P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] COSCIENZA MORALE E COLPEVOLEZZA GIURIDICA 1 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] 1. La dialettica ‘in interiore hominis’ tra l’ ‘essere padrone’ e l’ ‘essere schiavo’ di se stesso. Come esito concettuale della critica alla ‘geometria legale’, cui il giusnaturalismo e il giuspositivismo moderno hanno ridotto l’universo del diritto, Francesco Gentile ha suggerito di superare la concezione volontaristica dell’autonomia personale, intesa alla maniera hobbesiana, come mero esercizio della volontà1, per riconoscere che l’autonomia “ [...] prima di un modo di fare è un modo di essere del soggetto umano; ciò che ne fa una persona, designandone l’intelligenza di ciò che è, che è reale, che è veramente, e per ciò naturalmente capace di comunicare; ciascuno con gli altri 2 condividendola” . Ne segue che: “L’autonomia è [...] all’origine anche dell’ordinamento giuridico delle relazioni intersoggettive inteso come modalità della comunicazione interpersonale, attuantesi attraverso l’obbedienza delle leggi variamente poste nella comunità politica”3. Se si vuole scongiurare che l’osservanza delle regole sia ridotta a mera questione di forza, occorre comprendere, sulla scorta del magistero di Francesco Gentile, che, prima e al di là dell’incontro o dello scontro delle volontà individuali, l’impronta della giuridicità va rintracciata nel processo di autoregolamentazione grazie a cui ciascun uomo, come soggetto morale capace di libertà e responsabilità, riconosce la 1 La fondazione della comunità politica è per Hobbes il frutto di un atto di volontà e non la naturale conseguenza dell’umana inclinazione a perseguire il bene in comune. Si veda al riguardo il fondamentale capitolo primo del De Cive di HOBBES, tr. it. Elementi filosofici sul cittadino, in Opere politiche di Thomas Hobbes, a cura di Norberto Bobbio, vol. I, Torino, 1988, 81-97 2 F. GENTILE, Ordinamento giuridico tra virtualità e realtà, Padova, 2000, 39 3 Ibidem, 40 2 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] “giusta misura” “di ciò che conviene, che è opportuno, che è necessario alla convivenza umana”4. Questo concetto di ‘giusta misura’, come criterio aureo della vita sociale e giuridica, rinvia alla esistenza di una ‘giusta misura’ in interiore hominis, tra gli eccessi disordinati delle passioni, previo il riconoscimento, come ha insegnato Platone, in uno dei momenti fondativi della civiltà occidentale “[...] che nella stessa anima di ciascun uomo vi sono due aspetti, uno migliore, uno peggiore. E quando la parte per natura migliore ha il dominio sulla peggiore, ecco l’espressione ‘essere padrone di sé’, e suona lode; quando, invece, per colpa di una cattiva educazione o di non buona compagnia, la parte migliore, ma più debole, è vinta dalla cattiva, più forte, allora chi si trova in questa situazione è detto ‘schiavo di se stesso’ e intemperante: e suona biasimo e rimprovero”5. ‘Essere padrone di sé’ o ‘essere schiavo di sé’ costituiscono i due poli verso cui tende, in modo sempre simile e sempre diverso, il nòvero indefinito delle situazioni di vita di cui la ‘giusta misura’, come criterio ordinatore dell’universo giuridico, viene a interessarsi nel suo incessante duello col disordine della condizione storica dell’umanità, duello ben rappresentato dalla contesa tra la parte migliore e la parte peggiore dell’anima, di cui ha parlato luminosamente Platone6. Le nozioni appena evocate, tanto l’ ‘essere padrone di sé’, quanto l’ ‘essere schiavo di sé’, sono di grande importanza per comprendere i temi cruciali del diritto penale che, per sembrare nella sua immediatezza “[...]fonte di mortificazione della personalità piuttosto 4 Ibidem, 57 PLATONE, Repubblica, IV, 431 a, in Dialoghi politici. Lettere, I, a cura di F. Adorno, Torino, 1988, 427-428 6 GENTILE, Ordinamento giuridico, cit., 46-47 5 3 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] che strumento della sua edificazione”7, è riuscito di scandalo, per la sua apparente contraddittorietà, addirittura a Paul Ricoeur, che pure ha scandagliato con acribia e profondità ammirevoli il significato delle varie situazioni dell’esistenza umana. Ancora di recente, infatti, l’insigne studioso dell’ermeneutica ha focalizzato nella giustizia penale l’estremo opposto dell’idea del giusto, come principio supremo di tutto l’ambito etico8. La sofferenza della pena inflitta al colpevole condannato costituisce per Ricoeur uno “scandalo intellettuale”, perché essa si aggiungerebbe “dal di fuori, attraverso la stessa istituzione giudiziaria, alla prima sofferenza provata dalla vittima di un pregiudizio, di un danno, di un torto”9. La mancata tematizzazione della nozione di colpevolezza, nella duplice dimensione del ‘dover rispondere’ del delitto compiuto e dell’aver bisogno, per la riacquisizione completa del proprio statuto dignitario di persona, di ‘dare una risposta’ agli altri, spiega l’incomprensione di Ricoeur nei riguardi del diritto penale. 