parziale e con qualsiasi mezzo effettuata Ogni riproduzione che eviti l’acquisto di un libro minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza Tutti i diritti riservati EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA 00165 Roma - via delle Fornaci, 38 Tel. 06.39.67.03.07 - Fax 06.39.67.12.50 e-mail: [email protected] www.storiaeletteratura.it INDICE DEL VOLUME Introduzione di Giuseppe Cacciatore.................................................... vii Abbreviazioni........................................................................................... xiii Umanesimo e storia da Said a Vico. Una prospettiva vichiana sugli studi postcoloniali I. L’uomo e la storia. Modernità, colonialismo, strutture formali della storia..........................................................................................3 1. Said e l’umanesimo.......................................................................3 2. Modernità. Dalla crisi dell’ordine all’azione nella storia.............11 3. Modernità come crisi e soglia. L’emersione del tempo storico come problema..............................................................................12 4. L’autoaffermazione come principio del moderno..........................18 5. Il soggetto della modernità, antropologia ed etnologia................19 6. Figure della storia.........................................................................26 II. Umanesimo e rappresentazioni della storia in Said.........................43 1. Storia e rappresentazione..............................................................44 2. Annotazioni epistemologiche e metodologiche.............................45 3. Conoscenza, potere: testo e mondo...............................................54 4. Narrazione, rappresentazione e verità..........................................58 5. L’Orientalismo, modernità, umanesimo.......................................62 6. Storia, modernità, umanesimo......................................................69 7. La storicità e terrestrità delle costruzioni sociali..........................73 8. Umanesimo e filologia: una metadisciplina..................................76 9. Corpo e narrazione........................................................................83 10.Identità, liberazione, uomo...........................................................88 Mauro Scalercio, Umanesimo e storia da Said a Vico. Una prospettiva vichiana sugli studi postcoloniali, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2016 ISBN (stampa) 978-88-6372-964-1 (e-book) 978-88-6372-965-8 – www.storiaeletteratura.it vi INDICE DEL VOLUME III.Una nuova arte critica.......................................................................93 1. Il ricorso postcoloniale di Vico......................................................93 2. L’umanesimo vichiano: lineamenti fondamentali.........................103 3. Idee vichiane per la contemporaneità...........................................133 4. La storia e le storie: idee sul tempo storico..................................144 5. Vico e il problema della traducibilità: pluralismo e universalismo.............................................................................160 Bibliografia...............................................................................................169 Indice dei nomi........................................................................................191 INTRODUZIONE Sono sostanzialmente due i plessi teorico-concettuali e storiografici che caratterizzano questo ben costruito ed originale percorso di ricerca che Mauro Scalercio ha affidato a questa sua monografia. Da un lato, il fil rouge del libro è una attenta ed esauriente rilettura dell’opera di Said – la prima, a mia memoria, organica e completa nel panorama italiano – messa a confronto col modello vichiano di ‘critica’ storica della modernità. Dall’altro, Said e Vico diventano utilizzabili modelli per ripensare, in modo nuovo e coerente con il complicato scenario della globalizzazione, i concetti di storia e di umanità. Se si guarda alle intense riflessioni postume di Said sul nesso tra umanesimo e critica democratica, si vedrà subito come, accanto alle notazioni più direttamente politiche del grande intellettuale arabo-americano, siano centrali le mosse teoriche ed etico-politiche tese a ripensare in termini nuovi la filosofia e la cultura umanistiche, non riducibili certo alla celebrazione retorica e