Estratto distribuito da Biblet
DIZIONARI
586
collana diretta da Federico del Giudice
Federico del Giudice
DIZIONARIO
di
STORIA del DIRITTO
MEDIEVALE
e MODERNO
SIMONE
EDIZIONI
®
Gruppo Editoriale Esselibri - Simone
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet
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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Vietata la riproduzione anche parziale
Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A.
(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Della collana «Dizionari» segnaliamo:
Vol. n. 581/1 - Dizionario Giuridico
Vol. n. 582 - Dizionario di Economia politica
Vol. n. 583 - Dizionario Giuridico Romano
Vol. n. 585 - Dizionario di Economia e gestione aziendale
Della serie «Manuali» segnaliamo:
Vol. n. 17/1 - Compendio di storia del diritto medievale e moderno
Vol. n. 17/3 - Storia del Diritto medievale e moderno
Vol. n. 33/2 - L’esame di Storia medievale
Vol. n. 33/3 - L’esame di Storia moderna
Vol. n. 224/1 - Elementi di Storia delle istituzioni politiche
Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito Internet: www.simone.it
Hanno collaborato i dott. M.R. Venittelli e C. Petrosino
Finito di stampare nel mese di novembre 2010
dalla «MultiMedia» - V.le Ferrovie dello Stato Zona Asi - Giugliano (NA)
per conto della ESSELIBRI S.p.A., Via F. Russo 33/D - 80123 Napoli
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
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PREMESSA
Questo Dizionario arricchisce la fortunata collana dei Dizionari Simone, già
presente sul mercato con il Dizionario Giuridico Romano, il Nuovo Dizionario
Giuridico, il Dizionario di Economia e altri ancora.
Quest’opera, contenente circa mille lemmi, rappresenta un agile supporto didattico che delinea i lemmi nodali che hanno caratterizzato, nel corso del tempo, il
percorso giuridico e politico dei principali ordinamenti europei.
Il Dizionario intende agevolare gli studenti universitari nella preparazione di
quelle discipline specialistiche che presuppongono un ampio bagaglio di nozioni
storiche, giuridiche e politiche, quali ad esempio: Storia del diritto medievale e
moderno, Storia delle istituzioni politiche, Storia del diritto pubblico, Esegesi
delle fonti del diritto italiano, Diritto Comune, Diritto Canonico, offrendo le
opportune risposte ad eventuali dubbi sulle conoscenze interdisciplinari che
possono affiorare durante la lettura dei manuali universitari.
Il volume, dunque, presenta le principali notizie su istituti, fonti, protagonisti
nonché sugli avvenimenti della storia del diritto sia in Italia che in Europa e che
hanno costituito i prodromi di molte realtà giuridiche moderne e contemporanee.
Completano l’opera una selezione di termini di diritto romano che presentano
strette connessioni con il diritto attuale, nonché una puntuale scelta di lemmi
essenziali di diritto comparato, che fanno da trait d’union tra il diritto italiano e
quello vigente nei principali paesi dell’Unione europea.
Estratto della pubblicazione
583 - Dizionario Giuridico Romano
V edizione - pp. 560 - € 20,00
con introduzione di Antonio Guarino
Una summa alfabetica di tutti gli istituti giuridici dell’antica Roma nella loro evoluzione
storica e con riferimenti al diritto e alla codicistica vigente.
Un prontuario per un corretto uso delle espressioni latine rivolto a quanti, privi di una
conoscenza di base della lingua latina, hanno difficoltà di pronuncia e di traduzione.
Uno strumento di consultazione realizzato a misura degli studenti, e con oltre 2600
lemmi, utile per lo studio e il ripasso del diritto romano e della storia del diritto romano.
Una raccolta commentata di brocardi latini per l’oratoria forense e per «arricchire» il
proprio lessico giuridico anche dopo aver superato l’esame istituzionale.
In appendice: consigli per la stesura della tesi di laurea nelle discipline romanistiche.
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A CHI SI RIVOLGE IL «DIZIONARIO DI STORIA DEL DIRITTO
MEDIEVALE E MODERNO»
1) Agli studenti della facoltà di Giurisprudenza e delle facoltà umanistiche e
socio-politiche, che necessitino di uno strumento di consultazione agile che
li accompagni durante la preparazione degli esami. L’uso del dizionario, tra
l’altro, consente di chiarire eventuali dubbi su istituti di diritto straniero.
2) Agli operatori del diritto che intendano riscoprire e approfondire le origini
delle fonti e degli istituti giuridici, per un loro uso più consapevole e
appropriato.
3) A chi è interessato alla storia giuridica e politica europea, il quale, in poche
pagine, dispone di una summa alfabetica della storia del diritto italiano ed
europeo.
TIPOLOGIA DELLE VOCI
Il «Dizionario» è articolato in:
— voci monografiche: descrivono gli istituti centrali della storia del diritto
privato (es.: divorzio, famiglia) e pubblico (es.: legge, parlamenti).
Per rendere più agevole la lettura si è cercato, con l’utilizzo di appropriati
accorgimenti tipografici, di evidenziarne i punti cardine;
— biografie dei protagonisti: concernono i personaggi storici che hanno
segnato, attraverso la loro opera, la storia del diritto (es.: Giustiniano, Carlo
Magno), i giuristi più significativi nella storia del diritto italiano ed europeo
(es.: Irnerio, Accursio), i pensatori e i filosofi che presentano rilevanti punti
di contatto con la materia del dizionario (es.: Montesquieu, Hegel);
— eventi storici: sono analizzati soprattutto gli avvenimenti che maggiormente
hanno influenzato la formazione storica del diritto europeo (es.: Guerre di
religione, Rivoluzione francese);
— leggi e codici di fondamentale rilievo nella storia giuridica europea: dalle
leges fondamentali del diritto medievale (es.: Corpus iuris civilis, Legge
salica) fino alle più importanti codificazioni moderne (es.: Code Napoléon,
Codice penale del 1889);
— voci di diritto positivo: sono succintamente riportate per consentire anche a
chi non ha una specifica preparazione di poter accedere alla terminologia
giuridica (es.: decreto legge);
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— voci di diritto comparato: per la peculiarità che rivestono nell’ambito
dell’opera sono segnalate con la dizione (d. comp.), perché di complemento
alla preparazione degli esami storici;
— tavole fuori testo: per offrire una visione sistematica di alcune successioni
dinastiche (Borbone, Savoia) o un riepilogo di avvenimenti storici complessi
(es.: Rivoluzione francese).
RICHIAMI E SISTEMATICA
·
·
I richiami sono riferiti:
— ai singoli lemmi [vedi →], per agevolare la ricerca delle parole attraverso
una serie articolata di rinvii da una voce all’altra, creando un continuum
che collega, in un percorso unitario, le singole voci.
Si è evitato qualsiasi riferimento bibliografico per non appesantire la trattazione.
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A
◆ Accolti Francesco (Arezzo 1418 ca-1486)
Giureconsulto esponente della scuola dei Commentatori [vedi →]. Fu detto anche semplicemente l’Aretino. Per la sua dottrina fu definito
«il principe dei giureconsulti». Rivelò la sua
grandezza in tutte le scienze, oltre che nella
poesia e nella musica. Fu segretario di Francesco Sforza.
◆ Accursio (o Accursi o Accurso) Francesco (Bagnolo, Firenze 1182 - Bologna
1260)
Famoso giureconsulto. Si laureò intorno al
1213 a Bologna, ove tenne la cattedra di diritto
romano. Fu discepolo di Azzone [vedi →Azzo
Porzio] e rivale dell’altro grande glossatore
Odofredo Denari [vedi →]. Avendo saputo
che Odofredo stava scrivendo un libro sulla
spiegazione e concordanza delle leggi, abbandonò la cattedra di Bologna per dedicarsi completamente all’elaborazione di un’opera che
da tempo aveva concepito. In circa sette anni
diede dunque vita ad un ampio apparato di
annotazioni (circa 96.000) al Corpus iuris
civilis [vedi →], che erano la risultante di
un’accurata attività interpretativa compiuta
nei tempi precedenti dai giuristi della scuola
dei Glossatori [vedi →]. Tale imponente sistema di annotazioni fu denominato Magna Glossa o Glossa Ordinaria o Glossa Accursiana
[vedi →], che segnò il punto di massima maturità della scuola stessa.