2. Autonomia della persona e colpevolezza per il delitto compiuto. Nel diritto penale riveste una importanza essenziale il concetto di colpevolezza. Non presente in modo espresso nel sistema codicistico italiano del 1930, tale nozione ha trovato ingresso positivo nell’ordinamento grazie alla sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988, in virtù della quale l’imputazione penale postula uno specifico “rapporto tra soggetto e legge penale e, conseguentemente, 7 Ibidem, 40 P. RICOEUR, Il giusto, la giustizia e i suoi fallimenti, in Etica del plurale. Giustizia, riconoscimento, responsabilità, a cura di E. Bonan e C. Vigna, Milano, 2004, 13 9 Ibidem 8 4 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] tra soggetto e coscienza del significato illecito del fatto”10. La colpevolezza focalizza un momento di disvalore personale, strettamente inerente alla condotta spesa dal soggetto nella vita sociale, che riguarda propriamente la dignità e la libertà della persona umana e, dunque, attiene alla determinazione tanto delle condizioni soggettive che legittimano l’inflizione della pena, tanto di quelle che influiscono sulla qualità e quantità di pena comminata ed eseguita in concreto nei confronti dell’autore del delitto, una volta che egli sia riconosciuto responsabile di esso. Ora, perché si possa parlare di colpevolezza, occorre anzitutto che l’autore del fatto sia capace di autonomia giuridica, sia cioè capace di fare propri gli scopi dell’ordinamento secondo scelte di carattere libero e responsabile, al di fuori di condizionamenti che trovano origine in patologie fisiche o in abnormità mentali, talmente gravi e radicate nella struttura della personalità, da esprimere inequivocabilmente, secondo il giudizio degli esperti, un ‘valore di malattia’11. 10 C. Cost., 24.3.1988, n. 364, in Giur. Cost., 1988, 1528 Sui concetti di malattia mentale, ‘valore di malattia’ e vizio di mente cfr. U. FORNARI, Trattato di psichiatria forense, 3° Ed., Torino, 2004, 118 ss. Il concetto “valore di malattia” dell’atto criminale rinvia a una duplice presupposizione, di livello diverso. Anzitutto occorre l’inquadramento diagnostico della persona che ha agito, tale da soddisfare criteri diagnostici condivisi e resi confrontabili attraverso i manuali statistici più accreditati negli ambienti specializzati. Oggi godono di particolare autorità i protocolli D.S.M.-IV o I.C.D. – 10. In secondo luogo occorre esplorare il funzionamento della persona, passando dal ‘che cosa ha’ al ‘chi è’, ovvero passando dal criterio psicopatologico, attinente all’individuazione del o dei disturbi psichici in atto, a quello dinamico-strutturale, verificando la loro incidenza sul funzionamento dell’Io. In questo modo si cerca di riscoprire la persona come un tutto unitario, per rispondere concretamente alla domanda se essa era in grado di prendere una decisione adeguata ovvero se la sua capacità era compromessa ed eventualmente in quale misura. Il DSM-IV-TR è il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) redatto a cura dell’American Psychiatric Association, pervenuto nel 2001 alla IV Edizione. In edizione italiana, a cura di V. Andreoli, G. Cassano, R. Rossi, Milano, 11 5 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] La ricerca del valore di malattia di un atto criminale è impresa ardua che non può essere compiuta in modo adeguato con approcci né di tipo meramente scientifico/naturalistico, ovvero di tipo esclusivamente convenzionale/giuridico. Di fronte a delitti commessi da personalità abnormi, quanto più crudele, inusuale, efferato, mostruoso è il delitto, tanto più è difficile per il giudice accertare se la condotta concretizzatasi debba essere intesa come espressione di ‘criminalità’, ovvero come espressione di ‘malattia’. L’orientamento scientifico/naturalistico, quando si limiti a ricercare i sintomi di abnormità comportamentale, classificandoli in una determinata casella prevista dai vari protocolli della scienza psichiatrica, rischia di pervenire alla conclusione che tutti gli autori di reato avrebbero diritto al riconoscimento di un vizio di mente, con la conseguente non punibilità per il delitto commesso. Uno psichiatra, infatti, non ha difficoltà alcuna a etichettare ogni sintomo e ogni comportamento abnorme (e il delitto di sangue è sicuramente tale) all’interno di una casella alfa-numerica contemplata dai manuali psichiatrici. Se, invece, ci si dovesse strettamente attenere alla convenzionalità giuridica, e si riconoscesse a una condotta abnorme ‘valore di malattia’ soltanto in presenza di un’infermità con basi organiche e con modifiche anatomico/cerebrali, allora si restringerebbe in