consolatoria dei motivi politici e morali dell’umanesimo ‘storico’. Coglie molto bene questo punto Scalercio, quando sottolinea come Said opponga alle conclusioni dell’umanesimo ‘borghese’ la prospettiva di un umanesimo fondato sulla fatticità della storia, cosicché alla ipostasi di un pensiero astrattamente razionale si contrappone un «pensiero laterale, poetico», non costretto nelle regole della testualità, ma aperto alla comprensione della corporeità delle parole e al pluralismo delle identità. Si tratta, allora, della consapevole rielaborazione – e qui interviene l’alter ego filosofico Vico – in chiave epistemologica dei saperi della poesia e della letteratura, cioè di una forma di conoscenza, come afferma Said, basata sulla capacità dell’essere umano di produrla e non di assorbirla passivamente. Certo, come osserva giustamente Scalercio, spesso il termine e il concetto di umanesimo assumono in Said aspetti talvolta contrastanti, ma non per questo poco chiari, giacché la distinzione di fondo resta quella tra l’uso politico-dottrinario dell’umanesimo occidentale (e delle sue talvolta drammatiche fenomenologie di tipo colonial-imperialistico) e una sua riproposizione in chiave di radicale critica democratica del presente. Mi pare perciò Mauro Scalercio, Umanesimo e storia da Said a Vico. Una prospettiva vichiana sugli studi postcoloniali, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2016 ISBN (stampa) 978-88-6372-964-1 (e-book) 978-88-6372-965-8 – www.storiaeletteratura.it viii INTRODUZIONE del tutto condivisibile il percorso scelto dall’autore che, pur sottolineando alcune debolezze dell’argomentazione saidiana, costruisce la sua interpretazione a partire dalla individuazione di un «nucleo critico produttivo che spiega e giustifica l’uso saidiano dell’idea di umanesimo». Se l’umanesimo è indissolubilmente legato alla genesi della modernità politica e alla definizione della soggettività lungo un percorso che giunge sino a Cartesio e Kant, esso appare, tuttavia, come una permanente pratica critica che trova proprio in Vico uno dei suoi luoghi generativi. Una pratica critica che non è mai disgiungibile dall’umanesimo militante di Said, sempre impegnato fino in fondo nella prassi materiale della politica di liberazione dei popoli oppressi e, in primo luogo, della sua Palestina. Uno dei motivi centrali del libro di Scalercio è l’individuazione in Said di un livello di necessaria rappresentazione della storia – e dunque anche della storia dell’umanesimo quale presunto valore occidentale in chiave antiorientalistica – come concorso di pratiche non solo meramente storiografiche, ma anche giuridiche, politiche, etnologiche, letterarie. Il punto da cui anche Said muove è ciò che la filosofia della storia illuministico-romantica (da Kant a Hegel) e lo storicismo tedesco (da Humboldt a Droysen e Dilthey) ha definito come nascita della coscienza storica, cioè, come sostiene Scalercio, di un «nuovo principio di ordinamento globale della modernità». Ancora una volta, però, interagiscono i due caratteri dell’umanesimo: da un lato, l’espansione mondiale dell’umanesimo ‘borghese’ (specialmente dopo la scoperta dell’America e il suo risvolto brutale dello sterminio delle popolazioni indigene); dall’altro, l’idea universalistica di uomo come costruttore ed attore del processo universale della Storia e dei suoi paradigmi razionalistici ed etico-politici. Ed è proprio alla luce di questi problemi che si svolge la prima parte del libro dedicata ad una ricostruzione del concetto del moderno e della sua storia, da Schmitt a Blumenberg e Koselleck. Un altro dei nuclei interpretativi scandagliati nel volume è il rapporto, per così dire originario, tra storia e rappresentazione, che Said colloca al centro di quasi tutte le sue analisi, a partire da quel fondamentale testo del 1978 che è Orientalism. Quali che siano i limiti dell’interpretazione saidiana dei rapporti tra Oriente e Occidente (è bene non dimenticare le origini palestinesi di Said e l’impegno che egli profuse nel difendere la causa e la rivendicazione di libertà e autodeterminazione di quel popolo), resta tuttavia costante la fedeltà a un paradigma interpretativo, sia epistemologico che metodologico. Così – e non sembri una banalità – solo la reale e filologicamente fondata rappresentazione storica degli avvenimenti è in grado di mettere allo scoperto le errate distinzioni essenzialiste ed ontologiche tra Oriente e Occidente. Sarà pur mutato il