Edificio, organismo edilizio, struttura Edilizia Nella sua accezione

Strutture a telaio
Edificio, organismo edilizio, struttura
Edilizia
Nella sua accezione più ampia edilizia sta a significare l’attività e le opere dell’uomo per rendere il territorio agibile a fini insediativi
(Mandolesi). L’edilizia, intesa come attività, investe la complessa sfera di interessi (politici, economici, giuridici, tecnici, scientifici, artistici,
sociali, ecc.) rivolta alla determinazione dell’assetto territoriale, ed ha per oggetto la costruzione.
Diz. Gabrielli:
Organo: parte elemento costitutivo di un corpo organico, destinato a una propria funzione, dal lat. organum, che è dal gr. organon, deriv. di
érgon, lavoro, opera.
Organismo:
1. (biol) Ogni essere vivente, in quanto costituito da organi disposti armonicamente e funzionanti in modo coordinato
2. fig. Sistema costituito di vari elementi coordinati e funzionanti per un fine determinato
Edificio
1. costruzione di muratura o di altro materiale. Sinonimo di edificio è fabbricato.
2. fig. edificio è costruzione organica, struttura organizzata.
Struttura
1. (arch) Complesso organizzato delle parti di una costruzione, con particolar riferimento ai rapporti e alle proporzioni reciproche
2. Disposizione, modo con cui sono ordinate le singole parti di un organismo, di un’opera e sim.
Analogia tra organizzazioni
strutturali in biologia e in edilizia.
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Strutture a telaio
Confronto tra organizzazioni strutturali di organismi viventi (scheletro di rettile) e struttura metallica (copertura di un guardino a Valencia, arch.
S. Calatrava).
In architettura la concezione dell’edificio è spesso associata al concetto di struttura.
Leon Battista Alberti così iniziava il terzo libro del “De re aedificatoria”:
“Il modo di eseguire una costruzione consiste tutto nel ricavare da diversi materiali, disposti in un certo ordine e congiunti ad arte, una
struttura compatta e – nei limiti del possibile – integra ed unitaria.
Si dirà integro ed unitario quel complesso che non contenga parti scisse o separate dalle altre o fuori del loro posto, bensì in tutta l’estensione
delle sue linee dimostri coerenza e necessità.
Bisogna quindi ricercare, nella struttura, quali siano le parti fondamentali, quali il loro ordinamento, quali le linee di cui si compongono”.
Alberti usa le parole latine structura e constructio a proposito di problemi costruttivi, ma è facile leggere il passo riferendosi agli aspetti
funzionali o estetici, in quanto richiama i concetti di “ordinamento” e di “linee compositive”. Egli considera il concetto di organismo unitario
sinonimo di struttura.
Si parla dunque di organismo architettonico se il concetto di organismo viene applicato al campo dell’architettura, di organismo edilizio se la
definizione di tale organismo (edificio) non contiene solo la descrizione dell’oggetto, ma anche l’attività edilizia che lo compete.
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Strutture a telaio
La parola costruzione ha la stessa radice di struttura.
Edificio e struttura (da Quaroni)
La parola “struttura” è traslazione del verbo latino struere = costruire; il primo uso è stato fatto proprio per le costruzioni architettoniche,
limitando il significato alla parte resistente della struttura stessa. Le prime estensioni d’uso furono fatte nelle scienze naturali per individuare
l’organizzazione fisica degli animali e delle piante, nonché del suolo terrestre; di seguito si sono anche indicati la composizione, l’ordine ed il
modo di essere di un organismo statale, politico, ecc.
Il concetto si estende ad ogni cosa; come una lingua è una “organizzazione degli elementi e dei sotto-insiemi di un insieme”, oppure un
“sistema di sottoinsiemi dell’insieme, o di un altro insieme che si ottenga da quello e da altri a esso collegati”.
Sono stati gli studi linguistici a riportare all’architetto l’uso della parola struttura:
“ serve a designare, in opposizione a una semplice opposizione di elementi, un tutto formato di fenomeni solidali, tale che ciascuno dipenda
dagli altri e non possa essere quello che è se non in virtù della sua relazione, e nella sua relazione con essi cioè un’entità autonoma di
dipendenze interne” (Hjelmslev)
La struttura di relazioni rappresentata dall’edificio è divisibile in:
• Struttura di spazi: organizzati in stretta relazione con la struttura sociale-istituzionale. Il contenitore è idoneo alle funzioni sociali che vi si
svolgeranno.
• Struttura tecnologica: capace di realizzare materialmente gli spazi (separazione e comunicazione tra loro e tra interno ed eterno),
difendendoli dal tempo e dagli agenti atmosferici
• Struttura figurativa: usando i termini dell’arte figurativa, intendendo la parola “figura” come “immagine”, in quanto l’architettura
rappresenta le finalità ed i modi per e con cui una cultura l’ha voluta.
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Strutture a telaio
Struttura di elevazione: caratteristiche
Secondo la norma UNI 8290 sulla Classificazione del Sistema Tecnologico si definisce struttura di elevazione– o, semplicemente, struttura
– l’unità tecnologica costituita dalle classi di elementi tecnici e dall’insieme degli elementi tecnici aventi la funzione di resistere alle azioni di
varia natura agenti sulla parte di costruzione fuori terra, trasmettendole alle strutture di fondazione.
