Raffaele Mantegazza

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Commissione Cultura
Persona e Nuovo Umanesimo
Intervista a cura di Gaetano Mercuri
Raffaele Mantegazza, Docente presso la Facoltà di Scienze
della Formazione di Milano Bicocca
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L’istruzione, in particolare quella orientata cristianamente, è o deve essere componente
essenziale di un nuovo umanesimo?
Non vedo come possa essere diversamente, purché però si superi la falsa dicotomia tra “educare” e
“istruire”, che soprattutto in Italia ha portato a una dannosa divisione del lavoro (l’educare ai cattolici o
almeno ai filosofi, l’istruire ai laici o comunque ai tecnici). “Instruere” significa preparare un esercito,
ovviamente nonviolento, per le grandi sfide che attendono l’umanità nei prossimi decenni; e ciò non è
possibile senza “educere”, non tanto nel senso un po’ trito del “tirare fuori” qualcosa da un soggetto
quanto in quello del “portare con sé” (“ex-ducere”) qualcuno nei territori della cultura, che sono
soprattutto terreni sdrucciolevoli del dubbio, della domanda, dell’interrogativo lasciato almeno
parzialmente aperto. L’istruzione dunque non è mai mera tecnica: come ogni tecnica essa affonda le sue
radici nel mondo inquieto e oscuro delle dimensioni esistenziali profonde dell’essere umano; e ogni
insegnante sa bene che, se non si abita questo territorio, nessun allievo impara, nemmeno quello
apparentemente più motivato.
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Quale evoluzione è più giusta affinché l’istruzione compia meglio il suo compito di
formare le coscienze: più tecnico-scientifica o più umanistico-letteraria?
Ho sempre pensato che questa suddivisione, oltre ad essere insensata, ha causato gravissimi danni alla
cultura occidentale e italiana nello specifico. Primo Levi, chimico che traduce Dante in francese a
memoria nel campo di sterminio, avrebbe dovuto metterci sull’avviso: ma continuiamo a vivisezionare
la cultura proponendo differenze tra “scienze della natura” e “scienze dell’uomo” (ma l’uomo non è
natura? E la biologia non studia l’uomo?) o tra scienze “esatte” e scienze “umane” (come se Freud
fosse un pozzo di inesattezze o Einstein studiasse l’inumano). Il primo contributo che l’istruzione deve
dare ai giovani è rompere questo vetusto schema e ripartire dalle grandi domande di senso alle quali la
sola chimica, la sola filosofia ola sola matematica non possono dare risposte ma solo l’articolazione e la
collaborazione tra tutte le scienze possono farlo. Questo peraltro era il senso della cultura
nell’Umanesimo classico ma anche nella mitteleuropa dell’Ottocento, che con Schiller e Goethe ci ha
regalato il concetto di “Totaler Mensch”, l’uomo totale da istruire/educare totalmente.
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L’istruzione in Italia: la nuova riforma può rafforzare il contributo che essa può dare a
un “nuovo umanesimo” nel nostro paese?
Una riforma della scuola non si vede all’orizzonte perché una vera e profonda riforma dovrebbe andare
a toccare i nuclei vitali dell’esperienza scolastica dei ragazzi e delle ragazze, a cominciare dal riordino dei
cicli (quando avremo finalmente una scuola della preadolescenza in questo paese?). Riformare
l’istruzione significa tornare a chiedersi e a chiedere a insegnanti e ragazzi che cosa significa oggi
imparare: magari scoprendo che per un bambino di otto anni i saperi essenziali, quelli che gli mancano,
sono quelli relativi alla mungitura delle mucche e alla distinzione tra i diversi nidi di uccelli, mentre
possiede fin troppo bene la capacità di accendere e spegnere un personal computer: e allora sono i
primi a dover essere offerti dalla scuola e dall’istruzione, con buona pace di tutti i modaioli esaltatori
delle cosiddette nuove tecnologie.
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