Il gruppo come stanza della musica:
polifonia di inconsci.
Oggi bisogna essere pazzi per essere psicoanalisti! ( Danielle Quinodoz)
Un anno fa all'interno dell'Istituto di Psicoanalisi "H.S. Sullivan" si è costituito
un gruppo-studio con l'obiettivo di approfondire i presupposti teorici dei vari
modelli di analisi di gruppo, scambiarsi esperienze e collegare aspetti teorici
ad elementi clinici. Il gruppo è costituito da Manuela Grippo, Roberta Marri,
Pina Sciommarello, Elena Zampoli e coordinato da Alida Cresti. Siamo tutte
psicologhe-psicoterapeute con la stessa formazione analitica effettuata
presso la scuola di specializzazione IPA Sullivan, dove e' prevista, oltre
all'analisi individuale, anche l'analisi di gruppo.
Il lavoro che qui presentiamo nasce da una serie di riflessioni che il nostro
gruppo si è posto in seguito ad alcune letture teoriche che ci hanno poi
indotte a concentrarci su alcuni argomenti, quali i diversi approcci rispetto alle
concezioni di inconscio, soffermandoci poi in modo particolare sul modello
interpersonale-relazionale che evidenzia l'inconscio relazionale e la sfera del
pre-verbale. Un particolare interesse è stato riservato alle concezioni
psicoanalitiche di campo.
Tali argomenti hanno stimolato nel gruppo delle domande che a loro volta
hanno portato verso ulteriori riflessioni, sostenute anche dai collegamenti fatti
con la pratica clinica, in un movimento continuo di oscillazione tra diverse
posizioni e nuovi orizzonti.
Infatti, ognuno di noi ha esperienza di terapia di gruppo anche in contesti non
“ortodossi” analiticamente, lavorando all'interno di un'istituzione.
Ci siamo chieste in che modo, la nostra formazione analitica di gruppo, possa
divenire strumento utile anche per leggere un gruppo condotto invece in
modo non analitico, ipotizzando un possibile riverbero e una ricaduta su
entrambi i gruppi. Abbiamo quindi deciso di confrontarci a proposito di un
gruppo terapeutico, non analitico, inserito in un'istituzione e condotto da una
di noi.
La domanda era: come il pensare in modo psicoanalitico possa muovere
elementi nel campo, quale perturbazione questo potrebbe creare nel gruppo
condotto in modo non analitico e di riflesso nell'istituzione, e quale ne
potrebbe essere la ricaduta nella stessa mente del nostro gruppo di lavoro.
Per approfondire tali riflessioni, abbiamo ritenuto utile esplorare due sedute
del gruppo preso in esame, tuttavia interrogandoci anche se sia lecito, e
possibile, dare una lettura psicoanalitica su quanto emerge a livello inconscio
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in un gruppo “altro”.
Prima di passare alla situazione clinica su cui abbiamo lavorato, vorremo
soffermarci su alcune premesse teoriche che ci hanno guidato nella nostra
esplorazione e sostenuto nel nostro percorso.
Ci è sembrata interessante la posizione di A.R. Capolupo e D.Miglietta, che in
"Pensare nelle Istituzioni. La formazione psicoanalitica", sostengono che la
funzione analitica sia “uno strumento che permette di riconoscere che si
possa entrare in relazione con le persone con le quali siamo in stretto
contatto e nello stesso tempo riflettere su di sé" e quindi consentire
all’operatore di non essere travolto dalle dinamiche dei gruppi interne alle
istituzioni.
La funzione analitica della mente permetterebbe il pensare in modo analitico
e l’implementare la capacità di pensare, la capacità di sognare l'esperienza,
trasformandola. Sarebbe un’ attitudine ad entrare in rapporto con gli altri,
trasformando sentimenti incontenibili e dolorosi in elementi capaci di attivare
la crescita personale e sociale. La funzione analitica della mente passa
attraverso la revêrie del conduttore che aiuta a dare un nome, a dare voce,
agli stati emotivi che si addensano nel campo. E' ciò che Bion descrive come
il processo che permette la trasformazione di elementi beta in elementi alfa.
Lo strumento psicoanalitico può aiutare a funzionare e immaginare con gli
occhi della mente, cioè a sognare l'esperienza, trasformandola, così da aprire
ad una riorganizzazione creativa della vita mentale e del vivere sociale.
