sabato 27 ottobre 2012 AL TRIANON 15 SPETTACOLI STASERA L’ULTIMO CONCERTO DELL’ARTISTA: LE SUE GRANDI CANZONI E LE CELEBRI CLASSICHE NAPOLETANE Peppino Gagliardi, classe in punta di piedi di Bruno Russo NAPOLI. Le tre giornate all’inse- gna della dolce musica di ritrovo, che segna il ritorno sulla scena al teatro Trianon di un beniamino come Peppino Gagliardi nello spettacolo “Live!”, si caratterizza nelle parole dell’artista: «Voglio curare la mia città: voglio cacciare l’ombra e restituire la luce a Napoli che non è più vera». Giovedi è stato l’esordio, molto “live” effettivamente, perché si è concesso al pubblico attento con grande simpatia, ma anche con un’emozione non indifferente, trasformata con la sua bravura in capacità di essere esplicito, sincero, e di farsi un po’ di autoironia, coadiuvato dall’intervento a sorpresa di alcuni musicisti. Uno di questi, Luca Sepe, che ha duettato con il suo sax, ha confessato alcuni momenti dell’amicizia con Peppino Gagliardi: «Ho collaborato con tanti artisti, ma non tutti mi sono rimasti simpatici, con lui però è stato diverso perché oltre ad essere un musicista tradizionale che sprizza un po’ di “swing” è un simpaticone nella vita, fuori la scena più che nella scena, e con lui scherzare è un fatto naturale, spontaneo, diverte tanto». Peppino Gagliardi, napoletano del ’40, è stato sempre, nonostante il suo crescente successo suggellato anche dai Festival della canzone, un cosiddetto “antidivo” per genuinità mista ad umiltà e simpatia “verace”, con una capacità sempre presente di arrangiare e rileggere i suoi pezzi con spiccata versatilità musicale, offrendo canzoni do- ALLA GALLERIA TOLEDO Anni di piombo, viaggio in Italia NAPOLI. Il racconto degli anni di piombo, una guerra da 2.500 morti in sette anni, è quello che Michele Di Salvo porterà in scena lunedì alla Galleria Toledo. Troppi di questi non hanno colpevoli. È così che la vedono gli occhi della “generazione dopo”, quella che in quegli anni era “bambina” e figlia di quegli eventi. Una storia un po’autobiografica ma che appartiene a tutti, anche se spesso la dimentichiamo. E questa storia è anche un viaggio. Comincia così questo racconto scritto per il teatro che attraversa e racconta tutta l’Italia e ripercorre gli anni recenti della nostra storia. Ma perché questa storia è così importante e ci riguarda e tocca ancora oggi? Perché molti di questi nomi sono tutti ancora lì, e fanno la politica del nostro Paese, come spiegherà ed argomenterà la voce narrante nel corso dell’opera. SALERNO Massimiliano e Peppino Gagliardi (foto di Davide Visca) tate di notevoli atmosfere romantiche, che gli hanno procurato l’appellativo di “Aznavour italiano”: alla sua “prima” ha interpretato le sue più note composizioni e i classici della canzone napoletana, spesso su richieste sempre soddisfatte, e la sensazione ricevuta è che il suo arrangiamento molto dolce e sinuoso portava il pubblico ad applaudire prima che finisse il brano. Accanto a lui era presente una band composta dal figlio Massimiliano, pianista e arrangiatore dello spettacolo di Maddalena Crippa su Giorgio Gaber, il chitarrista Marco Sinopoli figlio del grande direttore d’orchestra, Giuseppe, il bassista Toto Giornelli e il batterista Daniele di Ruocco. AL “DIANA” Peppino Gagliardi iniziò la sua carriera con un complesso che portava il suo cognome, “I Gagliardi”, e dopo essere diventato solista ottenne nel 1963 il primo successo con “T’amo e t’amerò”, coadiuvato dai successivi “Ascoltami mio Dio”, “Verrò a chiederti perdono”, “Nisciuno ’a pò capì”, “Questa sera non ho pianto”, “Ti credo”, tra il 1963 e il 1965, tutti riproposti al Trianon. Ha partecipato più volte al Festival di