L’opera di (—) divenne in tutta Europa oggetto di studio imprescindibile accanto al
Corpus iuris giustinianeo. Nelle edizioni a
stampa che si ebbero di quest’ultimo durante
i secoli XV-XVII, la Glossa Accursiana veniva stampata tutt’intorno al testo del Corpus,
che occupava lo spazio centrale di ogni foglio.
(—) ebbe tre figli, che pure si diedero allo studio
del diritto e vi acquistarono fama: Francesco jr.
(1225-1314), Cervotto (1240-1287) e Guglielmo (1246-1314).
◆ Act (d. comp.)
Negli Stati di Common Law [vedi →], ispirati ad
una legalità più sostanziale che formale, le varie
manifestazioni di volontà del soggetto, privato o
pubblico, sono riunite sotto l’unica denominazione di (—), a differenza del nostro ordinamento che prevede una ripartizione tra le fattispecie
giuridiche di atto, fatto e negozio giuridico.
Particolarmente importante risulta la categoria
degli Acts of Parliament [vedi →Act of Parlament], ovvero tutti quegli atti che formano la
legislazione scritta [vedi → Statute Law] dei
paesi anglosassoni.
◆ Act of Parliament (d. comp.)
Espressione che definisce la legge emanata dal
Parlamento inglese. L’(—) è fonte di diritto
prevalente su ogni altra e produce la Statute
Law [vedi →], contrapposta alle regole giurisprudenziali [vedi → Common Law]. Entra in
vigore in seguito al beneplacito del sovrano
(royal assent →).
La distinzione più importante tra gli Acts of
Parliament risulta essere quella tra public general Acts e special o private Acts (local, personal
or private). I primi costituiscono la categoria
delle leggi generali, applicabili a tutti i soggetti,
mentre i secondi hanno un’esclusiva rilevanza
locale o personale; in quest’ultimo caso spetta
al convenuto in giudizio l’onere della prova
dell’esistenza di tali (—).
Act of Settlement
È da ricordare che il potere esecutivo (governo)
non è titolare di nessun potere legislativo autonomo, se non in seguito ad un’espressa delega
del Parlamento.
◆ Act of Settlement (d. comp.)
Atto approvato nel 1701 dal parlamento inglese e accolto dal re Guglielmo III d’Orange.
Con esso si stabiliva, definitivamente, che
l’accessione al trono inglese non derivava da
un’investitura divina, ma dalla volontà del
popolo sovrano, espressa attraverso gli atti del
Parlamento (il quale poteva anche stabilire le
procedure di trasmissione della Corona nonché le condizioni richieste per potervi accedere).
◆ Act of Supremacy (Atto di supremazia)
Legge voluta da Enrico VIII (1509-47) e votata
dal Parlamento inglese nel 1534. Con essa veniva designato il sovrano quale capo supremo
della Chiesa anglicana. Un secondo (—) fu
deliberato nel 1559 da Elisabetta I Tudor (15581603).
◆ Adfiliatio
Istituto medievale nettamente distinto dalla affiliazione [vedi →] contemplata fino al 1983 dal
nostro codice civile.
Il termine (—), probabilmente, veniva usato nel
Medioevo per indicare l’adozione [vedi →].
Tuttavia, essa era ben diversa dall’adozione
romana e dalle forme barbariche, poiché non
produceva patria potestà sull’affiliato, né creava un rapporto di parentela (agnazione), né
veniva esclusa dalla presenza di altri figli naturali. Da essa scaturivano, invece, effetti sia
personali sia di contenuto patrimoniale.
L’(—) poteva farsi con riferimento sia a persone fisiche sia giuridiche (per lo più una chiesa).
Nell’epoca del diritto comune [vedi →], a
causa del rinato interesse per le fonti del diritto
romano giustinianeo, l’(—) venne a cadere, pur
restando molto frequenti, nella prassi, le adozioni di fatto (adoptiones non iure factae).
◆ Adfratatio
[vedi → Affratellamento].
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◆ Adozione
Istituto tipico del diritto di famiglia che, accanto all’affidamento consente di instaurare un
rapporto sotto molti aspetti simile a quello che
lega genitori e figli. Con l’(—) si costituisce, fra
adottante e adottato un rapporto di parentela
legale e non naturale, dal momento che manca
il vincolo di sangue.
Nel diritto romano l’adoptio era il procedimento inteso a trasferire la patria potestas su un
filius da un pater ad altro pater.
L’adoptio in senso lato si divideva in due specie: l’adoptio in senso stretto (denominato anche adoptio impèrio magistràtus) e l’adrogàtio
(denominata anche adoptio pòpuli auctoritàte).
L’adoptio in senso stretto era preordinata all’adozione di un filius familias, ossia di un
soggetto già sottoposto alla potestà del suo
pater familias originario.
La procedura era la seguente:
— l’adottando veniva sottratto alla patria potestàs del pater originario mediante tre successive vendite;
— in un secondo momento, il soggetto liberato
veniva posto in mancipio presso il pater o
anche presso un terzo;
— infine, egli veniva rivendicato dall’adottante e, a seguito della non opposizione di
colui che lo aveva in mancipio, il giudice lo
assegnava all’adottante, dichiarandolo figlio legittimo dello stesso.
L’adottato usciva dalla famiglia originaria, perdendo ogni rapporto di parentela ed ogni diritto
e dovere nei suoi confronti; acquistava, invece,
rapporti di parentela e relativi diritti e doveri nei
confronti della famiglia dell’adottante.
L’adrogatio era una forma molto antica di adozione, anteriore alle XII Tavole [vedi →Lex XII
Tabularum]. Essa consisteva nell’atto con cui un
pater familias assumeva sotto la propria potestas
una persona sui iuris, cioè non soggetta alla
patria potestà di nessuno, anzi normalmente pater familias essa stessa. Per effetto dell’adrogatio non soltanto l’adrogato ma l’intera sua famiglia entravano in quella dell’adottante.
In diritto giustinianeo si distinse tra:
— adoptio plena (piena), compiuta nei riguardi del filius in potestate di un proprio di-
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Affatomia
scendente emancipato o di un proprio discendente in linea femminile. Comportava
la capitis deminutio minima dell’adottato
che era del tutto equiparato, anche ai fini
successori, ai filii dell’adottante;
— adoptio minus quam plena (meno che piena) non compiuta dall’ascendente e non
comportante né l’acquisto della patria potestas sull’adottando, né la perdita dei diritti successori di questo nei confronti della
sua famiglia d’origine; ciò in quanto non
determinava l’acquisto della patria potestas.
Anche se da parte di taluni si ritiene che il diritto
germanico [vedi →] conobbe l’(—) solo dopo
il contatto col mondo romano, tuttavia si ammette in generale che gli antichi diritti germanici accogliessero diversi modi d’ingresso civile
nella famiglia, accompagnati dall’espletamento di formalità simboliche che ripetevano quelle
usate per il riconoscimento da parte del padre
del figlio naturale.
Presso i Longobardi [vedi →] l’(—) si attuava
col taglio dei capelli e della barba dell’adottato
da parte dell’adottante e con la consegna delle
armi davanti all’assemblea in armi (in gairethinx →).
In seguito, presso i Longobardi, l’(—) assunse
il contenuto economico d’una donazione, allo
scopo di creare un rapporto di successione
legittima.
