l`intelligibilita` matematica della natura

Anno scolastico 2010-11
L’INTELLIGIBILITA’ MATEMATICA
DELLA NATURA
*** ***
ANDREA MAGRINI
INTRODUZIONE
Sin da tempi assai remoti, l’uomo ha sempre cercato di dare una spiegazione ai fenomeni a cui
assiste quotidianamente, dal sorgere del sole allo scorrere dell’acqua dei fiumi. I primi passi in tal
senso sono stati mossi nell’ambito religioso, con lo sviluppo di credenze animiste, legate a divinità
naturali. In seguito si è giunti a discussioni filosofiche, tanto che le prime scuole si sono formate per
rispondere agli interrogativi sulla “physis”, ovvero sulla natura del mondo. Da questo termine
deriva la Fisica, così come la intendiamo. I progressi in questa disciplina sono il frutto di un
millenario processo di ricerca, che però ha subito un evidente salto di qualità quando si è iniziato a
comprendere quale fosse il codice con cui è scritto il cosmo: la matematica. Tramite questo
strumento è stato possibile dare una descrizione oggettiva e rigorosa dei fenomeni, tale da
permettere di predirne il comportamento e riprodurli artificialmente. La matematica è divenuta la
scienza per eccellenza e si è anch’essa affinata, giungendo sino ai giorni nostri con una
sorprendente adattabilità ed efficacia nel rendere conto della realtà.
MOTIVAZIONI
Il corso di insegnamento del liceo scientifico offre una formazione ampia su vari ambiti del
pensiero umano, da quello umanistico a quello proprio di questo ordinamento di studi. Nel mio
percorso scolastico ho notato come questi due settori, che è facile considerare come separati, in
realtà dialoghino intensamente influenzandosi a vicenda. In particolare, nell’ambito della filosofia si
è cercato di dare risposte ai problemi che sorgevano invece nel campo scientifico. Tra questi,
procedendo nei miei studi è emerso gradualmente lo stretto rapporto che lega la fisica e la
matematica. La felice collaborazione tra di esse è antica, ma trova la sua espressione completa nella
prima rivoluzione scientifica. È celebre la parte del “Saggiatore” in cui Galilei osserva come il
mondo sia scritto con caratteri geometrici e nel linguaggio matematico. Da Newton ad Einstein, fino
ai giorni nostri, ogni descrizione della realtà con la pretesa di oggettività e rigorosità non ha più
potuto fare a meno di rapportarsi con la matematica. In quest’ultimo anno, nello studio
dell’astronomia e della geologia questo aspetto si è reso più evidente, inducendomi ad
approfondirlo. Nell’ambito della filosofia della scienza, poi, sono venuto a conoscenza della crisi
dei fondamenti tra la fine del XIX secolo
l’inizio del XX, che ha portato gli scienziati a dare
*** e***
DELLA SOCIETÀ]
diverse interpretazioni della questione, [NOME
affrontandola
in modo più o meno diretto. Il positivismo,
1
che riponeva la totale fiducia nelle possibilità della scienza e che in essa vedeva il motore del
progresso, dimostrandosi illusorio ha posto il problema dell’utilità della scienza stessa e dei suoi
limiti. Lo sviluppo all’inizio del Novecento dei modelli atomici, in grado di spiegare le interazioni
fondamentali della materia, ha però evidenziato come a livello microscopico, quando il riscontro sul
piano dell’esperienza viene meno, continui ad essere valida la descrizione matematica, rinnovando
la fede nel metodo scientifico e nel suo intervallo di applicabilità. Nell’ambito della stessa
astronomia, i progressi che l’uomo ha potuto compiere senza un’osservazione diretta, ma basandosi
sul tentativo di ricavare delle leggi, a volte anche inaspettate, come quella di Hubble, partendo
dall’uso di strumenti inizialmente molto semplici, sono un’ulteriore conferma di come il cosmo sia
efficacemente spiegabile in termini numerici.
Fino a che punto, però, possiamo giungere a comprendere la struttura del mondo? La semplice
sistematizzazione di fenomeni in leggi empiriche è un grado di spiegazione sufficiente? Quali sono
gli orientamenti nei confronti di queste questioni?
Nel mio percorso pluridisciplinare ho voluto esaminare la questione generale del rapporto che
sussiste tra la realtà fisica e il mondo matematico, analizzandola dal punto di vista filosofico per
comprendere in che modo ci si è rapportati, in ambito moderno, con questo problema. Ho analizzato
anche certi casi emblematici, tratti da argomenti svolti nel programma scolastico e approfonditi in
maniera generale nei loro sviluppi successivi, che sono esemplificativi dell’indissolubile rapporto
che lega le scienze alla matematica.
IL PROBLEMA
In questo percorso pluridisciplinare il problema che intendo affrontare è l'intelligibilità matematica
della Natura. Facendo ricorso a questo strumento, l'uomo è stato in grado di individuare un ordine al
di sotto del caos, divenuto quindi κόσμος (kósmos, ordine). Ma in cosa consiste questo schema e
come si è giunti alla sua comprensione? La domanda da cui si origina questa trattazione è “perché il
mondo è matematico?” e intendo procedere esaminando una serie di questioni che possono aiutare a
capire se è ben posta, cosa stia veramente ad indicare e quali siano le risposte di cui disponiamo
attualmente. È necessario innanzitutto comprendere cosa sia realmente la matematica, se mai è
possibile, e quali siano le sue caratteristiche. Accanto a ciò sta il tema di come venga sfruttata
nell'ambito scientifico, di quale sia il campo di validità di una descrizione che si basi in larga misura
su terminologie formali e della sua effettiva efficacia. Pertanto il problema si snoda anche attorno
alla questione di cosa sia realmente in grado di spiegare la scienza moderna e dove, invece, risulti
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insufficiente. La questione del metodo diviene, quindi, cruciale per intuire come si realizza la
“matematicità” del nostro Universo e come viene sfruttata dagli esperti. In questo senso l'analisi di
argomenti della fisica e della astronomia esplicano significativamente il potere della matematica e
nel contempo il persistente imbarazzo delle scienze di fronte ad aspetti essenziali della nostra
esistenza. Il tema del percorso, presentando un'affinità con molti argomenti che riguardano il campo
scientifico, ma che trovano una loro trattazione anche nella filosofia, si presenta poliedrico e
richiede che siano analizzate varie problematiche. Accanto a quelle già evidenziate, ve ne sono altre
relative ad un aspetto più speculativo, come i vari orientamenti degli esperti nei confronti della
questione ed il rapporto tra la nostra realtà materiale e il mondo astratto degli enti matematici,
discussi in campo filosofico. Su questo terreno si muove una serie di riflessioni che delineano in
modo più completo la questione, che risulta interessante poiché coinvolge tematiche specialistiche
brillantemente spiegate dalla scienza a domande che si originano dal vissuto quotidiano e che, pur
nella loro semplicità, non trovano ancora in essa risposte soddisfacenti.
ARGOMENTI
L'esigenza di oggettività nella descrizione dei fenomeni e la sicurezza di coerenza è soddisfatta a tal
punto dalla matematica, da essere posta alla base di molte discipline cosiddette scientifiche.
Nonostante l'uomo abbia riposto in essa una grande fiducia e continuerà ad affidarvisi per risolvere
numerosi problemi, non è ancora chiaro cosa sia veramente, da dove derivi, perché sia così efficace
e fino a che punto sia in grado di fornire una spiegazione. In questo percorso affronteremo la
questione dell'utilità da parte della matematica di essere applicata in numerosi ambiti, mettendo
innanzitutto in rilievo quali siano le sue caratteristiche più evidenti e come esse costituiscano il suo
punto di forza.
Esamineremo, quindi, i casi in cui lo sviluppo parallelo dell'aspetto sperimentale e teorico abbia
portato a risultati sorprendenti, dando conferme sulla grande importanza della collaborazione tra
coloro che affrontano le questioni astraendole e cercando soluzioni nel mondo matematico, e coloro
che fondano la propria indagine sull'osservazione più o meno diretta degli eventi. Nella sezione
centrale, pertanto, a partire dal modello atomico di Bohr, tratteremo la questione dell'elettrone e di
come i vari risultati teorici abbiano indotto a modificare la concezione di cosa esso sia,
abbandonando l'opinione dettata dal senso comune e rivolgendosi ad una dimensione poco più che
immaginaria. L'impossibilità di considerare la particella secondo modelli concreti ha portato a
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considerare come fondamentali proprietà quali il momento magnetico orbitale e quello intrinseco,
entrambi proporzionali ai rispettivi momenti angolari. L'emergere nei risultati pratici per la
quantificazione di queste grandezze di contrasti con le soluzioni teoriche hanno portato
all'introduzione di modifiche formali, grazie alle quali è stato possibile predire con una precisione
mai raggiunta prima ciò che è stato in seguito confermato dalle evidenze sperimentali. Grazie ad
elementi acquisiti nel corso dell'anno scolastico si è potuto indirizzarsi all'analisi dei due momenti
magnetici dell'elettrone, con un approccio però non specialistico, visto l'enorme complessità degli
argomenti trattati che richiedono conoscenze a livello avanzato. Sono presenti nella trattazione
accenni a problemi e aree di indagine riportati per completezza ma non approfondite, essendo tra
l'altro estranee al programma.
Nel campo dell'astronomia, lo studio della gravità, forza a cui siamo talmente abituati da
considerala banale, è tutt'ora uno dei più grandi misteri irrisolti dell'Universo, in cui, naturalmente,
l'utilizzo di strumenti di calcolo riveste un ruolo fondamentale per cercare, oltre ad una semplice
descrizione, anche un'esauriente spiegazione di ciò in cui consiste. Per primo Keplero
inconsapevolmente ne formalizzò gli effetti in ambito planetario, con le sue famose leggi. Quando
Newton definì la forza gravitazionale ed i principi della dinamica fu possibile trovare le
giustificazioni di quanto Keplero aveva solo rilevato. I tentativi della scienza nella ricerca di una
spiegazione profonda della forza per ora risultano tra di loro contrastanti, ed in particolare
esamineremo la risposta di Einstein nella teoria della relatività generale. Questo argomento viene
trattato in maniera generale, fornendo un'idea sintetica dei concetti che ne stanno alla base, non
essendo stato svolto direttamente nel programma scolastico, ma costituendo il naturale sbocco di
quanto è invece stato spiegato relativamente alla relatività ristretta. Si è scelto di inserire a titolo
informativo anche un paragrafo che presenti il problema dell'incompatibilità con la fisica dei quanti
delle teorie einsteiniane, nonostante non si sia giunti a discutere queste tematiche in sede scolastica.
