Traduzione italiana dell`introduzione alle

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Traduzione italiana dell’Introduzione alle
«Massime di perfezione cristiana»
di Von Balthasar
(Edizioni Verlag, 1964)
Finalmente possiamo offrire ai lettori le pagine che seguono.
L’autore Hans Urs Von Balthasar è uno dei più grandi teologi del
Novecento, pertanto se un «gigante» scrive così di Rosmini la
nostra stima per lui può ancora aumentare. La traduzione è stata
fatta da don Pierluigi Giroli, rosminiano.
Antonio Rosmini appartiene ai padri spirituali della nuova Italia. A
questo scopo, assieme al suo amico e ammiratore Alessandro Manzoni,
egli ha offerto il contributo spirituale più significativo. Nato a
Rovereto nel 1797 da un’antica famiglia di conti, scelse di abbracciare il
sacerdozio, resistendo alle pressioni dei genitori, che lo volevano
continuatore della stirpe. Studiò teologia a Padova e concluse poi gli
studi con il dottorato, che conseguì un anno dopo la sua ordinazione sacerdotale, nel 1821. Vedeva
lontano e vedeva in grande, e si sentiva nato per essere una guida spirituale, e tuttavia non fece resistenza alla spinta interiore verso una totale consacrazione a Dio, verso la preghiera, la contemplazione, la povertà e l’obbedienza. La sua vita si mosse fra due poli: la docilità all’azione dello
Spirito e il nascondimento evangelico.
Al di sopra dei suoi primi lavori estetico-letterari, il cui scopo era già etico e cristiano, il suo
cammino lo condusse alla filosofia. In opposizione al basso sensismo ed empirismo francese e inglese, che erano di moda, egli voleva ridare all’Italia (così pensava) il suo antico ruolo di guida della più alta tradizione filosofica: a partire da Pitagora e Platone, e poi attraverso Plotino e Agostino,
Bonaventura, Tommaso e Dante, egli vedeva snodarsi una tradizione religioso-idealistica che conduceva fino al presente, tradizione che egli si sentiva chiamato a continuare e riedificare nel suo
antico splendore1 attraverso il superamento e la rielaborazione cristiana di Kant, Schelling e Hegel.
Al sistema enciclopedico del suo idealismo cristiano egli ha infaticabilmente lavorato per tutta la
vita, e il risultato ce lo mostrano i trenta volumi della nuova «Edizione Nazionale delle Opere edite ed
inedite di Antonio Rosmini»2.
Noi qui non ci occuperemo di questa filosofia, che come alcuni altri progetti di portata spirituale del XIX secolo dovette confrontarsi con l’idealismo tedesco e cadde vittima della critica neotomistica (e non raramente di intrighi e politica). Tenuto in grande considerazione dai Papi Leone
XII, Pio VII e Gregorio XVI, chiamato a Roma da Pio IX nel 1848, perché contribuisse a promuovere
il costituirsi di una confederazione degli stati italiani sotto la guida morale del Papa, Rosmini, a cui
lo stesso Pio IX aveva offerto il cardinalato, dovette in seguito soffrire molti brutti attacchi alla sua
filosofia e alla sua visione della chiesa3. Due suoi brevi libri (uno dei quali si intitola: «Le cinque pia1.
2.
3.
Una prospettiva generale ancora più ampia del sapere universale cristiano e del suo rapporto con la filosofia italiana
antica ci è offerta dalla più completa opera di Rosmini, la “Teosofia”, all’inizio del quarto volume.
Edita a cura di E Castelli dall’Istituto di Studi Filosofici (dal 1934, oggi quasi completa).
Cfr. BATTISTA PASINELLI: La “Civiltà Cattolica” e la filosofia Rosminiana, in “Antonio Rosmini nel centenario della morte”,
Vita e pensiero, Milano, 1955, pp. 104-140.
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ghe della Chiesa») accolti in un primo tempo con favore dal Papa, furono poi messi all’indice. Rosmini si sottomise subito e totalmente, e non si parlò più nemmeno del cappello cardinalizio. Nel
doloroso periodo che seguì, egli scrisse il suo «Commento al Prologo del Vangelo di S. Giovanni».
Dunque i suoi lavori filosofici furono presentati alla congregazione dell’indice. Il processo durò quattro anni, durante i quali egli
continuò a lavorare serenamente alle sue opere. Si concluse nel
1854, con una sentenza di assoluzione.