Caratteristiche di una donazione vera e propria
ebbe l’(—) presso i Franchi [vedi →], attraverso la previsione dell’istituto dell’affatomia [vedi
→], volta ad assicurare la successione volontaria dell’adottante.
Nelle province orientali dell’impero dell’Alto
medioevo si usava, inoltre l’(—) fatta in chiesa,
ad imitazione del vincolo divino che legava Dio
agli uomini da lui accolti in adoptionem spiritu.
Nei territori italiani soggetti all’influenza bizantina si prevedeva, accanto alla adoptio per
chartulam, perfezionantesi con la redazione di
un atto scritto, la necessità che l’(—) venisse
fatta dinanzi ad un giudice pubblico.
Nel periodo del diritto comune [vedi →] venne
sancita l’inefficacia dell’adozione per scrittura
privata e fu disposta l’obbligatorietà dell’inter-
vento di un pubblico funzionario. L’(—) solitamente era compiuta nella forma del rescriptum
concesso (come una regalia) dall’Imperatore o
da un suo delegato. La dottrina operò la fusione
tra le figure concettuali dell’adoptio e dell’adrogatio ma nella prassi l’istituto decadde,
ammettendosi solo poche ipotesi di adoptio
plena. Nel sistema feudale i figli adottivi vennero esclusi dalla successione nei feudi, nei
fedecommessi [vedi →] e nel patrimonio ricevuto in eredità dall’adottante. Inoltre, l’esigenza pratica di fare ricorso all’adozione fu resa
sempre meno pressante dalla possibilità di effettuare, ormai, la delazione volontaria dell’eredità attraverso altri atti (patti successori e
testamento). Nel Seicento l’istituto sembrò
destinato ad estinguersi.
Il Code Napoléon [vedi →] richiamò in vita
l’(—), consentendola tuttavia soltanto in forma
pubblica e concedendola solo a chi si fosse
trovato nell’impossibilità di avere figli. Accanto alla (—) ordinaria fu introdotta quella testamentaria e quella rimuneratoria (prevista come
ricompensa per un salvataggio compiuto in
circostanze eccezionali). In Italia il codice civile del 1865 [vedi →] mutuò da quello francese
i requisiti formali e di efficacia dell’(—) in esso
disciplinata.
◆ Affatomia
Termine di derivazione franca [vedi → Franchi], che discende dalla stessa radice di fathum
e che designava, nell’ambito della procedura
dell’adozione [vedi →] il trasferimento, prevalentemente a titolo gratuito, della proprietà del
patrimonio dall’adottante all’adottato.
L’(—) veniva realizzata dinnanzi ad un magistrato (Tunginus) e alcuni testimoni. Essa si
perfezionava, comunque, con la traditio cioè
l’effettiva consegna del bene (simboleggiata
dal lancio di una festuca) e costituiva un antesignano della c.d. categoria dei contratti reali.
Per la nomina dell’adottato era prevista l’assitenza di un fiduciario che, probabilmente, assolveva funzioni analoghe all’attuale esecutore
testamentario. L’adottato si trasferiva nella dimora dell’adottante per tre giorni (sessio triduaria), compiendo simbolici atti d’imperio.
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Affidavit
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Poi se ne andava, ed entro l’anno provvedeva a
restituire all’adottante il godimento dei suoi
beni conservandone tuttavia la nuda proprietà.
In tal modo, alla morte dell’adottante, l’adottato subentrava a pieno titolo e naturalmente nella
piena proprietà.
Scopo dell’(—) era, dunque, quello di creare un
erede, essendo sconosciuto presso i Germani
[vedi →] l’istituto del testamento.
L’(—) fu accolta in un capitolare [vedi →] di
Carlo Magno [vedi →] dell’803, entrò a far
parte del Capitulare italicum [vedi →] e della
Lombardia ed ebbe, in tal modo, sicura applicazione in Italia.
◆ Affidavit (d. comp.)
Atto o documento giurato che trova un equivalente nel nostro ordinamento, con le dovute
differenze, nella categoria degli atti notori.
È un atto utilizzato come mezzo di prova nella
pratica giudiziaria anglosassone ed in particolare nella procedura civile; in materia penale
viene utilizzata l’espressione information o
deposition.
La parte che pone in essere questo atto è definita
deponent ed il soggetto abilitato a riceverlo
commissioner for oaths.
◆ Affiliazione
Istituto di diritto di famiglia abrogato in Italia
dalla l. 184/1983 che lo ha sostituito con l’affidamento temporaneo dei minori.
Esso creava un vincolo assistenziale tra affiliante e affiliato, che comportava l’obbligo per
il primo di educare ed istruire il minore.
A tal fine, l’affiliante aveva poteri assimilabili
alla potestà dei genitori.
◆ Affrancato
Nel diritto germanico [vedi →] era l’uomo che
aveva acquistato la libertà in seguito ad affrancazione [vedi →].
Pur essendo un uomo libero e potendo accedere
alle più alte cariche politiche, l’(—) era di
condizione inferiore e il suo guidrigildo [vedi
→] era la metà di quello previsto per l’arimanno [vedi →]. A seconda delle condizioni stabilite nella carta di riscatto, l’(—) poteva essere
sottomesso al diritto di patronato (ed essere
obbligato a prestare dei servigi vitalizi o ereditari al suo padrone), oppure poteva esserne
esonerato. Nei casi in cui l’(—) non era sottoposto al diritto di patronato, sorgeva la necessità
per esso di cercarsi un tutore sociale e politico
che gli avrebbe fornito l’appoggio necessario
per farsi una posizione sociale. Tale protettore
poteva essere il padrone stesso oppure una
chiesa o un funzionario.
L’(—) che aveva ottenuto il riscatto per danarium (cd. denarialis) si trovava in una posizione
privilegiata rispetto agli altri, poiché non poteva più perdere la sua libertà ed il suo protettore
era il re stesso, al quale doveva i suoi servigi.
◆ Affrancazione
Nella società germanica (ed in particolare in
quella dei Merovingi → del VI secolo) era
l’istituto attraverso cui lo schiavo acquistava
la libertà. Il padrone poteva affrancare gli
schiavi a titolo di ricompensa per i servigi
ottenuti, oppure lo schiavo stesso poteva, talvolta, pagare la propria libertà, quando avesse
ricevuto in godimento una somma di denaro
(peculium). Infine, in alcuni casi, una terza
persona poteva affrancare lo schiavo anche
senza il consenso del padrone: ciò avveniva
quando il vescovo, al fine di farne un prete,
acquistava uno schiavo pagando il doppio del
prezzo di esso e quando una terza persona
riscattava uno schiavo altrui rimborsandone il
prezzo. Le forme di affrancazione dalla schiavitù erano numerose, alcune di origine romana
ed altre di origine germanica.
Di origine romana era quella che si realizzava in
sacrosanctis ecclesiis: in tal caso lo schiavo
veniva consegnato al vescovo che lo riscattava,
e quella che avveniva per cartam: il padrone
consegnava allo schiavo una carta di riscatto, in
cui venivano indicate le caratteristiche dell’affrancazione.
La forma principale di affrancazione germanica era quella che avveniva per danarium ante
regem: il padrone dichiarava dinanzi al re di
volere liberare uno schiavo e consegnava a
quest’ultimo del denaro. Il re confermava la
libertà e lo schiavo diventava libero per sempre.
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◆ Affratellamento
Istituto estraneo al diritto romano che assunse,
invece, notevole importanza nella prassi in età
medievale. Frequenti applicazioni si ebbero
nell’Italia meridionale e insulare fino al secolo
XII. Consisteva in un vincolo puramente civile
che si realizzava tra diverse famiglie di liberi
coloni e livellari i quali, non potendo da soli
sopportare i pesi di censi e di soprusi e spinti
dalla necessità di sopperire al bisogno di braccia per il dissodamento di terreni incolti, davano vita ad un consorzio molto simile a quello
familiare. Tale vincolo nasceva da una convenzione scritta di trattarsi reciprocamente come
fratelli germani.