Dopo aver illustrato i casi in cui grazie all'applicazione di metodi di calcolo si è giunti a risultati
rilevanti e non ottenibili altrimenti, sono passati in rassegna i vari orientamenti dei matematici nei
confronti della questione trattata. Le interpretazioni di natura speculativa che ruotano attorno
all'argomento pongono il problema dell'effettiva possibilità di giungere a conoscenze solide, tramite
indagini teoriche che spesso sono il punto di partenza per la formulazione di nuove teorie. La stessa
varietà di opinioni è indice dell'oscurità di questa tematica. Nella parte conclusiva è discusso il
problema dei limiti di questo approccio sia per quanto riguarda l'area scientifica, sia per quanto
concerne le pretese di estensione di strumenti formali ad altre aree e all'uomo in sé.
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PERCORSO
 Introduzione: grazie alla matematica è stata data una risposta rigorosa e precisa alle
domande dell'uomo su come funzioni il mondo
 La matematica: che cos'è e quali sono le caratteristiche che la rendono utile nella descrizione
della Natura
 Il modello atomico di Bohr e la quantizzazione delle orbite degli elettroni
 Il momento magnetico orbitale di un elettrone e la sua relazione col momento angolare
orbitale
 Il momento magnetico intrinseco e la sua relazione col momento angolare intrinseco, lo spin
 Le leggi di Keplero
 La legge di gravitazione universale come spiegazione delle leggi di Keplero e di vari
fenomeni
 La forza di gravità sulla superficie terrestre
 La teoria della relatività generale: principio d'equivalenza, interpretazione della gravità ed
incompatibilità con la fisica dei quanti
 Orientamenti
filosofici
sulla
matematica:
formalismo,
invenzionismo,
realismo,
costruttivismo
 I limiti di un approccio scientifico onnicomprensivo
 Conclusione: nonostante la grandezza della matematica nel saper descrivere l'Universo, la
scienza non è in grado di svelare il mistero dell'uomo
MATERIE COINVOLTE
 matematica
 fisica
 astronomia
 filosofia
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MAPPA CONCETTUALE
INTRODUZIONE
CHE COS'È LA MATEMATICA?
 La matematica come scienza di entità astratte
 La logica incorporata e il criterio di consistenza
 La flessibilità nell'adattamento a situazioni diverse
 Il rapporto realtà fisica-mondo matematico
IL CONNUBIO MATEMATICA-SCIENZA
UN SINGOLARE ABRACCIO TRA FISICA E MATEMATICA
 Il modello atomico di Bohr e l'elettrone
 Il momento magentico orbitale e il momento angolare orbitale
 Il momento magnetico intrinseco e lo spin
LA FORZA PIÙ DEBOLE
 Le leggi di Keplero
 La legge di Newton e la spiegazione delle leggi di Keplero
 La gravità secondo Einstein
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ORIENTAMENTI E RIFLESSIONI
 Formalismo
 Invenzionismo
 Realismo
 Costruttivismo
CONCLUSIONE
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1. CHE COS'È LA MATEMATICA?
Se si chiede ad un matematico di dare una definizione della disciplina che studia, esso non saprà
rispondere. Mentre è possibile circoscrivere l'area di interesse delle altre scienze, che si occupano di
problemi specifici e si intersecano tra loro solo parzialmente, la matematica non è classificabile né
è riducibile ad un solo ambito. Trova la sua applicazione dalla chimica alla biologia, dalla geologia
all'economia poiché il suo utilizzo è flessibile e si adatta a situazioni assai variegate.
Ha a che fare con unità astratte, con oggetti e simboli che hanno un significato ben preciso e
permettono di svolgere calcoli accurati ma soprattutto corretti. Questo fatto è dovuto ad una
particolare caratteristica che rende la matematica così affidabile ed importante: la presenza, nella
stessa, di una logica incorporata. Grazie a questa non è necessario controllare che siano soddisfatti
certi presupposti quando ci si accinge a compiere un'operazione: tutto ciò che si scrive deve avere
un significato, c'è una legge di coerenza interna che ci assicura che quanto facciamo darà risultati in
accordo con le regole del sistema, le quali non possono essere infrante senza che perda di
significato la scrittura. Questo fatto è sfruttato, ad esempio, nella reductio ad absurdum: affermando
falsa la tesi iniziale, si giunge di fronte ad un assunto che viola un certo teorema ritenuto valido,
portando ad un assurdo eliminabile ammettendo vera la tesi iniziale e quindi dimostrando l'ipotesi.
Se una preposizione è in contrasto con altre, essa non può essere adoperata nelle operazioni di
calcolo e cessa di essere.
Il criterio di consistenza di un sistema è divenuto fondamentale per stabilirne la validità. Nella
storia, è capitato spesso che i matematici si siano trovati a vivere momenti in cui hanno avuto dubbi
e incertezze sui metodi che usavano, o sulle ricerche che conducevano. Questo può sembrare
incredibile a chi non conosca la storia della matematica, ma gli episodi di questo genere sono
stati frequenti e importanti. Sono i cosiddetti periodi di crisi seguiti da periodi di rigore. Una
definizione della matematica potrebbe essere che è un laboratorio di pensiero e ogni tanto nel
laboratorio gli esperimenti danno esiti insoddisfacenti, inaspettati o incontrollabili e comunque
richiedono sempre molta manutenzione. Nelle situazioni in cui ci si è trovati a dover affrontare
problemi con strumenti inadeguati o non sufficientemente accurati e condivisi si è giunti a
sviluppare nuove aree della disciplina oppure ad abbandonare una parte di essa, magari per
recuperarla successivamente. Non diversamente da quanto accade nelle altre scienze, il suo sviluppo
ha incontrato degli ostacoli che apparivano insormontabili e incrinavano l'intero impianto di regole,
tuttavia la capacità di scavalcarli ne ha dimostrato la solidità.
Sin dal principio essa ha costituito un'estensione del pensiero umano, uno strumento tramite cui è
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possibile ampliare le nostre capacità e schematizzarle. L'applicazione a moltissimi ambiti è una
prova di questo fatto: ragionando secondo i suoi schemi si riescono ad affrontare svariate
problematiche in modo sistematico, rigoroso e, cosa non meno importante, rapido. La velocità di
risoluzione è un elemento che torna utile in molti casi, e deriva dal fatto che tramite l'applicazione
di modelli standardizzati e generici è possibile trattare situazioni particolari tra loro simili, senza
dover cercare ogni volta nuovi strumenti, ma sfruttando gli stessi schemi. Da quanto detto emerge
come nel campo della matematica vi siano oggetti aspecifici che possono essere utilizzati
efficacemente per descrivere eventi in modo generale; è possibile, cioè, compiere un'astrazione da
una serie di avvenimenti simili per riassumerli in una legge universale, che in quanto tale uniforma
l'approccio a problemi analoghi.
Molto di ciò che la matematica offre è risultato utile ai fini di un'applicazione pratica. La Natura si
presta ad essere trattata con questo tipo di strumenti e la comprensione di ciò ha determinato lo
straordinario successo di questa disciplina e lo sviluppo di molte altre scienze. Dai pitagorici in poi,
si è ritenuto possibile comprendere la realtà vera delle cose facendo ricorso alla geometria e alla
scienza dei numeri. Si ritiene che la comparsa di questi concetti sia dovuta alla necessità di
rispondere ad esigenze specifiche, quali ad esempio tenere il conto di oggetti posseduti e di quantità
scambiate. A lungo è stata un'idea universalmente diffusa, anche se con notevoli sfumature, che la
matematica studiasse caratteristiche del mondo reale. Si ricordi il detto di Galileo che la natura è un
libro, e che il libro è scritto in un linguaggio di cerchi, ellissi e triangoli. La geometria studiava lo
spazio, i numeri misuravano i fenomeni quantitativi del mondo. Col procedere dello sviluppo in
questi campi, si giunse a conoscenze che non erano, invece, direttamente riferibili ad entità
materiali, ed era veramente difficile dire a quale realtà esse si riferissero. Che rapporto sussiste
dunque tra la Natura fisica che osserviamo e il mondo popolato di elementi astratti, quali il numero,
la retta e il punto? Esiste tra questi due insiemi una corrispondenza biunivoca, oppure alcune parti
del primo restano non interpretabili con gli oggetti del secondo, o, viceversa, il secondo possiede
enti che non sono raffigurabili tramite rappresentazioni tratte dall'universo che conosciamo?
Innanzitutto l'aver compreso che esista un rapporto è stato un passo fondamentale per lo sviluppo
delle scienze. La traducibilità della realtà materiale in simboli matematici è un dato comprovato e
da secoli sfruttato in modo sempre più ampio e profondo. Da dove ciò tragga origine resta, invece,
una questione non ancora spiegata che ha visto la comunità scientifica variamente esprimersi.
È interessante notare come nell'ambito della ricerca si sia giunti a certi risultati equivalenti in aree
del mondo mai venute a contatto e con culture completamente diverse. Questo pone la domanda se
l'evoluzione in questo campo sia predeterminata, se, cioè, la mente umana sia tale da esser
strutturata secondo un preciso schema, che emerge man mano che si affinano certe facoltà, o se,
piuttosto, la matematica per natura porti ad essere trattata con un ordine logico uguale in ogni luogo.
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Se essa è un prodotto umano, come si spiega che sia uguale in ogni luogo della terra? Si può
credere, invece, che sia l'uomo ad essere formato su di questa, e che pertanto la realtà ci appare
misurabile perché la filtriamo attraverso gli strumenti che ci fornisce?
