SEZIONE RISORSE. LIVELLO 1/ 2: DEFICIT COGNITIVI e SOTTOCOMPONENTI I Processi cognitivi e i deficit correlati 1) ATTENZIONE E DEFICIT ATTENTIVI 1.1 Cos’è l’attenzione? Il concetto di attenzione non è unitario, ma si riferisce a molteplici processi cognitivi che sottostanno a specifici meccanismi neurali. L’insieme di tali processi rende possibile il monitoraggio di eventi esterni e interni al nostro corpo in modo da fornire un output di risposta ad essi adeguato. Come è possibile che siamo capaci di ascoltare la radio e contemporaneamente guidare? Oppure ascoltare la conversazione di un amico in mezzo ad una festa piena di altre persone che chiacchierano e mentre la musica è alta? Riflettendo su questi semplici esempi quotidiani è possibile intuire che i processi attentivi svolgono un ruolo fondamentale in qualsiasi attività permettendo di focalizzare l’attenzione su stimoli specifici ignorando il contesto superfluo, ma anche di mantenere l’attenzione lungo un lasso di tempo necessario per completare un’azione. Una compromissione di tali processi, può renderci incapaci anche di ascoltare semplicemente qualcuno che parla o una radio che trasmette per un periodo più o meno lungo. I processi attentivi sono caratterizzati da una dimensione di selettività e di intensità: i processi attentivi sono “selettivi" poiché permettono di concentrare l’attenzione sugli stimoli fondamentali per l’attività svolta, ignorando gli stimoli irrilevanti. Sono inoltre caratterizzati da “intensità” data la capacità di mantenere l’attenzione attiva per tutta la durata delle azioni intraprese. In relazione a queste due dimensioni dei processi attentivi, l’attenzione può essere divisa in 5 componenti funzionali. Le componenti legate alla dimensione dell’intensità sono: (a) lo stato di allerta, ossia la semplice capacità di rispondere agli stimoli; e (b) l’attenzione sostenuta, detta anche vigilanza, che corrisponde alla capacità di mantenere attivo uno schema di risposta per tutto il tempo necessario. Queste componenti incarnano la nostra capacità di stare “allerta”, quindi saper rispondere a stimoli esterni o interni quando essi si presentano e di prestare un’attenzione adeguata in modo da poterli processare nel tempo. Le componenti attenzionali relative alla dimensione della selettività sono: (c) l’attenzione focalizzata, o selettiva, definita come capacità di identificare e isolare gli stimoli rilevanti, ignorando i distrattori; (d) l’attenzione divisa, che si riferisce alla capacità di svolgere in maniera simultanea due compiti distinti. L’ultima componente è (e) l’attenzione alternante o alternata, che si riferisce alla capacità di spostare l’attenzione tra diversi compiti. Grazie a queste ultime componenti, siamo in grado di svolgere più compiti simultaneamente o di passare da un’attività ad un'altra prestando attenzione a ciò che è rilevante nell’ambiente. I processi attentivi hanno quindi la funzione di ottimizzare l’elaborazione delle informazioni. Nell’interagire con l’ambiente esterno, l’attenzione funge da “supporto”, modulando ogni altro processo cognitivo in atto (come la memoria, la percezione, e così via). 1.2 I deficit dell’attenzione Essendo i processi attentivi complessi, non unitari e fondamentali per qualsiasi attività, un deficit a livello di attenzione comporta conseguenze sfavorevoli nella quotidianità rendendo difficoltose attività legate alla semplice cura di se stessi ma anche alle relazioni interpersonali e all’ambito lavorativo. Tali deficit si riscontrano frequentemente dopo cerebrolesioni acquisite e sono stati spesso studiati e riscontrati come conseguenze di traumi cranici, lesioni cerebrovascolari e patologie cerebrali quali la demenza di Alzheimer e la sclerosi multipla. Deficit relativi alle capacità selettive comportano lentezza nei compiti attentivi, soprattutto quando è alto il numero di risposte possibili, con conseguente compromissione in compiti di attenzione divisa e alternata. Per quanto riguarda l’intensità dell’attenzione, le facoltà compromesse possono intaccare i tempi di reazione a stimoli anche in compiti molto semplici di allerta visiva o uditiva a causa di una scarsa focalizzazione attentiva ma anche di elevata distraibilità. 1.3 Riabilitazione dei deficit dell’attenzione Gli interventi riabilitativi dell’attenzione devono essere pensati dopo una fase diagnostica che evidenzi le carenze del paziente in base alle componenti funzionali (allerta, attenzione sostenuta, selettiva ecc.) intaccate. Generalmente, si distinguono due macro categorie di interventi: gli interventi restitutivi, dedicati al recupero totale o parziale delle funzionalità perse tramite esercizi ripetuti, e gli interventi compensativi, che mirano ad adattare le abilità attentive residue e i processi cognitivi intatti per compensare il deficit. Gli interventi restituivi più riconosciuti propongono di riabilitare i processi attentivi in modo progressivo, dalla funzione attentiva di base (stato di allerta) a quella più complessa (attenzione divisa e alternata). Solitamente, i pazienti sono incoraggiati a eseguire esercizi ripetuti nel corso di un programma riabilitativo pensato per migliorare i tempi di esecuzione di tali esercizi e il mantenimento dell’attenzione. Si usano esercizi di cancellazione di stimoli, in cui un paziente deve individuare il più rapidamente possibile degli stimoli target visivi e uditivi (allerta e attenzione sostenuta), fino ad arrivare ad esercizi che stimolano l’attenzione divisa, dove si richiedono abilità più complesse come passare da un compito ad un altro repentinamente, e l’attenzione alternata, come esercizi di doppio compito, dove si richiede di eseguire contemporaneamente due esercizi (per esempio identificare un target visivo e uno uditivo). Gli interventi compensativi sono rivolti ad aiutare il paziente ad adattare le proprie strategie di gestione dei compiti e di comportamento in funzione delle ridotte capacità attentive. Il paziente è stimolato a riflettere sulle proprie strategie e sul compito che deve svolgere, analizzandone le fasi, pianificando la tattica per affrontarli, imparando a gestire lo stress e gli imprevisti. 