L’(—) importava l’obbligo della vendetta del
sangue se l’affratellato fosse stato ferito o ucciso, nonché diritti di successione legittima tra gli
affratellati. I riti di (—) riecheggiavano usanze
slave o di popolazioni barbare dell’Asia centrale, quale il bere il sangue l’uno dell’altro.
Nell’Italia meridionale l’istituto venne introdotto dai Bizantini.
Già a partire dal secolo X l’(—) fu malvisto
dalla Chiesa, la quale era contraria alla creazione di nuovi impedimenti al matrimonio.
◆ Africano (Sesto Cecilio)
Giurista vissuto nell’epoca tra Adriano e Antonino Pio (II secolo d.C.); fu allievo di Salvio
Giuliano [vedi →], di cui divulgò i principali
orientamenti.
Le sue opere principali, contraddistinte da uno
stile oscuro e complesso furono:
— i libri IX quaestionum, raccolta di un ingente materiale casistico, desunto probabilmente dall’opera del maestro;
— i libri epistularum, almeno 20, probabilmente anch’essi consistenti in una raccolta
di materiale elaborato da Salvio Giuliano.
◆ Agilulfo
Fu re dei Longobardi [vedi →] dal 591 al 615,
avendo preso in moglie la vedova di Autari
[vedi →] Teodolinda. Tentò di sottomettere,
sottraendola ai Bizantini, l’Italia intera, ad eccezione di Roma e Ravenna. Pur conservando
la fede ariana [vedi → Arianesimo] favorì la
Agostino Aurelio (Santo)
diffusione del Cristianesimo tra il suo popolo,
in ciò esortato dalla moglie Teodolinda e da
papa Gregorio I Magno [vedi →].
◆ Agostino Aurelio (Santo)
Teologo, filosofo e padre della Chiesa. Nacque
a Tagaste, in Numidia (odierna Algeria) nel 354
e morì nel 430 ad Ippona (Bona, odierna Annaba, in Algeria) città della quale fu vescovo.
Insegnò retorica a Tagaste, Cartagine, Roma e
Milano. Qui si convertì al Cristianesimo.
Nell’ambito del suo pensiero la tematica filosofico-giuridica occupa un notevole spazio. Rimasto sconvolto dal saccheggio di Roma del
410 ad opera dei Visigoti [vedi →] di Alarico I
[vedi →], egli si rese conto della debolezza di
Roma pagana, ma si rifiutò di attribuire alla
nuova religione cristiana la causa dell’indebolimento dello Stato. Allo scopo di confutare tale
accusa scrisse La Città di Dio (De civitate Dei),
in cui descrisse la nascita di due città costantemente in lotta tra loro: una del bene, del vero,
dello spirito e della gloria divina; l’altra del
male, della fallacia, della materia e della vanagloria umana.
Secondo (—) un’associazione di cittadini fondata sul diritto può esistere solo se vi regna la
giustizia, che è la conformità della coscienza
dell’uomo al disegno di Dio e si realizza nell’adempimento scrupoloso del proprio dovere e
nell’attribuzione a ciascuno di ciò che gli spetta
(suum cuique tribuere) senza inganni o favoritismi.
L’uomo ha per natura bisogno della società ed
ogni società necessita di un’autorità (ubi societas ibi ius; ubi ius ibi societas), che è indispensabile e trascendente.
Scopo di ogni potere, la cui legittimazione è
data da Dio, è la realizzazione della giustizia e
quando un regnante allontana da essa la propria
politica, il potere si travia e si perde.
Una vera civitas non può fare a meno di condizionare alla realizzazione della giustizia il perseguimento degli interessi comuni.
Tuttavia, alla fine della sua analisi (—) giunge
alla conclusione secondo cui nessuna città terrena è capace di conservare l’equilibrio, poiché
gli individui lottano costantemente tra i due
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Agreement
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principi contrapposti dell’amore per Dio e dell’amore per se stessi. La giustizia risulta così
estromessa dall’organizzazione terrena e si rinviene solo nella città retta da Cristo. I regni
terreni, caratterizzati dalla difformità dei rapporti umani rispetto alla legge divina non sono
altro che immani imprese di sopraffazione, in
cui non si ha una vera costituzione politica e
l’ordinamento giuridico risulta segnato dalla
corruzione.
◆ Agreement (d. comp.)
Nel diritto anglosassone il termine ha un significato assai vasto ed indica, in genere, l’accordo.
Esiste, tuttavia, una distinzione importante tra
la categoria degli (—) e quella dei contracts, in
quanto i secondi costituiscono soltanto una
particolare fattispecie dei primi.
Non sempre gli (—) sono sanzionati giuridicamente; avviene spesso che, per volontà delle
parti (espressa o tacita) o per altre ragioni, essi
restino nella sfera dell’extragiuridico, costituendo la categoria degli unenforceable agreements (accordi non sanzionabili giuridicamente). Sono da ricordare in particolare i cd. domestic (—) e gentlemen’s (—), ovvero accordi
stipulati da persone con particolari legami di
natura familiare o sociale; in questi casi l’esecuzione dell’accordo è affidata all’impegno morale delle parti.
◆ Alani
Popolo di origine sarmatica della Russia sudorientale, che dilagò nelle terre dell’Impero romano al tempo delle migrazioni germaniche e si
spinse fino alla Spagna e al Portogallo.
Gli (—) furono sconfitti da Pompeo nel 65 a.C.
e tenuti a freno da Marco Aurelio. Nel 370
furono sottomessi dagli Unni [vedi →]. Una
parte di essi scese in Italia nel 405 e nel 464,
venendo sgominata dai Visigoti [vedi →].
◆ Alarico I
Re dei Visigoti [vedi →]. Nacque nel 370 ca a
Torris (Stiria, attuale Austria) e morì a Cosenza
nel 410.
Abbandonata la Tracia (Regione della penisola
balcanica) nel 396, si rovesciò con il suo eser-
cito sulla Grecia. Di là passò in Italia; nel 403
campeggiò contro Onorio nel milanese e lo
rincorse fino ad Asti ma dovette fronteggiare gli
attacchi di Stilicone, da cui venne sconfitto a
Pollenza (Macerata) e Verona e dal quale fu
costretto alla ritirata dall’Italia. Ben presto,
tuttavia, (—) infranse la pace e, rioccupata
l’Italia, assediò Roma nel 408, 409 e 410. Le
prime due volte si accontentò di un forte tributo,
mentre alla terza sottopose la città al saccheggio, che durò tre giorni. Poco dopo raggiunse
l’Italia meridionale, allo scopo, forse, di passare in Africa ed assediò Cosenza. Qui fu colto da
morte e secondo la leggenda il suo corpo venne
sepolto nel fiume Busento.
Gli successe il cognato Ataulfo [vedi →].
◆ Alarico II
Ottavo re dei Visigoti di Spagna (dal 484 al
507). Fu ucciso in guerra dal re dei Franchi
Clodoveo [vedi →] nella battaglia di Poitiers
del 507. A lui si deve la emanazione di una
raccolta di leggi romane nota come Breviarum
Alarici [vedi →Lex romana Wisigothorum].
◆ Alberico da Rosate (? - 1354)
Giurista esponente della scuola dei commentatori [vedi →]. Fu definito «il pratico» dal momento che non esercitò mai l’insegnamento.
Scrisse ampi commentari al Digesto [vedi →] e
al Codice [vedi → Corpus iuris civilis], un
Dictionarium viris ed il trattato Opus statutorum, in cui affrontò la delicata questione degli
statuti e dei loro rapporti col diritto comune
[vedi →].