Certamente, il fatto che per noi l'universo non sia più un mistero resta un grande mistero 1. Si è
cercato di dare risposte a questo genere di domande, anche se in realtà la questione non viene
sempre ritenuta di fondamentale importanza. Il fatto che la matematica continui a funzionare
sembra essere più che sufficiente perché non si smetta di utilizzarla. Con l'avanzare del progresso e
con il crescere della complessità dei problemi da affrontare essa è venuta ad occupare una posizione
via via più determinante, consolidando un rapporto con la fisica certamente antico, ma che, in
particolare nello scorso secolo, si è rivelato in tutta la sua profondità. La componente teorica si è
saldata sempre più con quella pratica di verifica sperimentale. Esistono numerosi esempi
sorprendenti di come alcuni studiosi abbiano scoperto intricate strutture matematiche senza
prendere minimamente in considerazione la possibilità di sfruttarle nell'ambito delle altre scienze,
per poi scoprire che le loro creazioni corrispondevano esattamente a quello che serviva per spiegare
qualche fenomeno che si verificava nel mondo e, in seguito, a predirne di nuovi. La nuova fisica è
stata resa possibile dalla preesistenza di un'appropriata conoscenza teorica. Ci sono però anche casi
opposti, in cui si vedono emergere nuovi strumenti e concetti matematici a partire dallo studio della
fisica. Ciò mette in evidenza come non sia possibile sciogliere i due aspetti: incongruenze tra di
loro, anche minime, hanno spinto gli scienziati a revisionare le loro idee e scoprirne i limiti. Ad oggi
ogni proposta che sia degna di considerazione deve tenere conto tanto di risultati sperimentali
quanto di una giustificazione formale. La ricerca matematica, che prosegue tutt'oggi, si trova
indirizzata dalle specifiche esigenze in ambito pratico di accostare alle evidenze la solidità delle sue
strutture. Analogamente, in campo fisico si organizzano imponenti esperimenti per verificare quanto
è stato presentato da un punto di vista solamente teorico. Ad esempio, nel primo caso si pensi alla
teoria quantistica di Yang-Mills, nel Modello Standard, elaborata per adattarsi a quanto si rivelava
nelle verifiche pratiche, che appartiene ai sette Millennium Problems, in quanto presenta dei lati
formalmente ancora non provati; nel secondo caso, uno degli apparati più noti e colossali, l'LHC di
Ginevra, ha lo scopo di provare l'esistenza di una particella la cui esistenza è stata predetta solo da
un punto di vista teorico.
Gli esempi che analizzeremo nella successiva sezione sono emblematici di questa correlazione e
hanno lo scopo di chiarificare quanto finora analizzato. Essi aprono la discussione su aspetti del
nostro mondo che spesso appaiono sottovalutati e pongono il problema del metodo da adottare nella
ricerca e delle sue implicazioni con l'intelligibilità matematica dell'Universo.
1
David Barrow, Perché il mondo è matematico?, Laterza
10
2. IL CONNUBIO MATEMATICA-SCIENZA
2.1 Un singolare abbraccio tra fisica e matematica
Lo sviluppo dei modelli atomici a partire dal XIX secolo ha sancito l'inizio della ricerca, in ambito
scientifico, di un'interpretazione generale dell'Universo, onnicomprensiva, che permetta di spiegare,
a partire dalle proprietà di costituenti fondamentali, tutti i fenomeni cui assistiamo. La svolta in
questa serie di tentativi avvenne con la presentazione nel 1913, da parte di Niels Bohr, del primo
modello atomico che tenesse conto dei recenti risultati della meccanica quantistica. Per giungere a
ciò, il fisico si servì in larga misura degli studi sugli spettri, che Rutherford non era in grado di
rendere conto. Elaborando una teoria che considerasse quanto Max Planck aveva ottenuto nel 1900
e si adattasse alle evidenze sperimentali, riuscì a giungere ad una conclusione importantissima, che
non potrà essere più ignorata nei successivi sviluppi.
Il modello atomico di Bohr
Secondo l’ipotesi di Rutherford, il nucleo atomico è costituito da una massa di carica positiva,
attorno alla quale ruotano Z elettroni con carica negativa, in orbite circolari chiuse. Non era però
chiaro come ciò potesse avvenire. Infatti, secondo le leggi dell’elettromagnetismo una particella
negativa che è sottoposta ad una continua accelerazione emette energia. Pertanto il moto degli
elettroni si sarebbe dovuto esaurire in un tempo pari a circa 10-7 s. Inoltre non si riusciva in alcun
modo ad interpretare i risultati della spettrografia, che costituiva allora un filone di indagine in
espansione, su cui si faceva notevole affidamento. Niels Bohr comprese che per eliminare i
problemi di questa visione sarebbe stato utile prendere in considerazione la meccanica quantistica di
Planck. Per poter ammettere che gli elettroni non irraggiano, introdusse arbitrariamente una
condizione di quantizzazione del momento angolare delle particelle. In tal modo, giunse a queste
conclusioni:
 Il raggio delle orbite degli elettroni attorno al nucleo può assumere solo certi valori, definiti
2
dalla formula r n =n
 ogni
elettrone
ε0 h
2
πme
può
percorrere
solo
certe
orbite
stazionarie,
con
un'energia
2
( )
1 m e2
E
=
−
totale n
n2 8 ε 0 h
2
, e non irradia
11
Nelle formule sopra riportate n è il numero quantico principale, ed assume solo valori interi positivi;
h è la costante di Planck (h=6,626 x 10-34 J·s); m è la massa dell'elettrone (me=9,11 x 10-31 kg).
Poiché n moltiplica una costante ed assume valori interi non nulli, i raggi delle orbite sono ben
definiti e, analogamente, l'energia di ogni livello è quantizzata, ovvero determinata e variabile per
quantità discrete.
Come si può notare, l'oggetto principale descritto nel modello di Bohr è l'elettrone. Esso è una
particella fondamentale di carica negativa e = -1,60 x 10-19 C e massa pari a 9,11 x 10-31 kg.
All'epoca non era ancora spiegabile l'interazione tra questo ed il nucleo, e non si era nemmeno a
conoscenza del neutrone. La novità apportata dal fisico consisteva nella formalizzazione del moto
della particella. Questo movimento può avvenire soltanto in certe orbite il cui raggio è
determinabile, dette stazionarie, proprio per questa loro caratteristica. Il valore r = 52,9 pm è detto
raggio di Bohr ed è associato al numero quantico n pari ad 1. In un atomo di idrogeno, il più
semplice e quello su cui si concentrò Bohr, l'unico e- si muove a quella distanza dal protone. Gli
elettroni si dispongono in un numero massimo di 2n2 per ogni livello energetico, cui corrisponde
un'energia ben definita, che aumenta man mano che vengono occupati stati quantistici più lontani
dal nucleo e quindi col crescere del numero quantico principale n. Questa descrizione permetteva
all'epoca di dare ragione dei risultati ottenuti tramite indagine spettroscopica e superava i problemi
legati al fatto di immaginare un atomo come un pianeta. Commenta al proposito Heisenberg: “Se
l'atomo può modificare la propria energia soltanto per quanti separati d'energia, ciò deve
significare che l'atomo può esistere soltanto in stati stazionari separati, dei quali il più basso è il
suo stato normale. […] Con questa applicazione della teoria dei quanti al modello atomico, Bohr
poté non solo spiegare la stabilità dell'atomo ma anche, in alcuni casi semplici, dare
un'interpretazione teoretica delle righe degli spettri emessi dagli atomi se stimolati da una scarica
elettrica o dal calore.” (Werner Heisenberg, Fisica e filosofia)
Secondo il modello di Bohr,
nell'atomo di idrogeno l'elettrone
compare solo in livelli energetici
ben precisi, qui rappresentati dai
vari gradoni ed indicati con la
lettera E; pertanto si troverà
sempre in uno di questi livelli, e
non
potrà
occupare
una
posizione intermedia. Per salire
uno o più gradini è necessario fornire energia, che viene poi rilasciata sotto forma di quanti di luce quando l'elettrone
ridiscende per portarsi al livello precedente.
12
Un nuovo inizio
Nonostante alcuni punti critici e nonostante l'arbitrarietà di alcuni assunti, Bohr aveva messo in luce
una caratteristica fondamentale, che avrebbe guidato poi le ricerche in campo microscopico: le leggi
della fisica classica, così efficienti nella descrizione della realtà macroscopica, si rivelano inadatte
quando si giunge ad un livello di indagine più profondo e su scala ridotta. Addentrandosi nei
problemi riguardanti la natura intima e fondamentale della materia, in cui non si può avere
un'osservazione diretta dei fenomeni, bisogna fare affidamento sugli effetti più evidenti e ricercarne
le cause, servendosi di strumenti di calcolo, eventualmente organizzati ad hoc. Effettivamente, Bohr
modellò la sua teoria adattandola in modo che risultassero gli esiti, talora discordanti, degli
esperimenti sugli spettri di emissione dell'atomo di idrogeno, e per farlo fu costretto a postulare in
maniera arbitraria la quantizzazione del momento angolare di e-. Questo modo di procedere può
sembrare poco rigoroso e giustificazionista, tuttavia presuppone che vi sia una relazione tra l'aspetto
propriamente sperimentale e quello teorico, ovvero tra natura e matematica, che prima o poi deve
emergere. Quantificare i risultati delle ricerche pratiche ha lo scopo di trovare una legge generale
che li comprenda, dunque modellare le operazioni di calcolo su delle evidenze per riuscire a
descriverle da un punto di vista numerico, magari senza comprenderle fino in fondo, non è certo un
metodo estraneo all'area scientifica. Lo stesso Einstein formulando la relatività ristretta enunciò due
postulati, quello dell'universalità dei principi fisici e quello della velocità della luce, dettati per lo
più da una concezione dell'Universo continuo e simmetrico, che però in seguito si riveleranno
corretti. Analogamente nel nostro caso, sebbene il modello di Bohr sarà superato, ciò che in un
primo momento sembrava casuale verrà dimostrato; la condizione di quantizzazione sarà provata da
De Broglie e alcune proprietà dell'elettrone definite solamente ad un livello teorico troveranno nelle
prove sperimentali la loro più netta conferma.