Riorganizzazione che crea le condizioni per rendere pensabili nuovi pensieri
e per lo sviluppo di nuove esperienze emotive.
La funzione analitica della mente e' un concetto complesso che ci ha
riproposto le domande che ci eravamo poste in partenza.
Il discutere in gruppo dell'altro gruppo, il pensare in modo analitico, l'attivare
la funzione analitica quali orizzonti avrebbe aperto? Cosa si sarebbe mosso
nell'ambito che stavamo esplorando? Per tali domande ci è stato utile riferirci
al modello di campo in psicoanalisi.
Il modello di campo, che si è sviluppato negli anni in ambito psicoanalitico,
risulta essere uno strumento capace di fornire una interessante descrizione
della complessità dei fenomeni analitici, gruppali e istituzionali. Il suo studio è
in divenire e riteniamo che la stessa difficoltà che si incontra nel tentativo di
sintesi sia data proprio dalla sua stessa natura: una potenziale ricchezza di
significazione dei vari nuclei di senso che coesistono al suo interno.
Non è lo scopo di questo lavoro entrare in merito alle origini e all'evoluzione e
sulla complessità di tale modello, riportiamo soltanto alcune definizioni che
pensatori psicoanalitici hanno formulato sul concetto di campo.
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Corrao, rielaborando il pensiero di Bion, sostiene che il pensiero nel gruppo
opera su vari elementi: idee, emozioni, fantasie. Tali elementi "vanno a
formare un campo comune in cui la trasformazione di un singolo elemento
riguarda tutti gli altri e contemporaneamente la trasformazione del campo
riguarda anche ogni singolo elemento" ( Rugi, "La mente estesa").
Riolo e Gaburri lo intendono come "campo emozionale",un sistema cioè "di
trasformazione della realtà fattuale ad opera della realtà emozionale".
(Gaburri 1997, Riolo 1997). Gli autori mettono in evidenza gli aspetti
trasformazionali dati dalle perturbazioni affettive e cognitive. L'attenzione, più
che agli attori ed ai contenuti della relazione, è sulle fluttuazioni e le
perturbazioni che si manifestano come " un onda, una quantità, una
sensazione, un'emozione" in un dato istante e che successivamente possono
diventare " un'immagine, un ricordo, un'associazione.."
Tale concezione di campo comporta un'abolizione del confine stabile tra
soggetto e oggetto e converge con la teoria bioniana " del conscio e
inconscio come prodotti di una differenziazione continua operata dalla
funzione alfa sulle esperienze emozionali e sensoriali" ( Rugi, " La mente
estesa"). Il campo quindi viene considerato come un contenitore comune
emozionale, un elemento "terzo", uno spazio trasformativo di elementi
preverbali e protomentali, in cui un insieme di pensieri non ancora pensati ed
un vortice di turbolenze emotive sono in attesa di operazioni trasformative
narrative, di prendere consistenza e forma. La creazione di una dimensione
terza "perturba reciprocamente i componenti che contemporaneamente la
attivano e ne sono contenuti" (Rugi, " La mente estesa").
L'occuparci di un altro gruppo voleva dire quindi entrare in un campo
emozionale comune, ciò avrebbe attivato turbolenze emotive potenzialmente
trasformative per entrambi.
Ci siamo chieste quindi cosa inconsciamente sarebbe transitato nei due
gruppi, tra il nostro gruppo ed il gruppo oggetto delle nostre discussioni; se e
come, l'altro gruppo avrebbe percepito la nostra "presenza" nel campo, cosa
avrebbe colto, quale sarebbe stata poi l’eventuale ricaduta sul nostro gruppo.
Tali domande sono state anche stimolate dalla riflessione a proposito delle
nuove concezioni dell'inconscio nelle prospettive relazionali. Anche su questo
interessante tema riporteremo alcuni sintetici passaggi.
Da quanto emerge dagli sviluppi delle neuroscienze, sembra essere sempre
più confermata l'idea che siamo preparati ed educati emotivamente a leggere
le menti degli altri; questa comunicazione avviene a livello neurologico per
mezzo dell'attività dei neuroni specchio. Allan Schore, nei suoi interessanti
lavori, ha mirabilmente descritto i punti di contatto tra le scoperte
neurobiologiche e la teoria e pratica psicoanalitica. Insieme a Schore,
Fonagy, Target, Freeman sostengono che il nostro cervello e lo sviluppo della
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mente sono formati dalle relazioni interpersonali e fatti per essere nelle
relazioni. Siamo costruiti per entrare in contatto con le menti degli altri ed il
contatto, la relazione con l'altro, plasma e da' forma alla nostra mente e
struttura il cervello. Ciò avviene durante tutto il corso della vita.