È possibile classificare le strutture di elevazione in base a vari criteri: ai procedimenti costruttivi, al principio statico, alla stabilità, alla traccia
della struttura sul piano di appoggio, alle caratteristiche geometriche degli elementi costituivi, ecc.
La UNI 8290 articola la struttura di elevazione in:
• Strutture di elevazione verticali
− Strutture a telaio
− Strutture ad arco
− Strutture a parete portante
• Strutture di elevazione orizzontali ed inclinate
− Strutture per impalcati piani
− Strutture per coperture inclinate
• Strutture di elevazione spaziali
− Strutture tridimensionali
− Strutture a grigliato piano e curvo
− Strutture a superficie curva continua
Le strutture di elevazione si distinguono dalle chiusure e dalle partizioni.
I requisiti connotanti delle strutture di elevazione sono relativi sia alla scelta dei materiali costituenti, sia alla concezione strutturale in sé,
che comprende la conformazione della struttura, il suo dimensionamento, il suo procedimento costruttivo. Quelli principali sono relativi alla
resistenza meccanica e alla resistenza al fuoco. La resistenza meccanica è la capacità di mantenere l’integrità fisica in rapporto alle azioni di
carattere statico e dinamico. Altri requisiti importanti per le strutture di elevazione sono:
durabilità,
integrabilità degli elementi tecnici,
conformabilità degli spazi,
protezione dagli agenti esterni,
effetti sul benessere termoigrometrico e acustico.
Le Norme Tecniche delle Costruzioni (DM 14-01-2008) disciplinano la progettazione, l'esecuzione ed il collaudo delle strutture.
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Strutture a telaio
Richiami sull’equilibrio statico in campo elastico e sulle reazioni vincolari
Nel campo delle costruzioni il termine struttura è spesso usato per indicare qualcosa di più specifico di un sistema di relazioni. Con tale
termine si indica il complesso di opere specificamente dedicate a sopportare i carichi che gravano su di esse e necessarie per la stabilità
dell’insieme. Ai fini della loro analisi e a partire dallo sviluppo moderno delle scienze matematiche e fisiche si è affermata nel tempo una teoria
delle strutture.
I carichi si dividono a grandi linee in statici e dinamici. I carichi statici sono il peso proprio della struttura, i carichi permanenti sulla
struttura (pavimenti, manti di copertura, macchinari fissi, ecc..) ed i carichi variabili (chiamati anche accidentali sovraccarichi), gravanti sulla
struttura in modo non permanente (persone, arredi, neve, vento, ecc.).
I carichi dinamici sono forze di cui può variare l’intensità, come l’azione sismica. I carichi possono essere considerati concentrati se agiscono
su una superficie piccola e possono essere pensati come agenti in un punto della struttura, oppure possono essere considerati distribuiti se la loro
azione è distribuita su una superficie sufficientemente ampia.
La struttura tende a reagire ai carichi con forze di reazione espresse dai vincoli (reazioni vincolari). La struttura è in equilibrio statico
quando le reazioni vincolari ed i carichi si annullano a vicenda creando un sistema a risultante nulla.
Σ(Fc+Fv) = 0
Un corpo è in equilibrio nello spazio quando sono inibiti gli spostamenti in tre direzioni (X, Y, Z), e le rotazioni attorno ai tre assi (X, Y, Z).
Ognuno di questi movimenti è chiamato grado di libertà. Nello spazio gli elementi hanno dunque 6 gradi libertà; nel piano XY solo 3 gradi di
libertà (spostamenti lungo X e lungo Y, e rotazione attorno all’origine).
Affinché la struttura sia equilibrata staticamente si ricorre ai vincoli, che devono essere in grado di offrire le reazioni necessarie ad inibire
quegli spostamenti e quelle rotazioni. Ad ogni grado di libertà inibito corrisponde una reazione vincolare.
Nella realtà le strutture sono tridimensionali. Per semplicità di apprendimento, tuttavia, si iniziano a schematizzare sul piano. Nel piano i
vincoli si dividono in semplici, se tolgono un grado di libertà, doppi se ne tolgono due e tripli se ne tolgono tre.
− Vincoli semplici sono l’appoggio semplice, il carrello scorrevole e l’asta o pendolo.
− Vincoli doppi sono la cerniera fissa nel piano, il manicotto, il pattino e il bipendolo.
− Vincoli tripli sono la cerniera ed il tripendolo.
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Strutture a telaio
Questi tipi di vincoli sono schematizzazioni e semplificazioni di quanto avviene nella realtà per le connessioni tra gli elementi strutturali.
I vincoli più importanti nel piano sono:
− il carrello (inibisce un grado di libertà
e dà una reazione),
− la cerniera (inibisce due gradi di
libertà e dà due reazioni),
− l’incastro (inibisce tre gradi di libertà
e dà tre reazioni).
Schematizzazione dei vincoli nella Scienza delle Costruzioni.
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Strutture a telaio
Schematizzazione strutturale nella Scienza delle Costruzioni: strutture piane
costituite da aste vincolate ai loro estremi (da Caleca).
L’appoggio semplice, il carrello scorrevole, il pendolo inibiscono un grado di
libertà; la cerniera fissa, il manicotto, il pattino, il bipendolo e la cerniera (ideale)
due gradi di libertà; l’incastro e il tripendolo tre gradi di libertà.