contesto storico della situazione INTRODUZIONE ix mediorientale rispetto agli anni in cui usciva Orientalism, ma non v’è dubbio che resta, tra i tanti aspetti, a segnare il rapporto Oriente-Occidente nell’area oggi più drammaticamente sconvolta dalle guerre, la spartizione di quelle terre tra i paesi europei avvenuta, a dispregio della storia e della cultura di quei luoghi, sulla base di tratti di matita sulla carta geografica. Non appaia allora una forzatura trovare – come Scalercio ci invita a fare – un riferimento a Vico in Orientalism e, precisamente, a un famoso passo della Scienza Nuova: «Questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana». Sono gli uomini, insomma, che fanno la propria storia e che possono conoscere solo ciò che essi stessi hanno pensato e fatto. Oriente e Occidente – scrive Said – sono allora in prima istanza «il prodotto delle energie materiali e intellettuali dell’uomo». Ed è ancora Vico a influenzare la definizione saidiana di inizio, molto vicina a quella di cominciamento elaborata dal filosofo napoletano, quando ragiona sulla natura delle cose. «Natura di cose altro non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise, le quali sempre che sono tali, indi tali e non altre nascono le cose» (degnità XIV della SN del 1744). Una ulteriore e significativa presenza delle tracce vichiane nella riflessione storica e teorica di Said è opportunamente individuata da Scalercio a proposito della elaborazione di un concetto di cultura, considerata in prima istanza nella sua dimensione antropologica e dunque nella piena latitudine di tutto ciò che è storicamente e politicamente umano. Anche la preminenza accordata alla parola e al linguaggio, sia pure quello inarticolato dei bestioni, come luogo del cominciamento dell’umano non è mai separabile, se vuol essere compreso, dal «substrato materiale, politico, conflittuale del testo». Tutto ciò si fonda su un esplicito richiamo al metodo topico vichiano, ma anche all’importanza che viene assegnata, grazie alla visione dialettica dei rapporti tra topica e critica, al mondo della prassi e all’immaginazione che coinvolge certo innanzitutto la pratica della scrittura, ma anche la rappresentazione delle circostanze materiali, sociali e culturali della vita umana. A Vico, nella costruzione della prospettiva filosofica e storico-culturale di Said, si affianca Gramsci: due riferimenti che sono, per ammissione stessa dell’autore di Orientalism, parzialmente correttivi della traccia interpretativa di Foucault – al quale vengono dedicate nel libro attente riflessioni alla luce della lettura che ne fa Said – troppo esclusivamente incentrata sull’analisi del potere. «La cultura secolare – scrive Scalercio – per come la intende Gramsci, è senza dubbio un prodotto dell’operare umano alla maniera di Vico, e comporta anche la lotta fra idee, ideologie, visioni del mondo, in competizione per conquistare l’egemonia. I mutamenti sociali e x INTRODUZIONE culturali sono così ricondotti al più ampio complesso della storia secolare, in cui anche i testi sono in lotta per l’egemonia su quello che Vico chiamerebbe “senso comune”». L’indubbio carattere di originalità che assume l’utilizzazione di alcune idee gramsciane da parte di Said, consiste nell’aver saputo affiancare al motivo centrale dell’egemonia, quello della filologia vivente, del presupposto, cioè, della critica democratica del tempo presente. Giustamente allora Scalercio non interpreta in modo retorico e meramente narrativo il tema saidiano della rappresentazione storica, ma grazie all’intreccio di motivi vichiani e gramsciani, individua la possibilità di leggere e fondare un’altra e diversa critica storica della modernità. Ed è in questo quadro che l’autore elabora uno dei passaggi principali e più convincenti del suo lavoro: l’individuazione, dentro il percorso saidiano, di una vera e propria ‘metadisciplina’ che ricollochi a un livello di maggiore consapevolezza storica e politica il nesso tra umanesimo e filologia. Si tratta della prospettiva di una ‘filologia storicista’ che da Auerbach conduce a ritroso fino a Vico e che non è da considerare solo come una ricerca antiquaria sul significato delle parole, ma è anche e soprattutto «uno studio inteso a svelare il vero significato della parola (…) uno studio attivo che deve mostrare gli strati di senso e di politica che nelle parole sono depositati». Il punto d’avvio di un tale percorso resta dunque Vico che, insieme agli