2) MEMORIA E DEFICIT DI MEMORIA 2.1 Cos’è la memoria? La memoria è un insieme di processi essenziali per la nostra vita. Senza la memoria del passato non potremmo agire nel presente o pensare al futuro. Non saremmo capaci di ricordare cosa abbiamo fatto ieri, cosa abbiamo fatto oggi o cosa abbiamo pianificato per domani. Inoltre, senza la memoria non potremmo imparare nulla. In psicologia il termine memoria si riferisce a quella capacità mentale di codificare, immagazzinare e recuperare informazioni. La codifica di informazioni è un processo che rende possibile la conversione delle informazioni, provenienti da input sensoriali, in un formato immagazzinabile nel nostro sistema. Alcune informazioni possono essere codificate senza consapevolezza, altre con intenzione. Ad esempio siamo capaci di ricordare cosa abbiamo mangiato ieri anche se non abbiamo fatto nessuno sforzo consapevole per immagazzinare tale informazione in memoria, mentre uno studente che memorizza i contenuti di un libro, lo fa con l’intenzione di ricordare. Il processo di immagazzinamento è adibito al mantenimento e all’archiviazione di informazioni. Generalmente si considera che l’informazione può essere immagazzinata in modo sequenziale da tre sistemi di memoria: la memoria sensoriale, la memoria a breve termine e la memoria a lungo termine. La memoria sensoriale è un processo in grado di memorizzare informazioni sensoriali (tattili, uditive, olfattive, visive, gusto) per pochi millisecondi o secondi. La creazione di un ricordo inizia quindi sempre con la sua percezione. La memoria a breve termine è in grado di trattenere informazioni per 20-30 secondi oppure di rendere possibile la reiterazione di informazioni, come quando ripetiamo un numero di telefono per non scordarlo. Perciò, è identificata anche come memoria di lavoro, poiché non è solo un temporaneo magazzino di informazione, ma è fondamentale anche per mantenere tali informazioni durante la loro esaminazione, una sorta di spazio di lavoro per manipolare e combinare le informazioni. Le informazioni dalla memoria a breve termine possono essere trasferite alla memoria a lungo termine, e viceversa. La memoria a lungo termine è il magazzino dei nostri ricordi, cioè di tutte le informazioni che abbiamo acquisito. Esso ha una capacità più o meno infinita e le informazioni contenute possono durare per tutta la vita di un individuo. Il recupero, infine, è il processo che permette di estrarre le informazioni dalla memoria grazie ad un sistema di associazione con informazioni precedentemente rievocate e con il contesto nel quale si è inseriti. I processi di memoria possono essere distinti in tre categorie principali: Memoria implicita vs memoria esplicita: la prima comprende le informazioni che entrano in memoria inconsciamente e non traducibili verbalmente , mente la memoria esplicita è conscia e intenzionale e facilmente esprimibile attraverso il linguaggio. Memoria dichiarativa vs memoria procedurale. La prima permette il richiamo di informazioni fattuali come dati, parole, facce, eventi e concetti. La seconda permette il ricordo di procedure riguardo al come fare delle azioni, come guidare o nuotare. Memoria semantica vs memoria episodica. La prima permette il ricordo di fatti generali, parole, concetti ma anche loro proprietà e relazioni reciproche, mentre la seconda riguarda il ricordo di fatti personali, autobiografici. 2.2 I deficit di memoria I deficit di memoria possono essere causati da danni cerebrali, focali o diffusi, differentemente localizzati e possono colpire i diversi processi di memoria sopra descritti. In particolare, i danni alla memoria dichiarativa, ossia la rievocazione o riconoscimento consapevole di informazioni, hanno conseguenze più invalidanti. Generalmente, tali deficit si distinguono in base alla loro localizzazione cerebrale o ai quadri clinici conseguenti. I quadri clinici solitamente classificati sono: 1) l’amnesia causata da danni bilaterali a strutture cerebrali mediotemporali e diencefaliche, compreso l’ippocampo, coinvolge sempre la memoria episodica anterograda, impedendo di apprendere nuove informazioni (amnesia anterograda) e/o la memoria retrograda, impedendo il recupero di informazioni apprese prima della lesione. La memoria a breve termine è generalmente conservata mentre la memoria a lungo termine è compromessa. Perciò i pazienti non sono in grado di ricordare cosa hanno fatto il giorno precedente, per esempio, o di riconoscere volti di persone recentemente conosciute. Inoltre, la memoria semantica è solitamente intatta, preservando nozioni generali e personali, mentre quella episodica è danneggiata, compromettendo il ricordo di episodi personali passati. 