◆ Alberto da Gandino (Crema 1278-1310)
Avvocato e magistrato, incentrò la sua attività
di scrittore negli ultimi anni del XIII secolo.
Appartenne alla scuola dei Postaccursiani [vedi
→], legò il suo nome soprattutto a due opere
monografiche. Nelle Quaestiones statutorum
venne riorganizzata ed approfondita l’intera
disciplina delle norme statutarie e del loro
fondamento giuridico. Nel Tractatus de maleficiis venne risistemata l’intera materia dei delitti
e delle pene, profondamente innovata dalla
normativa statutaria.
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet
13
Magnus practicus venne definito da Giovanni
d’Andrea [vedi →], canonista del Trecento, per
le profonde ispirazioni che egli traeva dalla sua
quotidiana pratica di avvocato e giudice.
◆ Albinaggio [DIRITTO DI]
Era il diritto, di origine feudale, in base al quale
i beni dello straniero non naturalizzato o che
non avesse disposto mediante testamento, passavano in proprietà dello Stato in cui essi si
trovavano, con esclusione di ogni diritto degli
eredi del defunto. L’(—) divenne appannaggio
del sovrano, che in seguito lo sostituì con un
diritto di ritenzione parziale, ossia col diritto di
incamerare una certa percentuale del valore del
patrimonio ereditario. L’istituto venne abolito
in seguito al diffondersi delle istanze ideologiche della Rivoluzione francese [vedi →] che
esaltava la proprietà individuale come diritto
naturale dell’uomo.
◆ Alciato Andrea (Alzate, Milano 1492 Pavia 1550)
Giurista italiano. Studiò diritto presso le Università di Pavia e Bologna e si laureò nel 1516
a Ferrara. Insegnò ad Avignone, Pavia, Bologna, Bourges e Ferrara. A lui si deve il merito di
aver iniziato un nuovo indirizzo dello studio del
diritto, che sostituì quello della scuola dei commentatori [vedi →] e segnò il momento dell’ingresso delle correnti umanistiche [vedi →umanesimo giuridico] nella scienza giuridica.
Dalla ricostruzione del diritto romano secondo
un metodo che, dal luogo ove (—) insegnò,
viene definito francese [vedi → mos gallicus]
emerse il problema della natura della legge, che
venne considerata diretta emanazione della
volontà dell’imperatore, al quale il popolo aveva delegato il potere di legiferare. Per (—) ogni
potere legittimo necessitava del consenso popolare ed i prìncipi italiani ed i monarchi
europei erano vincolati all’autorità imperiale,
considerata originaria e prevalente rispetto ai
poteri spettanti ai regnanti territoriali.
◆ Aldio
È il soggetto semilibero della società germanica e altomedievale, ossia il soggetto che si trova
Alessandro III
in una in una posizione intermedia tra il libero
e lo schiavo.
Gli aldii si dividevano essenzialmente in due
categorie sociali: i coloni ed i leti (o lidi). I
coloni erano uomini liberi, come persone, ma
legati al fondo che coltivavano. Erano obbligati
a prestare al signore dei servigi (obsequia), dei
canoni in natura ed una rendita (o capitazione)
di quattro denari. Generalmente la loro condizione giuridica era assimilata a quella degli
affrancati [vedi → Affrancato].
I leti provenivano da stirpi vinte ma affini ed
erano soggetti alla potestà [vedi →Mundeburdio] di un signore, al quale erano legati da un
vincolo reale e non personale: il lete non poteva
essere separato dalla terra concessagli in coltivazione, né poteva allontanarsene.
In generale, l’(—) aveva un guidrigildo [vedi
→] pari alla metà di quello di un uomo libero e
poteva essere riscattato attraverso il pagamento
della corrispondente somma di denaro.
L’(—) poteva sposarsi e costituire una famiglia
legittima, previo consenso del signore. Poteva
avere un patrimonio proprio, citare in giudizio
e stipulare atti giuridici.
◆ Alemanni
Confederazione di numerose tribù germaniche
di stirpe sveva. Nel secolo III d.C. si stanziarono in Germania, sulle sponde del Meno. Più
tardi si spinsero verso le Alpi ma furono respinti
dai Romani.
Nel secolo V invasero la Francia orientale ma
vennero sconfitti dal re dei Franchi [vedi →]
Clodoveo [vedi →]. Una parte di essi si sottomise al re franco ed un’altra scelse la protezione di
Teodorico [vedi →] re degli Ostrogoti [vedi →]
che lasciò ad essi la Rezia [vedi →].
Nel 556 giunsero in Italia ma non vi si fermarono.
◆ Alessandro III (Rolando Bandinelli)
(Siena, inizi XII secolo - Civita Castellana,
1181)
Canonista e pontefice. Allievo di Graziano
[vedi →], scrisse una summa esplicativa del
Decretum [vedi → Summa; Decretum (magistri) Gratiani]. Docente di diritto a Bologna,
Estratto distribuito da Biblet
Alessandro Tartagni
14
divenne cardinale (1150), poi cancelliere della
Chiesa (1153). Fu assistente di papa Adriano IV
nelle controversie con l’Impero, durante la dieta di Besançon (1157). Alla morte di Adriano
(1159) fu eletto pontefice. La minoranza filoimperiale dei cardinali gli contrappose l’antipapa Vittore IV, appoggiato dall’imperatore Federico I di Hohenstaufen [vedi →]. (—), sostenuto da Francia, Spagna e Inghilterra, scomunicò l’antipapa, l’imperatore e i loro sostenitori.
Tra il 1160 e il 1165 risiedette in Francia,
lottando contro gli antipapi successivi. Rientrato a Roma, appoggiò la formazione della lega
veneta e della lega lombarda [vedi →] nel 1167,
in funzione anti-imperiale. Dopo la sconfitta
dell’imperatore a Legnano (1176) [vedi → Legnano (battaglia di)], (—) ottenne il riconoscimento da parte di Federico.
Nel 1179 indisse il Concilio lateranense III, a
cui parteciparono trecento vescovi e durante il
quale furono emanati 26 canoni [vedi →Canone]. In esso fu stabilita la regola, tuttora vigente,
che prevede il voto della maggioranza dei 2/3
dei cardinali per l’elezione papale.
La figura di (—) costituisce un caso esemplare di
fusione tra l’attività teorica e l’azione politica:
egli utilizzò, da pontefice, la sua cultura giuridica
e la sua produzione scientifica per affermare la
libertà della Chiesa, l’indipendenza del papato e
l’obbligo per i sovrani di aiutare la Chiesa.
◆ Alessandro Tartagni
[vedi → Tartagni Alessandro].
◆ Allgemeines Bürgerliches Gesetzbuch (Codice civile generale)
Codice civile austriaco promulgato nel 1811.
L’(—) rappresentò il prodotto finale del movimento per la codificazione [vedi →] iniziato in
Austria con Maria Teresa d’Asburgo (17401780) e proseguito con i suoi figli e successori
Giuseppe II (1780-1790) e Leopoldo II (17901792). Tra il 1753 e il 1766 una commissione
imperiale lavorò ad un abbozzo di codice, il
Codex Theresianus, e pubblicò i Principi di
compilazione, vale a dire i criteri-guida dell’operato della commissione. Tali principi consistevano nella scelta delle leggi più eque del-
l’impero e nell’eliminazione delle «lacune»,
secondo le norme della ragione e del diritto
naturale [vedi →]; in tal modo la commissione
stabilì un debito nei confronti delle teorie del
diritto naturale, e in particolar modo verso quella di Christian Wolff [vedi →Wolff Christian].
Il progetto fu comunque respinto dalla sovrana
per la sua prolissità; solo nel 1786 Giuseppe II
ne fece pubblicare una parte (il cd. Codice
giuseppino). Sotto Leopoldo II, un’altra commissione rielaborò il progetto, il quale fu promulgato, in via sperimentale, per la sola Galizia. Successivamente furono raccolte le osservazioni di magistrati e professori. Nel 1801
un’ennesima commissione imperiale pose mano
al codice. Dopo essere stato respinto per tre
volte e sottoposto a riesame, l’(—) fu finalmente promulgato il 1° giugno 1811.