Nell'interessante articolo "L'inconscio nelle prospettive relazionali" di
Fiorentini ed altri, si sostiene che l'inconscio non appartiene totalmente al
singolo poiché si forma all'interno delle relazioni interpersonali. Si costruisce
congiuntamente tra la mente dell'individuo e l’interazione con gli altri, in una
reciproca influenza.
Da qui l'idea che inconscio individuale non sia dato una volta per sempre, ma
sia sempre in divenire. Per Dina Vallino (1997) l'inconscio e' un luogo
immaginario in cui le menti si incontrano e creano; scrive:"fiorisce qualcosa
che prima non c'era "( Vallino, 1987, 178).
L'inconscio si crea quindi in uno spazio intermedio in cui le soggettività si
incontrano. Uno spazio potenziale ed insaturo in cerca di senso.
Queste sono le premesse teoriche che ci hanno guidato nell'esplorazione e
nella riflessione del materiale clinico. Vi chiariremo poi quelli che sono stati, a
nostro avviso, i passaggi significativi e gli elementi che hanno risuonato in
noi, consapevoli che la ricerca di senso del materiale clinico sia stata
naturalmente frutto della nostra mente gruppale e che, per questo, non possa
che considerarsi nell'unicità dell'incontro tra il nostro e l'altro gruppo. Siamo
altresì consapevoli di aver dato voce soltanto ad alcuni dei significati possibili.
Parte clinica
Il gruppo di cui ci siamo occupate, e' un gruppo terapeutico composto da
adolescenti con patologie psichiatriche in carico ad un centro diurno con
l'intento di una riabilitazione psichiatrica. Nello specifico si tratta di tre maschi
e tre femmine di età compresa fra i 15 e 19 anni. Il gruppo si riunisce una
volta a settimana, per un ora, e' un gruppo aperto, eterogeneo per patologia.
E' co-condotto da due terapeute di diversa formazione, con lo stesso
mandato istituzionale. Tale mandato viene declinato diversamente a seconda
della formazione delle terapeute, così che alla terapeuta con formazione
analitica e' stata concordata la funzione di lettura della dinamica del gruppo.
Già questa suddivisione ha giustificato, a nostro parere, le domande che ci
siamo poste all'inizio, cioè quanto un “pensare analitico” possa influire nel
campo, caratterizzando la struttura del gruppo, determinandone la matrice,
intesa come concetto dinamico e come ciò che emerge dall'incontro tra la
struttura (rete) e i processi gruppali.
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Seduta n. 23
(Entro nella stanza e mi siedo e, mentre anche i membri del gruppo entrano,
scorro mentalmente l'appello. Mi accorgo che per la prima volta dall'inizio
dell'anno siamo tutti presenti e associo l'evento al fatto che la seduta odierna
sarà oggetto di discussione nel gruppo di lavoro, come se già il gruppo
percepisse la presenza fantasmatica dell'altro gruppo. Penso che forse siamo
tutti molto curiosi di vedere cosa succede nel metterci in mostra.)
Marco: siamo tutti oggi!
(Si sentono rumori fuori e dentro la stanza)
Marco : spostano la macchina da cucire. I. vuole farci uno scaffale.
Emma: forse c'è un cellulare acceso vicino ad una cassa
(si sente il ronzio delle casse amplificatrici usate nell'ora precedente al
gruppo per l'attività di musica. Tutti controllano il proprio cellulare e lo
spengono. Penso che, lo spegnere il cellulare, sia un fatto eccezionale per
loro; non lo avevano mai fatto prima, in nessuna delle attività a cui
partecipano all'interno della struttura. Ma perché lo fanno oggi? Sembrano
tutti così diligenti...non è da loro! ).
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(Prendiamo tutti posto a sedere. Silenzio. )
Fin dalle prime battute della seduta, ci siamo chieste se il nostro interesse e
l’attesa di entrare in contatto con le dinamiche del gruppo in questione, siano
già stati percepiti e quindi inseriti nel campo tramite la mente dell'analista.