2) Disturbi di memoria conseguenti a lesioni dei lobi frontali (amnesia “frontale”) che portano ad un quadro clinico più specifico. Infatti danni ai lobi frontali portano a disturbi dell’attenzione e delle funzioni esecutive, utili all’organizzazione dell’apprendimento e, in generale, ad attivazione, progettazione, programmazione e controllo di attività. In pratica, pazienti con lesioni di questo tipo non sono in grado di focalizzare l’attenzione in modo continuativo e di mettere in atto strategie per memorizzare informazioni e rievocare ricordi. Inoltre, la memoria di lavoro può essere gravemente compromessa. 3) Confabulazioni di memoria conseguenti a lesioni orbitofrontali e ventrali. Le confabulazioni consistono nella produzione di false memorie e sono spesso associate a deficit di memoria e delle funzioni esecutive. In tal caso, il paziente non ha consapevolezza del proprio deficit (anosognosia) e sono convinti della verità dei loro falsi ricordi. La confabulazione può essere momentanea se consiste nel racconto di un evento falso ma plausibilmente vero, oppure fantastica, quando il racconto non è reale né plausibile. Infine, la confabulazione comportamentale spontanea avviene quando i pazienti agiscono in base ai loro falsi ricordi. 2.3 La riabilitazione dei deficit di memoria Progettare un intervento neuroriabilitativo per un paziente con deficit di memoria è alquanto problematico data la difficoltà di recupero mnesico. Infatti, non sempre le tecniche riabilitative che propongono esercizi di recupero e allenamento della memoria sono efficaci. Inoltre, il recupero dipende dalle caratteristiche e dalla gravità del disturbo: pazienti con disturbi parziali, consapevoli del loro problema, sono in grado di apprendere strategie per compensare il proprio disturbo, al contrario, in caso di amnesia globale è pressoché impossibile impartire nuovo ricordi e aiutare il paziente al recuperare le funzionalità perse. In questo caso, a fianco del terapeuta, spesso la famiglia o i caregivers devono prendersi carico delle attenzioni necessarie per insegnare ai pazienti a prendersi cura di se stessi nella loro quotidianità. Quindi, quando si parla di neuroriabilitazione della memoria si considerano metodi compensativi di intervento, ossia tecniche riabilitative atte a rafforzare strategie alternative sfruttando capacità cognitive residue. Due metodi compensativi vengono solitamente considerati e adattati alle esigenze del paziente: i metodi di compensazione cognitiva (o interni) e i metodi di compensazione comportamentale (o esterni). I primi sfruttano le funzioni cognitive preservate per sopperire a deficit di memoria dichiarativa e sono applicabili in caso di amnesie parziali. Questi metodi sfruttano le conservate capacità di memoria implicita o altri processi cognitivi avvalendosi, per esempio delle funzioni esecutive. Tra queste tecniche, le più comuni stimolano il ricordo di nomi, frasi o eventi grazie a associazioni tra iniziali e parole, immagini mentali e nomi, storie e liste di parole, ecc. In tal modo, la rievocazione di tali iniziali, immagini mentali o storie rimandano agli stimoli associati. Riguardo a tali tecniche, due in particolare si sono rivelate efficaci durante trattamenti clinici e ricerche scientifiche a riguardo: la prima è la tecnica dei vanishing cues (sparizione di indizi). Grazie a questa tecnica è possibile, per esempio presentare una parola e successivamente la stessa parola progressivamente privata di alcune lettere, in modo da stimolare il ricordo della parola intera. La seconda tecnica è quella dello spatial retrieval (reiterazione spaziale), ossia la ripetizione di esercizi di memoria di parole e frasi, per esempio, dopo intervalli di tempo in cui il paziente svolge esercizi diversi, non riguardanti le capacità di memoria. In tal modo si cerca di rinforzare la memoria a lungo termine. Importante durante tali metodi interni è tenere conto della memoria implicita, se preservata. Ciò implica anche fare attenzione durante il trattamento a evitare errori da parte del paziente (apprendimento senza errori – errorless learning) in modo da non creare false credenze e associazioni improprie. I metodi di compensazione comportamentale o esterni si applicano quando il paziente è grave e non è in grado di rievocare ricordi o apprendere nuove informazioni. Tali metodi prevedono l’utilizzo di ausili esterni che aiutino il paziente a compiere attività importanti, quali ricordare appuntamenti e piani futuri tramite la consultazione di agende e timer computerizzati impostati per fornire promemoria. L’uso di tali strumenti deve essere insegnato pazientemente, in modo che il paziente sia in grado di scrivere appuntamenti e di ricordarsi di consultarli. 