Entrò in vigore il 1° gennaio 1812 con riguardo
ai «territori ereditari di lingua tedesca» (für die
Deutschen Erblande), vale a dire Austria, Stiria
[vedi →], Tirolo, Boemia, Moravia e Slesia.
Nel 1816 fu esteso al Lombardo-Veneto, successivamente al Liechtenstein, alla Croazia,
alla Slovenia, alla Dalmazia, alla Transilvania e
alla Polonia.
L’(—) tolse efficacia alle fonti vigenti in precedenza, venendo a costituire l’unica fonte di
diritto positivo; escluse, inoltre, la validità delle
consuetudini che si fossero formate anche in
futuro. Esso previde il ricorso all’interpretazione analogica in caso di «lacune», e sussidiariamente ai principi naturali.
L’(—), tuttora vigente in Austria, è diviso in tre
parti. La prima concerne il diritto delle persone;
la seconda disciplina i diritti reali (possesso,
proprietà, privilegi, servitù, successioni) e i
contratti; la terza è relativa alle modificazioni
dei rapporti giuridici, all’estinzione di diritti ed
obblighi, alla prescrizione e all’usucapione.
◆ Allgemeines Landrecht (Legge generale del Paese)
Codice prussiano in vigore dal 1794 al 1900. Fu
il primo codice nazionale ad entrare effettivamente in vigore.
Nel 1780 il re di Prussia Federico II il Grande
di Hohenzollern emanò un editto (Cabinets-
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet
15
Allodio
Ordre), con il quale autorizzò la codificazione
[vedi →]. Secondo quest’atto il codice avrebbe dovuto ispirarsi al diritto naturale [vedi
→], sostituendo il diritto romano nei territori
governati dal re di Prussia. Solo il diritto
romano che si fosse rivelato compatibile con il
diritto naturale avrebbe potuto essere incluso
nel codice.
Tra il 1780 e il 1786 un gruppo di giuristi lavorò
a un «Progetto per un codice generale». A tal
fine venne redatto un riassunto del Corpus iuris
civilis [vedi →], furono raccolte legislazioni
provinciali e sentenze. Ma il risultato fu respinto dal sovrano, perché ritenuto troppo voluminoso.
Federico morì nel 1786. Durante il regno di
Federico Guglielmo II di Hohenzollern (17861797), si lavorò alla rielaborazione del «Progetto», il quale fu inviato a vari studiosi europei,
per riceverne indicazioni e suggerimenti. Un’ulteriore opera di revisione (1789-1792) portò
alla pubblicazione, nel giugno 1792, di un «Codice generale», entrato in vigore in via sperimentale, per la sola Prussia meridionale, nel
1793. Dopo alcuni cambiamenti, l’(—) entrò in
vigore nel luglio del 1794.
Nell’Introduzione all’(—) si identificavano i
diritti dell’individuo nella libertà di promuovere il proprio benessere, senza ledere gli altrui
diritti; al contempo fu enunciata la regola secondo la quale «tutto ciò che non è vietato, è
permesso». Era sancita l’uguaglianza giuridica: «le leggi dello Stato vincolano tutti i suoi
sudditi, senza riguardo allo stato, al rango, o alla
famiglia» (Introduzione). Era infatti prevista la
possibilità di chiamare in giudizio il sovrano; in
tal caso le cause sarebbero state giudicate da
tribunali ordinari.
L’(—) comprendeva una prima parte che disciplinava i diritti reali, suddivisa a sua volta in sei
libri: modi diretti di trasferimento della proprietà; modi indiretti di trasferimento della proprietà; diritto successorio; perdita della proprietà;
proprietà collettiva; diritti sulle cose. La seconda parte concerneva le associazioni, a sua volta
divisa in tre parti: diritto di famiglia; diritti dei
ceti nello Stato; diritti e doveri dello Stato nei
confronti dei cittadini.
L’(—) lasciò in vigore il diritto consuetudinario
locale, a differenza della successiva codificazione austriaca e francese [vedi →Allgemeines
Bürgerliches Gesetzbuch; Code Napoléon].
Benché talune sue parti siano rimaste in vigore
fino al XX secolo, l’(—) trovò difficoltà di
applicazione, anche per la sua prolissità. Esso fu
inoltre attaccato dalla scuola storica [vedi →],
particolarmente critica verso la codificazione.
Ciò nonostante l’(—) rappresentò l’espressione di una notevole cultura giuridica, capace di
esprimere un monumentale ordinamento statale, partendo da un rigoroso sistema di principi
giusnaturalistici [vedi → Giusnaturalismo].
◆ Allodio (lat. mediev. allodium der. dall’ant. tedesco lod «possesso libero»)
Nel diritto germanico [vedi →] costituiva la
proprietà su un bene (terra, casa, vigna, bottega, pascolo comunale ecc.) che il singolo riceveva per effetto della successione, in seguito a
divisione in quote (reale o ideale) del patrimonio ereditario.
Poiché i caratteri dell’istituto erano strettamente connessi ai princìpi regolatori della proprietà
nel diritto germanico, intesa come proprietà
collettiva del gruppo, il singolo non poteva
disporre del bene allodiale, qualora ciò avesse
arrecato danno agli eredi necessari e, sotto
questo aspetto, l’(—) si contrapponeva ai singoli beni che il soggetto acquistava con i proventi del proprio lavoro, sui quali aveva piena
disponibilità.
A differenza del feudo, ricevuto dal signore e
non dagli avi, l’(—) era considerato terra libera
da ogni vincolo feudale e quest’ultimo elemento finì col prevalere e caratterizzare la figura
dell’(—).
Dal punto di vista giuridico si distinguevano
generalmente tre tipi di (—):
— l’(—) semplice, che non comportava alcun
potere pubblico dell’allodiere, essendo semplicemente una proprietà privata libera da
vincoli feudali;
— l’(—) giustiziale, nel quale l’allodiere era
tenuto, come munus publicum, a dirimere le
eventuali controversie insorgenti tra gli occupanti le terre;
Estratto della pubblicazione
Alta e bassa giustizia
16
— l’(—) sovrano, che costituiva un principato indipendente, in quanto l’allodiere non
dipendeva neppure dal sovrano.
A partire dalla fine del XII secolo il numero
degli allodi diminuì, poiché diventarono sempre più aspri i conflitti di interesse tra i feudatari, che volevano imporre i loro diritti sugli allodi
e gli allodieri.
Il termine è usato oggi, nel diritto agrario, per
indicare un bene in proprietà scevro da vincoli
o tributi feudali.
◆ Alta e bassa giustizia
Espressione che indica i due diversi ambiti di
giurisdizione in cui, nel Medioevo e nella prima
età moderna, veniva ripartita l’amministrazione della giustizia.
La distinzione tra (—) risale all’epoca carolingia, quando le cause maggiori vennero attribuite alla decisione dei placiti generali [vedi →
Placitum] e quelle minori furono affidate ad un
rappresentante del conte.
L’alta giustizia, esercitata dal sovrano e dai grandi
feudatari, riguardava l’esame delle cause relative
alla proprietà fondiaria e alla libertà personale,
nonché i più gravi reati (omicidio, stupro, lesioni
gravi, incendio volontario, furto e rapina), punibili
con la pena di morte o la mutilazione.
La bassa giustizia, attribuita ai vassalli [vedi →
Vassallo] riguardava i reati meno gravi e le liti
civili di minor valore.
◆ Amicus curiae (d. comp.)
Nel diritto processuale di Common Law [vedi
→] indica l’intervento in giudizio di un terzo,
autorizzato dal giudice, per fornire pareri su
questioni di fatto o di diritto.