altri ‘ispiratori’ da Nietzsche a Gramsci, da Adorno a Foucault, consente a Said di porre mano ad una idea filosofica di umanesimo che si muove sulla base di un programma che ha quale suo obiettivo la «radicale messa in discussione» di quelle categorie filosofiche che hanno caratterizzato la genesi e la fenomenologia del concetto di moderno. Sarei però meno convinto, di quanto sia Scalercio, nel sostenere che Said non colga l’importanza della natura eminentemente filosofica del progetto vichiano. Se l’umanesimo ‘critico’ di Said assume una valenza teorica oltre che storica, filologica e culturale, ciò avviene proprio perché egli ha appreso da Vico uno dei più decisivi ed innovativi principi filosofici della modernità: la convinzione laica che il mondo storico è fatto dagli uomini e dalle donne, e non da Dio e che può essere compreso razionalmente proprio secondo le idee formulate nella Scienza nuova: il nesso tra topica e critica, la razionalità ‘altra’ della sapienza poetica che si affianca alle verità della ratio cognoscendi, il ruolo non meramente disciplinare e metodologico della filologia e dello studio delle antiche lingue. D’altronde, è proprio Scalercio a sostenere giustamente come «la forza, l’originalità e la radicalità del progetto epistemico vichiano sono esattamente qui, nella capacità di studiare il linguaggio e la politica come manifestazioni della creatività umana». Insomma, per Said Vico si colloca all’avanguardia proprio per aver visto INTRODUZIONE xi nella fantasia e nell’immaginazione e in ogni prodotto della sapienza poetica, una forma di conoscenza storica basata sulla capacità dell’essere umano di produrre conoscenza e non solo di assorbirla passivamente. Cosicché, osserva Said, nelle pagine postume di Umanesimo e critica democratica, «si possono acquisire conoscenza e filosofia (…), ma resta predominante l’insoddisfacente e basilare fallibilità della mente umana (…) Così c’è sempre qualcosa di radicalmente incompleto, insufficiente, provvisorio, discutibile e opinabile nella conoscenza umanistica che Vico non perde mai di vista e che (…) conferisce all’idea di umanesimo una tragica e costitutiva imperfezione». Insomma, Vico si fa portatore, per Said, di una vera e propria «rivoluzione interpretativa» basata su una sorta di eroismo filologico i cui risultati rivelano, come sosterrà anche Nietzsche un secolo e mezzo dopo, che la verità della storia umana è un «esercito di metafore e metonimie in movimento»; il significato di questi tropi deve essere continuamente decifrato tramite letture e interpretazioni a partire dalla forma delle parole. Le parole, in questo senso, sono portatrici di realtà, una realtà nascosta, ingannevole, difficile e che oppone resistenza. La scienza della lettura, in altri termini, è il punto culminante della conoscenza umanistica» (il corsivo è mio). Ma non è soltanto questo uno dei caratteri della filosofia vichiana privilegiato da Said. Ad esso bisogna aggiungere il suo non infondato convincimento – opportunamente segnalato da Scalercio – dell’appartenenza di Vico alla tradizione italiana di un ‘materialismo pessimista’ e di una visione secolarizzata della storia che da Lucrezio a Vico giunge sino a Leopardi e Gramsci. Sono queste, in fondo, le linee direttive della fondazione saidiana di un umanesimo della terrestrità. Ma in Vico, secondo la lettura di Scalercio – non priva di una forte caratterizzazione politico-ideologica – si possono cogliere quei tratti di originaria critica postcoloniale che nasce dalla percezione di una comune natura delle nazioni che ha come contrassegno il riconoscimento della diversità, ma anche e soprattutto dello straniero e del migrante dentro un comune spazio che è l’umanità. E al filosofo napoletano l’autore dedica una approfondita analisi nel III capitolo, incentrato sui temi della corporeità, del linguaggio, del senso comune, del mito delle origini e, in particolare, della verità e del suo rapporto con la politica. Sono queste le conclusioni che Scalercio mette in evidenza dopo un attento esame dei ‘contenuti vichiani’ delle opere di Said, prima fra tutte, Beginnings. Intention and Method del 1975, dove già si intravedono le tracce che egli continuerà a seguire fino alle pagine del suo libro postumo sull’umanesimo: la distinzione tra storia sacra e storia profana, l’accento posto sul disperso e laterale più che sul deterministico e lineare, l’importanza della scrittura e l’idea del testo come pratica