3) LINGUAGGIO E AFASIA 3.1 Cos’è il linguaggio? Il linguaggio è la capacità umana di acquisire e usare un sistema complesso di comunicazione. Il linguaggio ci permette di esprimere i nostri pensieri, desideri intenzioni e motivazioni in forma verbale o scritta, ma anche di comprendere cosa gli altri ci dicono e scrivono. Il concetto di linguaggio differisce da quello di lingua, la quale è la realizzazione pratica del primo, diversa da cultura a cultura. Il linguaggio, invece, è l’insieme dei processi cognitivi che rende possibile l’espressione del pensiero e la comunicazione. Mentre parliamo o scriviamo, siamo capaci di esprimere pensieri tramite enunciati complessi per lo più in maniera simultanea, automatica, senza un apparente sforzo. Analizzando un po’ più a fondo i processi sottostanti però si comprende la complessità di ciò che a noi sembra scontato: per esempio, parlare significa associare il significato del nostro pensiero a parole specifiche che richiamano questo significato; tali parole devono essere associate tra loro tramite regole grammaticali e morfosintattiche. Tutto ciò è espresso, infine, grazie all’associazione del suoni del parlato e la loro produzione tramite gli organi dedicati all’articolazione. Il linguaggio, quindi, comprende diverse unità funzionali: la fonologia, che riguarda i suoni del linguaggio e i modi in cui vengono combinati, il lessico, ossia l’insieme delle parole e delle locuzioni legate alle loro conoscenze concettuali, e la morfosintassi, che contempla le regole pe la formazione di enunciati mediante la combinazione di morfemi, le minime particelle grammaticali dotate di significato. 3.2 I deficit del linguaggio Una compromissione delle aree cerebrali, e conseguentemente, delle unità funzionali dedicate al linguaggio, porta ad afasia, termine con il quale si identificano i deficit acquisti di produzione e decodifica del linguaggio. Essi si sviluppano in seguito a lesioni dovute a malattie cerebrovascolari o a traumi cranici, ma anche a processi degenerativi, come quelli causati dalla demenze. Le afasie, generalmente, comprendono deficit che coinvolgono in modo omogeneo le diverse unità funzionali, ma talvolta si distinguono tra loro a seconda delle gravità con cui una di queste unità funzionali viene intaccata. In tal modo si distinguono più tipologie di afasia e di trattamenti dedicati. Le afasie a livello di fonologia possono portare a deficit fonologici, dovuti a difficoltà nella selezione e sequenza di corrette stringhe fonemiche, e a deficit dell’articolazione (aprassia o anatria) che dipende dalla difficoltà a tradurre la sequenza fonemica in un programma motorio articolatorio. La afasie del lessico colpiscono la capacità di elaborazione delle parole sia in produzione che in comprensione e consiste in pratica nella difficoltà di recuperare le rappresentazioni lessicali dei concetti sia durante la semplice denominazione di parole, sia durante di discorso spontaneo (anomia). Riguardo la morfosintassi, alcuni danni al sistema linguistico, portano ad una compromessa capacità di combinare la parole in strutture grammaticali e frasi. Tale compromissione può manifestarsi sia in comprensione che in produzione. Infine, danni linguistici a livello di linguaggio scritto comprendono afasie in lettura e scrittura, anche dette dislessie e disgrafie acquisite. Indipendentemente dalle unità funzionali compromesse, i pazienti afasici hanno grandi difficoltà nella vita di tutti i giorni, a causa della loro inabilità a comunicare e comprendere correttamente. Le difficoltà di produzione possono portare a errori nel recuperare la parola che si voleva dire, a sostituzioni di parole, a confusione dei suoni che le compongono, a difficoltà nel combinare la parole in frasi. Le difficoltà di comprensione, invece, comprendono, incomprensioni di ciò che gli altri dicono, soprattutto se parlano velocemente e se è presente rumore in sottofondo, ma anche errate interpretazioni di frasi ambigue e del linguaggio figurato. Infine, le difficoltà di lettura e scrittura si traducono in problemi di codifica e decodifica del linguaggio scritto. Tali pazienti possono, perciò, avere disordini nell’abilità di usare li linguaggio in circostanze ordinarie, nel comunicare durante le attività quotidiane, a casa, nelle varie situazioni sociali e lavorative. Di conseguenza, il pericolo è la loro percepita insolazione dagli altri. Si immagini, per esempio, di andare in un paese straniero dove gli abitanti parlano una lingua diversa dalla nostra. Ci accorgiamo che gli altri stanno producendo parole e frasi, magari conosciamo a livello elementare la lingua cosicché comprendiamo qualche parola qua e là, ma non possediamo alcun comando per esprimere quella lingua e per seguire una conversazione. Ecco come può sentirsi un paziente afasico. 3.3 La riabilitazione dei deficit del linguaggio La patica riabilitativa del linguaggio deve essere pensata in funzione delle componenti funzionali deficitarie. Ogni deficit riguardante la fonologia, il lessico, la morfosintassi o la lettura e la scrittura devono, perciò, essere presi in esame e trattati in modo specifico considerando anche il caso in cui il recupero di una componente influenzi quello dell’altra. Per quanto riguarda la fonologia, i deficit articolatori vengono trattati puntando principalmente sulla riacquisizione del controllo motorio per articolare i determinati fonemi. Nel caso dei deficit fonologici, invece, la terapia si concentra sul controllo della selezione dei fonemi da produrre e del loro sequenziamento. Perciò, si interviene con esercizi ripetuti di discriminazione tra suoni corrispondenti a sillabe e parole via via più complesse. Nel caso di deficit del lessico, esistono trattamenti che si concentrano sulla semantica, proponendo esercizi di accoppiamento tra parole e immagini corrispondenti oppure esercizi che forniscono indizi semantici, come la categoria o alcune caratteristiche di un determinato oggetto, al fine di rievocare la parola corrispondente a tale oggetto. Altri trattamenti si concentrano su indizi fonologici