Dopo la morte di Rosmini, nel 1887, quaranta frasi tratte dal
complesso dei suoi scritti e interpretate in modo scaltramente equivoco furono censurate4. Gustav Siewerth nota in proposito, alla
fine della sua esposizione della filosofia rosminiana: «Nella condanna di Rosmini non fu colpito l’ontologismo, che egli non aveva
insegnato - la dottrina, cioè, secondo cui in ogni atto di conoscenza
lo spirito umano percepisce in modo oscuro la divinità - ma piuttosto furono colpite le premesse da cui i lettori credettero di poterlo a
ragione arguire. Posto questo, fu imposto ad un pensatore il subdolo equivoco marchio di secolarismo come una croce, croce di cui
solo una chiesa può rispondere, il sacrificio e la croce di un membro obbediente, che vale come la più santa e redentiva fedeltà
all’eredità del suo capo»5.
Questo «equivoco», che Siewerth descrive anche come «comune destino dell’occidente», fonte
di preoccupazione del pensiero sia cattolico, che protestante, che laico del tempo, sarebbe la secolarizzazione della rivelazione neotestamentaria, a partire dal tardo medioevo, in pura filosofia (Scoto, Cusano, Suarez, Descartes, Böhme, Kant, gli idealisti): la penetrazione delle profondità divine,
che solo lo Spirito Santo (e sotto la sua guida l’umile credente) può indagare, e che vengono consegnate allo spirito umano come ragione speculativa.
Niente poteva trovarsi più vicino all’anima fiera ed entusiasta di Rosmini, come di molti romantici di tutti i paesi europei, che una tale fusione di filosofia e teologia6: la prima divenne per lui
immediatamente trasparente nella seconda, che come teologia cristiana doveva portare al grado
più alto di chiarezza il «Divino nella natura», la presenza immediata del divino nel mondo. Ma con
questo troviamo d’un tratto la vera porta di accesso al cuore di Rosmini, a quel livello più intimo
del suo pensiero, che, totalmente intatto da qualsiasi problematica riguardante la sua dottrina idealistica, riflette la sua istanza religiosa.
Rosmini fu fondatore di una congregazione di sacerdoti, approvata nel 1839 con il nome di Istituto della carità, e a cui egli in seguito aggiunse un ramo femminile, le Figlie della carità. La fondazione fu ispirata dalla marchesa Maddalena di Canossa. Per preparare l’impresa Rosmini si ritirò al Sacro Monte Calvario di Domodossola: vi trascorse un anno intero, in totale solitudine, preghiera e meditazione, lavorando alle Costituzioni. Dopo molti viaggi, volti all’estensione delle
fondazioni e al miglioramento dell’azione pastorale nel nord Italia, fissò la sua sede definitiva a
Stresa, dove mori nell’estate del 1855 in presenza di Manzoni. In precedenza aveva ricevuto le visi4.
5.
6.
Cfr. Denzinger - Schönmetzer 3198-3241.
Das Schicksal der Metaphysik von Thomas zu Heidegger, Johannes- Verlag, 1959, p. 226. Per sé una critica severa dei fondamenti filosofici del sistema rosminiano, però alla fine, come detto sopra, non tanto della persona del grande pensatore, quanto piuttosto dei destini di un’epoca.
Nessuno ha sentito questo meglio di KARL WERNER, che nel primo volume della sua Italienische Philosophie des 19.
Jahrhunderts, da lui dedicato a “Rosmini e la sua scuola” (1884) (la presentazione più completa di Rosmini in tedesco,
di quasi 500 pagine), nota continuamente questo intreccio indebito e lo solleva anche contro Tommaso d’Aquino.
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te di Newman, Wiseman, Lacordaire, e di molti altri amici e ammiratori.
Rosmini non si è permesso di paragonare le sue fondazioni con gli altri antichi ordini religiosi.
Egli vedeva in esse prima di tutto degli strumenti di aiuto immediato alla carità della chiesa; nella
sua congregazione maschile accettava anche laici; in sostanza, quello che voleva era una premessa
degli attuali istituti secolari. Ai suoi figli e alle sue figlie, ha lasciato come breve, forse anche troppo
breve sunto della sua spiritualità le «Massime di perfezione» (pubblicate nel 1830), che qui vengono
presentate per la terza volta in tedesco7.
Franz Xaver Kraus, a cui dobbiamo essere grati per il più bell’apprezzamento complessivo di
Rosmini8 (in tedesco ndr.), ha valutato in proposito: «Un libricino piccolo ma prezioso, che con linguaggio semplice, ma con logica ferrea e con eloquenza penetrante presenta i principi sempre validi della vita spirituale, forse il compendio più breve e più bello, che la letteratura ascetica abbia
generalmente offerto». Tuttavia, se i principi guida cui l’autore riduce l’essenza della vita cristiana
possono oggi più che in passato incontrare incomprensioni, essi necessitano di una breve contestualizzazione, grazie a cui si possa rivelare pienamente la loro validità.