e inventività e non xii INTRODUZIONE come logicità e pura razionalità, la divinazione e il ruolo della religione nella fondazione del politico, la relazione tra particolarismo ed universalismo. Di fatto la validità e sperimentabilità di questo percorso sono possibili solo nella misura in cui si comprende – come Scalercio giustamente suggerisce – la natura non chiusa, non definitiva, ma neanche dissolventesi nell’indistinto calderone del postmoderno, della modernità. Secondo Said, infatti, «la modernità non è uno stato ideale finito ma è crisi e critica che non possono risolversi in una semplice svalutazione della politica e della filosofia a ‘gioco linguistico’, in cui la storia è semplicemente il luogo ‘leggero’ della contingenza. Ma non è neanche, naturalmente, un insieme di prescrizioni cui adeguarsi, lo svolgimento di una legge di natura o il “culmine di una storia maestosamente intramata”». Per questo si può parlare di un umanesimo – quello propugnato da Said – senza Uomo, senza cioè il ricorso ad una nozione ontologica ed essenzialista dell’umano, come poi si mostrava in quelle forme di umanesimo liberale verso le quali si rivolge la critica democratica saidiana. Per Said, ancora una volta alla luce della filosofia vichiana, l’oggetto della ricerca dell’umanista contemporaneo non è l’Uomo o il Soggetto, ma il ‘mondo delle nazioni’, il cui orizzonte è definito dalla storicità delle costruzioni umane e dalla loro dimensione trans e interculturale. Ciò che alla fine emerge come momento teorico unificante di questa densa e convincente ricerca di Scalercio è la plausibilità di un’idea di umanesimo, messo alla prova dinanzi alla negatività di una eredità antiumanistica della sua versione retorica, ontologica e anche politica, che è anche critica di ogni consolatoria visione ottimistica e lineare della storia e apertura all’inesauribile prospettiva di liberazione dell’umanità. Giuseppe Cacciatore ABBREVIAZIONI Autobiografia G. Vico, Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo, in Opere, a cura di A. Battistini, Milano, Mondadori, 1990. BEG E. W. Said, Beginnings. Intention and Method, LondonBaltimore, The Johns Hopkins University Press, 1975. CI E. W. Said, Culture and Imperialism, New York, Alfred A. Knopf Inc., 1993; trad. it. Cultura e imperialismo: letteratura e consenso nel progetto coloniale dell’Occidente, a cura di S. Chiarini – A. Tagliavini, Roma 1998. COV E. W. Said, Covering Islam: how the media and the experts determine how we see the rest of the world, New York, Vintage, 1997 (1981). De Antiquissima G. Vico, De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda, 1710, a cura di M. Sanna, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005. De Constantia G. Vico, De constantia iurisprudentis, in Opere giuridiche, a cura di P. Cristofolini, Firenze, Sansoni, 1974. De Mente G. Vico, De mente heroica, in Opere. De Ratione G. Vico, De nostri temporis studiorum ratione, Napoli 1708, in Opere. De Uno G. Vico, De universi iuris uno principio et fine uno in Opere giuridiche. HDC E. W. Said, Humanism and Democratic Criticism, New York, Columbia University Press, 2004; trad. it. Umanesimo e critica democratica, a cura di M. Fiorini, Milano, Il Saggiatore, 2007. Mauro Scalercio, Umanesimo e storia da Said a Vico. Una prospettiva vichiana sugli studi postcoloniali, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2016 ISBN (stampa) 978-88-6372-964-1 (e-book) 978-88-6372-965-8 – www.storiaeletteratura.it xiv ABBREVIAZIONI OOP E. W. Said, Out of Place: A Memoir, New York, Knopf, 1999; trad. it. Sempre nel posto sbagliato, a cura di A. Bottini, Milano, Feltrinelli, 2000. OR E. W. Said, Orientalism, New York, Pantheon Books, 1978; trad. it. Orientalismo, a cura di S. Galli, Milano, Feltrinelli, 2007. PPC E. W. Said, Power, Politics and Culture. Interviews with Edward Said, a cura di G. Viswanathan London, Bloomsbury, 2001. QP E. W. Said, The Question of Palestine, New York, Times Books, 1979; trad. it. La questione palestinese, a cura di S. Chiarini – A. Uselli, Roma, Gamberetti, 1995. REF E. W. Said, Reflections on Exile and Other Essays, Cambridge, Harvard University Press, 2000; trad. it. Nel segno dell’esilio, a cura di M. Guareschi – F. Rahola, Milano, Feltrinelli, 2008. SN25 G. Vico, Principj di una scienza nuova intorno alla natura delle nazioni per la quale si ritruovano i principj di altro sistema del diritto naturale delle genti, Napoli 1725, in Opere. SN30 