che aiutano il paziente a nominare una data parola fornendo, per esempio, la prima lettera o la prima sillaba di tale parola. Nel caso deficit della morfosintassi, i pazienti devono essere aiutati nel recupero di produzione di frasi coerenti sia semanticamente sia morfologicamente. Le tecniche riabilitative si concentrano perciò gradualmente sulla rieducazione di strutture frasali e sintagmatiche sempre più complesse (per esempio, dal accoppiamento di soggetto e verbo, a quello di soggetto, verbo e oggetto, dall’accoppiamento di articolo e nome, ai pronomi, dalla strutturazione di frasi semplici a quelle più complesse). Infine, nel caso di deficit di linguaggio scritto diversi sono i trattamenti pensati per il recupero della abilità di lettura e delle abilità di scrittura. Le terapie si basano sui modelli cognitivi di lettura e scrittura. Si fa riferimento principalmente alla via lessicale, adibita alla lettura e scrittura di parole conosciute dal paziente e per cui conserva una rappresentazione in memoria, e la via sublessicale, che permette di leggere e scrivere convertendo ciascuna lettera o insieme di lettere in un suono corrispondente o viceversa, componendo poi parole intere. I pazienti afasici con deficit dei meccanismi di lettura e/o di scrittura possono presentare una compromissione di una o di ciascuna delle due vie. Gli interventi riabilitativi, perciò, saranno tarati a seconda della via compromessa. 4) NEGLIGENZA SPAZIALE UNILATERALE O NEGLECT 4.1 Cos’è la Negligenza spaziale unilaterale La Negligenza spaziale unilaterale, o Neglect, è comunemente definita come una sindrome caratterizzata da ridotta o assente consapevolezza degli stimoli presentati nello spazio controlesionale, nonostante siano assenti significativi deficit visivi o motori. In altri termini, una persona affetta da Neglect è incapace di riportare la presenza di stimoli visivi, somatosensoriali o uditivi nella parte dello spazio opposta rispetto all’emisfero colpito dal danno cerebrale (di natura traumatica o cerebrovascolare). Solitamente, tale danno si manifesta nell’emisfero cerebrale destro, causando problemi nella percezione della parte sinistra dello spazio. Per esempio, un paziente con tale deficit non è in grado di leggere la parte sinistra di un libro, di mangiare ciò che è a sinistra di un piatto, di radersi la parte sinistra del viso ecc. Come è possibile che tale parte dello spazio non viene contemplata dal paziente? Il fatto che non vi siano deficit visivi o motori, indica che il problema del neglect non è, per esempio, un problema di vista, ma un problema di codifica spaziale. Mentre lo spazio viene percepito dagli organi di senso, esso non è codificato consapevolmente, per cui il paziente è ignaro che esista. Il neglect può manifestarsi in più modalità congiunte o separate: il neglect rappresentazionale, il neglect motorio e quello sensoriale. Il neglect rappresentazionale può essere riconosciuto chiedendo al paziente di rievocare e descrivere un’immagine in memoria, per esempio un luogo visitato. Il paziente, in questo caso, sarà in grado di descrivere unicamente la porzione di spazio a sinistra. Se lo spazio da descrivere viene ridimensionato chiedendo di descrivere la parte destra, il paziente sarà in grado di rievocare solo il lato sinistro di quella parte. In tal modo, si evince che il paziente a memoria di quel luogo interamente, ma non è in grado di identificare la parte negletta. Il neglect motorio consiste invece nell’inabilità a compiere movimenti verso la parte negletta. Per esempio, un paziente può tenere la testa, quando rilassata, rivolta verso destra o guidare la propria carrozzina verso destra. Infine, i paziente con neglect sensoriale ignora il campo visivo o spaziale controlaterale alla lesione. Tale deficit è quello più visibile, dato che spesso il paziente non percepisce oggetti o persone alla sua sinistra. In tutte le sue manifestazioni, il neglect, temporaneo oppure cronico, è estremamente invalidante per il paziente. Infatti, è associata a scarse risposte funzionali che implicano inabilità ad affrontare la cura di se stessi (fare il bagno, vestirsi, camminare, ecc.) e altre attività quotidiane cruciali per una reintegrazione nella vita di comunità. 4.2 Riabilitare il neglect I trattamenti neuropsicologici dedicati alla negligenza spaziale unilaterale possono essere di due tipi. Il primo tipo comprende i cosiddetti approcci visuoesplorativi, volti ad insegnare esplicitamente al paziente ad orientarsi ed esplorare verso lo spazio negletto. Nella pratica, gli esercizi riabilitativi stimolano il paziente attraverso suggerimenti e indizi visivi e verbali a spostare l’attenzione su stimoli presentati nel campo controlesionali dove, senza indicazioni, non sarebbero percepiti. Gli indizi visivi possono essere una luce posta nello spazio negletto oppure, più comunemente, una barra rossa, da cui il paziente viene incoraggiato ad esplorare lo spazio, il testo o l’immagine presentata. Il secondo tipi di trattamenti include diversi approcci volti a stimolare il paziente a prestare attenzione allo spazio negletto in modo implicito. Tra questi trattamenti si inseriscono approcci basati sulla stimolazione sensoriale del lato affetto (stimolazione vestibolare, optocinetica, vibratoria, elettrica e propriocettiva) che hanno il fine di stimolare ad un cambiamento automatico del comportamento del paziente costringendolo ad orientare la sua rappresentazione spaziale verso lo spazio non percepito senza la partecipazione di attenzione volontaria. Un esempio di tali trattamenti è l’adattamento prismatico che prevede di far indossare al paziente delle lenti prismatiche che deviano il campo visivo di 10-15 gradi verso destra. Il paziente viene incoraggiato ad indicare un oggetto nello spazio circostante ma indossando tali lenti tende a deviare il braccio verso destra. Rendendosi conto dell’errore cercherà di correggersi deviando verso sinistra, deviazione che permane anche senza l’uso delle lenti nelle prove successive se il braccio del paziente viene coperto. Il processo di adattamento sembrerebbe indurre una correzione dei sistemi di coordinate spaziali verso sinistra, parte più comunemente negletta nei pazienti. 