Sanremo nei mitici anni ’70, raggiungendo l’apice con “Settembre” nel 1971, “Sempre sempre” ancora nel 1971, classificandosi secondo per ben due volte alla rassegna nel 1972 e nel 1973 con “Come le viole” e “Come un ragazzino”; solo nel 1993 è poi ritornato sul palco di questa kermesse con “L’alba”. Già dal nome e dai testi dei suoi maggiori successi, riproposti al Trianon tra una battuta e un’altra, Peppino Gagliardi ha dimostrano il contenuto molto intimistico delle sue canzoni, condiviso con il figlio attraverso due pianoforti a coda collocati l’uno accanto all’altro diametralmente opposti, ma legati da un affetto che ad un certo punto Peppino non ha potuto più contenere affermando «È bellillo eh?», per poi riguardare in basso come se si fosse accorto che era appena di poco uscito dalla sua tenera compostezza. Una dolcezza distinta che l’artista ha dimostrato facendosi calettare addosso una fisarmonica quasi più grande di lui, che poi ha suonato divinamente, alzando ogni tanto il mento verso l’alto per compiacersi con un affetto che si è diviso tra il pubblico affezionato e la presenza di molti artisti noti, che lo stimano tanto. “Sempre, sempre non amerò che te nella mia vita, orchestra parole dei miei giorni più felici, parole che chi ama capirà; il tempo passerà ma non cancellerà i sogni che ho vissuto insieme a te; sempre, sempre non amerò che te nella mia vita”: sono parole uniche, evidenza oggettiva dell’eternità che la musica di Gagliardi condivide con i sentimenti, un sentire che non è da molti. Stasera il terzo e ultimo appuntamento in programma al Trianon che con “Music Live” continua a riproporre le melodie di ieri e di oggi, da rieditare con il contatto esplicito del pubblico. LA TERZA EDIZIONE DALL’8 ALL’11 NOVEMBRE Salerno Festival, festa per tutte le coralità SALERNO. La grande festa corale nazionale del III Salerno Festival è in dirittura di arrivo. L’organizzazione dell’Associazione Regionale cori Campani, presieduta da Vicente Pepe e la Feniarco hanno lavorato in maniera eccezionale portando al grande evento la partecipazione di ben 47 cori, provenienti da tutta Italia, e oltre mille cantori. La novità dell’edizione 2012, che prenderà il via giovedì 8 novembre per concludersi domenica 11, è la grande festa delle Coralità del Sud Italia, numerosa come non mai. Lazio, Piemonte, Abruzzo, Emilia, le altre regioni presenti al Festival che, ricordiamo, è nato tre anni fa da un’idea del presidente dell’Arcc, Vicente Pepe, e dal suo laborioso direttivo. La Campania, presente con numerosi cori di Salerno e della sua provincia, con coralità provenienti dalla provincia di Caserta, Avellino e Napoli, vede quest’ultima, presente fino ad oggi a tutte le edizioni del Salerno Festival, partecipare con il Coro Polifonico Santa Caterina a Chiaia, direttore il maestro Keith Goodman e l’organista il maestro Livio De Luca, quale unica coralità a rappresentare il capoluogo. Giovedì si comincerà con il concerto di benvenuto presso il teatro Augusteo di Salerno, venerdì 9 seguiranno i concerti sul territorio Atrani, Cava de’ Tirreni, Fisciano, Portici, Salerno, Scafati, Vallo della Lucania, Vietri sul Mare. Sabato 10, con i concerti aperitivo e i concerti in città, la coralità animerà l’intera giornata fino al concerto di gala delle ore 21 presso il teatro Augusteo. Domenica 11 novembre, infine, presso la Cattedrale di Salerno Santa Messa officiata da monsignor Luigi Moretti con l’accompagnamento dei cori. Amedeo Finizio MICHELE CAPUTO CON YULIYA MAYARCHUK E LA SUA COMPAGNIA DI NUOVI E VECCHI COMICI “Komikamente”, show tutto da ridere di Mimmo Sica NAPOLI. Con “merda, merda mer- da”, il tradizionale “augurio” degli artisti del teatro, Michele Caputo e la sua Compagnia hanno salutato il pubblico del teatro Diana, accorso numeroso alla inaugurazione dei “Mercoledì?