L’istituto si è sviluppato soprattutto negli Stati
Uniti consentendo l’intervento in giudizio di
gruppi o individui portatori anche di interessi
che non coincidono con quelli delle parti in
causa.
◆ Ammiragli
Funzionari del governo centrale nel Regno di
Sicilia, istituiti dai Normanni [vedi →].
Ai tempi di Ruggiero II (1095-1154) l’Ammiragliato fu la più alta magistratura finanziaria.
Gli (—) erano numerosi ed agivano sotto la
diretta responsabilità giuridica del Grande
Ammiraglio, che aveva il potere di rappresentare all’esterno l’ufficio. La loro competenza si
estendeva in campo amministrativo e fiscale e
a questa fu connesso il controllo delle forze
armate terrestri e marine; queste ultime hanno
conservato la dizione per designare i loro comandanti in capo.
Federico II di Svevia [vedi →] nell’ottobre
del 1239 emanò i famosi Capitula ad Officium Ammiratiae, con cui riorganizzò l’ufficio in capo ad un Grande Ammiraglio, da cui
dipendevano alcuni vice-ammiragli. Tra le
funzioni attribuite agli (—) dai Capitula rientravano tutti i compiti di natura amministrativa collegati all’esercizio di attività marinare (non necessariamente militari); il controllo
sulla riparazione delle navi nei cantieri; la
concessione dei permessi (licentiae) per l’armamento delle navi e per la navigazione; la
nomina dei comandanti di flotta; la vigilanza
sulla sicurezza sui mari e l’esperimento della
giurisdizione civile e penale sugli arruolati e
sugli imbarcati.
I capitula fissavano, inoltre, sostanziosi compensi agli (—), consistenti in parte in denaro
e in parte in vantaggiose esenzioni: ad es.
essi erano esonerati dal pagamento dei dazi
doganali per le imprese commerciali che
attuavano in proprio ed avevano il diritto di
impossessarsi dei bottini di guerra o derivanti da naufragi occasionali sulle coste del
Regno.
◆ Ammiragliato
[vedi → Ammiragli].
◆ Amparo [RICORSO DI] (d. comp.)
Istituto di protezione dei diritti fondamentali
tipico degli ordinamenti dell’America Latina.
Introdotto dalla Costituzione spagnola del
1931, è previsto anche da quella del 1978, che
affida alla Corte suprema la tutela in ultima
istanza dei diritti pubblici costituzionalmente
garantiti, su ricorso di qualunque persona fisica o giuridica che invochi un legittimo interesse.
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet
17
Antistoricismo
◆ Ancien Régime
Espressione coniata dal fisiocratico [vedi →
Fisiocratici] Honoré-Gabriel Mirabeau nel 1790
e utilizzata dai membri dell’Assemblea Nazionale Costituente [vedi →] (1789-1791) per indicare l’insieme delle istituzioni giuridico-sociali in vigore dalla fine del Medioevo sino alla
Rivoluzione francese [vedi →], che gli stessi
intendevano demolire.
In sostanza, i costituenti francesi identificarono
l’(—) nel regime feudale [vedi →feudalesimo],
fondato su rapporti di servitù personale, sulla
giurisdizione signorile e sulla strutturazione del
potere imperniato sull’egemonia della nobiltà e
del clero, ai quali venivano attribuiti privilegi
particolari in materia fiscale, di accesso agli
uffici pubblici e di immunità [vedi →].
◆ Andi-gawere
Termine in uso presso i Germani [vedi →] per
indicare i beni disponibili acquisiti da un soggetto con la propria opera (Hand).
◆ Andrea Barbazza
[vedi → Barbazza Andrea].
◆ Andrea d’Isernia (Isernia 1220 ca - Napoli 1316)
Giureconsulto e magistrato, fu professore nello
Studio [vedi →Studium] di Napoli. Esperto di
diritto feudale, tanto da passare ai posteri come
«monarcha feudistarum», scrisse il Super usibus feudorum, che dettò legge sulla materia. Fu
autore di una lectura sulle costituzioni federiciane [vedi →Liber Augustalis; Federico II di
Svevia] e di una raccolta delle leggi finanziarie
del Regno di Sicilia, successivamente conosciuta come Ritus regiae Camerae summariae
[vedi →].
Dotato di un profondo senso della giustizia, che
fece valere anche nei confronti dei potenti,
secondo la tradizione, venne ucciso per conto di
un feudatario tedesco, privato di alcuni possedimenti, per effetto di una sua sentenza.
◆ Angli
Popolazione germanica [vedi →Germani] che
unitamente ai Sassoni [vedi →] e ad altre tribù
affini invase verso la seconda metà del V secolo
la Britannia, stanziandosi nella parte sud-orientale della regione. Dagli (—) deriva il nome
attuale di Inghilterra.
◆ Anticurialismo
Movimento di opposizione alle pretese della
curia papale di controllare e governare chierici e laici cattolici di ogni nazione, con ciò
interferendo non solo nelle questioni religiose ma anche negli affari giuridici, politici e
sociali di ogni singolo Stato. L’(—) affonda
le sue radici nel basso Medioevo ed assunse
un’enorme portata nel secolo XVIII. Frequenti furono, infatti, nell’età moderna i tentativi, già enunciati dalle dottrine del febronianismo [vedi →], di dare vita a chiese
nazionali autonome dall’autorità papale e di
assoggettare il clero al potere temporale, limitandone le prerogative. Numerose furono
le riforme, attuate dai sovrani settecenteschi,
rivolte a colpire lo strapotere della Chiesa di
Roma ed i suoi canali d’intervento. Le iniziative anticuriali conobbero un forte momento
di coesione soprattutto nella lotta contro i
Gesuiti [vedi →], che sfociò nell’espulsione
di questi dalle principali monarchie cattoliche e che portò alla soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773.
◆ Antistoricismo
Dottrina che si oppone allo storicismo, in
quanto rifiuta di considerare gli avvenimenti
umani come il prodotto dell’ambiente storico
e nega che i fatti, in quanto reali, siano razionali.
Di (—) parlò soprattutto Benedetto Croce
[vedi → Croce Benedetto] in riferimento
all’Illuminismo [vedi →], poiché tale ultima
corrente di pensiero operò l’affrancamento
dalla tradizione, che non solo venne sottoposta alla libera critica e si vide disconoscere
qualsiasi valore indipendente dalla ragione
ma venne anche condannata sommariamente. Secondo Croce l’(—) illuministico era
ravvisabile nel paragone arbitrario istituito
dagli storici settecenteschi fra quanto era
accaduto di fatto e quanto sarebbe dovuto
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet
Antitribonianus
18
accadere secondo ragione. Tale arbitrio risultava particolarmente evidente nei discorsi sul
Medioevo, condannato radicalmente dagli illuministi come età oscurantistica del fanatismo e della violenza.
◆ Antitribonianus
Volumetto scritto nel 1567 dall’esponente della
scuola culta [vedi →Culti (scuola dei)] François
Hotman [vedi →Hotman François] e pubblicato per la prima volta a Parigi in lingua francese
nel 1603.
In esso è contenuta un’acre ed esplosiva serie di
accuse demolitrici sia al Corpus iuris civilis
[vedi →] voluto da Giustiniano I [vedi →] e
realizzato da Triboniano [vedi →], sia ai metodi
interpretativi del diritto romano adoperati dalla
giurisprudenza medievale e soprattutto dai bartolisti [vedi → Bartolismo].
Nell’(—) il diritto giustinianeo viene giudicato
un fenomeno meramente storico, privo di auctoritas intrinseca e, quindi, inapplicabile alle strutture politiche ed alle esigenze ormai diverse
della presente società francese.