5) PERCEZIONE E AGNOSIE 5.1 Cos’è la percezione? Attraverso le esperienze sensoriali siamo in grado di interagire con il mondo e interpretarlo. Riconoscere e interpretare informazioni sensoriali, come suoni e odori, sono parte di ciò che chiamiamo percezione. Con il termine percezione possiamo intendere l’insieme di quei processi cognitivi che regolano il riconoscimento e l’interpretazione delle informazioni sensoriali, nonché le reazioni a tali informazioni. Le informazioni sensoriali, perciò, provengono dal nostro ambiante e ci permettono di interagire con esso e di darne significato contribuendo alla costruzione della nostra esperienza del mondo introno a noi e delle azioni che svolgiamo. I dati provenienti dai nostri organi sensoriali (del tatto, dell’udito, della vista, del gusto e dell’olfatto) vengono processati dal nostro cervello per essere elaborati, riconosciuti, categorizzati in vista di programmi d’azione adeguati. La percezione, perciò, ha un ruolo nell’interpretazione di nuovi stimoli, ma anche nella catalogazione di stimoli che già conosciamo, contribuendo a dare significato e a riconoscere ciò che ci è familiare. È evidente che percepire l’ambiente è fondamentale per la sopravvivenza, ma anche per la quotidianità. Basti pensare, ad esempio, a quando dobbiamo attraversare la strada, la vista e l’udito ci orientano nel traffico. Grazie alle informazioni sensoriali acquisite sappiamo riconoscere il rumore, il movimento, le fattezze di un auto che sta arrivano. Senza tali informazioni non saremmo capaci di capire il momento giusto di attraversare la strada. 5.2 I deficit della percezione Deficit della percezione vengono identificati come agnosie e corrispondono alla perdita della capacità di riconoscimento di oggetti, facce, voci o luoghi. Tali deficit sono legati ai processi cognitivi percettivi e non includono disturbi fisiologici della vista e degli altri organi sensoriali. Le agnosie possono essere apercettive, quando l’analisi percettiva dello stimolo è compromessa, oppure associative, quando l’analisi delle conoscenze strutturali, funzionali e semantiche dello stimolo sono deficitarie. Prendendo come esempio le agnosie visive, nel caso dell’agnosia apercettiva il paziente non è in grado di riconoscere un oggetto in quanto non è capace di sintetizzare le proprietà visive di tale oggetto in forme percettive strutturate. Perciò, non è in grado, per esempio, di identificare se due oggetti sono uguali o di copiare un disegno e descriverlo nelle sue parti. L’agnosia associativa causa difficoltà nell’identificare l’oggetto data l’impossibilità di accedere alle conoscenze immagazzinate riguardo a tale oggetto. Perciò la rappresentazione percettiva è intatta, ma non si è in grado di identificare l’oggetto in quanto il suo significato, cioè le conoscenze immagazzinate in memoria relative agli oggetti conosciuti, è perso o danneggiato. A differenza dell’agnosia apercettiva, i pazienti affetti da questo tipo di agnosia sono in grado di copiare un disegno, ma non sanno riconoscerlo. Ad esempio, sanno identificare l’immagine di una sedia come un oggetto conosciuto, ma non la associano con il suo nome e la sua funzione. L’agnosia visiva può anche essere classificata in base a ciò che non viene riconosciuto. Per esempio, la prosposagnosia causa difficoltà nel riconoscimento di volti. I pazienti in questo caso possono essere in grado di riconoscere qualsiasi oggetto, ma non sono capaci di riconoscere un proprio famigliare e nemmeno se stessi allo specchio a causa di una compromissione nel collegare il volto e la persona, nonostante la conoscenza di tale persona sia intatta. Altre forme di agnosia possono causare l’impossibilità di riconoscere parole scritte (alexia agnostica), colori o oggetti oppure tutti gli elementi insieme. Infine l’agnosia può coinvolgere la sfera acustica e tattile. Pazienti affetti da agnosia uditiva hanno difficoltà ad associare suoni con la loro fonte. Per esempio non riescono a identificare quale animale produce un certo verso. Nel caso dell’agnosia tattile, invece, il paziente non è in grado di identificare un oggetto attraverso il tatto, nonostante sia in grado di manipolarlo. L’agnosia è rara ed è facilmente confusa con altri tipi di deficit cognitivi. Ciò nonostante, è facile intuire quanto sia invalidante per l’individuo, il quale è soggetto ad uno stato confusionale nelle relazioni con l’ambiente esterno, con gli altri, ma anche con se stesso. 