Ci siamo chieste quanto i brusii, come rumore di fondo e intesi come disturbo,
le interferenze sentite, possano essere espressione della connessione fra i
due gruppi, tanto che i partecipanti, per la prima volta, secondo la notazione
della terapeuta, spengono il cellulare, quasi a manifestare un bisogno di
disconnettersi e allo stesso tempo, un fare silenzio per meglio sentire, forse
una sorta di speculare curiosità e quindi un connettersi all’altro gruppo. Il
nostro.
Del resto, l'elemento di ambivalenza e' stato riscontrato in più passaggi in
entrambe le sedute riportate nel gruppo di lavoro.
Un'ulteriore riflessione è sorta a proposito del luogo in cui viene svolto il
gruppo: la stanza della musica e subito notiamo come la prima osservazione
che i ragazzi fanno sia proprio rispetto ai rumori dentro e fuori la stanza.
Questi rumori, alternati a momenti di silenzio, ci sembrano quasi formare una
bozza di partitura musicale. Così, la stessa modalità di ingresso dei ragazzi
nella stanza, il loro prendere posto, ci rievoca il movimento dei musicisti che
entrano nel proscenio, si siedono e iniziano ad accordare i propri strumenti.
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(Il silenzio viene interrotto da Emma.)
Emma: stasera porto Teo ( il gatto ) dal veterinario. Il graffio e' opera sua
(mostra la mano graffiata al gruppo). Il resto delle screpolature no, e' perché
ho le mani screpolate. Voglio chiedergli di sterilizzarlo.
Marco: ma perché questa cosa crudele?!
Emma: per evitare l'AIDS dei gatti.......va castrato per evitare che faccia a
botte con gli altri gatti e che muoia di AIDS.
(a questo punto il gruppo si spacca tra chi chiede spiegazioni su come
funzioni l'AIDS nei gatti, se si attacca all'uomo e chi spiega che è una malattia
autoimmune che "distrugge le difese immunitarie" e chi commenta che è una
crudeltà castrare il gatto).
Il gatto ci appare come il primo simbolo prodotto dal gruppo, polivalente e
portatore di più voci. E' colui che può far ammalare,in quanto portatore di
AIDS ,ma anche colui che può ammalarsi. La confusione e' proprio su chitrasmette-cosa: su chi può venire contagiato e chi è colui che contagia. Una
confusione, anche identitaria, che ci induce a chiederci se il gatto non
rappresenti entrambi i gruppi: il loro e il nostro.
Da questo è derivata un'ulteriore riflessione, su quanto la nostra intrusione
nel gruppo possa essere stata sentita come violenta e possa aver scatenato
nei partecipanti un vissuto di angoscia persecutoria (L’Aids: la malattia che
distrugge le difese immunitarie). Il gruppo sembra reagire all’ansia di un
contagio, di una temuta "colonizzazione" graffiando o fuggendo.
( l'animata discussione viene interrotta da Elisa)
Elisa: io voglio una papera gialla! L'ho vista in un documentario: e' dolce,
assertiva, ti viene dietro e fa tutto quello che fai tu!
Emma: si, l'ho visto anch'io quel documentario
(Penso immediatamente alla copertina del blocco su cui sto scrivendo, in cui
vi è raffigurato un cane e una papera gialla che si baciano. Mi stupisce e mi
perturba la percezione della sintonizzazione che il gruppo opera tra loro e me
attraverso l'immagine della copertina del blocco )
Luca: posso andare in bagno?
Coterapeuta: si, certo ti aspettiamo qua!
Marco: una papera gialla come quella del quaderno. Elena fagliela vedere?
(Mostro la copertina)
Elisa: si, voglio una papera gialla come quella!
Elisa si fa voce di un’altra parte del gruppo che mediante il simbolo della
papera gialla, manifesta invece un bisogno di tenerezza, di affiliazione e di
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protezione, rivolgendosi alla terapeuta (infatti il gruppo richiama l'immagine
del suo blocco) come a chiederle di farsi garante del gruppo e proteggerlo
dalla nostra pericolosa e virale intrusione.
(Poi Il gruppo in una catena di associazione di idee, si sofferma sui vantaggi
e gli svantaggi nel crescere, cioè se convenga restare bambini o sia meglio
crescere in fretta. Su cosa significhi essere genitori, su chi sia da considerarsi
davvero genitore e su come vengano adottati i bambini. La seduta si
conclude con le parole di Dario e Elisa.)