Nel caso del bipendolo (due pendoli paralleli ad una certa distanza) la struttura
può traslare con piccoli movimenti solo parallelamente alle aste. Nel caso delle
cerniera ideale nell’ultima riga i due pendoli non paralleli impediscono tutte le
traslazioni ma non la rotazione di un corpo attorno al punto d’incontro del
prolungamento dei pendoli stessi.
Quando i vincoli sono insufficienti a tenere in equilibrio la struttura si dice che
la struttura è labile. Quando i vincoli sono strettamente necessari a mantenere la
struttura in equilibrio si dice che essa è isostatica. Quando i vincoli, al contrario,
sono sovrabbondanti si dice che la struttura è iperstatica.
Nel campo della Scienza delle Costruzioni le strutture in equilibrio statico, ai
fini della loro analisi, vengono schematizzate in vario modo. Siccome gran parte
delle strutture edilizie è costituita da telai, un modo classico è quello di utilizzare
schemi semplici bidimensionali, costituiti da elementi snelli (aste) vincolati tra
loro e con l’esterno. Nelle aste una direzione prevale sulle altre e valgono le
caratteristiche di deformazione elastica secondo i principi di de Saint-Venant.
Se si pone:
− Cr = componenti di reazione (max 3 componenti di vincolo)
− A = aste o membrature nel piano (3 gradi di libertà)
si ha:
− Struttura isostatica: Cr uguale a 3·A
− Struttura iperstatica: Cr maggiore di 3·A
− Struttura labile: Cr minore di 3·A
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Strutture a telaio
Sollecitazioni, tensioni e deformazioni
Una prima generale suddivisione tra i materiali costruttivi si può fare tra materiali elastici ed anelastici. Nella realtà tutti i materiali hanno una
certa elasticità, e la teoria delle strutture parte dalla teoria dell’elasticità, cioè considera il comportamento degli elementi strutturali per la loro
caratteristica di elasticità. Se si vuole indagare una struttura per il proprio aspetto elastico, in quanto i materiali e gli elementi che la compongono
hanno quella caratteristica (per il materiale in sé e per la forma), si può dire che, per effetto dei carichi, si generano nei materiali delle
sollecitazioni interne che provocano delle tensioni interne (forze per unità di superficie, in genere indicate con σ se normali al piano di
sollecitazione e τ se tangenziali) che si oppongono alla deformazione.
L’elemento strutturale acquisisce una configurazione deformata che assicura l’equilibrio tra forze esterne e tensioni interne che si definisce
equilibrio elastico. Le deformazioni sono deformazioni elastiche, nel senso che, al cessare della sollecitazione, cessa anche la deformazione.
Oltre il livello massimo consentito dal materiale la deformazione elastica si trasforma in deformazione plastica, nel qual caso essa diventa
permanente ed il materiale si “plasticizza”.
In natura non esistono corpi perfettamente elastici o perfettamente rigidi. Tutti i corpi, sottoposti a delle sollecitazioni, si deformano e
generano al loro interno tensioni interne (σ, τ) che si oppongono alle deformazioni stesse. Le caratteristiche di deformazione di un materiale
dipendono dal proprio legame costitutivo, cioè dalle proprietà elastiche e di rottura, e dalle condizioni di isotropia od ortotropia, cioè dal fatto
di comportarsi rispetto alla sollecitazione in modo uguale in tutte le direzioni oppure secondo direzioni privilegiate.
Se le deformazioni elastiche sono direttamente proporzionali all’intensità delle tensioni, l’elemento ha un comportamento elastico di tipo
lineare e segue la cosiddetta legge di Hooke: E = σ/ε ove.
Dove
E è il modulo elastico
σ è la la tensione provocata da una generica sollecitazione
ε è la deformazione in una generica direzione
Per valutare le tensioni interne bisogna innanzitutto conoscere le caratteristiche di sollecitazione interne. Ci sono sollecitazioni semplici e
composte. Quelle semplici sono:
−
−
−
−
−
A. trazione
B. compressione
C. flessione
D. taglio
E. torsione
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Strutture a telaio
Il modo per individuare all’interno degli elementi le sollecitazioni è quello di
“spezzarli“ in due parti e di individuare delle forze interne che equilibrano quelle
esterne (risultanti relative).
Nel caso specifico si può scomporre la risultante relativa ad uno stato di
sollecitazione piano in una forza normale Rn al piano ed in una tangente Rt.
La prima si può sostituire con un sistema equivalente (N e Mf) e così pure la
seconda (T e Mt).
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Strutture a telaio
Effetti delle sollecitazioni
N genera uno sforzo di trazione (o sforzo assiale); se fosse nell’altro senso sarebbe
di compressione.
T genera una sollecitazione di taglio o scorrimento.
Mf rappresenta una sollecitazione di flessione (semplice)
Mt rappresenta una sollecitazione di torsione.
La presenza contemporanea di più di una sollecitazione semplice genera una
sollecitazione composta.
Sollecitazioni semplici
Trazione (o compressione semplice) e taglio
N
≤ σ amm
A
T
τ = ≤ τ amm
A
σ=
ε = allungamento unitario = ΔL/L = N/EA
γ = scorrimento unitario = χT/GA,
con
χ = fattore di taglio = 1,2 per sezione rettangolare),
G = modulo di elasticità tangenziale = E/2(1+ν),
ν = coeff. di Poisson
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Strutture a telaio
Flessione
M
≤ σ amm
W
I
W=
ymax
σ=
con
W = modulo di resistenza; per sezione rettangolare W = bh2/6.