5.3 La riabilitazione dei deficit di percezione Le agnosie sono state poco studiate in abito scientifico per cui i trattamenti riabilitativi specifici scarseggiano. La causa principale di questa mancanza viene da una scarsa conoscenza dei meccanismi sottostanti ai disturbi percettivi. Uno dei trattamenti che possiamo nominare è quello multisensoriale, basato su strategie compensative, ossia strategie che incitano l’utilizzo delle abilità percettive intatte. Per esempio, nel caso dell’agnosia visiva si cerca di incoraggiare l’esperienza tattile degli oggetti, oppure la descrizione verbale. Un’alternativa è stimolare l’associazione di un oggetto ad una serie di indizi, come l’associazione di un volto a delle caratteristiche quali le dimensioni del naso, il colore degli occhi ecc. A tal proposito, la riabilitazione della prosopagnosia, la difficoltà a riconoscere volti familiari, viene spesso trattata favorendo l’associazione di un volto con dettagli semantici o fisici appartenenti alla persona da riconoscere. Per esempio, si cerca di far memorizzare una serie di informazioni riguardanti alla biografia di tale persona (lavoro, città dove vive, con chi è sposato ecc.) o a identificare specifici tratti e caratteristiche del volto (le dimensioni del naso, il colore degli occhi ecc). 6) IDEAZIONE DEL MOVIMENTO E APARASSIE 6.1 Cosa sono le aprassie Gran parte dei nostri movimenti sono volontari, ossia sono prodotti e pianificati in base alle nostre intenzioni e ai nostri scopi. Tali movimenti, anche quando sono spontanei e immediati richiedono programmazione, organizzazione, sequenzialità e armonia di esecuzione. In questo modo, siamo in grado di agire nell’ambiente, di sperimentare, di mettere in atto movimenti nuovi o precedentemente appresi, siano essi privi di significato o con significato (i gesti). I deficit legati all’esecuzione di tali movimenti volontari, con o senza significato, vengono chiamati aprassie. Quando un paziente non presenta danni neurologici legati al sistema motorio o sensoriale, tali da spiegare il deficit, ma non riesce a eseguire correttamente i movimenti pianificati, in tal caso si è in presenza di aprassia. Le aprassie non sono state indagate ancora a fondo dalla neuropsicologia e non esiste una chiara e unitaria identificazione delle tipologie in cui può manifestarsi. Inoltre, la forma più studiata di aprassia degli arti superiori. Questa può essere distinta in: Aprassia ideomotoria, quando il paziente è in grado di costruire la rappresentazione mentale di ciò che deve fare, ma non riesce a mettere in atto la sequenza motoria necessaria. In altre parole, il paziente sa cosa deve fare, ma non sa come farlo. Comunemente, la prova diretta per individuare l’aprassia ideomotoria è l’imitazione di movimenti, difficoltosa per il paziente; Aprassia ideativa, quando il paziente, al contrario del caso precedente, non riesce a formare una rappresentazione mentale del movimento. Tale deficit si concretizza nella difficoltà di usare gli oggetti, ma più comunemente, consiste nella difficoltà a portare a termine un piano di azione, ossia un insieme di movimenti in sequenza, specialmente se si deve interagire con più oggetti; Aprassia mielocinetica, quando i movimenti del paziente son lenti e imprecisi, macchinosi ed è necessario grande sforzo per compierli. I questo caso, la fluenza delle sequenza motorie è danneggiata; Aprassia delle motilità assiale, quando i pazienti compiono errori posturali dovuti a scompensi della stabilità e simmetria assiale. Tali errori si evidenziano in movimenti dove è coinvolta la muscolatura assiale, ossia i muscoli vicini all’asse del corpo (muscoli della testa, del collo, del torace e dell’addome; muscoli appendicolari, cioè appartenenti alle braccia e alle gambe). L’aprassia, in genere, intacca ciò che è fondamentale per il movimento volontario: la programmazione, l’organizzazione, la sequenzialità e l’armonia di esecuzione. Per questo, può essere un deficit estremamente invalidante quando è molto grave. Infatti, gesti e azioni quotidiane come indossare i vestiti, in pazienti gravi, possono essere impossibili. 6.2 Riabilitazione delle aprassie Nel caso dell’aprassia vengono proposte due macrocategorie di trattamento: i trattamenti restitutivi, volti al recupero delle funzionalità perse, e i trattamenti compensativi, che si propongono di educare strategie alternative quando il recupero delle funzioni compromesse è irreversibile. I trattamenti restitutivi sono gerarchici, perciò vanno progettati in fasi. Il passaggio da una fase a quella successiva avviene solo quando la precedente fase è completata, ossia la riabilitazione delle funzionalità di cui tale fase si occupa è completata. Questi trattamenti si propongono di riabilitare diversi tipi di gesti: - - i gesti transitivi, ossia quelli che sottostanno ad azioni durante le quali viene utilizzato un oggetto. Il fine di tali trattamenti è rieducare le abilità di utilizzare tale oggetto; i gesti intransitivi simbolici, ossia di gesti che hanno un significato, ma non richiedono l’uso di un oggetto. Esempi di tali gesti sono il gesto di mangiare, di dormire, di salutare ecc. Riabilitare tali gesti è importante per le funzionalità di base del paziente che deve adattarsi a diversi contesti nei quali tali gesti sono richiesti. I gesti intransitivi non simbolici, ossia gesti che implicano sequenze motorie di gesti e di posture senza un significato. Infine, i trattamenti compensativi prevedono compensi esterni, come fotografie che illustrano i gesti da eseguire in un determinato contesto, o compensi interni generati dal paziente come descrizioni per mantenere attiva la sequenza di gesti da compiere. Generalmente, si producono delle strategie da seguire e dei piani di azione che rendano il paziente capace di affrontare delle attività di base per la sua quotidianità. 