modo eccessivo l’ambito di rilevanza delle condizioni che inducono a modulare in guisa diversa la responsabilità penale in relazione alle condizioni psichiche del soggetto agente. Non intendo negare che tanto l’approccio scientifico/naturalistico, quanto quello convenzionale/giuridico siano importanti nella valutazione dei profili di responsabilità delle personalità abnormi che 2002. L’ICD-10 è la Decima Revisione della Classificazione Internazionale delle Malattie e dei Problemi di Salute Correlati 6 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] hanno commesso delitti con la coscienza fortemente perturbata. Ritengo però che sia necessario integrare lo studio della coscienza in senso psichico con lo studio della coscienza in senso metafisico: soltanto in tal modo si può pervenire a una valutazione equilibrata del soggetto che ha compiuto delitti abnormi. Ciò postula il riconoscimento dell’esistenza, oltre che di una psicologia naturalistica, di una psicologia metafisica, che esamina il comportamento dell’uomo non soltanto nella sua fenomenologia esteriore, ma anche alla luce di ciò che egli è veramente, o meglio, alla luce di ciò che egli è secondo la tendenza intima dell’essere dell’uomo, fatto a immagine di Dio, e proteso verso un fine di felicità. 3. Infermità mentale e unità della persona. Di questa esigenza sono ormai consapevoli tanto i giuristi quanto gli scienziati della mente e gli esperti in psichiatria forense che forniscono alla giurisdizione le informazioni necessarie per risolvere i casi pratici. La giurisprudenza più avvertita, di cui si è fatto autorevole interprete il supremo Collegio a Sezioni Unite nell’importante sentenza n. 9163 del 25.01.200512, ha fatto stato della crisi irrimediabile del criterio in forza del quale le anomalie psichiche rileverebbero nel diritto penale soltanto ove fossero riconducibili nel nòvero di rigide e predeterminate categorie nosografiche. Far dipendere il giudizio di capacità dalla applicazione del metodo nosografico di stampo scientistico, trascurando di dare rilievo ai vari disturbi della personalità, che i più moderni manuali diagnostici e statistici dei 12 Cass., Sez. Un., 25.1.2005, in Dir. Pen. Proc., 2005, 837 7 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] disturbi mentali suddividono in gruppi distinti13, significherebbe disattendere nella sostanza il principio di colpevolezza e di risocializzazione spettante alla sanzione penale, perché un orientamento siffatto non terrebbe conto degli aspetti fondamentali della personalità dell’autore del reato. La difficoltà, o la impossibilità, di una spiegazione eziologica del disturbo mentale, in assenza talora di segni dimostrabili circa alterazioni di organi particolari, non costituisce ragione sufficiente per escludere che esso incida in modo talmente grave nel funzionamento della psiche da escludere o attenuare la colpevolezza dell’agente, con la conseguente applicabilità del generale principio indicato dall’art. 85 del codice penale, relativo all’esclusione o alla diminuzione della responsabilità quando venga meno o sia grandemente scemata la capacità naturalistica di intendere o di volere. Onde anche il disturbo della personalità toglie o diminuisce l’imputabilità quando è “idoneo a determinare [...] una situazione di assetto psichico incontrollabile ed ingestibile (totalmente o in grave misura), che, incolpevolmente, rende l’agente incapace di esercitare il dovuto controllo dei propri atti, di conseguentemente indirizzarli, di percepire il disvalore sociale del fatto, di autonomamente, liberamente autodeterminarsi”14. Gli enormi progressi compiuti dalle scienze neurologiche negli ultimi decenni hanno, peraltro, chiaramente evidenziato la stretta relazione intercorrente tra le funzioni cerebrali, da un canto, e, dall’altro, la vita psichica e il comportamento della persona. I processi mentali presuppongono funzioni cerebrali intatte, al punto che i disturbi cerebrali implicano la compromissione della memoria, dell’orientamento, della percezione, del linguaggio e di molteplici 13 14 Cfr. FORNARI, Trattato di psichiatria forense, cit., 118 ss. Cass., Sez. Un., 25.1.2005, cit., 851 8 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] altre capacità di carattere cognitivo. Eppure, sebbene non vi siano dubbi circa il fatto che il contegno umano si fondi su processi del cervello di tipo fisico-chimico, affiora sempre più tra gli scienziati la consapevolezza che, al fine di comprendere meglio la vita psichica, siano necessarie ulteriori condizioni di tipo biologico, psicologico e sociale. Daniel Hell, professore di psichiatria clinica e direttore della clinica psichiatrica universitaria di Zurigo, ha osservato che proprio le più recenti ricerche sul cervello sembrano confermare l’insufficienza di uno studio della mente secondo