I = momento d’inerzia baricentrico della sezione
Inoltre:
M
ϕ=
EI
I
W=
ymax
Torsione
τ=
Mt
≤ τ amm
Wt
θ =q
Mt
GI p
con
θ = rotazione unitaria
q = fattore di torsione
Ip = momento d’inerzia polare
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Strutture a telaio
Sollecitazioni composte: presso flessione
A sinistra, pressoflessione in una sezione rettangolare.
σ max =
min
P Pe
±
≤ σ amm
A W
e = eccentricità
Per una sezione rettangolare, con W=bh2/6, si ha un diagramma
triangolare quando l’eccentricità è uguale a h/6.
Sotto, pressoflessione con centro di pressione comunque disposto
σ max =
min
P Pe x Pe y
±
±
≤ σ amm
A Wy
Wx
e = eccentricità
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Strutture a telaio
Carico di punta
Un altro problema è quello dell’equilibrio dei corpi elastici snelli rispetto ad un carico verticale assiale
(carico di punta). In questo caso si ingenera un fenomeno tale per cui non è sufficiente stabilire che la
struttura “resista” alle sollecitazioni di compressione, ma assicurarsi che non si instabilizzi.
Il livello di instabilità dipende dal tipo di vincolo.
Per il dimensionamento dell’elemento si usa la formula di Eulero, con λ rapporto di snellezza e l0
lunghezza teorica di calcolo. Il carico ammissibile è dato dalla formula:
Pamm =
λ=
1 π2
EJ min
n l02
l0
ρ min
dove ρmin è il raggio di inerzia,
n è un coefficiente di sicurezza.
Il rapporto di snellezza λ varia in ragione della lunghezza teorica di calcolo lo, che dipende dal tipo di
vincolo dell’elemento.
l0=l nel caso di doppia cerniera
l0=2l nel caso di estremo libero e incastro
l0= 1/2l nel caso di doppio incastro
l0=2/3l nel caso di cerniera ed incastro
Nell’operazione di verifica, per determinare la tensione ammissibile si usa il metodo omega, dove ω è
dato da tabelle specifiche sui materiali:
σ=
Pω
≤ σ amm
A
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Strutture a telaio
Azioni sulle costruzioni
Si definisce azione ogni causa o insieme di cause capace di indurre stati limite in una struttura.
Classificazione delle azioni in base al modo di esplicarsi
a) dirette:
forze concentrate, carichi distribuiti, fissi o mobili;
b) indirette:
spostamenti impressi, variazioni di temperatura e di umidità, ritiro, precompressione, cedimenti di vincolo, ecc.
c) degrado:
endogeno: alterazione naturale del materiale di cui è composta l’opera strutturale;
esogeno: alterazione delle caratteristiche dei materiali costituenti l’opera strutturale, a seguito di agenti esterni.
Classificazione delle azioni secondo la risposta strutturale
a) statiche: azioni applicate alla struttura che non provocano accelerazioni significative della stessa o di alcune sue parti;
b) pseudo statiche: azioni dinamiche rappresentabili mediante un’azione statica equivalente;
c) dinamiche: azioni che causano significative accelerazioni della struttura o dei suoi componenti.
Classificazione delle azioni secondo la variazione della loro intensità nel tempo
a) permanenti (G ): azioni che agiscono durante tutta la vita nominale della costruzione, la cui variazione di intensità nel tempo è così piccola
e lenta da poterle considerare con sufficiente approssimazione costanti nel tempo:
peso proprio di tutti gli elementi strutturali; peso proprio del terreno, quando pertinente; forze indotte dal terreno (esclusi gli effetti di
carichi variabili applicati al terreno); forze risultanti dalla pressione dell’acqua (quando si configurino costanti nel tempo) (G1);
peso proprio di tutti gli elementi non strutturali (G2);
spostamenti e deformazioni imposti, previsti dal progetto e realizzati all’atto della costruzione;
pretensione e precompressione (P);
ritiro e viscosità;
spostamenti differenziali;
b) variabili (Q): azioni sulla struttura o sull’elemento strutturale con valori istantanei che possono risultare sensibilmente diversi fra loro nel
tempo:
di lunga durata: agiscono con un’intensità significativa, anche non continuativamente, per un tempo non trascurabile rispetto alla vita
nominale della struttura;
di breve durata: azioni che agiscono per un periodo di tempo breve rispetto alla vita nominale della struttura (neve, vento);
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Strutture a telaio
c) eccezionali (A): azioni che si verificano solo eccezionalmente nel corso della vita nominale della struttura;
incendi;
esplosioni;
urti ed impatti;
d) sismiche (E): azioni derivanti dai terremoti.
Ai fini delle verifiche degli stati limite si definiscono le seguenti combinazioni delle azioni (fondamentale, generalmente impiegata per gli
stati limite ultimi, frequente, quasi permanete, sismica, eccezionale), a cui si applicano coefficienti appositi (di combinazione e parziali delle
azioni). Questi coefficienti dipendono anche dalle categorie degli edifici.