7) FUNZIONI ESECUTIVE E DEFICIT ESECUTIVO-FRONTALI 7.1 cosa sono le funzioni esecutive? Le funzioni esecutive consistono in una serie di capacità mentali che aiutano l’individuo a elaborare le informazioni necessarie per iniziare, svolgere e portare a termine un compito. Tali capacità permettono di affrontare contesti non abituali, complessi o conflittuali che richiedono uno sforzo per ideare soluzioni nuove e non riconducibili a schemi automatizzati, quindi ad eseguire complessi schemi di azione e di controllo dei processi cognitivi Quando ci troviamo di fronte ad un compito da svolgere, dal più semplice al più complesso, le funzioni esecutive sono implicate. Si pensi ad esempio ad un compito abbastanza semplice come percorrere il tragitto da un punto ad un altro della città. Tale compito richiede dapprima un’analisi, perciò la pianificazione e l’organizzazione degli step necessari per affrontarlo e portarlo a termine, ma anche il calcolo del tempo che necessitano tali step. Ad esempio dobbiamo organizzare e pianificare il percorso, scegliere la strada più corta o meno trafficata, calcolare il tempo di cui abbiamo bisogno. Tale analisi del compito è resa possibile dalla nostra capacità di ricordare le informazioni analizzate, ma anche di stabilirne la priorità, prestare loro attenzione, rielaborarle in base a conoscenze ed esperienze pregresse. 7.2 I deficit delle funzioni esecutive Quando le funzioni esecutive sono intatte, svolgere tale analisi del compito risulta automatico, ma se esse sono compromesse ogni compito che richiede pianificazione, organizzazione, memoria, gestione temporale e flessibilità di pensiero diventa molto complesso. Generalmente, le capacità mentali intaccate comprendono per esempio: il (a) controllo dell’impulsività e delle emozioni, indispensabili per affrontare eventi nuovi e inibire comportamenti e discorsi inappropriati, (b) flessibilità al compito, ossia capacità di adattarsi e di trovare soluzioni al compito ed ai suoi imprevisti, (c) la memoria di lavoro e memoria prospettica, indispensabile per mantenere e le informazioni e portare a termine le intenzioni, soprattutto in compliti complessi e con più fasi, (d) automonitoraggio del proprio comportamento e della propria performance, (e) organizzazione, (f) pianificazione di fasi e della loro priorità, e (g) l’abilità di iniziare il compito dopo la pianificazione. I deficit esecutivo-frontali sono risultato della compromissione più o meno grave di tutte o alcune di queste capacità. Essi si manifestano perciò in modo variegato in soggetti con danni neurologici, anche se generalmente si parla di deficit di regolazione cognitiva e del comportamento che compromettono la vita quotidiana lavorativa, ma anche famigliare. L’incapacità di gestire il proprio comportamento, di organizzare e pianificare le proprie azioni in funzione di ciò che è richiesto, la scarsa memoria prospettica rendono il paziente incapace di inserirsi nel suo contesto sociale, di mantenere le proprie relazioni, nonché di vivere in modo indipendente. 7.3 La riabilitazione delle funzioni esecutive I trattamenti riabilitativi dedicati alle funzioni esecutive si concentrano sul recupero di funzioni complesse, quali la pianificazione e il problem solving, e di funzioni specifiche, come la memoria di lavoro, che sono alla base di operazioni più complesse. Come visto in precedenza, i pazienti con funzioni esecutive deficitarie hanno problemi nella pianificazione di attività volta a raggiungere un obiettivo, perciò nel formulare, eseguire e monitorare dei piani di azione. Altra difficoltà dei pazienti con deficit esecutivi consiste nel mantenimento e monitoraggio dell’obiettivo prefissato. Questa difficoltà si traduce in comportamenti fuorvianti, dispersivi a causa dell’incapacità di mantenere in memoria di lavoro il proprio obiettivo. Perciò i trattamenti riabilitativi restitutivi, volti al recupero delle funzioni compromesse, sono rivolti a insegnare al paziente a scomporre il compito complesso in sottocompiti più semplici esercitandolo attraverso contesti irreali ma plausibili, creati appositamente per la fase riabilitativa, oppure in contesti reali, appartenenti alla vita quotidiana del paziente stesso. Un altro fattore cruciale dell’intervento riabilitativo è quello di stimolare il paziente a monitorare lo svolgere dei propri piani di azione, valutandosi e gestendo le fasi stressanti. Per questo motivo, un buon intervento tiene in considerazione non solo lo sviluppo di strategie dirette allo scopo e il seguire gli step prefissati in queste strategie, ma anche la pianificazione degli imprevisti, delle alternative agli step prefissati e la gestione dello stress e dei momenti di difficoltà. Infine, esistono anche dei metodi compensativi o esterni che supportano le attività del paziente. Tra questi metodi, vi sono l’uso di liste e di agende. Le agende elettroniche, per esempio, risultano utili in quanto possono essere programmate per fornire dei segnali acustici abbinati a dei promemoria sul obiettivo da raggiungere. In questo modo, si ripristina uno stato di allerta nel paziente e si indirizzano le sue attività verso lo scopo.