Da questo momento in poi, con l'evolversi della meccanica quantistica e con l'affinamento della
ricerca emergerà sempre più la complessità di riuscire a capire del tutto fenomeni che avvengono su
una scala così ridotta. Laggiù la realtà appare insolita, strana, assurda, inconcepibile per noi che
viviamo in una dimensione così ampia. Le evoluzioni nella sua comprensione avvenute nella prima
metà del XX secolo segnarono veramente “la fine del mondo così come lo conosciamo”2
Il momento magnetico orbitale
Ogni particella carica in moto dà origine ad una corrente elettrica. Così, secondo un modello
classico non del tutto aderente alla realtà, ma comunque efficace, un elettrone che ruota in un atomo
si comporta come una microscopica spira.
2
Robert Oerter, La teoria del quasi tutto, Codice Edizioni, 2006
13
T=
Pertanto essendo -e la carica dell'elettrone e
2 πr
t il periodo di rotazione, la spira è attraversata
da una corrente di intensità
i=
ΔQ
−e
ev
=
= −
Δt
T
2π r
2
Detta A=π r l'area delimitata dalla traiettoria di e-, essendo il momento magnetico
μ⃗m = i ⃗A
risulta in modulo:
in quanto me v r=L . In notazione vettoriale si ha:
⃗μm= −
1 e ⃗
L
2 me
(1)
poiché ⃗L è perpendicolare alla spira (vedi figura).
Quest'ultima formula esprime il momento magnetico orbitale di un elettrone che ruota attorno al suo
nucleo. Per il fatto che ⃗L è quantizzato e sia la carica che la massa di e- sono fisse, ne consegue che
μ
μ
pure ⃗ m lo è. Esso può assumere solo valori multipli interi di un'unità B detta magnetone di
Bohr:
μ B= 9,27 ·10− 24 A m2
I risultati appena trattati furono ottenuti da Arnold Sommerfeld nel 1915, quando estese il modello
di Bohr ad orbite elettroniche ellittiche, introducendo un nuovo numero quantico l.
14
Che cos'è l'elettrone?
Immaginiamo che l'elettrone sia una sferetta massiva carica. Per effetto della rotazione attorno al
proprio asse, tale particella dovrebbe possedere un momento angolare. Con le leggi della fisica
classica è possibile pertanto calcolare la velocità di tale moto. Così facendo, però, si giunge alla
conclusione che i punti sulla superficie sferica dovrebbero muoversi ad una velocità maggiore di
quella della luce, fatto inaccettabile. Inoltre questo tipo di rappresentazione è in disaccordo con altri
dati sperimentali. Che cos'è dunque l'elettrone? L'unico modo di concepirlo è quello di immaginarlo
come un punto euclideo. Si capisce quindi come in queste dimensioni un'idea piuttosto ovvia
potrebbe non trovare riscontro da un punto di vista matematico. Non è sempre possibile associare ad
un'entità fisica una rappresentazione che si basi su oggetti tratti dalla vita quotidiana. È difficile
immaginare un punto adimensionale, poiché di esso non abbiamo un'esperienza diretta, si tratta di
un concetto geometrico che non ha un riferimento pratico. Questo esempio pone il problema del
rapporto tra una dimensione astratta costituita da entità matematiche e il mondo che vediamo coi
nostri occhi. Talvolta siamo costretti ad attingere dal primo per spiegare il secondo, altre volte ci
chiediamo se quanto è espresso da una formula teorica possa essere di una qualche utilità pratica.
La relazione tra queste realtà è biunivoca? Certamente è molto fitta e profonda, e il caso che
analizzeremo ne è una prova evidente.
Il momento magnetico intrinseco e lo spin
Nel 1925 Samel Goudsmit e George Uhlenbeck tramite una serie di esperimenti giunsero a
formulare l'ipotesi che l'elettrone possedesse non solo un momento magnetico orbitale, ma anche
uno intrinseco. Questa proprietà dal punto di vista matematico è spiegata in maniera molto
complessa, ma intuitivamente si può ricorrere al modello di una sferetta carica in rotazione.
Immaginando la particella in questo modo, essa deve possedere un momento angolare intrinseco ⃗S
detto comunemente “spin”, legato alla suo moto su sé stesso. Per quanto riguarda il caso specifico
±
di e- si è giunti a dimostrare che può valere solo
1
2
. Analogamente a quanto detto sopra circa il
momento magnetico orbitale e la sua relazione con il momento angolare ⃗L (vedi (1) ), al momento
angolare intrinseco corrisponde un momento magnetico intrinseco ⃗μ s :
⃗μ s= −
e ⃗
S
me
(2)
Lo spin è una caratteristica propria di ogni particella ed è più importante della massa e della carica.
15
Introdotto in maniera arbitraria per “far quadrare i conti”, si è rivelato non solo corretto, ma anzi
fondamentale per la spiegazione delle interazioni subatomiche.
Si noti come la costante di proporzionalità tra spin e momento angolare intrinseco della (2) sia
esattamente il doppio di quella che compare nella (1), tra momento magnetico orbitale e momento
angolare orbitale. Questo fattore 2 era presente nell'equazione di Dirac, grazie alla quale si poté
studiare il comportamento dell'elettrone senza dover ricorrere al modello, non sempre efficace, di
una massa sferica rotante. La presenza del fattore moltiplicativo esatto contribuì a incoronare
l'equazione come il corretto strumento per descrivere la particella, poiché vi era un riscontro con le
verifiche sperimentali. Tuttavia nel 1947 nuovi dati incrinarono questo successo iniziale: dalle
prove più recenti emerse infatti uno scarto dello 0,1 % rispetto al valore previsto, che divenne
2,002. Tale discrepanza era dovuta al fatto che Dirac non aveva tenuto conto delle interazioni tra gli
elettroni ed altre particelle subatomiche. Pertanto la (1) e la (2), affinché siano corrette con i nuovi
rilevamenti, oggi sono moltiplicate di una costante gl . Di quest'ultima viene sempre considerato il
valore doppio, pari proprio a
gs= 2,002319304362
Questa cifra è stata ottenuta partendo dal calcolo matematico di molteplici interazioni tra particelle,
descritte nella teoria della QED, ovvero quantum electro-dynamics, elettrodinamica quantistica, e
tramite tecniche via via più affinate di verifica sperimentale.
Un risultato eccezionale
Il risultato ottenuto esprime un triplice record: di precisione nella determinazione teorica di una
grandezza, di precisione nella misura sperimentale e di accordo tra teoria ed esperimento. Nella
fisica, in cui l'errore è una componente ineliminabile e di cui si tiene sempre conto quando si
operano misurazioni, un dato tanto accurato, con un'incertezza di una parte su mille miliardi, è
molto difficile da ottenere, tanto più se si considera che è è stato verificato sia tramite prove
pratiche, sia tramite strumenti matematici. Per intenderci, con questa accuratezza saremo in grado di
colpire dalla terra una lattina posta sulla superficie della luna. Il fatto che sia stato possibile
giungere preliminarmente tramite dei calcoli alla determinazione della costante e che le evidenze
sperimentali l'abbiano pienamente confermata dimostra, in primo luogo, la validità della teoria che
ha descritto le proprietà degli elettroni. In secondo luogo è indice di quanto stretto e profondo sia il
legame che sussiste tra coloro che operano dal punto di vista rigoroso e formale della matematica e
quanti analizzano il problema da una prospettiva pratica, basandosi su dati concreti ricavati
16
dall'esperienza. Il fatto che siamo in grado di avere un'idea di ciò che accadrà, prima di verificarlo,
suggerisce che vi sia una struttura nell'Universo che siamo in grado di comprendere efficacemente e
profondamente guardandola attraverso la lente della matematica, che ci permette di operare
generalizzazioni e previsioni, e misurandola negli esperimenti fisici. Lo sviluppo della natura
sembra essere logico, ovvero conforme al nostro modo di pensare: siamo in grado di intuire certi
fenomeni, comprendere in anticipo ciò a cui ci troveremo di fronte e anticiparne il significato.
Quand'anche non fosse possibile averne una rappresentazione concreta, gli strumenti di calcolo che
abbiamo a disposizione ci permettono di descrivere oggetti che sono completamente alieni dalla
realtà quotidiana in cui viviamo. Il risultato eccezionale che stiamo trattando ci informa anche su
quanto sia importante nel campo della ricerca la coerenza e il reciproco sostegno tra teoria e pratica.
Nel 1947 “la venerata teoria di Dirac – per usare le parole di Schwinger3 - stava cadendo a pezzi” a
causa di una discrepanza di solo una parte su mille in accertamenti in laboratorio. Da questa
incongruenza si partì per riuscire a trovare equazioni che si adattassero ai nuovi risultati,
raggiungendo un livello di comprensione della struttura intima della materia, in cui si era in grado
di spiegare le interazioni tra particelle elementari cariche, che sopravvive tutt'oggi.
Alla ricerca della sintonia
La fisica, quando si addentra in dimensioni atomiche o subatomiche, cambia l'approccio ai
problemi: è costretta a ad affidare parte del suo lavoro non più dalla registrazione di grandezze
misurabili, delle quali si ricerca una legge che le generalizzi, bensì a partire da interpolazioni
matematiche ne ricerca le prove sperimentalmente, deducendo preliminarmente i risultati e
verificando se corrispondono a quanto viene rilevato. Tra questi due momenti deve esserci una
sintonia perfetta: “il fisico non può mai sottoporre al controllo della esperienza un'ipotesi isolata,
ma soltanto tutto un insieme di ipotesi. Quando l'esperienza è in disaccordo con le sue previsioni,
essa gli insegna che almeno una delle ipotesi costituenti l'insieme è inaccettabile e deve essere
modificata, ma non gli indica quale dovrà essere cambiata” (Pierre Duhem, La teoria fisica: il suo
oggetto e la sua struttura)
Nonostante che la Natura nella sua dimensione più intima possa sembrare assurda, essa segue una
logica: matematicamente ha senso che si comporti nel modo che conosciamo. Questo deve indurre
la riflessione sull'origine e i motivi di tale struttura: darne una spiegazione è difficile anche per gli
esperti, che spesso tralasciano questo aspetto. É interessante notare come uno strumento di cui ci
serviamo quotidianamente e che è fondativo della stessa scienza resti non giustificabile, benché la
dimostrazione costituisca una parte fondamentale dello stesso. Inoltre sebbene la comprovata
3
Julian Schwinger (1918-1944), fisico e matematico statunitense, con Feynman ideatore della QED
17
capacità di adattamento ed efficacia della descrizione di ambienti difficilmente immaginabili, non è
ancora in grado di dare ragione di aspetti sostanziali della nostra esistenza.