Dario: si, e' per questo che per me i genitori sono quelli che ti crescono e che
ti vogliono bene, non quelli che ti fanno. Troppo facile farti uscire da li' !
( indicando le gambe di Elisa .). Il difficile viene dopo!
Elisa: sono d'accordo, anche per me il mio babbo non e' quello che mi ha
fatto, ma il compagno di mia madre.
Seduta n.30 successiva alla discussione nel gruppo di lavoro.
(Sono presenti 4 ragazzi su 6. Conduco il gruppo da sola perché manca
anche la co-terapeuta. Ci sono stati dei cambiamenti all'interno del gruppo:
Elisa e' stato dimessa ed è entrata Sara a far parte del gruppo. Marco entra
nella stanza e prende i tamburelli - che erroneamente chiama maracas- e sui
quali appoggia il braccio).
Marco: chi siamo oggi?
(Il gruppo da' il benvenuto a Sara e Marco le esplicita le regole del gruppo.
Altri intervengono per spiegarle come funziona il gruppo. Sono colpita dai
termini, mai utilizzati prima, usati per descrivere cosa si fa in gruppo, come
funziona e quale sia il mio compito all'interno del gruppo stesso. Vengono
utilizzati, infatti, termini quali "interpretazione", " dinamica", spiegando il mio
compito come un cercare di "dare un senso a cose apparentemente senza
senso", utilizzando "metafore" , "fantasie" per raccontare la storia del gruppo).
Da parte nostra, eravamo veramente curiose di verificare se e come il loro
gruppo avrebbe reagito alla nostra discussione fatta a proposito delle loro
dinamiche. L'incipit ci appare ancora una volta come un richiamo alla musica.
Il tipo di strumento (i tamburelli) che Marco introduce nel gruppo, nell’affinità
con il tamburo, ci rimanda ad un ritmo primitivo, e quindi ad un elemento
primario legato al corpo materno, al battito del suo cuore già percepito dal
feto. Il ritmo ci rimanda anche all'oscillazione del tempo, alla modulazione
nella relazione primaria.
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Le maracas richiamano invece il sonaglio dei bambini, un momento evolutivo
successivo, di ricerca ed esplorazione dell'ambiente circostante, in un gioco
che combina insieme più elementi: il sensoriale e il motorio, producendo nel
bambino un gratificante senso di efficacia.
A proposito di questa confusione tra tamburelli e maracas, che sembra
rispecchiare stati del Sé gruppale ambivalenti e confusi se non contraddittori,
ci chiediamo se non vi sia anche l’espressione di una richiesta, di chiarezza e
di contenimento, che il gruppo sta agendo nei nostri confronti. Certo il gruppo
sta vivendo una confusione che sembra anche portare ad una fuga in avanti,
nel proporsi da parte di Marco come portavoce delle regole del setting,
Ciò è dovuto, probabilmente, ad una duplice assenza: della terapeuta (la
neuropsichiatra) che in questa seduta non è presente e di un membro del
gruppo che è stato dimesso.
Ma riteniamo che tale fuga in avanti possa anche essere stata indotta dalla
nostra presenza, ovviamente fantasmatica, nel campo gruppale. Il nostro
gruppo sarebbe stato allora percepito come una madre narcisista che utilizza
il gruppo-bambino per il suo scopo: la preparazione della relazione per il
convegno. Una madre, quindi, che si occupa del figlio in modo funzionale e
relativo solo ai propri bisogni, rivelandosi priva di empatia, e tale, quindi, da
indurre nel figlio, che non si sente pensato e contenuto “nella mente
materna”, la necessità di una crescita forzata.
Movimento che ci richiama alla mente l’immagine del poppante saggio di cui
parla Ferenczi.
(Dopo una breve discussione sulle esperienze scolastiche di ognuno, Emma
racconta che durante la notte non era riuscita a dormire per colpa di una
zanzara)
Emma: sono le femmine quelle che pinzano, vedessi che camera che ho! I
muri sono pieni di sangue perché le schiaccio.....ne ho schiacciata una
proprio piena di sangue, bella grassa!
Dario: ma perché poi prendono tutto quel sangue?! A che serve? Lo danno ai
piccoli?
Emma: si
(Sara e' insofferente, non vuole parlare di zanzare e di sangue, e rivolgendosi
agli altri chiede loro se sono felici. A turno ognuno risponde di si)
Sarà: ma voi prendete le pasticche?