… Prendila a ridere!”. Il “Komikamente” portato in scena ha un format diverso da quello della scorsa stagione. Caputo, infatti, lo ha adeguato maggiormente alle esigenze televisive perché diventerà una trasmissione che, a partire dal prossimo anno, andrà in onda sul circuito nazionale. Lo spettacolo, perciò, è stato proposto come la “prova” di quella che sarà la puntata zero che andrà in scena, per la registrazione, il prossimo 14 novembre. Sul palcoscenico si sono avvicendati comici “vecchi” e “nuovi”. In particolare, si sono esibiti una parte dei comici, dieci, selezionati nel laboratorio di Caputo che è un “cantiere aperto” dove attori comici lavorano insieme per costruire e reinventare un nuovo modo di fare intrattenimento. Lo spettacolo è iniziato con Caputo in veste di presentatore affiancato da Yuliya Mayarchuk che gli ha “conteso” il ruolo di conduttore. È iniziata, quindi, la carrellata di comici con Ciro Coppola e la sua performance sulla coppia. Quindi, è toccato ad Antonio e Yuri i quali hanno interpretato il ruolo di due gigolò, uno francese e l’altro avellinese. Al termine, c’è stato il primo dei tre momenti interattivi con il pubblico dedicati agli sms. Prima dell’inizio dello spettacolo, infatti, all’ingresso della platea ciascuno spettatore aveva ricevuto da un “postino” un biglietto con scritto “Vuoi dire qualcosa alla persona che hai di fronte? Al comico che è appena uscito sul palco? All’amico che ti ha accompagnato stasera in teatro?... fallo con un sms”. La divertente e originale iniziativa ha riscosso notevole successo tant’è che il “postino”, cioè Gioacchino, sa- lito sul palcoscenico ha letto una prima serie di sms contenenti commenti su quanto fino ad allora visto, battute, apprezzamenti e quant’altro. Il tutto accompagnato in sala da applausi e risate. È entrato, quindi, Francesco D’Antonio che ha dato vita al suo show sui “dubbi”. A seguire lo sketch tra Caputo e la “tata Angela” di cognome Anna. Quindi Enzo Boffelli con la sua satira sulla situazione carceraria di Poggioreale. È seguito lo show dei record del duo i Supergiù “50 battute in 90 secon- di”. Antonio Riscetti, un altro del gruppo storico, ha fatto ridere con il suo monologo sul rapporto tra due fidanzati che poi si sposano. Il siparietto “C’è posta per te” tra Caputo e una riuscitissima Maria De Filippi ha fatto da preludio all’intramontabile Giambattista Pace. È stato, poi, il turno di Francesco Paglionico, l’uomo “Ikea”. Tra i vari momenti le performances degli altri “neo-comici”. Lo spettacolo è stato chiuso da venti minuti di pungenti battute e aforismi, salutate da risate e applausi, dell’ospite della serata Rocco Barbaro, il comico di Zelig dalla mitica frase “faccio quello che voglio”. Prima dei saluti finali è stata sorteggiata una cena gratis per due persone da “Rossopomodoro” tra tutti gli spettatori che avevano lasciato all’ingresso il proprio indirizzo di posta elettronica. «Lo spettacolo - ha detto Caputo continua sulla scia del successo dello scorso anno che ha portato Francesco Paglionico e Francesco D’Antonio a fare parte del cast di “Zelig” in onda su Italia 1. Il 14 novembre saremo a teatro con tutto il gruppo dei nuovi talenti selezionati nel laboratorio. Tra essi ci saranno molte donne e, in particolare, due ragazzine, una di 14 anni l’altra di 17, e una lucana. Ci sarà anche un giovanissimo comico 16enne. Ancora una volta lo spettacolo ha sottolineato come la mente comica vede la vita in maniera diversa da come la vede chi non è incline a ridere e a fare ridere. Questo non