Inoltre, Giustiniano e soprattutto Triboniano
vengono accusati di avere arbitrariamente alterato e confuso l’enorme patrimonio giuridico
dell’antica Roma, dando vita attraverso il Corpus iuris ad un ammasso di errori e contraddizioni normative, su cui i giuristi medievali,
nella loro stoltezza e barbarie, si sarebbero
gettati senza discernimento, considerando le
leggi giustinianee non come scritte da un uomo,
bensì cadute dal cielo, perseverando così nell’errore.
Nell’(—) Hotman propone di affidare ad una
commissione di giuristi e di funzionari statali il
compito di estrapolare dal diritto romano i
princìpi ancora vivi e validi e sulla base di
questi e delle consuetudini del regno di Francia
dare vita ad un codice che semplificasse tutto il
diritto francese, ponendo fine al caos giurisprudenziale creato nei secoli dagli interpreti del
diritto giustinianeo.
Nell’(—) è dunque presente la proposta di uno
dei primi veri progetti di codificazione nazionale, che in gran parte la Francia accoglierà solo
due secoli più tardi.
◆ Antonio da Budrio (1338 - 1408)
Giurista canonista appartenente alla scuola dei
Commentatori [vedi →], allievo di Pietro d’Ancarano [vedi →]. Scrisse ampi commentari alle
Decretali [vedi →] e al Liber Sextus [vedi →],
nonché lodevoli trattati: De iure patronatus, De
emptionibus et venditionibus, De notorio, De
symonia ed un Repertorium de iure civili.
◆ Antrustione
[vedi → Gasindi].
◆ Aquisgrana [PACE DI]
In questa città della Renania-Westfalia attualmente denominata Aachen e che sotto la dominazione francese fu chiamata Aix-la Chapelle,
furono conclusi due accordi.
La prima (—) fu stipulata il 2 maggio 1668, al
termine della guerra di devoluzione (1667-68)
condotta dal re di Francia Luigi XIV contro i
Paesi bassi spagnoli (Fiandre), che il sovrano
voleva annettere in virtù di una norma di diritto
privato in vigore nella regione di Brabante,
secondo la quale l’eredità spettava ai figli di
primo letto del padre defunto, indipendentemente dal sesso [vedi → Legge salica]. Luigi
XIV rivendicava le Fiandre spagnole per la
moglie Maria Teresa, figlia di Filippo IV di
Spagna (morto nel 1665).
L’alleanza tra l’Olanda, la Svezia e l’Inghilterra costrinse, però, il sovrano francese alla (—),
con la quale la Francia restituiva la Franca
contea alla Spagna, mentre a Luigi XIV veniva
riconosciuta solo la parte meridionale delle
Fiandre (Lilla, Charleroy).
La seconda (—) fu stipulata il 18 ottobre 1748.
Concluse la guerra di successione austriaca
(1740-1748), condotta contro Maria Teresa
d’Austria da Carlo Alberto di Baviera e Federico Augusto III di Sassonia, i quali non riconoscevano la validità della Prammatica sanzione
[vedi →] (1713), deliberazione di Carlo VI
d’Austria, con la quale egli cercava di assicurare il trono ai propri discendenti (anche se femmine). Spagna, Prussia, Francia e Regno di
Napoli avanzarono pretese nei confronti dell’Austria. Dopo alcuni anni di alterne vicende si
addivenne alla (—), con la quale la Francia
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet
19
Arbitrato
restituiva tutte le conquiste; Filippo di Borbone
otteneva Parma, Piacenza e Guastalla; Maria
Teresa veniva riconosciuta imperatrice ma cedeva a Federico II di Prussia la Slesia. Carlo
Emanuele III otteneva Vigevano e l’Alto Novarese.
◆ Aragonesi
Membri della casa d’Aragona (regione della
Spagna settentrionale), che regnarono a partire
dal 1282 in Sicilia con Pietro III il Grande il
quale, dopo aver ispirato la rivolta popolare dei
vespri siciliani contro il dominio angioino, assunse la corona dell’isola con l’appoggio dei
fedeli alla casa sveva e dell’imperatore d’Oriente
Michele VIII Paleologo.
Dal 1442 gli (—) regnarono su Napoli e Sicilia.
Ad inaugurare il dominio aragonese su tutto il
mezzogiorno d’Italia fu Alfonso I. Egli, succeduto in Aragona e Sicilia al padre Ferdinando I,
fu adottato nel 1421 dalla regina di Napoli
Giovanna d’Angiò. Alla morte di quest’ultima
la successione al trono gli venne contestata da
Renato d’Angiò, appoggiato dai governanti di
Milano, Venezia e Firenze. Sconfitto e fatto
prigioniero dal duca di Milano Filippo Maria
Visconti, Alfonso I si accordò segretamente
con lui e ciò gli valse la possibilità di conquistare Napoli, che annetté alla Sicilia.
Successori di Alfonso I furono Ferdinando I
(1458-94), Alfonso II (1494-95), Ferdinando II
(1495-96), Federico I (1496-1501) e Ferdinando III (1504-1516), che fu l’ultimo della dinastia.
A partire da Ferdinando III, iniziò per il regno
di Napoli e di Sicilia il periodo dei vicerè (15041700), continuato sotto il dominio degli Asburgo di Spagna.
◆ Arbitrato
Nel diritto processuale civile è il mezzo al quale
le parti possono ricorrere per sottrarre alla giurisdizione ordinaria la decisione di una lite,
realizzando così una sorta di giustizia privata,
dettata cioè da un privato anziché da un giudice
dello Stato. È sempre lo Stato, comunque, che
attribuisce alla decisione privata il carattere
giurisdizionale, cioè il carattere di sentenza.
L’istituto dell’(—) è previsto anche dal diritto
internazionale, quale procedimento di risoluzione di una controversia affidata ad un giudice
internazionale, la cui giurisdizione è stata preventivamente accettata dalle parti in controversia.
Nel diritto romano l’arbitratus prevedeva la
facoltà delle parti di affidare ad un terzo, l’arbiter, la decisione di una o più controversie, sulla
base di un accordo detto compromissum.
Con tale accordo, i soggetti si obbligavano
all’accettazione e all’osservanza della decisione del giudice, e, contemporaneamente, dettavano le modalità e l’oggetto del giudizio.
La sentenza non costituiva res iuridica, ma
produceva esclusivamente gli effetti obbligatori del compromesso, ai quali era quindi connessa una actio ex stipulatu.
Forme di (—) nelle controversie civili si ebbero
anche nel Medioevo. Si pensi all’istituto dell’episcopalis udientia, strutturata su due caratteristiche essenziali: la facoltà delle parti di
ricorrere liberamente al tribunale del vescovo
per la risoluzione delle liti e la natura in origine
tipicamente arbitrale della sentenza vescovile,
emessa sulla base di valutazioni equitative.
Riferimenti a procedure arbitrali sono contenuti anche nelle raccolte legislative barbariche; la
Lex Wisigothorum [vedi →] contemplava
espressamente l’(—), la Lex romana Wisigothorum [vedi →] faceva riferimento ad una costituzione di Costantino sull’episcopalis audientia e
la legge salica [vedi →] affidava ai cd. apretiatores pretii il compito di determinare il valore
delle cose che il debitore avrebbe dovuto corrispondere al creditore, qualora fosse stato impossibilitato a pagare il debito in denaro. Inoltre, l’ordinamento anglosassone rinveniva nel
saamend la persona incaricata di determinare
l’ammontare dei danni e l’entità del risarcimento, che l’autore di un reato avrebbe dovuto
corrispondere alla vittima o ai parenti di essa.
Spetta, tuttavia, ai giuristi dell’età del diritto comune [vedi →] il merito di aver disciplinato
minutamente l’(—). Ai Commentatori [vedi →] si
deve l’approfondimento della distinzione, già attuata dai Glossatori [vedi →] tra arbiter e arbitrator e poi accolta dall’ordinamento statutario.
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