Ambedue le fondazioni di Rosmini prendono il nome dalla carità, caratteristica della vita cristiana. E l’introduzione alle sei massime punta dritta alla vita evangelica come sostanza di ogni
perfezione. Alla luce di questa vita vengono interpretati anche i consigli evangelici, come i mezzi
migliori, per eliminare da sé tutto ciò che può essere di ostacolo ad una vita di amore per Dio e per
i fratelli. Questa vita nell’amore consiste prima di tutto nel rendere gloria a Dio, e per farlo pienamente Rosmini presenta le sue sei massime. Le prime tre sono indirizzate al fine, le tre seguenti ai
mezzi. Nella prima triade il cristiano vuole prima di tutto piacere a Dio, cioè essere giusto, poi deve comprendere la chiesa come l’ambito nel quale e per il quale vivere, infine vivere al tempo stesso in piena calma e disponibilità. A questa serenità, che gli è già richiesta in vista del fine, si lega la
seconda triade, che considera i mezzi: al primo posto la consapevolezza che la Provvidenza di Dio
modella la nostra vita, e che noi siamo come argilla nelle sue mani plasmanti, al secondo la consapevolezza del proprio nulla (questi due aspetti Rosmini li chiama i due “principi della passività”);
al terzo posto sta l’azione intimamente formativa, ordinatrice e regolatrice dello Spirito Santo, con i
suoi molteplici doni, sulla vita stessa che Dio ha dato.
Unica difficoltà di comprensione può essere che il primo, così inesorabilmente austero ed inculcato principio della giustizia, sia costituito sopra tutti gli altri. Forse che qui l’amore neotestamentario debba essere sacrificato ad una giustizia veterotestamentaria? Se si apre però la trattazione che segue sull’ordine della preghiera, si vedrà che fin dall’inizio la giustizia è definita come amore. Rosmini è un filosofo cristiano, la cui esigenza di base è il “retto”, la “rettitudine”. È dunque
un pensatore di stampo platonico-agostiniano, e Agostino (e il suo allievo Anselmo di Canterbury)
hanno costantemente trattato della giustizia cristiana, dell’essere giusto, della rettitudine di cuore,
di un cuore indirizzato alla giustizia, e con questa giustizia non hanno mai inteso altro che la carità. E questo proprio in perfetta obbedienza a ciò che il vocabolo indica nell’antico e nel nuovo testamento, dove “giustizia” suona in modo diverso da ciò a cui sono abituate le nostre orecchie:
giustizia è prima di tutto la verità, l’amore, la fedeltà di Dio, poi la terra promessa che Dio per pura
grazia affida al popolo di Israele e a tutti i credenti in lui; il prodigioso atto del suo amore, nel quale l’uomo ingiusto, ancora nell’errore del peccato, viene trasformato in uomo giusto dal Dio giusto,
7.
8.
Grundzüge der christlichen Vollkommenheit, tradotte (su iniziativa di Fr. X Kraus e con sua introduzione) da O. v. D.
(Baronessa Olga Von Düngern), Stahl, Monaco, 1897. Grundlehren der christlichen Vollkommenheit, tradotte e con introduzione di Dr. Heber Schiel, edite da dt. Quickbornhaus, Burg Rothenfels a. Main, 1925. Ambedue i lavori sono
oggi irreperibili. L’attuale presentazione è stata fatta con l’utilizzo parziale del lavoro di Schiel a seguito della 34° edizione italiana. Un’eccellente traduzione latina apparve ad opera di P. C. Risso I. C. (35° edizione, Domodossola
1954).
In Essay, 1, 1896.
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la giustizia prende così il nome di costituzione nella giustizia o giustificazione, attraverso cui l'uomo viene progressivamente istruito e spinto ad ascendere negli spazi del Dio-giusto, pure giusto,
giustificato, operatore di giustizia9.
In questo centrale senso biblico Rosmini cita nel modo più frequente la Parola del Signore:
«Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta» (Mt 6,33).
Appartiene all’umiltà e alla verità cristiana, che l’uomo deve cercare di realizzare questa giustizia
principalmente nell’ambito della sua esistenza, e solo allora può permettersi di annunciarla agli altri. Questo ha tanto poco a che fare con l’amor proprio, quanto invece deve essere il fondamento di
un amore infinito e totalmente altruista. E al fine di evitare ogni equivoco circa ciò che Rosmini intende per giustizia, nella traduzione che segue il termine sarà tradotto con “Rechtheit” e “Rechtsein” (termini che esprimono l’essere giusto, ndr.) (il che traspare anche nel termine pure utilizzabile di “giustificazione”). Rosmini chiede sempre ai suoi lettori lo sforzo intellettuale di riflettere
sulla rectitudo biblico-agostiniana sempre e di nuovo nel suo senso fondamentale.