Nelle verifiche col metodo agli stati limite, i valori dei carichi si considerano caratteristici (cioè derivati da un calcolo di probabilità); in
quelle col metodo alle tensioni ammissibili, essi si considerano nominali (assegnati su base non statistica).
Azioni sulle costruzioni: carichi
Sono considerati carichi permanenti non strutturali i carichi non rimovibili durante il normale esercizio della costruzione, quali quelli
relativi a tamponature esterne, divisori interni, massetti, isolamenti, pavimenti e rivestimenti del piano di calpestio, intonaci, controsoffitti,
impianti ed altro, ancorché in qualche caso sia necessario considerare situazioni transitorie in cui essi non siano presenti.
Essi devono essere valutati sulla base delle dimensioni effettive delle opere e dei pesi dell’unità di volume dei materiali costituenti.
In linea di massima, in presenza di orizzontamenti anche con orditura unidirezionale ma con capacità di ripartizione trasversale, i carichi
permanenti portati ed i carichi variabili potranno assumersi, per la verifica d’insieme, come uniformemente ripartiti. In caso contrario, occorre
valutarne le effettive distribuzioni.
I tramezzi e gli impianti leggeri di edifici per abitazioni e uffici possono assumersi, in genere, come carichi equivalenti distribuiti, purché i
solai abbiano adeguata capacità di ripartizione trasversale. I carichi sui solai sono da imputare ai pesi propri dei materiali costituenti gli
orizzontamenti di piano (struttura ed elementi non strutturali) e ai carichi variabili ad essi applicati.
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Strutture a telaio
Pesi propri materiali strutturali
Calcestruzzi cementizi e malte
Conglomerato cementizio ordinario
Conglomerato cementizio ordinario
armato (e/o precompr.)
Conglomerati “leggeri”: da determinarsi caso per caso
Conglomerati “pesanti”: da determinarsi caso per caso
Malta di calce
Malta di cemento
Calce in polvere
Cemento in polvere
Sabbia
Metalli e leghe
Acciaio
Ghisa
Alluminio
Materiale lapideo
Tufo vulcanico
Calcare compatto
Calcare tenero
Gesso
Granito
Laterizio (pieno)
Legnami
Conifere e pioppo
Latifoglie
Sostanze varie
Acqua dolce (chiara)
Acqua di mare (chiara)
Carta
Vetro
kN/m3
24,0
25,0
(14,0 ÷ 20,0)
(28,0 ÷ 50,0)
18,0
21,0
10,0
14,0
17,0
78,5
72,5
27,0
17,0
26,0
22,0
13,0
27,0
18,0
4,0÷6,0
6,0÷8,0
9,81
10,1
10,0
25,0
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Strutture a telaio
Carichi variabili
I carichi variabili comprendono i carichi legati alla destinazione d’uso dell’opera; i modelli di tali azioni possono essere costituiti da:
− carichi verticali uniformemente distribuiti qk [kN/m2],
− carichi verticali concentrati Qk [kN].
− carichi orizzontali lineari Hk [kN/m]
I valori nominali e/o caratteristici qk, Qk ed Hk sono riportati in Tabella. Tali valori sono comprensivi degli effetti dinamici ordinari, purché
non vi sia rischio di risonanza delle strutture. Tali valori sono da considerare come valori nominali minimi.
I carichi verticali concentrati Qk formano oggetto di verifiche locali distinte e non vanno sovrapposti ai corrispondenti carichi verticali
ripartiti; essi devono essere applicati su impronte di carico appropriate all’utilizzo ed alla forma dell’orizzontamento; in assenza di precise
indicazioni può essere considerata una forma dell’impronta di carico quadrata pari a 50 x 50 mm, salvo che per le rimesse ed i parcheggi, per i
quali i carichi si applicano su due impronte di 200 x 200 mm, distanti assialmente di 1,80 m.
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Strutture a telaio
Tabella carichi variabili
Cat.
Ambienti
A
B
C
D
E
F-G
H
Ambienti ad uso residenziale.
Sono compresi in questa categoria i locali di abitazione e relativi servizi, gli
alberghi. (ad esclusione delle aree suscettibili di affollamento)
Uffici.
Cat. B1 Uffici non aperti al pubblico
Cat. B2 Uffici aperti al pubblico
Ambienti suscettibili di affollamento
Cat. C1 Ospedali, ristoranti, caffè, banche, scuole
Cat. C2 Balconi, ballatoi e scale comuni, sale convegni, cinema, teatri, chiese,
tribune con posti fissi
Cat. C3 Ambienti privi di ostacoli per il libero
movimento delle persone, quali musei, sale per esposizioni, stazioni ferroviarie,
sale da ballo, palestre, tribune libere, edifici per eventi pubblici, sale da
concerto, palazzetti per lo sport e relative tribune
Ambienti ad uso commerciale.
Cat. D1 Negozi
Cat. D2 Centri commerciali, mercati, grandi magazzini, librerie…
Biblioteche, archivi, magazzini e ambienti ad uso industriale.
Cat. E1 Biblioteche, archivi, magazzini, depositi, laboratori manifatturieri
Cat. E2 Ambienti ad uso industriale, da valutarsi caso per caso
Rimesse e parcheggi.