significa essere superficiali quanto, piuttosto, essere in grado di sdrammatizzare e tirare fuori le positività anche dalle situazioni più tristi. Grazie al Diana, alla proprietà e a tutti i collaboratori per l’ospitalità che ci danno». UN GRANDE SUCCESSO PER “LA GIOCONDA” DI PONCHIELLI Al “Verdi” si celebra il melodramma di Massimo Lo Iacono SALERNO. Il successo dell’allestimento de “La Gioconda” di Ponchielli, firmato da Yshai Stecker come direttore e Maurizio Di Mattia per la regia ed i costumi, festeggiato al teatro Verdi di Salerno nella settimana scorsa con tre repliche affollatissime, è stato frutto di una buona selezione di interpreti e di ottima scelta culturale. L’opera, infatti, è piaciuta ed ha sorpreso gli spettatori più giovani, emozionando chi ben ne ricordava i pezzi più famosi e passate edizioni importanti, anche al San Carlo soprattutto quella del 1967 con la Tebaldi. L’opera, che necessita di uno squadrone di voci di prim’ordine per ben sei ruoli, è fuori repertorio da tempo, ma per stra- nezza della sorte la si potrà riascoltare a Roma a breve. Benissimo ha suonato complessivamente l’orchestra stabile del Teatro accompagnando i cantanti senza esagerare nel volume e nella foga, o guizzando a tratti nel ruolo di protagonista, e con essa i cori dei grandi e dei piccoli, preparati l’uno da Luigi Petrozziello e l’altro da Silvana Noschese. Certo al coro adulto si richiede di tutto, di dare cioè voci a marinai, popolani, invitati aristocratici, perfino cantori sacri dietro le quinte, gondolieri lugubri: e tutto è stato fatto al meglio possibile nell’affollato, troppo, palcoscenico del teatro, in cui il regista, nella pur suggestiva evocazione di Venezia senza oleografia decadente né da cartolina - per fortuna - ha tuttavia vo- luto troppe presenze, sovraffollando le scene di Davide Giulioli, con elementi video di Jean-Baptiste Warluzel. E c’erano pure figuranti, e danzatori. A questi è andato il gran plauso al termine della “Danza delle ore”, avvertita quale culmine spettacolare e sentimentale dell’opera compreso il ricordo della edizione di Walt Disney in “Fantasia”. Gioconda era Seda Ortac, nella replica domenicale, coinvolgente nel canto generoso, curato e partecipe della psicologia della tragica cantatrice, felicemente contrapposta alla sontuosa vocalità lucidissima di Luciana D’Intino, autorevolissima e tenera Laura Adorno. Tra loro l’innamorato conteso era il tenore Hugh Smith con voce potente e squillo eroico, ma un po’ discontinuo nel- l’emissione, più estroverso nel dramma che intenso nel lirismo. Truce e possente il canto di Carlo Striuli nel ruolo fosco di Alvise Badoero, vicino al recitare cantando, struggente e possente il canto della cieca, Francesca Franci, vicina al cantare recitando. Tra tutti loro simpatico e brillante, a sorpresa, nell’interpretazione teatrale e nel canto è stato applaudito Lado Ataneli, nel ruolo di Barnaba, uno dei più cattivi personaggi del melodramma italiano: l’effetto è stato notevole, interessante. Peccato solo il ghigno acuto nel finale. Il teatro Verdi ha colto una nuova grande affermazione anche per la presenza di molti napoletani, alcuni addirittura abbonati, che sostengono giustamente il teatro di Saler- Una scena dʼinsieme de “La Gioconda” (foto Massimo Pica) no perché vi si gusta l’opera cantata veramente bene, con regie moderatamente invasive ed aggressive, e vi si celebrano i classici del melodramma, più che il repertorio, nozione legata a banalità e routine, di- fettacci che mai si incontrano al “Verdi”, come del resto l’intellettualismo. Perciò si vorrebbe almeno una replica in più: per i pendolari dell’opera, che sono tanti e vengono un po’ da tutta la regione.