2.2 La forza più debole
L'osservazione del cielo ha interessato l'uomo fin dalle sue origini. Con la sua vastità e lontananza,
lo spazio è sempre stato motivo di stupore e di interesse ed ha affascinato in quanto realtà
misteriosa, difficilmente raggiungibile ed esplorabile. Uno dei primi campi in cui si è mossa la
filosofia è stato proprio la cosmologia, che si propone uno studio dei fenomeni che accadono al di
fuori dell'ambiente terrestre, ma che pure lo influenzano. Il modo con cui ci si è rapportati a questa
dimensione è stato per secoli tutt'altro che scientifico, anche se l'astrologia ha avuto comunque
un'importanza nella catalogazione più o meno sistematica dei moti celesti. Una vera svolta nella
cosmologia è rappresentata dai tentativi non sempre fecondi di riuscire a determinare la posizione
della terra all'interno di quel sistema di pianeti osservati. Il superamento delle concezioni
aristotelico-tolemaiche e la rivoluzione copernicana del 1543 aprirono la strada all'astronomia come
scienza. In questo senso, nel panorama variegato del XVII secolo un primo grande risultato fu
ottenuto da Johannes Kepler, il quale riuscì a rilevare le regolarità con cui avviene l'orbita dei
pianeti, espresse nelle sue famose leggi tra il 1609 e il 1619.
Le leggi di Keplero
La determinazione delle leggi di Keplero è un evento molto importante dal punto di vista del
progresso scientifico, in quanto fu reso possibile dall'utilizzo di un metodo di osservazione
sistematico che associava alla raccolta di dati empirici tentativi di sintesi degli stessi in formule
generali. Keplero si era reso conto, cioè, che era effettivamente possibile riassumere in una funzione
matematica il comportamento di oggetti fisici. Ciò era ancor più sorprendente se si considera che la
dimensione celeste era stata ritenuta per secoli sostanzialmente differente da quella terrestre, non
soggetta a mutamenti né a corruzione. Questa proprietà della natura di lasciarsi ridurre
quantitativamente in formule, come abbiamo visto, è alla base dell'utilizzo della matematica ai fini
di una descrizione dei fenomeni. In particolare, Keplero si servì della teoria di Apollonio4 sulla
geometria dell'ellisse per riuscire ad interpretare correttamente le orbite, uscendo tra l'altro da quella
concezione diffusa che i moti dovessero essere circolari in quanto perfetti. Recuperando taluni
risultati risalenti a diciotto secoli prima, sfruttò gli stessi in modo appropriato e giunse alla
4
Apollonio di Perga (262 a.C.-190 a.C.), matematico ed astronomo greco, famoso per gli studi sulle sezioni coniche
18
formulazione delle sue leggi, che univano alle prove rilevate empiricamente una giustificazione
geometrica. “Attraverso dimostrazioni molto laboriose e servendomi dei risultati di moltissime
osservazioni, giunsi finalmente a stabilire che la traiettoria del pianeta in cielo non è circolare, ma
è una traiettoria ovale perfettamente ellittica.” (G. Keplero, Astronomia nova). Sebbene non fosse
possibile comprendere sino in fondo il comportamento dei pianeti, vuoi per la scarsità dei mezzi di
osservazione, vuoi per l'immaturità dell'astronomia in quanto scienza, fu un passo decisivo nella
rivoluzione scientifica. Pur mantenendosi vive le suggestioni della filosofia aristotelica, si stava
procedendo ad un allontanamento dalla pura speculazione, rivolgendosi a dati positivi sui quali
basare un'interpretazione che fosse il più possibile giustificata non da motivi estetici o di armonia,
ma dalla geometria e dalla matematica.
Nella figura a lato si nota l'orbita ellittica prevista
dalla I legge, in cui il Sole occupa uno dei fuochi
in A; gli archi EFD e BGC e da A sono percorsi in
tempi uguali secondo la II legge: F è l'afelio e G il
perielio, in cui la velocità del pianeta è
rispettivamente minima e massima; la terza legge
sostiene che il rapporto tra il cubo della metà
della
misura
dell'asse
3
maggiore
FG
è
2
proporzionale al quadrato del periodo di rivoluzione T, relazione espressa dalla formula a /T =k, con a semiasse
maggiore (pari a FG/2) e k costante valida per tutti i pianeti in orbita attorno al Sole.
La legge di gravitazione universale
Nonostante Keplero avesse formalizzato il moto dei pianeti e ne avesse registrato le regolarità,
restava aperta ancora la questione della causa di questi movimenti, dei quali, peraltro, si scoprivano
stranezze via via più difficili da spiegare. Nel 1687 veniva pubblicata l'edizione completa dei
“Principia mathematica philosphiae naturalis”, il capolavoro di Isaac Newton nonché uno dei testi
fondamentali della fisica. Nell'opera si giungeva finalmente a fornire una descrizione di un aspetto
del mondo talmente infimo e normale, che spesso viene scordato: la forza di gravità. Si tratta di una
forza estremamente debole che, non venendo mai meno nell'esistenza comune, siamo portati a dare
per scontata.. In verità attorno a questa forza fondamentale la scienza si è trovata spiazzata e ha
faticato molto per interpretarla. È ben nota la legge di gravitazione universale o legge di Newton,
secondo cui:
due corpi di massa m ed M si attraggono con una forza F⃗ che è direttamente proporzionale al
prodotto delle masse ed inversamente proporzionale al quadrato delle distanze tra i due corpi:
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⃗ =G m M
F
⃗r 2
Newton comprese che mentre una mela cade a terra, non è semplicemente attratta al suolo, bensì
essa stessa attrae la terra, soltanto con una forza pressoché nulla. Ogni corpo massivo interagisce
con altri subendone un'attrazione, che si riduce velocemente secondo il quadrato delle distanze. La
costante G = 6,67 x10-11 N·m2·kg-2 , calcolata in modo esatto in laboratorio per la prima volta da
Henry Cavendish nel 1798, fa comprendere l'entità della forza gravitazionale, che rispetto a quella
elettrostatica ha un'ordine di grandezza inferiore di 1036. Tra di queste vi sono notevoli differenze,
ma il fatto che le loro espressioni si assomiglino è indice di una intrinseca regolarità.
La spiegazione delle leggi di Keplero
Grazie alla legge di Newton è stato possibile dar conto di moltissimi fenomeni che avvengono nella
terra e di alcune caratteristiche dello stesso pianeta. Tuttavia si è anche stati in grado di motivare
quanto Keplero aveva solo rilevato, ovvero la causa dei moti planetari. Quando un corpo ruota
attorno ad un punto in modo circolare, su di esso agisce una forza centripeta che gli impedisce di
“sfuggire”, costringendolo a cambiare continuamente la direzione del suo vettore velocità e
facendogli descrivere, quindi, una traiettoria curva. Dopo che Newton rese nota la sua legge, fu
possibile attribuire alla forza gravitazionale il ruolo di forza centripeta che genera l'orbita dei pianeti
intorno al Sole. Scrive lo stesso Newton: “Fino a questo punto abbiamo chiamato centripeta la
forza per effetto della quale i corpi celesti sono trattenuti nelle proprie orbite. Ora, essa risulta
essere la medesima forza di gravità, e pertanto nel seguito la chiameremo gravità.” (Principi
matematici di filosofia naturale). Infatti, la causa di quella forza centripeta, per effetto della quale la
Luna è trattenuta nella propria orbita, deve essere estesa a tutti i pianeti. Tramite i principi della
dinamica e i risultati del fisico inglese fu possibile dedurre le leggi di Keplero, che trovavano così la
loro piena conferma. La prima è una conseguenza del secondo principio della dinamica, la seconda
della conservazione del momento angolare, la terza della gravitazione universale. Questa convalida
del buon lavoro svolto dall'astronomo tedesco sta ad indicare come sia stato fecondo il metodo da
lui utilizzato. Rendersi conto delle regolarità con cui si presentano certi eventi e tradurle in leggi
che si nutrano non solo dell'osservazione materiale, inevitabilmente sottoposta ad errori, ma che si
fondino su un adeguato contenuto teorico è divenuto da quel momento in poi un modo di fare
scienza.
La comprensione di vari fenomeni
Dopo la pubblicazione nel 1687 dell'opera completa di Newton, con la quale è possibile definire
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conclusa la prima rivoluzione scientifica, il problema che stiamo trattando dei moti astrali,
nonostante si fosse arrivati ad un grado di comprensione inimmaginabile sino a qualche tempo
prima, restava tutt'altro che concluso. Grazie al progredire delle tecniche di osservazione e ad un
approccio più sistematico si erano scorte irregolarità nelle orbite, percorsi retrogradi, corpi che
sparivano e riapparivano in modo apparentemente casuale e così via. Ciononostante, il passo in
avanti compiuto in quegli anni fu determinante per i successi che seguirono. L'aver compreso i
principi della dinamica e la legge di gravitazione, che permisero di studiare i movimenti dei corpi,
prevedendoli e dunque indirizzandoli, diede il via ad una nuova epoca della fisica che viene
chiamata classica e che nel Novecento sarà messa in discussione da nuove teorie.
La forza di gravità è una caratteristica intrinseca di tutti i corpi massivi e la vita nel nostro pianeta si
è strutturata per adattarsi alle condizioni gravitazionali terrestri e al valore dell'accelerazione di
gravità. Questo è provato dalle dimensioni degli esseri viventi, dalla forma e dalla potenza delle
loro membra e dall'organizzazione dei loro apparati. L'uomo stesso è “progettato” per vivere a un g,
e qualora si trovi sottoposto a variazioni di g in senso positivo o negativo, ad esempio in certe
manovre dei velivoli militari o nelle gare automobilistiche, la sua capacità di sopportazione è
limitata. L'uniformità dell'azione della forza gravitazionale sulla superficie terrestre e il fatto che
essa sia ineliminabile ci rende a volte poco consapevoli della sua importanza. Senza di essa non
sarebbe stata possibile la vita così come la conosciamo. Una mondo in cui non sia presente è
difficile da immaginare, tanto questo aspetto è costitutivo della nostra esistenza. Eppure la capacità
da parte della fisica di comprenderne l'origine fondamentale, mentre relativamente alle altre forze
ha avuto successo, ad oggi non è emersa del tutto e la questione è ancora dibattuta.