Cat. F Rimesse e parcheggi per il transito di
automezzi di peso a pieno carico fino a 30 kN
Cat. G Rimesse e parcheggi per transito di automezzi di peso a pieno carico
superiore a 30 kN: da valutarsi caso per caso
Coperture e sottotetti
Cat. H1 Coperture e sottotetti accessibili per sola manutenzione
Cat. H2 Coperture praticabili
Cat. H3 Coperture speciali (impianti, eliporti, altri) da valutarsi caso per caso
Verticali
Uniformemente ripartiti
qk [kN/m2]
Verticali
Concentrati
Qk [kN]
Orizzontali lineari
Hk [kN/m]
2,00
2,00
1,00
2,00
3,00
2,00
2,00
1,00
1,00
3,00
4,00
2,00
3,00
1,00
2,00
5,00
4,00
3,00
4,00
5,00
4,00
5,00
2,00
2,00
≥ 6,00
-
6,00
-
1,00*
-
2,50
2 x 10,0
1,00**
-
-
-
0,50
Secondo cat.
-
1,00
Secondo cat.
-
1,00
Secondo cat.
-
* non comprende le azioni orizzontali eventualmente esercitate dai materiali immagazzinati
** per i soli parapetti o partizioni nelle zone pedonali. Le azioni sulle barriere esercitate dagli
automezzi dovranno essere valutate caso per caso
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Strutture a telaio
Richiami sul concetto di sicurezza strutturale
Il metodo tradizionale per valutare la sicurezza di una struttura, analizzata dal punto di vista elastico, è quello di determinare le sollecitazioni
interne attraverso la risoluzione della struttura. Se questa è iperstatica, nella determinazione delle sollecitazioni entrano in gioco le deformazioni
elastiche. A questo punto, si deve controllare che il livello calcolato di tensione all’interno del materiale sottoposto alle sollecitazioni esterne non
raggiunga il limite di rottura proprio del materiale, che rappresenta la sua resistenza (σr o τ r), diminuito di un coefficiente di sicurezza (in
ragione del materiale, del tipo di struttura e del tipo di sollecitazione) che è superiore a 1.
Il valore tensionale diminuito del coefficiente di sicurezza da non superare si definisce tensione ammissibile, ed il metodo di valutazione di
sicurezza della struttura si definisce metodo delle tensioni ammissibili.
Negli ultimi cento anni si è usato principalmente il metodo delle tensioni ammissibili per valutare la sicurezza delle costruzioni, sia quelle di
conglomerato cementizio armato che quelle di acciaio.
Tuttavia, si ritiene oggi che usare come valutazione della sicurezza solo il metodo delle tensioni ammissibili sia meno efficace ed anche
troppo cautelativo, per cui le norme tecniche più recenti (Norme Tecniche sulle Costruzioni) richiedono di usare un altro metodo, conosciuto
come metodo agli stati limite.
In questo secondo caso il controllo della sicurezza si basa su valutazioni di tipo statistico e probabilistico che non portano a verificare lo stato
tensionale interno del materiale nei punti di maggiore sollecitazione, ma a valutare i cosiddetti stati limite di esercizio ed ultimi, assicurandosi
attraverso l’uso di particolari coefficienti, che le sollecitazioni non superino condizioni strutturali ritenute statisticamente non sicure. Per fare ciò
tuttavia occorre valutare lo stato di sollecitazione di una struttura sotto molteplici condizioni di carico, e ciò implica l’uso di strumenti di calcolo
più complessi e quindi di tipo automatico.
Inoltre, nell’ottica del metodo degli stati limite, valutare solo le condizioni di elasticità lineare dei materiali appare riduttivo, sia in termini di
margini di utilizzo del materiale, sia in termini di effettivo comportamento strutturale.
In questo caso, nella valutazione della sicurezza si mettono in gioco le cosiddette risorse plastiche del materiale, cioè si valuta il
comportamento del materiale oltre uno stato di perfetta elasticità, che riguarderebbe solo stadi di sollecitazione più bassi e quindi poco
significativi. Si pensa dunque che la struttura, prima del collasso, attinga a tali risorse oltre il limite di elasticità.
Infine, sulla base di complessi algoritmi di calcolo, per avvicinarsi maggiormente al comportamento reale dei materiali, si possono prevedere
caratteristiche di deformazione riferite a comportamenti elastici non solo lineari (rapporto costante tra tensione e deformazione) ma anche elastici
non lineari.
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Strutture a telaio
Sicurezza strutturale secondo le Norme Tecniche per le Costruzioni, NTC (DM 14-01-2008)
Le opere e le componenti strutturali devono essere progettate, eseguite, collaudate e soggette a manutenzione in modo tale da consentirne la
prevista utilizzazione, in forma economicamente sostenibile e con il livello di sicurezza previsto dalle norme.
La sicurezza e le prestazioni di un’opera o di una parte di essa devono essere valutate in relazione agli stati limite che si possono verificare
durante la vita nominale.
La vita nominale di un’opera strutturale VN è intesa come il numero di anni nel quale la struttura, purché soggetta alla manutenzione ordinaria,
deve potere essere usata per lo scopo al quale è destinata. La vita nominale dei diversi tipi di opere deve essere precisata nei documenti di
progetto. Essa èmaggiore di 50 anni per un’opera ordinaria e di 100 anni per una grande opera.
Stato limite è la condizione superata la quale l’opera non soddisfa più le esigenze per le quali è stata progettata.