modalità di tipo esclusivamente fisico-chimico neuronale. Infatti, lo sviluppo cerebrale, pur nel quadro di limiti geneticamente prefissati, è dipendente dalle influenze dell’ambiente e dalle esperienze di vita della persona. L’encefalo non è affatto un organo statico, bensì plastico, che si adatta nella sua struttura sottile a influssi sia interiori sia esteriori15. Ora – così prosegue Daniel Hell – se il sorgere e il collegarsi in rete tra loro delle cellule cerebrali dipende dagli sviluppi biografici e dalle esperienze di apprendimento, e se le pressioni ambientali (per esempio, nella forma dello stress) esercitano un enorme influsso sulla microanatomia e sulla neuropsicologia di distinti centri cerebrali, è evidentemente erronea la tendenza a ridurre le ‘malattie mentali’ a mere ‘malattie del cervello’. Infatti, le modificazioni cerebrali che provocano le malattie mentali sono potenzialmente anche espressione di situazioni di vita e di esperienze del mondo16. Ma – osserva Hell – ancora più rilevante di ciò è la constatazione che l’esperienza psichica non può essere limitata al correlato biologico, giacché contiene sempre qualcosa di ulteriore 15 D. HELL, Sind psychische Störungen ausschließlich Hirnkrankheiten?, in AA.VV., Ich und mein Gehirn. Persönliches Erleben, verantwortliches Handeln und objective Wissenschaft, herausgegeben von Günter Rager, München, 2000, 139-160, in particolare, 142 16 Ibidem, 142 9 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] rispetto a esso. Il significato attribuito soggettivamente a un’esperienza di vita non è dipendente esclusivamente dai processi cerebrali, ma può essere compreso soltanto nell’ambito di un orizzonte culturale specifico. Onde si può dire con Hell che il significato dell’esperienza psichica sta nel linguaggio e il significato del linguaggio nell’incontro degli uomini tra loro e nel loro confrontarsi con il mondo17. I disturbi psichici si accompagnano, invero, alla modificazione delle funzioni cerebrali, ma non si esauriscono in tali modificazioni. Ammalato psichicamente, conclude Hell, non è un cervello, ma una persona. Il significato di una infermità psichica non sta nel cervello, bensì nella presa di posizione di una persona rispetto a se stesso e nella relazione linguistica tra l’uomo e la sua cultura18. La pluridimensionalità dell’infermità psichica rinvia alla compresenza nell’uomo delle tre dimensioni della vita organica, della vita psichica e della vita spirituale, non separate tra loro, ma costituenti un’unità inscindibile nel composto umano di corpo e anima. Günter Rager, professore di Anatomia, Embriologia e Neurobiologia all’Università di Friburgo in Svizzera, ha suggerito l’analogia strutturale tra le teorie neurobiologiche oggi emergenti, che vedono una stretta interrelazione tra la mente e il corpo, tanto da parlare di ‘incarnazione della mente’, e la spiegazione filosofica dell’esistenza individuale elaborata da Aristotele e Tommaso d’Aquino. Per essi forma e materia sono un nulla, in sé e per sé considerate. Forma e materia non sono sostanze, ma principi, che danno realtà alla vita nel loro legame reciproco. L’anima è la forma vivente del corpo, che gli dà la consistenza che noi sperimentiamo. Il corpo, invece, è visto come principio di 17 18 Ibidem, 143 Ibidem, 160 10 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] individuazione. Il corpo fornisce all’anima un luogo, nello spazio e nel tempo, la rende individuabile e distinguibile19. Se l’uomo è un composto di due sostanze, l’anima e il corpo, e il suo essere non può venir ridotto all’una o all’altro, separatamente considerati, le infermità mentali attingono la persona nella sua interezza, indipendentemente dalla loro causa, provocando effetti in larga parte simili sul funzionamento della psiche. Alcune patologie della mente trovano origine in un’alterazione organica o funzionale di certi organi del corpo: questa alterazione provoca ulteriori alterazioni nello psichismo della persona, in quella parte dell’anima più dipendente dal corpo, in guisa che la parte nobile dell’anima − lo spirito − pur indenne dalla patologia, non ha più la possibilità di manifestarsi e di esprimersi esteriormente. Come insegna San Gregorio di Nissa: “In ogni organo del composto umano, che possiede di per sé un’attività propria, la potenza dell’anima può restare senza effetto, se l’organo in questione non si mantiene in armonia con l’ordine naturale”20. In questi casi, come insegna anche Tommaso d’Aquino, l’infermità, essendo un disturbo diretto e primario del corpo, attinge anche l’anima, però soltanto per accidens21. 4. Le infermità mentali che hanno origine nelle patologie dell’anima 19 RAGER, Hirnforschung und die Frage nach dem Ich, in AA. VV., Ich und mein Gehirn, cit., 49-50. 