G. Vico, De principi di una scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni in questa seconda impressione con più propia materia condotti e di molto accresciuti, Napoli, 1730, ed. critica a cura di M. Sanna – P. Cristofolini, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013. SN44 G. Vico, Principj di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni in questa terza impressione dal medesimo autore in un gran numero di luoghi corretta, schiarita e notabilmente accresciuta, Napoli 1744, in Opere. WTC E. W. Said, The World, the Text and the Critic, London, Faber & Faber, 1984. I rimandi ai numeri di pagina si intendono alla traduzione italiana, ove presente. UMANESIMO E STORIA DA SAID A VICO UNA PROSPETTIVA VICHIANA SUGLI STUDI POSTCOLONIALI I L’UOMO E LA STORIA MODERNITÀ, COLONIALISMO, STRUTTURE FORMALI DELLA STORIA 1. Said e l’umanesimo. Qualsiasi studio dell’idea di ‘umanesimo’ nell’opera di Edward Said deve affrontare, in via preliminare, il problema dell’uso polisemico del termine da parte dell’autore. Il termine humanism, umanesimo, è presente in quasi ogni sua opera, in maniera più o meno programmatica, tuttavia Said rifugge da una definizione univoca. Il termine, piuttosto, riveste un significato eminentemente strategico, ossia deve essere letto in base alla funzione che riveste all’interno del testo. Per gran parte della sua carriera, egli oscilla fra la condanna definitiva del termine stesso ‘umanesimo’ e un suo recupero critico1. Questa oscillazione nasce da quello che è un problema cruciale di Said, vale a dire la sua scarsa propensione ad esplicitare i suoi presupposti filosofici. Questa è probabilmente la ragione principale che ha portato gli interpreti del pensiero di Said a proporre letture molto diverse fra loro, molte delle quali centrate proprio su una presunta incoerenza di Said nel recupero del termine umanesimo2. Nel suo ultimo testo, Humanism and 1 Ad esempio vedi E. W. Said, Opponents, Audiences, Constituency, and Community, «Critical Inquiry», IX (1982), 1, pp. 1-26, ora in E. W. Said, Reflections on Exile and Other Essays, Cambridge, Harvard University Press, 2000; trad. it. Nel segno dell’esilio, a cura di M. Guareschi, F. Rahola, Milano, Feltrinelli, 2008, in particolare vedi pp. 118-120. Sull’umanesimo saidiano vedi E. S. Apter, Saidian Humanism, «Boundary 2», XXXI (2004), 2; N. Curthoys, Edward Said’s unhoused philological humanism, «Edward Said: The Legacy of a Public Intellectual», edited by D. Ganguly, Melbourne, Melbourne University Press, 2007. A proposito dell’umanesimo vichiano vedi G. Cacciatore, Nuovo umanesimo e filosofia interculturale, «Humanitas: rivista bimestrale di cultura», LXIX (2014), 4-5; F. Suarez Mueller, Towards a Synthesis of Humanisms in a Cosmopolitan Age: The late philosophy of Edward Said, «Literature and Theology», XXVIII (2014), 4; F. Poché, Edward W. Said, L’humaniste radical. Aux sources de la pensée postcoloniale, Paris, Éditions du Cerf, 2013. 2 La letteratura critica su Said è ormai estremamente abbondante. Qui segnaliamo solo i testi più importanti fra quelli che criticano Said da un punto di vista simpatetico con i fini saidiani. J. Clifford, On Orientalism, in History and Theory, XIX(1980); trad. it. in I frutti Mauro Scalercio, Umanesimo e storia da Said a Vico. Una prospettiva vichiana sugli studi postcoloniali, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2016 ISBN (stampa) 978-88-6372-964-1 (e-book) 978-88-6372-965-8 – www.storiaeletteratura.it 4 UMANESIMO E STORIA DA SAID A VICO Democratic Criticism, che è anche quello più programmaticamente destinato a chiarire il significato di questo recupero, Said presenta una definizione di umanesimo che, più che limitare e precisare questo termine, ne mostra la natura strutturalmente indefinita e indefinibile. L’umanesimo «ha a che fare con la storia secolare, i prodotti del lavoro umano e la capacità umana di espressione articolata. (…) L’umanesimo è la conquista della forma tramite la volontà e l’azione umane»3. L’uso strategico che Said fa del termina implica l’impossibilità di una definizione preliminare che possa guidare la lettura dell’opera saidiana. Piuttosto, è utile indicare il campo umanista, ossia il luogo dove avviene l’uso strategico del termine. Da un lato, secondo l’uso comune nell’area accademica anglosassone, ‘umanesimo’ indica un insieme di discipline che vanno sotto il nome di humanities: letteratura, filologia, storia, filosofia. Il