In particolare, secondo quanto stabilito nei capitoli specifici, le opere e le varie tipologie strutturali devono possedere i seguenti requisiti:
− sicurezza nei confronti di stati limite ultimi (SLU): capacità di evitare crolli, perdite di equilibrio e dissesti gravi, totali o parziali, che
possano compromettere l’incolumità delle persone ovvero comportare la perdita di beni, ovvero provocare gravi danni ambientali e
sociali, ovvero mettere fuori servizio l’opera;
− sicurezza nei confronti di stati limite di esercizio (SLE): capacità di garantire le prestazioni previste per le condizioni di esercizio;
− robustezza nei confronti di azioni eccezionali: capacità di evitare danni sproporzionati rispetto all’entità delle cause innescanti quali
incendio, esplosioni, urti.
Il superamento di uno stato limite ultimo ha carattere irreversibile e si definisce collasso. Il superamento di uno stato limite di esercizio può
avere carattere reversibile o irreversibile. Per le opere esistenti è possibile fare riferimento a livelli di sicurezza diversi da quelli delle nuove opere
ed è anche possibile considerare solo gli stati limite ultimi.
La durabilità, definita come conservazione delle caratteristiche fisiche e meccaniche dei materiali e delle strutture, proprietà essenziale
affinché i livelli di sicurezza vengano mantenuti durante tutta la vita dell’opera, deve essere garantita attraverso una opportuna scelta dei
materiali e un opportuno dimensionamento delle strutture, comprese le eventuali misure di protezione e manutenzione.
I prodotti ed i componenti utilizzati per le opere strutturali devono essere chiaramente identificati in termini di caratteristiche meccanicofisico-chimiche indispensabili alla valutazione della sicurezza e dotati di idonea qualificazione.
I materiali ed i prodotti, per poter essere utilizzati nelle opere previste dalle presenti norme, devono essere sottoposti a procedure e prove
sperimentali di accettazione. Le prove e le procedure di accettazione sono definite nelle parti specifiche delle norme riguardanti i materiali.
La fornitura di componenti, sistemi o prodotti, impiegati per fini strutturali, deve essere accompagnata da un manuale di installazione e di
manutenzione da allegare alla documentazione dell’opera. I componenti, sistemi e prodotti, edili od impiantistici, non facenti parte del complesso
strutturale, ma che svolgono funzione statica autonoma, devono essere progettati ed installati nel rispetto dei livelli di sicurezza e delle
prestazioni prescritti.
20
Strutture a telaio
Valutazione della sicurezza
Per la valutazione della sicurezza delle costruzioni si devono adottare criteri probabilistici scientificamente comprovati.
Nel metodo semiprobabilistico agli stati limite, la sicurezza strutturale deve essere verificata tramite il confronto tra la resistenza e l’effetto
delle azioni. Per la sicurezza strutturale, la resistenza dei materiali e le azioni sono rappresentate dai valori caratteristici, Rki e Fkj definiti,
rispettivamente, come il frattile inferiore delle resistenze e il frattile (superiore o inferiore) delle azioni che minimizzano la sicurezza.
In genere, i frattili sono assunti pari al 5%.
Stati limite
I principali Stati Limite Ultimi (SLU), sono elencati nel seguito:
a) perdita di equilibrio della struttura o di una sua parte;
b) spostamenti o deformazioni eccessive;
c) raggiungimento della massima capacità di resistenza di parti di strutture, collegamenti, fondazioni;
d) raggiungimento della massima capacità di resistenza della struttura nel suo insieme;
e) raggiungimento di meccanismi di collasso nei terreni;
f) rottura di membrature e collegamenti per fatica;
g) rottura di membrature e collegamenti per altri effetti dipendenti dal tempo;
h) instabilità di parti della struttura o del suo insieme;
Stati limite di esercizio
I principali Stati Limite di Esercizio sono elencati nel seguito:
a) danneggiamenti locali (ad es. eccessiva fessurazione del calcestruzzo) che possano ridurre la durabilità della struttura, la sua efficienza o il
suo aspetto;
b) spostamenti e deformazioni che possano limitare l’uso della costruzione, la sua efficienza e il suo aspetto;
c) spostamenti e deformazioni che possano compromettere l’efficienza e l’aspetto di elementi non strutturali, impianti, macchinari;
d) vibrazioni che possano compromettere l’uso della costruzione;
e) danni per fatica che possano compromettere la durabilità;
f) corrosione e/o eccessivo degrado dei materiali in funzione dell’ambiente di esposizione;
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Strutture a telaio
Nei confronti delle azioni sismiche gli stati limite, sia di esercizio che ultimi, sono individuati riferendosi alle prestazioni della costruzione nel
suo complesso, includendo gli elementi strutturali, quelli non strutturali e gli impianti.
Gli stati limite di esercizio sono:
− Stato Limite di Operatività (SLO): a seguito del terremoto la costruzione nel suo complesso, includendo gli elementi strutturali, quelli
non strutturali, le apparecchiature rilevanti alla sua funzione, non deve subire danni ed interruzioni d'uso significativi;
− Stato Limite di Danno (SLD): a seguito del terremoto la costruzione nel suo complesso, includendo gli elementi strutturali, quelli non
strutturali, le apparecchiature rilevanti alla sua funzione, subisce danni tali da non mettere a rischio gli utenti e da non compromettere
significativamente la capacità di resistenza e di rigidezza nei confronti delle azioni verticali ed orizzontali, mantenendosi immediatamente
utilizzabile pur nell’interruzione d’uso di parte delle apparecchiature.