(Sono colpita e penso che finalmente qualcuno ha il coraggio di esporsi,
finalmente iniziano a parlare direttamente di se'. L'argomento anima la
discussione, c'è chi sostiene l'utilità della terapia farmacologica, chi sottolinea
invece gli effetti di estraniazione e il senso di assenza che il farmaco può
dare. Altri sostengono invece la necessità di un rapporto umano per aiutarli a
guarire).
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Dario: perché il farmaco agisce sul sintomo mica sulle cause! Se prendi solo
quello e' ovvio che non ti fa nulla! Invece, se ci metti anche i colloqui, la
psicoanalisi, il Centro.......allora guarisci perché il disagio c'è lo abbiamo tutti.
Marco: ci deve essere il rapporto umano accanto al farmaco
Emma. annuisce, ma si è messa una sedia in testa e non parla.
Sarà: siamo sfortunati!
L'agito di Emma ha risuonato nel nostro gruppo con tutta la potenza che tale
gesto porta in se'.
Uno stravolgimento dell’uso di un oggetto, la sedia appunto, che da utensile
creato per sedersi, viene invece usata quasi a mo’ di cappello, e come non
stupirsi nel ritrovare, in questo gesto potentemente icastico, l’eco delle
immagini di un Bosch, in particolare della “Cura della follia”, dove sulla testa
del cerusico all’opera, il pittore pone, altrettanto incongruamente, un imbuto
capovolto.
Un gesto sentito da noi quasi come uno sberleffo, una risata nei nostri
confronti da parte del gruppo tutto. Un modo sarcastico per dirci che forse
siamo noi i veri portatori della follia e che, comunque, la follia sembra essere
l'unica via di fuga quando non c’è una possibilità di relazione.
Del resto, sappiamo che il “matto”, presso i popoli primitivi, come nelle corti
medievali, svolgeva proprio la funzione di dire le verità indicibili, di esprimere
ciò che non poteva essere detto, di agire la follia dei sani. Quel gesto,
dunque,”follemente sano”, ha permesso di far emergere in noi una nuova
consapevolezza, rovesciando il significato di quello che avevamo creduto di
fare fino ad allora. Ci siamo chieste se "matte" in realtà fossimo noi, con tutto
il bagaglio del nostro supposto-sapere, e la pretesa di capire tutto.
Come davanti ad uno specchio deformante ci era stata rimandata l'immagine
di una madre narcisista, forse addirittura folle, cosa che ci ha turbato e
sorpreso, ma che ci ha permesso di “riflettere”, di pensare e di entrare in
contatto, riconoscendolo, con un elemento inconscio che circolava,
perturbante, in entrambi i gruppi.
Ci eravamo poste in una posizione di potere e la riflessione successiva a
quanto sopra ci ha aiutato a collocarci in modo più adeguato, realistico,
rispetto alle nostre aspettative per questo lavoro.
Riteniamo, comunque, che questi movimenti tra i due gruppi confermino
l'idea di una comunicazione inconscia che può realizzarsi nella relazione con
l'altro e di come gli elementi inconsci si co-costruiscano nell'incontro con
l'altro, sia con un “altro” individuale sia con “l'altro” inteso come gruppo.
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Conclusioni
Nella pratica analitica l'attenzione e' sempre più rivolta al "come" ascoltare,
più che a "cosa" ascoltare. Più al significante che al significato. L'asse si è
sempre più spostato sulle comunicazioni non-verbali della relazione;
l'intonazione della voce, il respiro e il ritmo del discorso, le pause, le modalità
espressive, la mimica, possono esprimere i sentimenti più profondi e segreti.
Nella stanza d'analisi, l'ascolto dell'analista si muove in un movimento di
oscillazione continua tra ciò che si iscrive in significati e ciò che registra
invece i segnali dell'inconscio, la parte non ancora simbolizzata
dell'esperienza. E’ un continuo movimento che comporta una serie di
trasformazioni che operano tra conscio e inconscio, investendo sia l'analista
sia il paziente.
Riportiamo le parole di Bion, proprio da “Trasformazioni” nel tentativo di far
meglio comprendere il percorso che il gruppo ha svolto in questo lavoro.