20 S. GREGORIO DI NISSA, La creazione dell’uomo, XII, PG 44, 161 AB. 21 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae III q. 15 a. 4 in c: “Animam in corpore constitutam contingit pati dupliciter: uno modo, passione corporali; alio modo, passione animali. Passione quidem corporali patitur per corporis laesionem. Cum enim anima sit forma corporis: et ideo, corpore perturbato per aliquam corpoream passionem, necesse est quod anima per accidens perturbetur, scilicet quantum ad esse quod habet in corpore”. 11 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] Non tutte le patologie mentali, però, sono di origine organica. Se l’uomo è un composto di anima e di corpo, è inevitabile che vi siano delle patologie dell’anima che influiscono anch’esse sul funzionamento della psiche, fino a provocare effetti sul piano corporeo e del comportamento. In un processo celebratosi in Italia nei confronti di un uomo accusato di plurimi omicidi, di tentato omicidio, di plurime violenze sessuali nei confronti delle vittime e di mutilazione dei cadaveri − processo conclusosi definitivamente con la condanna all’ergastolo per effetto della pronuncia 7 febbraio 2002 della V^ sezione penale della Corte di Cassazione −, si è discusso a lungo, al più elevato livello scientifico, se l’accusato, inquadrato nella casella della personalità abnorme nell’ambito di una parafilia secondo la specificazione del sadismo sessuale, fosse o meno responsabile degli atti compiuti. Gli esperti che redassero l’ultima perizia collegiale, sostenendo la responsabilità dell’accusato, hanno, tra l’altro, sostenuto: “Non vi è dubbio che la pulsione parafiliaca sia una esigenza ‘forte’, difficile da combattere […] tuttavia, il controllo degli impulsi è nelle parafilie possibile e in questo caso l’esecuzione del rituale parafilico non è uno scoppio improvviso, ma comporta una messa in scena precisa e una complessa organizzazione: la coscienza dell’Io è sempre attiva e una serie di eventi sfavorevoli o la presenza di altri inibirebbe questa sequenza comportamentale. È il Super-Io che è indebolito ed è l’istanza sovracosciente di controllo che va esercitata che viene meno, istanza che può essere sempre richiamata”. Altri periti, che si erano pronunciati in precedenza, pure nel senso della responsabilità dell’accusato, hanno sostenuto, richiamandosi a due studiosi delle 12 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] perversioni e delle personalità parafiliche, Kernberg e Bergeret22, che l’accusato mostrava, sia nelle caratteristiche strutturali della personalità, sia sul piano relazionale, i seguenti caratteri: “[…] l’incapacità a calarsi in una dimensione etica nel rapporto con l’interlocutore, l’incapacità di investire in relazioni che non siano di tipo manipolatorio, la necessità di confessare soltanto ciò per cui è stato colto in fallo insieme con la evidente tendenza alla falsificazione”. E hanno affermato che le situazioni descritte: “inducono nell’interlocutore un senso di irrealtà o di difficoltà di contatto con la realtà”. La conclusione di questo primo collegio peritale è stata, però, che il quadro complessivo non significava che N.N. avesse un disturbo patologico nel contatto e nel rapporto con il reale, “[…] ma soltanto che non riesce a mettersi in contatto con l’interlocutore nell’ambito di una dimensione etica”. Ma cosa significa: “non riuscire a mettersi in contatto con l’interlocutore nell’ambito di una dimensione etica”? Significa aver completamente (rectius: quasi completamente) rinnegato la propria coscienza di uomo. Nel saggio “Coscienza e verità”, pubblicato nel 1991 in “La Chiesa. Una comunità sempre in cammino”23, il Cardinal Joseph Ratzinger, mettendo in evidenza l’estrema radicalità dell’odierna disputa sull’etica e sul centro di essa, la coscienza, definiva il concetto di coscienza, individuandone due livelli, distinti ma strettamente interrelati uno con l’altro. Da un lato egli focalizzava un primo livello ontologico di coscienza, definendolo col termine greco ‘anamnesi’ 22 O. KERNBERG, Aggressività, disturbi della personalità e perversioni, Cortina, Milano, 1993; J. BERGERET, Clinica, teoria e tecnica, Cortina. Milano, 1990. 