primo campo umanista, dunque, è quello delle produzioni culturali in senso stretto, in particolare quelle in cui il testo riveste la maggiore importanza. Il secondo campo umanista è molto più difficile da individuare. Tale campo umanista rimane infatti implicito e indefinito, e deve essere rintracciato in larga misura nei presupposti del pensiero di Said, operazione che sarà effettuata nel dettaglio in questo e nel prossimo capitolo. A complicare ulteriormente il tentativo di chiarire il significato dell’umanesimo in Said, si deve notare, e qui sta l’incoerenza imputata a Said, che nella sua opera emergono due concezioni umanistiche che sono non solo diverse ma per molti aspetti opposte. Da un lato Said considera l’umanesimo una dottrina che è alla base del suo obiettivo critico, l’Orientalismo, «uno stile di pensiero fondato su una distinzione sia ontologica sia epistemologica tra l’‘Oriente’ da un lato e (nella maggior parte dei casi) l’‘Occidente’ dall’altro»4. Dall’altro lato, Said considera l’umanesimo esattamente come la dottrina che può costituire una critica radicale dell’Orientalismo. Ogni interpretazione del pensiero di Said deve quindi chiarire l’intrinseca duplicità dell’idea di umanesimo e rispondere a due differenti questioni genealogiche. In cosa consiste l’umanesimo che sta alla base dell’Orientalismo, ossia di quella dottrina che destoricizza l’orientale inchiodandolo ad una sua supposta essenza? E in cosa puri impazziscono, a cura di M. Marchetti, Torino, Bollati Boringhieri, 2010; R. Young, Postcolonialism: An Historical Introduction, Oxford and Malden, Blackwell Publishers, 2001; M. Mellino, La critica postcoloniale: decolonizzazione, capitalismo e cosmopolitismo nei postcolonial studies, Roma, Meltemi, 2005. 3 HDC, p. 45. 4 OR, p. 12. L’UOMO E LA STORIA 5 consiste, al contrario, quell’umanesimo che può permettere la contestazione dell’Orientalismo stesso? La necessità di rispondere a queste domande è essenziale non solo per capire il pensiero di Said, ma anche per ribattere a molte delle critiche saidiane, che dall’ambiguità e opacità del pensiero di Said hanno ricavato il materiale per le loro argomentazione. In molti hanno visto nel richiamo all’umanesimo il punto debole, se non il limite insormontabile, dell’opera saidiana e della sua capacità di essere pensiero davvero radicale, come pretende di essere. Uno dei primi fra i critici di Said che vanno in questa direzione è James Clifford, che afferma la debolezza dei «vaghi richiami ad una “personale, autentica, simpatetica e umanistica percezione dell’Oriente”», e che imputa a Said l’ambizione di identificare l’umanesimo come il campo «al di sopra del particolarismo culturale, di aspirare a quel potere universalistico che parla in nome dell’umanità delle esperienze universali dell’amore, del lavoro (…)»5. Per concludere, secondo Clifford l’idea di Said sarebbe che «un uomo molto umano diventa un umanista»6. In questa direzione vanno anche le critiche di Miguel Mellino che identifica il recupero saidiano di umanesimo con la fiducia di Said nella possibilità di una «espressione pura di una coscienza disincarnata capace di porsi al di fuori di ogni parzialità e differenza, di elevarsi al di sopra della materialità dei conflitti che attraversano e surdeterminano i corpi; in sintesi, di diventare autentica espressione umana»7. Il pensiero di Said, secondo queste letture, sarebbe incapace di elaborare produttivamente l’indefinitezza dell’idea di umanesimo, non riuscendo a farne un uso critico. Nelle prossime pagine si sosterrà la tesi che, pur dovendo riconoscere diverse debolezze alle argomentazioni saidiane, è possibile individuare un nucleo critico produttivo che spiega e giustifica l’uso saidiano dell’idea di umanesimo. In particolare a partire dal testo di Said è possibile distinguere una duplice genealogia dell’idea di umanesimo precisa e suscettibile di essere produttivamente analizzata ed approfondita. Da un lato l’umanesimo è da collegare strettamente alla nascita della modernità politica, in particolare all’apparizione del Soggetto. Approfondire questa genealogia è il primo punto chiave dell’analisi che si propone. Dall’altro lato è possibile individuare l’idea dell’umanesimo come pratica critica, in particolare risalendo Clifford, On Orientalism, p. 300; OR, p. 198. Ibidem, p. 301. 7 Post-orientalismo: Said e gli studi postcoloniali, a cura di M. Mellino, Roma, Meltemi, 2009, p. 25, corsivi nel testo. 5 6