" un lago, se il tempo e' bello, riflette gli alberi della riva sulla sponda che sta
di fronte all'osservatore. L'immagine degli alberi e' trasformata in un riflesso:
un'intera serie di ulteriori trasformazioni e' effettuata dai fenomeni
atmosferici..". In questo nostro percorso l'immagine del lago e' stata sempre
presente nella nostra mente. Ci siamo immaginate come una folata di vento
che potesse trasformare l'immagine del lago, il riflesso degli alberi che si
specchiano sull'acqua. E abbiamo cercato di dare voce all'elemento
perturbante dovuto al suo transitare nel campo.
Ma l'aspetto che più ci ha incuriosite e attratte e' stato il movimento che crea
il vento quando, con la sua energia, agita l'acqua del lago, le fronde degli
alberi, la vegetazione circostante; il rumore che può creare nel suo
passaggio, la musicalità che si crea.
Un movimento caratterizzato da modulazioni e ritmicità, che ci riporta, ancora
una volta alla musica, come esperienza primaria, preludio ad ogni
sintonizzazione affettiva, tanto che la musica sembra essere il mezzo
espressivo fondamentale degli inafferrabili contenuti dell’inconscio.
Stern (2011) afferma che la musica ci coinvolge grazie alle manifestazioni
vitali che risuonano in noi, e in ciò ” rientra negli affetti vitali, che consistono in
forme dinamiche del sentire legate a tutti i processi fondamentali della vita,"
che li pongono alla base della “conoscenza relazionale implicita” (conoscenza
non conscia e non verbale).
Per questo, le esperienze acustiche originarie sono da considerarsi formative
delle prime rappresentazioni oggettuali e affettive e quindi ogni suono (anche
se non strutturato come musica) può essere considerato un “segno” dinamico
evocatore di processi psichici in formazione e per questo molto difficili da
cogliere.
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Ma questa è la sfida che ci aspetta nella stanza d’analisi, quando, come ci
dice Di Benedetto, cito, “l’analista fa risuonare in una sua cassa armonica i
moti dell’animo dell’analizzando, converte in un certo senso i segni muti di un
pentagramma inconscio in un linguaggio ascoltabile e compie quindi
operazioni analoghe a quelle di un esecutore musicale”.
Questo ci riporta al titolo che abbiamo dato al nostro lavoro" il gruppo come
stanza della musica- polifonia di inconsci". Con questa metafora abbiamo
voluto raffigurare il campo che contiene entrambi i gruppi, appunto come "una
stanza della musica" dove le varie voci, le nostre e le "loro", hanno risuonato,
intrecciandosi, talvolta sovrapponendosi. in "un fare musica" insieme,
raggiungendo "le inaudite voci dell'inconscio" (Di Benedetto), comunicando
al livello più profondo.
Un'esperienza che ha comportato per noi la possibilità di entrare in contatto
con emozioni talora anche dissonanti, dolorose e doloranti. La turbolenza
emotiva che ha "attraversato" il nostro gruppo, grazie al riflesso dell'altro
gruppo, ci ha permesso di esplorare parti difficili da riconoscere, ampliando e
riorganizzando lo spazio psichico gruppale, così da confermarci nella
convinzione che, un "pensare analitico", implichi sempre il realizzarsi di un
ascolto e quindi di una comunicazione profonda, al di là delle parole, anche in
un setting non strettamente analitico.
Riteniamo, comunque che il nostro lavoro non abbia potuto che significare
parzialmente il campo che si era proposto di esplorare.
Inoltre, pensiamo, come sostengono Correale e Neri, che sia impossibile
indagare il funzionamento mentale di un gruppo senza conoscere gli aspetti
basici (emozioni e fantasie fondanti) del campo istituzionale in cui il gruppo e'
inserito. Nel nostro lavoro non siamo entrate in merito a tali aspetti, ma
abbiamo immaginato, seguendo la metafora bioniana del lago, che una folata
di vento possa essere circolata nel campo, anche istituzionale, perturbandolo.
Così come non abbiamo esplorato se vi sia stato un elemento trasformativo
nel percorso terapeutico dei singoli elementi del gruppo. Tali argomenti
esulano dal presente lavoro. Si è verificato invece un movimento, non
sappiamo quanto casuale, a livello istituzionale: la terapeuta del gruppo ha
avuto mandato di condurre il gruppo da sola. Pensiamo che ciò potrà
permettere una maggiore costanza e definizione del gruppo stesso.
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Alida Cresti
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Manuela Grippo
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Roberta Marri
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Pina Sciommarello
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Elena Zampoli
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