La forza di gravità sulla terra
L'aver compreso la legge con cui varia l'attrazione gravitazionale tra i corpi ha permesso di venire a
conoscenza di caratteristiche del nostro pianeta
su cui in passato si erano levate voci
contrastanti. La sostanziale uniformità del
valore dell'accelerazione g sulla superficie
terrestre fornisce una delle prove della sfericità
della terra, nella quale tutti i punti distano in
ugual
misura
dal
centro.
Tuttavia
la
registrazione di talune variazioni ha indirizzato
21
ad elaborare un modello più preciso circa l'esatta forma del pianeta. Già alla fine del XVI secolo
l'astronomo francese J.Richer notò come l'accelerazione aumentasse dall'equatore verso i poli,
tramite la misura del periodo di oscillazione di un pendolo, a causa dello schiacciamento polare
terrestre. Tale variazione è incrementata dalla rotazione della Terra. La forza centrifuga derivante da
questo moto, rivolta perpendicolarmente all'asse e proporzionale alla velocità lineare di rotazione,
che è massima all'equatore e minima ai poli, si oppone alla forza gravitazionale. Questa opposizione
è massima all'equatore, dove le due forze hanno la stessa direzione, e diminuisce verso i poli,
poiché si oppone solo una componente della forza centrifuga, come è esplicitato in figura. L'attuale
modello che descrive la forma della terra è il geoide, la cui superficie è perpendicolare in ogni punto
alla direzione del filo a piombo ed è equipotenziale, ovvero è uguale dappertutto il lavoro
necessario a portare un oggetto a distanza infinita.
Da Newton ad Einstein: la teoria della relatività generale
Nel 1905 Albert Einstein pubblicò la teoria della relatività ristretta, che costituì un passo
fondamentale per la fisica e rivoluzionò, in realtà inglobandole, le concezioni della fisica classica.
In essa erano trattati dal punto di vista generale i problemi connessi al moto di oggetti in sistemi di
riferimento inerziali, modificando nella logica e nelle conseguenze il modo in cui gli stessi
argomenti erano stati affrontati da Galilei e da Newton. La relatività ristretta muta la concezione di
spazio e di tempo come realtà assolute, da qui il nome della teoria, incrinando la comune percezione
di concetti quali la lunghezza, la distanza nel tempo e la simultaneità. Sorta per far fronte ad un
problema elettromagnetico, derivante dall'invarianza di c su tutti i sistemi inerziali secondo le
equazioni di Maxwell, non fu però chiaro come si potesse inglobare una descrizione della forza di
gravità in termini più profondi di quanto si era fatto fino ad allora. Einstein si dedicò a questa
questione, ma giunse ad esiti che ritenne inaccettabili, convincendosi che era necessario un
ripensamento della sua teoria che permettesse, peraltro, di trattare in modo analogo sistemi di
riferimento inerziali ed accelerati, togliendo ai primi un carattere privilegiato e giungendo
veramente ad un'uniformità, indipendentemente dai casi presi in esame. In quest'ottica nacque la
teoria della relatività generale, presentata nella sua forma definitiva il 4 novembre 1916.
Il principio di equivalenza
Il concetto che esprime la logica di questo lavoro di Einstein è fondamentalmente il principio di
equivalenza. Si sa che la massa inerziale ( costante di proporzionalità tra la forza applicata e
l'accelerazione impressa ad un corpo) e la massa gravitazionale ( proprietà posseduta dai corpi dalla
quale traggono origine le forze gravitazionali) sono uguali. Pertanto tutti i corpi, in un campo
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gravitazionale uniforme, cadono con la stessa accelerazione. In un laboratorio collocato in un
siffatto campo, il comportamento degli oggetti materiali è identico al comportamento degli stessi
quando vengono sottoposti ad un'opportuna accelerazione costante. Ciò significa che in un certo
punto dello spazio la gravità e una determinata accelerazione del riferimento producono effetti
equivalenti. Da qui il principio di equivalenza tra un campo gravitazionale e un sistema di
riferimento accelerato:
ogni sistema di riferimento inerziale, immerso in un campo gravitazionale uniforme, è del
tutto equivalente a un sistema di riferimento accelerato rispetto al primo nel quale non
agisca alcun campo gravitazionale.
I riferimenti inerziali perdono ora il ruolo
privilegiato di cui godevano nella relatività
ristretta. Poiché l'universo fisico descritto da
un sistema accelerato è equivalente ad un
universo
sottoposto
ad
un
campo
gravitazionale, la teoria della relatività
generale è anche una teoria della gravità. In
un ascensore immobile rispetto alla terra ogni
corpo è soggetto all'accelerazione di gravità g
( figura a destra). Se l'ascensore è in caduta
libera i corpi galleggiano privi di peso (figura a sinistra).
La gravità come curvatura dello spazio-tempo
Dopo aver messo in luce lo spirito con cui Einstein si attivò per elaborare una teoria più generale
che tenesse conto in modo uguale di situazioni differenti, è possibile illustrare gli esiti a cui giunse
per quanto riguarda le entità spazio e tempo e la loro relazione con la forza di gravità. Quest'ultima,
infatti, diviene una proprietà dello spazio-tempo. La presenza di un oggetto dotato di massa
modifica le proprietà geometriche dello spazio quadridimensionale, nel senso che tende a
incurvarlo. Reciprocamente, una curvatura del cronotopo (spazio-tempo) einsteiniano sta a indicare
la presenza di un campo, la cui sorgente è la massa. La meccanica newtoniana concepisce uno
spazio "piano" entro il quale i corpi interagiscono mediante forze attrattive di natura gravitazionale.
Nella relatività einsteiniana, invece, se consideriamo due masse puntiformi, nessuna delle due
esercita forze sull'altra. Entrambe, però, incurvano lo spazio e, se possono muoversi, seguono due
linee geodetiche: in pratica, le stesse traiettorie previste dalle forze gravitazionali della meccanica
classica. Come afferma un grande esperto delle teorie relativistiche, lo scienziato americano John A.
23
Wheeler, “la materia dice allo spazio come incurvarsi e lo spazio dice alla materia come
muoversi”. Consideriamo un foglio di gomma abbastanza esteso che possa essere deformato da una
causa esterna. Quando la superficie del foglio è perfettamente piana, essa può simulare lo spazio in
assenza di gravità. Se ora poniamo in un punto del foglio un oggetto materiale, questo provoca una
depressione più o meno profonda e il foglio diventa incurvato (vedi figura sotto). La superficie
deformata del foglio è una rappresentazione degli effetti gravitazionali. Essi sono più intensi dove la
curvatura è più accentuata; diminuiscono dove il foglio, lontano dall'oggetto deformante, tende ad
assumere una configurazione piana. Si noti che per giungere a queste conclusioni Einstein dovette
far ricorso sia a strumenti matematici già presenti ma sino ad allora non ancora applicati nella fisica
sia alle geometrie non euclidee, un altro esempio, che non tratteremo, di come la matematica ci
costringa a mutare le nostre percezioni immediate della realtà.
Curvatura dello spazio-tempo
Supponiamo di lanciare nell'universo einsteiniano,
idealmente rappresentato dalla superficie incurvata in
figura, alcune sferette con diversa velocità iniziale.
Come rappresentato dalle linee, le sferette rotolano
descrivendo delle traiettorie simili a quelle seguite
dai satelliti intorno alla Terra o dai pianeti intorno al
Sole.
L'incompatibilità con la fisica dei quanti
L'introduzione da parte di Einstein nel 1916 delle equazioni di campo sembra aver risolto la
questione che stiamo trattando, definendo in modo rigoroso ed universale il concetto di gravità
come legato ad una particolare interazione tra massa e spazio-tempo. In realtà già negli anni '20 ci si
rese conto come questa descrizione fosse in contrasto con un altro ramo altrettanto noto della fisica
del Novecento, ossia la meccanica quantistica. Quest'ultima interpretando i fenomeni microscopici
non più in chiave deterministica, ma su base probabilistica, pone seri problemi per quanto riguarda
il campo gravitazionale. Pur facendo anch'essa ricorso al fortunato concetto di campo, al quale è
associato lo stato quantistico delle particelle, non è possibile conciliare l'aspetto di indeterminazione
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emerso dagli studi in questo ambito con la relatività generale. Nella meccanica quantistica, infatti,
una particella può trovarsi in uno stato di sovrapposizione. Chiariamo con un esempio. Supponiamo
di voler dipingere una casa di verde: sarà sufficiente mescolare vernice gialla con vernice blu. Nel
mondo microscopico quantistico ogni volta che visiteremo la casa, essa non sarà mai verde: delle
volte la troveremo blu, altre gialla. Usare più vernice gialla e meno blu non la renderà più gialla, ma
semplicemente la renderà gialla un numero maggiore di volte. Tornando ora al problema della
gravità, una particella secondo il principio di sovrapposizione ha uguale probabilità di trovarsi ad
entrambi i lati di una barriera. Se fosse sulla sinistra, secondo la relatività dovrebbe produrre
un'increspatura dello spazio-tempo che, misurata, ci dovrebbe fornire la posizione della stessa: se
fosse nulla la massa non sarebbe da quella parte, i caso contrario l'avremo trovata, pertanto la
probabilità di trovarsi a sinistra non sarebbe più del 50%, e il principio di sovrapposizione verrebbe
meno. Questo ci dice che anche lo spazio-tempo deve esistere in regime di sovrapposizione:
abbiamo bisogno di una teoria quantistica della gravità, di cui non disponiamo.