Nella prima massima e nelle seguenti appare dunque ovunque evidente quale sia la premessa
teologica nascosta di tutta la filosofia rosminiana, nonostante (o forse meglio proprio in quanto)
l’autore nelle sue elevazioni spirituali non si permetta il minimo accenno alla propria filosofia.
Come in tutto questo la luce decisiva della comprensione dell’idea oggettiva dell’essere puro illumina la fondamentalmente rivelazione sia del mondo come reale opera creativa, sia dell’esistenza
di Dio, così, in modo religiosamente più semplice e veritiero, nella spiritualità ogni opera formativa di base si attende dalla previdente e personale volontà amorosa di Dio stesso. A questo punto la
passività platonico-agostiniana dello spirito di fronte alla luce divina si sublima cristianamente
nella concezione biblico-ignaziana dell’“indifferenza”, come fondamento degli Esercizi da lui elaborati e come Rosmini cita espressamente10. Il nascondimento della persona nel servizio e la sua totale disponibilità per la maggior gloria di Dio, e per la sua gloria nella Chiesa, è un fondamento assolutamente esplicito della spiritualità rosminiana. Per questo il fatto che, come riferimento biblico
a supporto, venga indicato particolarmente Giovanni (specialmente la preghiera sacerdotale),
chiude il quadro e lo completa in se stesso.
Le edizioni italiane curano di accludere alle Massime un breve trattato sul retto ordine delle
cose da chiedere a Dio nella preghiera, che anche qui verrà ripresentato in appendice. Esso evidenzia ancora una volta in modo piuttosto schematico alcune idee fondamentali delle Massime stesse,
prima di tutto quella che ponendo la “maggior gloria di Dio” come obiettivo finale di tutte le preghiere e di tutti gli sforzi, si ottiene spontaneamente una graduale gerarchia di ciò che segue. Rosmini, da buon allievo di Agostino, intende naturalmente la volontà e la provvidenza di Dio nel
senso alquanto stretto, tardo-agostiniano e scolastico di “doppia predestinazione”, contro cui l’orante nella sua preghiera non può combattere. Al lettore odierno non giova un’interpretazione angosciosa della predestinazione biblica per cogliere totalmente il Rosmini sereno di quest’ultimo testo, dove Rosmini stesso risponde in proposito ad una domanda, la interpreta e la riporta nella
giusta prospettiva. Non è mai vero che la preghiera di Cristo sia stata in qualche modo limitata e
ristretta nella sua totale universalità da una prestabilita volontà del Padre; il segreto (per il quale
forse Rosmini non ha forse la visione più recente ed aperta) è altrove: è nel fatto che nella vita intratrinitaria di amore le tre persone formano e sono un unico e singolo volere divino.
9.
Cfr. HEINRICH FRIES, Handbuch der theolog. Grundbegriffe, 1962/63: articolo “Gerechtigkeit” (W. MANN) e “Rechtfertigung” (W. DETTLOFF). La dikaion, la giustizia, è usata nella tradizione filosofica antica da Platone e Aristotele in modo strettamente correlato. Secondo Platone è la virtù più alta, che comprende tutte le altre, perché è proprio quella
che ordina tutte le altre in modo appropriato, così da condurle tutte a sé. Nella filosofia manca il riferimento alla carità, che è fondamentale nella tradizione agostiniana e tomistica.
10. Questo sereno stare in attesa della volontà di Dio assume per Agostino la tinta particolare della “brama” (desiderium), e il termine si ritrova costantemente in modo significativo nelle Massime.
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Le norme, anche programmatiche e semplificate da massime, per un grande uomo di preghiera non possono costituire un accesso sufficiente ad una dinamica e infuocata vita interiore. E Rosmini era tale. Egli dedicava ogni giorno alla preghiera da quattro a cinque ore, e spesso lo si trovava immerso nella contemplazione. Nelle Massime penetrano solo alcuni deboli raggi di questa
vita di preghiera personale. Restano deliberatamente schematiche: così conviene alla timida, casta
riservatezza degli uomini puri, irradiati dalla santità.
Papa Gregorio XVI cercando di cogliere in parole il segreto della personalità di Rosmini, accluse di propria mano alla bozza delle lettere di approvazione della fondazione dell’Istituto rosminiano le parole che seguono: «Uomo fornito di alto, eminente ingegno; adorno di egregie qualità
d’animo, sommamente illustre per la scienza delle cose divine ed umane; chiaro per esimia pietà,
religione, virtù, probità, prudenza e integrità; risplendente di meraviglioso amore e attaccamento
alla religione cattolica e alla sede apostolica». E se, dopo aver scritto di proprio pugno queste parole, non le avesse potute anche manifestare, non avrebbe lasciato la penna insoddisfatto11?
11. Hubert Schiel, nella prefazione alla sua presentazione già citata, p. 63.
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