23 J. RATZINGER, La Chiesa. Una comunità sempre in cammino, in AA. VV., La coscienza, Città del Vaticano, 1996, pp. 17 e ss.. 13 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] (l’illustre teologo, ora Pontefice di Santa Romana Chiesa regnante come Benedetto XVI, ha preferito sostituire con questo termine quello medievale di sinderesi), consistente nel “[…] fatto che è stato infuso in noi qualcosa di simile ad una originaria memoria del bene e del vero […]; che c’è una tendenza intima dell’essere dell’uomo, fatto a immagine di Dio, verso quanto a Dio è conforme”24. Il Cardinale Ratzinger ricordava a supporto del suo dire il seguente brano del “De Trinitate” di Sant’Agostino: “Nei nostri giudizi non ci sarebbe possibile dire che una cosa è meglio di un’altra, se non fosse impressa in noi una conoscenza fondamentale del bene”25. Da un altro lato Joseph Ratzinger focalizzava un secondo livello della coscienza nella dimensione del giudicare e del decidere, come l’atto della ragion pratica, che giudica l’atto da compiere sulla base della conoscenza fondamentale del bene impressa nell’anima, nonché sulla base dell’esperienza e dell’educazione, tenendo conto delle circostanze specifiche con cui essa deve confrontarsi di volta in volta. Non riuscire a comunicare con gli altri secondo la dimensione etica significa agire avendo cancellato dalla propria coscienza il ricordo (l’anamnesi) del bene impresso in noi da Dio. La colpa di chi commette un delitto in questo stato di coscienza non è tanto e soltanto nell’atto del momento, bensì nel processo che ha condotto alla cancellazione dalla coscienza del ricordo del bene. Ma come può vivere l’uomo senza il ricordo del bene? È ancora un ente razionale colui che agisce avendo cancellato dalla sua coscienza il ricordo dell’essere e del bene? 24 25 Ibidem, p. 33. S. AGOSTINO, De Trinitate, VIII, 3, 4; PL 42, 949 14 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] Le patologie dell’anima sono quelle perversioni o disordini − chiamate dalla teologia morale ‘passioni sregolate’ − del modo di esistenza dell’uomo nel suo rapporto con Dio, con se stesso, con gli altri e con la natura creata che lo conducono a cancellare il ricordo del bene impresso nella coscienza e ad agire contro il principio fondante della ragion pratica, alla cui stregua il bene deve essere fatto e il male evitato. Ora, queste perversioni o disordini di tipo spirituale influiscono in modo rilevante sul funzionamento stesso della psiche e conseguentemente sui comportamenti umani, al punto che credo conveniente formulare la seguente tesi: la progressiva cancellazione dalla coscienza dell’anamnesi del bene impresso da Dio nell’anima conduce alla disgregazione della stessa coscienza psichica, alla frantumazione e alla scissione del funzionamento della psiche. Nelle complesse e delicate relazioni tra le patologie spirituali e il funzionamento della psiche e nelle altrettanto complesse relazioni tra le patologie organiche e il funzionamento della psiche sta l’estrema difficoltà di distinguere fino in fondo nei casi giudiziari tra infermità mentale e perversione del carattere o della personalità. La prima, con l’effetto giuridico di escludere o di diminuire la responsabilità per l’atto compiuto; la seconda, che imporrebbe, secondo un orientamento rigido, ormai, come si è prima visto, in via di superamento, di mantenere intatta la totale responsabilità giuridica. Vero è, piuttosto, che tra patologia mentale e perversione del carattere o della personalità v’è un’interrelazione stretta, un reciproco influenzamento che non consente mai la formulazione di conclusioni nette e assolute. Va tuttavia riconosciuto che, allo stesso modo in cui vi può essere una malattia mentale a fondamento organico, che produce l’abnormità del 15 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] comportamento psichico, così vi può essere una malattia spirituale che, provocando lo sregolamento delle più diverse passioni al di fuori del controllo della ragione, produce danni irreversibili dello stesso funzionamento psichico. Le cause sono opposte: organica, in un caso; spirituale, nell’altro. Ma le conseguenze sono le medesime. JeanClaude Larchet, in una serie di volumi ispirati alla spiritualità dei Padri orientali dei primi secoli della Chiesa, ha mostrato, per un verso, l’effetto devastante delle passioni sregolate sullo psichismo umano, e, per un altro verso, l’analogia tra i sintomi e i disturbi della nosografia psichiatrica e i sintomi e i disturbi della nosografia spirituale. Per limitarci soltanto a qualche esempio, Larchet ha osservato che il carattere patogenetico dell’attitudine dell’orgoglio non è ignorato dalla psichiatria moderna che l’ha tuttavia “[…] amputée de sa dimension morale et spirituelle et la désigne le plus souvent comme ‘survalorisation’ ou ‘hipertrophie’ du moi”26. Questa attitudine si presenta al più alto grado nella psicosi paranoica, ma è presente anche nella nevrosi isterica. Allo stesso modo ciò che si è abituati a chiamare dopo Freud con il termine ‘narcisismo’ “correspond également a cette passion, mais se rattache plus étroitement encore a la ‘philautie’, l’amour passionel du soi-meme, lequel a souvent pour object le corps”27. Ma anche altre patologie psichiche evocano gli effetti di passioni sregolate: le nevrosi fobiche, lo stato emotivo del timore; la nevrosi d’angoscia, lo stato emotivo della tristezza e del timore; la psicosi melanconica, le passioni dell’accidia e della tristezza nella sua forma estrema di disperazione28. 