Il limite dei progressi scientifici
La teoria Newtoniana della gravitazione tenne banco per oltre duecento anni, fino a che Einstein
mostrò che si trattava di un caso limite di una teoria generale. Gli iniziali successi dell'inglese
permisero lo sviluppo della fisica che ha portato nel XX secolo all'elaborazione di una delle teorie
più note che sembrava comprendere in essa tutto quanto era stato detto prima, ponendosi come
onnicomprensiva. In realtà come abbiamo visto ci sono seri contrasti con un'altrettanta famosa
branca, la meccanica quantistica. É forse possibile che queste grandiose elaborazioni siano
anch'esse casi particolari di una descrizione ancor più vasta? In ogni caso l'incapacità di spiegare
fenomeni quotidiani contrapposta al grado di comprensione delle interazioni a livello subatomico è
sorprendente e ci informa sui limiti della stessa scienza. Tutto quanto abbiamo trattato è stato reso
possibile dall'uso di una bussola che ha permesso di orientarsi negli intricati ambienti
dell'esplorazione di aree limite; questa bussola è stata e probabilmente continuerà ad essere la
matematica. Avremo ora modo di indagare questo aspetto da un punto di vista generale e formale.
3. ORIENTAMENTI E RIFLESSIONI
La matematica costituisce una categoria di pensiero onnicomprensiva, che domina le immagini più
profonde dell'universo fisico. Essa è la definizione di spiegazione di tutte le scienze base, dalla
chimica all'astronomia. Come emerge dalla classificazione di Comte, occupa una posizione
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sopraelevata e maestra rispetto a tutte le altre discipline poiché ne costituisce l'elemento
fondamentale che fornisce loro una coerenza logica. Esistono innumerevoli esempi della sua
irragionevole efficacia, ne abbiamo preso in esame due, che ha portato l'uomo ad interrogarsi circa
le cause di una così sorprendente capacità. La scienza sembra credere così profondamente nella sua
presenza all'interno della struttura della Natura che la utilizza per descrivere qualsiasi cosa. Come
spiegare, dunque, l'onnipresenza della matematica nella costituzione dell'Universo? È una prova di
una logica profonda celata in esso? E tale logica deriva da una costruzione umana oppure è
l'espressione di una forma originaria che precede l'uomo? Ci troviamo di fronte ad un mistero. Si
tratta di comprendere a questo punto cosa si intenda veramente per matematica e su questa
questione vi sono principalmente quattro orientamenti.
Il formalismo e la sua crisi
All'inizio del Novecento i matematici si trovarono ad affrontare uno di quelli che abbiamo definito
“periodi di crisi”, in conseguenza dell'emergere di paradossi e difficoltà via via maggiori, derivanti
dall'avanzamento degli studi sulle strutture logiche fondamentali. Tali aporie rischiavano di far
cedere l'intero corpus di acquisizioni e scoperte, e di fronte a questa situazione critica ci fu chi
propose di aggirare il problema non occupandosi del significato della matematica. David Hilbert
definì quest'ultima come l'insieme delle formule che possono essere ricavate da qualsiasi
manipolazione di assiomi iniziali, secondo regole stabilite sin dall'inizio. “La tendenza della
matematica verso un sempre maggiore rigore ha portato, come è ben noto, alla formalizzazione di
suoi ampi settori, così che al loro interno è possibile dimostrare un teorema usando solo poche
regole meccaniche” (Kurt Gödel, Sulle proposizioni formalmente indecidibili dei Principia
Mathematica e di sistemi affini I ). Si riteneva che questa modalità avrebbe permesso di superare i
paradossi: dato un qualunque enunciato matematico sarebbe stato possibile determinarne la falsità o
verità a partire dalla serie di connessioni logiche derivanti dagli assunti assiomatici di partenza.
Così la matematica veniva a perdere di significato: una sua entità è presente sul pezzo di carta sul
quale è scritta ma non ha necessariamente a che fare con la realtà, non esiste necessariamente e
pertanto non si pone il problema di svelarne il motivo della sua applicazione fisica. Questo modo di
procedere resistette fintantoché Kurt Godel, nel 1931 dimostrò nel suo famoso teorema di
incompletezza che esistono proposizioni la cui falsità o verità non può essere determinata
ricercandone lo sviluppo logico a partire da assunzioni iniziali. Per quanto coerenti esse siano,
qualunque insieme di regole si adotti per manipolare i simboli coinvolti deve esistere sempre
qualche enunciato, espresso con lo stesso linguaggio di quei simboli matematici, il cui grado di
verità non è provabile. La verità matematica è qualcosa di più che regole ed assiomi, che non è
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riducibile ai semplici segni grafici che insegnano a scuola. Il formalismo di Hilbert cessava così di
essere valido, nonostante sia sopravvissuto tra alcuni gruppi di esperti.
L'invenzionismo
L'invenzionismo, come suggerisce il nome stesso, è una teoria che ritiene che la matematica sia
semplicemente un'invenzione umana. I suoi enti e quelle che abbiamo sinora definito scoperte sono
ritenute derivanti dall'attività creatrice dell'uomo. Il fatto che si adatti alla natura è indice di quanto
poco si conosca del mondo, poiché si è stati in grado di scoprire solo quanto si presta ad essere
descritto in termini matematici. Questa concezione, diffusa tra coloro che si occupano di problemi
più pratici che formali, interpreta la realtà empirica come conosciuta attraverso delle categorie
mentali, che filtrano le nostre conoscenze: il mondo è matematico perché lo vediamo attraverso
delle lenti matematiche, ma ultimamente rimane inconoscibile. Si nota come in ciò vi sia un
riferimento alla filosofia kantiana, seppur con notevoli differenze: mentre in Kant apprendiamo il
fenomeno mediante categorie mentali e concetti che si fondano sulla figura dell' “io penso” e sono
antecedenti all'esperienza, l'invenzionismo pur rifacendosi alla distinzione kantiana tra fenomeno e
noumeno, sostiene che il mezzo con cui filtriamo la realtà sia inventato, appunto, e non dato dalla
suprema unità fondatrice dell'intelletto. D'altronde se così fosse, come spiegare il fatto, già
accennato, che persone appartenenti ad aree geografiche e culturali lontanissime siano giunte ai
medesimi risultati? Anche in questo gruppo, dunque, vi sono aspetti aporetici: la matematica è
qualcosa di più che un'arte, prodotto della libera attività creatrice dell'uomo: mentre un'opera
artistica è irripetibile ed unica, la matematica è uguale ovunque.
Il realismo
Se si ritiene che la matematica sia indipendente dalla creazione umana, si può intendere la natura
come matematica in senso profondo. I concetti e gli enti matematici esistono indipendentemente
dall'uomo, che però è stato capace di scoprirli. Questa visione, di stampo platonico, parte dal
presupposto che vi sia un mondo immateriale popolato da essi, i quali si riflettono nella nostra realtà
concreta in modo imperfetto. L'idea cosmologica attuale, che sostiene che l'intero Universo sia
descritto da questi, impone che vi sia al di sotto di esso una logica più ampia. Il realismo considera
tale possibilità di interpretazione della realtà in termini matematici come la prova cruciale a sua
difesa. Quando Pitagora scoprì i rapporti tra l'acqua nell'anfora e le note musicali e vide che erano
espressi da numeri, pensò che essi dovessero stare da qualche parte, e che in definitiva fossero ciò
che regolava l'evoluzione delle entità materiali. Il contributo dei pitagorici fu quello di aver
compreso la possibilità di tradurre la realtà in relazioni numeriche, cosa che abbiamo visto essere
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alla base dello sviluppo delle scienze, tuttavia assolutizzando la loro visione ci fu chi riconobbe
nella matematica degli attributi divini. Quando gli antichi filosofi cercavano di integrare concetti
come le leggi di Natura in un quadro teologico, non trovarono difficoltà insormontabili. Così si
tentò di proporre Dio come un matematico che governa la Natura con le sue leggi, giungendo però a
dover ammettere che quello stesso dio deve sottostare a queste leggi, e ciò non lo rende più tale.
Il costruttivismo
Un'altra risposta alla crisi del primo Novecento fu il costruttivismo, ideato da Leopold Kronecker,
secondo cui “Dio ha creato i numeri interi, tutto il resto è opera dell'uomo”. Con ciò intendeva che
si dovrebbero accettare veri i concetti più semplici come quello di numero, e da essi costruire
tramite una serie di passaggi tutte le altre proposizioni. Il significato di una formula diviene così la
catena finita di conti che sono stati impiegati per dedurla da nozioni evidentemente vere. In questo
modo, però, viene negata la veridicità di quegli enunciati la cui dimostrazione non è ottenibile
mediante una serie di deduzioni logiche, bensì per assurdo. Molte delle conoscenze di cui oggi
disponiamo non sono ammesse dai costruttivisti e questo pone ovviamente dei grossi limiti a questa
teoria.
Una questione aperta
Il fatto che vi siano tutte queste opzioni circa l'argomento che stiamo trattando è un segno che esso è
tutt'altro che risolto. Vi è chi pone l'accento sulle capacità umane e chi relega l'uomo ad un semplice
prodotto di una legge superiore, mentre altri aggirano il problema senza superarlo, ma continuando
ad agire dando per scontata la validità dei loro metodi. Al di là dei vari orientamenti, resta il fatto
che la matematica funziona. Funziona in modo diverso a seconda che la usiamo per descrivere
situazioni di cui possiamo avere esperienza diretta o meno, ma in ogni caso è il punto di riferimento
per quanto riguarda la ricerca scientifica. Nei due esempi che abbiamo analizzato si notano
atteggiamenti sostanzialmente diversi. Keplero e Newton appartengono a quanti hanno visto prima
il mondo fisico e poi la sua corrispondenza con l'insieme delle entità matematiche. Hanno
compreso, cioè, che la Natura è algoritmicamente comprimibile, ovvero riducibile a formule
stringate che ne riassumono il comportamento. Su questa proprietà della Natura si basa la nostra
possibilità di applicazione del linguaggio numerico, in quanto in caso contrario la scienza sarebbe
nient'altro che la catalogazione della serie infinita di eventi che si susseguono senza che tra essi sia
presente uno schema individuabile. Al contrario, Bohr ed Einstein hanno operato dapprima sulla
carta per poi rivolgersi all'esperienza come vaglio delle loro conclusioni. A questo proposito scrive
Einstein in “Come io vedo il mondo”: “...ogni tentativo di dedurre logicamente dalle esperienze
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elementari le idee e le leggi fondamentali della meccanica è destinato a fallire. Ma se è vero che il
fondamento assiomatico della fisica teorica non discende dall'esperienza e deve al contrario essere
creato liberamente, sussiste la speranza di trovare la strada giusta? […] ...a questo rispondo con
sicurezza che, a mio avviso, la via giusta esiste e che possiamo trovarla. Secondo la nostra
esperienza fino a oggi, abbiamo il diritto di essere convinti che la natura è la realizzazione di tutto
ciò che si può immaginare di più matematicamente semplice. Sono persuaso che la costruzione
puramente matematica ci permette di scoprire questi concetti che ci danno la chiave per
comprendere i fenomeni naturali e i principi che li legano fra loro. I concetti matematici utilizzabili
possono essere suggeriti dall'esperienza, ma mai esserne dedotti in nessun caso; l'esperienza resta
naturalmente l'unico criterio per utilizzare una costruzione matematica per la fisica; ma è nella
matematica che si trova il principio veramente creatore”.