26 J.C. LARCHET, Thérapeutique des maladies mentales, Paris, 1992, p. 99. Ibidem. 28 Ibidem, 100 27 16 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] San Tommaso d’Aquino, sviluppando le intuizioni di Aristotele, dopo aver distinto tra le infermità del corpo e quelle dell’anima, soggiunge che queste ultime sono di due tipi: quelle contro la ragione e quelle contro la natura29. Nel primo caso la perversità dell’agire non fuoriesce dai limiti della natura umana. Nel secondo caso le passioni corrompono a tal punto l’equilibrio della persona, che si può dire che essa si apparenti al modo di essere di un animale, poiché l’uomo si comporta difformemente dalla disposizione specifica che connota la persona. Già Aristotele nell’Etica Nicomachea aveva trattato della ‘bestialità’, che caratterizza in qualche caso il comportamento dell’uomo, traente talora origine dalla costituzione della persona, talaltra da stati morbosi provocati o da infermità fisica o da costumi contrari alla natura, contratti specialmente durante l’infanzia e che hanno deturpato lo sviluppo del carattere30. San Tommaso, commentando l’Etica di Aristotele, individua tre possibili cause della ‘bestialità’: la mancanza di leggi adeguate, che favoriscono i costumi perversi; le infermità o i grandi traumi affettivi, che possono provocare la demenza; il progresso nella malizia, che può condurre a comportamenti bestiali contro natura. Tutti i disturbi definiti come ‘bestiali’, aventi genesi nel comportamento abnorme, sono definiti da San Tommaso come ‘aegritudo animalis’, che può essere tradotto con l’espressione ‘infermità psichica’: “un trastorno de la vida sensitiva interior y de la afectividad con génesis anímica, en 29 Per l’intera problematica e per l’approfondito esame dell’insegnamento di S. Tommaso d’Aquino e di Aristotele cfr. M.F. ECHAVARRÍA, Santo Tomás y la enfermedad psíquica, in AA.VV., Bases para una psicología cristiana, Actas de las jornadas de psicología y pensamiento cristiano, 27 y 28 de agosto de 2004. Facultad de Filosofía y Letras. Pontificia Universidad Católica Argentina, Buenos Aires, 2005, 38 ss. 30 ARISTOLE, Etica Nicomachea, L.VII, c. 5, 1148, b 19-27 17 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] cuanto causado por las malas costumbres”, secondo la precisa definizione formulata da Martín Federico Echavarria31. I vizi contro natura, sempre secondo San Tommaso, sono contrari non soltanto alla ragione, che individua l’elemento differenziale specifico tra l’uomo e l’animale, bensì addirittura alla naturalità dell’animale, che costituisce il carattere di genere comune tra l’uomo e l’animale. Onde, secondo Echavarria, con il concetto di ‘aegritudo animalis’, si identifica non soltanto un’infermità dell’anima, bensì, più precisamente, l’infermità della dimensione ‘animale’ dell’anima umana, che si definisce oggi come ‘psiche’32. Sussiste, infatti, secondo S. Tommaso, una “insania secundum animam”, che insorge quando l’anima dell’uomo si estranea alla disposizione che caratterizza la specie umana. Colui che ha smarrito la naturale inclinazione affettiva verso gli altri e si è vestito di una aggressività antinaturale e sadica contro i suoi simili, costui è un insano nell’anima33. Come profondamente annota Echavarria, questi disordini di tipo bestiale, mostruoso, efferato si distinguono dai comuni vizi umani perché rivelano non soltanto una disposizione affettiva contraria alla retta ragione, ma altresì perché la loro materia “no corresponde a la que naturalmente es proporcionada al apetito del hombre, por eso es contra natura”34. Ciò che definisce questi contegni è il loro carattere inumano e contronaturale. Il che li colloca ben al di là del vizio 31 ECHAVARRIA, Santo Tomás,cit., 42 Ibidem, 44 33 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae II-II q. 157 a.4 ad 3: “Insania dicitur per corruptionem sanitatis. Sicut autem sanitas corporalis corrumpitur per hoc quod corpus recedit a debita complexione hamanae speciei, ita etiam insania secundum animam accipitur per hoc quod anima humana recedit a debita dispositione humanae speciei. Quod quidem contingit et secundum rationem, puta cum aliquis usum rationis amittit: et quantum ad vim appetitivam, puta cum aliquis amittit affectum humanum, secondum quem homo naturaliter est omni homini amicus, ut dicitur in VIII Ethic” 34 ECHAVARRÍA, Santo Tomás, cit., 45 32 18 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] ordinario, che esprime un disordine della ragione, come esagerazione, per difetto o per eccesso, di una tendenza pur sempre naturale35. 5. Conclusione La tesi esposta è pregna di rilevanti conseguenze pratiche. Non posso soffermarmi su quelle che ne derivano sul piano pastorale e su quello medico/terapeutico, salvo osservare che, sul piano medico, va abbandonato il riduzionismo scientista che pretende di curare le malattie mentali agendo soltanto contro le cause somatiche o i sintomi psichici. Infatti, pur essendo necessario promuovere tutto ciò che può costituire un sollievo sul piano fisio/psichico, occorre che la cura sia integrata con una amorevole e rispettosa attenzione verso la persona, cercando, in ogni caso, di curarla nella sua essenza integrale di composto di anima e corpo, nella consapevolezza che all’interno dell’uomo vi è una parte migliore e una parte peggiore, che vi è una permanente guerra tra queste due parti e che non è indifferente la scelta della terapia affinché vinca la parte migliore. Sul piano giuridico scaturiscono dalla tesi esposta due regole pratiche apparentemente contraddittorie tra loro, ma, nella realtà, convergenti nel proporre il rispetto della persona come ente libero e responsabile, nella cui coscienza è impresso in modo indelebile, nonostante gli sforzi di cancellazione che la libertà sregolata può aver comportato, il ricordo del vero e del bene. La prima regola consiste nell’attribuire il dovuto rispetto, nella valutazione della capacità del soggetto, al principio di responsabilità contro il principio di irresponsabilità. La mostruosità dell’atto 35 Ibidem 19 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] criminale, la sua antinaturalità, la sua incomprensibilità secondo le categorie del ragionamento ordinario non costituiscono motivo sufficiente per escludere la colpevolezza dell’autore. Come ha insegnato l’antropologia dell’epoca classica e cristiana, la ‘bestialità’ è lo stato cui approda l’anima frantumata, che ha smarrito l’anamnesi del bene a cagione di leggi aberranti, di costumi barbari e perversi, di mai raffrenate sollecitazioni mediatiche, del capitalizzarsi insaziabile in interiore hominis della passione dell’orgoglio e di tutte le altre passioni che a questa fanno conteggio. Il più sottile e colpevole incoraggiamento a coloro che sono incamminati sulla via della ‘bestialità’ sta proprio nel lavarsi le mani del problema che li riguarda, giustificandoli per l’insania, senza approfondire le cause che l’hanno provocata. Così, se non vi sia la certezza di un ‘valore di malattia’ dell’atto compiuto, nel senso di atto che corrisponde a un funzionamento abnorme dell’attività psichica coerente (altri direbbe legata da un nesso eziologico) con una patologia mentale dimostrata, la persona va ritenuta responsabile e non irresponsabile. Ciò non significa violare il principio in dubio pro reo, bensì trattare l’uomo, fino a prova del contrario, come uomo, cioè come dotato di una coscienza in grado di ricordare la voce del bene e di decidere conformemente al suo richiamo. E se è vero che le malattie spirituali tendono a cancellare il ricordo di questa voce nell’anima, è anche vero, per un verso, che questo ricordo non può essere cancellato fino al punto di non lasciare più alcuna traccia, e che, per un altro verso, l’uomo è responsabile anche per la colpa di aver volontariamente obnubilato la voce della coscienza. La seconda regola, apparentemente opposta alla prima, ma nella realtà a essa complementare, consiste nel dare rilievo, in senso attenuativo 20 P ROF . M AURO R ONCO AVVOCATO 3, P. ZZA S OLFERINO 10121 TORINO - P . I . 08562150014 TEL .: 011 5611484 - F AX : 011 5620147 E-M AIL : [email protected] della responsabilità, a tutte le situazioni che hanno effettivamente perturbato e condizionato l’esercizio della libertà, inducendo e sospingendo all’atto delittuoso, anche se ciò è avvenuto per una colpa pregressa, ponendo realmente al centro del diritto penale la nozione di colpevolezza, con tutte le implicazioni pratiche che essa comporta. Invero, anche le malattie spirituali sono malattie; anch’esse disturbano il funzionamento psichico; anch’esse sono suscettibili di cura. Anche a coloro che agiscono delittuosamente in forza di una coscienza psichica dilacerata dalla cancellazione (rectius: quasi cancellazione) della coscienza morale, è giusto e opportuno offrire i mezzi e le possibilità per la propria auto-riabilitazione, possibile una volta che essi si pongano in ascolto della voce della coscienza. In ogni caso, e comunque, una lezione preziosa deve valere per tutti: l’autonomia, che sta al centro dell’universo della giuridicità, su cui Francesco Gentile ha più volte, opportune et importune, richiamato l’attenzione degli studiosi, non è acquisizione definitiva, immodificabile, di cui ci si possa vantare per comportarsi alla stregua di ciò che contingentemente aggrada, bensì un dono prezioso che ciascuno deve assumere come compito arduo per la vittoria in se stesso della parte migliore e per l’edificazione di una società a misura della dignità umana, in adesione al progetto di Dio sull’uomo. Mauro Ronco Professore Ordinario di Diritto penale nell’Università di Padova Italia 21