Da quanto sostiene il fisico, nel campo della ricerca sulle strutture fondamentali della materia
occorre innanzitutto partire da quei concetti puri che sono presenti nella nostra mente, tramite i
quali è possibile afferrare la realtà, poiché sussiste un rapporto tra pensiero ed essere. La
matematica è posta così alla chiave di comprensione della forma che inerisce alla Natura, che
quest'ultima non può che suggerirci, ma non la si può in alcun modo ricavare integralmente da essa,
bensì ricercarvi soltanto la validazione di quanto si è tratto con la guida della logica.
I limiti della scienza
La concezione di Einstein è spinoziana e crede che al di là di quanto vediamo e percepiamo vi sia
un dio che regoli il Cosmo. Da qui il rifiuto della visione quantistica di un dio che gioca ai dadi. Se
è difficile accettare una descrizione della Natura in termini puramente probabilistici, è altrettanto
problematico accettarne una puramente deterministica. Auguste Comte giunse ad elevare la sua
filosofia positiva al rango di religione positiva, in cui il concetto di Dio veniva rimpiazzato da
quello di umanità, un Grande Essere che adora la terra, Grande Feticcio e lo spazio, Grande Mezzo.
Questo pensiero di una scienza, per così dire, totalitaria, che investe ogni ambito dell'esistenza e
sostituisce gli “idola” della tradizione metafisico-teologica suscita ancor oggi un grande fascino e si
nutre anche della cultura deterministica, la quale sostiene l'assoluta efficacia dei mezzi scientifici in
una descrizione precisa da cui nulla esuli. Invece la forza della scienza, è noto, sta nel saper
riconoscere i suoi limiti. In questo senso, dal momento che la matematica ha assunto sempre più il
ruolo di fondamento e condizione necessaria - ma, beninteso, non sufficiente – dell'accettazione di
una teoria, riconoscerne i limiti nella spiegazione della realtà significa individuare quelli della stessa
scienza. Per quanto corretta sia la sua interpretazione dei fenomeni, è inconcepibile che riesca a
spiegare l'uomo e gli aspetti del nostro essere che ci appaiono assurdi. “Il cuore ha le sue ragioni,
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che la ragione non conosce”, scrive Pascal. Non solo, anche restando nell'ambito dell'oggettivo,
cosa possiamo veramente ricavare dalla lettura scientifica della realtà? Forse la sua è una
descrizione solamente quantitativa e la qualità di ciò che sta sotto i numeri non è da essa intendibile.
Il fatto stesso di aver trovato questo strumento per interpretare il mondo che ci circonda resta
ingiustificato; rispetto al problema che abbiamo trattato, l'equivocità delle spiegazioni proposte
sull'intelligibilità matematica dell'Universo dimostrano che non ci si è ancora resi conto pienamente
del mistero con cui conviviamo, la cui soluzione esige ancora una volta una ricerca nella filosofia.
4. CONCLUSIONE
Per portare a termine la trattazione che abbiamo affrontato ripercorriamo brevemente il percorso
intrapreso. Siamo partiti ponendo la questione di cosa sia la matematica e mettendone in rilievo le
sue peculiarità, come il possedere una logica incorporata, la flessibilità nelle varie circostanze, la
capacità di generalizzazione e il suo costituire un'estensione per il pensiero umano. Abbiamo poi
mosso all'analisi di un argomento specifico, ovvero il problema della determinazione delle proprietà
degli elettroni, a partire dallo sviluppo del modello di Bohr per giungere alla definizione dello spin.
In questi passi si è raggiunto uno dei risultati più precisi della scienza, che mette in rilievo la
relazione profonda tra la realtà fisica e quella matematica, ponendo il tema del metodo da utilizzare
nella ricerca, noto tale legame. Misurandoci poi con le scoperte astronomiche, da Keplero a Newton
abbiamo rilevato un altro modo di procedere della scienza, più “classico”, ma ugualmente
consapevole dell'utilità di una descrizione formale che possa essere astratta dall'osservazione di
fenomeni naturali. Le concezioni della fisica di Newton sono state inglobate da Einstein, il quale
però si è scontrato nell'interpretazione della forza di gravità, di cui abbiamo analizzato gli effetti
sulla terra, con la fisica dei quanti. In seguito la tematica è stata considerata da un punto di vista
filosofico e generale.
Nella trattazione si è voluto mettere in luce le varie forme con cui il problema discusso si presenta,
che necessitano di essere considerate singolarmente per poter definire in modo complessivo la
questione. Dal percorso si è cercato di far emergere in cosa consista questo essere matematico del
mondo e come l'uomo possa servirsene nelle sue ricerche. I limiti di un pensiero che si fondi
unicamente su un punto di vista quantitativo sono stati enumerati nella parte conclusiva della
sezione centrale. Parimenti le enormi potenzialità che un metodo di lavoro basato sul possesso di
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conoscenze, rese degne dall'essere matematicamente accettate, presenta sono state espresse in
misura ampia attraverso l'analisi di esempi eclatanti ed emblematici, che devono instillare fiducia
nel raggiungimento di obiettivi sempre più grandi. Attualmente, come spiega Fabiola Gianotti, a
capo del programma ATLAS del CERN, “Solo il 5% dell'universo è fatto di materia che
conosciamo, il resto è energia o materia oscura. Hanno questo nome perché sono invisibili ai nostri
strumenti. Ma il moto delle galassie non si spiega senza di esse”5. Questo fatto può sembrare
imbarazzante, tanto la mole di sapere accumulata sembra imponente, invece resta ancora un gran
lavoro, se si pensa che siamo giunti a ciò nel corso di un'evoluzione che ha richiesto migliaia di anni
e che, pur biologicamente conclusasi, si spera duri altrettanto a lungo.
Nella storia sono stati vari e iterati i tentativi di elevare tale processo ad un percorso di deificazione
dell'uomo che potrebbe assurgere a vero dominatore della natura: “Fine della nostra istituzione è la
conoscenza delle cause e dei segreti dei movimenti delle cose, allo scopo di ampliare i confini
dell'impero umano verso una sempre più completa attuazione di tutte le cose che sono attuabili”
(Francis Bacon, Nova Atlantide). Tuttavia la storia ha fatto crollare queste ambizioni,
demistificando il carattere onnicomprensivo attribuito alla conoscenza scientifica, che abbiamo
visto doversi fermare più volte di fronte ai misteri dell'esistenza, e quando ciò è avvenuto, ad
esempio con la crisi del positivismo, è rimasto un vuoto di valori, che la grande letteratura italiana
del primo Novecento ci ha testimoniato.
La tecnica, per quanto sia l'espressione della sete dell'uomo di rispondere a certi interrogativi e
concretizzare la magnificenza della mente umana, può farci smarrire la nostra essenza e quella della
verità. “E tuttavia quando è sotto questa minaccia l'uomo si veste orgogliosamente della figura di
signore della terra. Così si viene diffondendo l'apparenza che tutto ciò che si incontra sussista solo
in quanto è un prodotto dell'uomo. Questa apparenza fa maturare un'ulteriore ingannevole illusione
per la quale sembra che l'uomo, dovunque, non incontri più altri che se stesso. In realtà, tuttavia,
proprio se stesso l'uomo di oggi non incontra più in alcun luogo; non incontra più, cioè, la propria
essenza” (Heidegger, La questione della tecnica).
Il tentativo di identificare la matematica con la legge logica di comprensione della realtà e la legge
ontologica del suo svolgimento, analogamente a quanto fece Hegel con la sua dialettica, resta
dunque vano: l'io risulta ultimamente irriducibile a qualsiasi formula o caratterizzazione
quantitativa. Per quanto ciò possa sembrare impossibile e paralizzante, per quanto l'orrore che
suscita l'abisso inesplorato della coscienza ci forzi a pensare che sia possibile penetrare e sezionare
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Da Avvenire, 2 febbraio 2011, intervista alla Dott.ssa Fabiola Gianotti
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l'essenza umana, accettarlo è l'unico modo per poter scegliere di essere ciò che siamo.
“Che chimera è dunque [l'uomo]? Quale novità, quale mostro, quale caos, quale soggetto di
contraddizioni, quale prodigio? Giudice di tutte le cose, ottuso verme di terra, depositario del vero,
cloaca d'incertezza e d'errore, gloria e rifiuto dell'universo. Chi sbroglierà questa matassa?”
Blaise Pascal., Pensieri, 434
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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
 Perché il mondo è matematico?, John D. Barrow, Economica Laterza, 2004
 La teoria del quasi tutto, Robert Oerter, Codice edizioni, 2006
 Dall'io al cosmo, John D. Barrow, Raffaello Cortina Editore, 2000
 La fisica di Amaldi, voll 2-3, Ugo Amaldi, Zanichelli, 2007
 Itinerari di filosofia, N.Abbagnano e G.Fornero, Paravia, 2003
 Il globo terrestre e la sua evoluzione, Palmieri Parotto, Zanichelli
 homepage.sns.it, sito della Scuola Normale Superiore di Pisa, dispense del professore
ordinario di filosofia della matematica Gabriele Lolli
 atuttoportale.it
 astrocultura.uai.it
 matematicamente.it
 emsf.it, Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche
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