Gli stati limite ultimi sono:
− Stato Limite di salvaguardia della Vita (SLV): a seguito del terremoto la costruzione subisce rotture e crolli dei componenti non
strutturali ed impiantistici e significativi danni dei componenti strutturali cui si associa una perdita significativa di rigidezza nei confronti
delle azioni orizzontali; la costruzione conserva invece una parte della resistenza e rigidezza per azioni verticali e un margine di sicurezza
nei confronti del collasso per azioni sismiche orizzontali;
− Stato Limite di prevenzione del Collasso (SLC): a seguito del terremoto la costruzione subisce gravi rotture e crolli dei componenti non
strutturali ed impiantistici e danni molto gravi dei componenti strutturali; la costruzione conserva ancora un margine di sicurezza per azioni
verticali ed un esiguo margine di sicurezza nei confronti del collasso per azioni orizzontali.
Verifiche
Le opere strutturali devono essere verificate:
a) per gli stati limite ultimi che possono presentarsi, in conseguenza alle diverse combinazioni delle azioni;
b) per gli stati limite di esercizio definiti in relazione alle prestazioni attese.
Le verifiche di sicurezza delle opere devono essere contenute nei documenti di progetto, con riferimento alle prescritte caratteristiche meccaniche
dei materiali e alla caratterizzazione geotecnica del terreno, dedotta in base a specifiche indagini.
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Strutture a telaio
Strutture a telaio: concezione
Il principio del telaio si basa sul fatto che il piedritto e l’orizzontamento (elementi prevalentemente lineari) sono collegati tramite vincoli
d’incastro (più o meno perfetti) oppure a cerniera e sfruttano le loro proprietà elastiche.
A sinistra, concetto di telaio con nodi a cerniera e di telaio con nodi rigidi; a destra, concezione primitiva di telaio con nodi non rigidi.
La ripetizione delle aste di piedritto in orizzontale o verticale dei telai genera schemi strutturali a gabbia o scheletro indipendente. I
collegamenti tra piedritti e fondazioni possono essere pensati come incastri o cerniere.
Oggi i telai di c.a. hanno quasi sempre nodi rigidi; i telai di legno o acciaio hanno nodi progettati per essere rigidi o non rigidi.
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Strutture a telaio
Caratteristiche del sistema intelaiato:
− sistema costruttivo di tipo discontinuo, ovvero trasmissione dei carichi al terreno in punti prestabiliti
− la struttura non assolve a compiti integrati legati al benessere ambientale
− libertà compositiva dell’involucro esterno garantendo rilevanti risultati di alleggerimento e trasparenza dei volumi edilizi
Strutture a telaio; a sinistra, modello di una struttura portante mista attuale, con ossatura in c.c.a. e copertura con travi di legno (in grigio). Si
notano le deformazioni elastiche delle travi e dei pilastri (esagerate per una migliore comprensione), in special modo quella della trave disposta a
sbalzo (verosimilmente per la creazione di un balcone).
A destra, funzione di controventamento esplicata da un tamponamento in muratura inserito in un telaio in c.c.a. Le forze orizzontali provocano
sollecitazioni di taglio all’interno del pannello che si manifestano attraverso la rottura dei giunti di malta.
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Strutture a telaio
Conformabilità degli spazi: modularità del telaio
Il passo degli elementi del telaio va studiato in rapporto alle esigenze dell’edificio e agli elementi di chiusura.
A sinistra griglia di riferimento progettuale per interassi (simmetrico –1 o asimmetrico –2), in base a moduli M. È possibile che si creino in
corrispondenza dei pilastri delle interzone non modulari.
A destra griglia di riferimento progettuale per luci nette tra pilastri, con strutture monodimensionali –1- o a pareti portanti –2-. Le fasce strutturali
non sono modulari ma costituiscono fasce tecniche, con interzone in genere volutamente modulari (maglia scozzese).
(da Man. Progettazione Ed.)
Non necessariamente i telai devono rispettare una maglia regolare e precisa.
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Strutture a telaio
Problema della posizione dei pilastri di un telaio rispetto ad una parete
esterna di chiusura verticale (involucro esterno vetrato).
A sinistra:
a. pilastri arretrati rispetto alla parete esterna,
b. pilastri accostati alla parete esterna,
c. pilastri integrati nella parete esterna,
d. pilastri anteposti alla parete esterna,
e. pilastri avanzati rispetto alla parete esterna.
A destra: soluzione per i pilastri d’angolo nei telai a trama larga: aggetti
laterali (a) o sbalzi (b), che consentono di avere uguali sezioni per tutti i
pilastri dell’edificio.
(da Man. Progettazione Ed.)
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Strutture a telaio
Integrabilità con gli impianti di strutture a telaio di acciaio e di cemento armato.
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Strutture a telaio
Il telaio semplice è un elemento strutturale costituito da due ritti e da un traverso rigidamente connesso a questi (portale). L’aggregazione di
telai semplici porta alla struttura a telaio, costituita da una orditura di travi e pilastri disposta secondo più piani paralleli o pluridirezionata nello
spazio.
Gli elementi strutturali del telaio sono prevalentemente elementi lineari quali pilastro, trave, mensola; vi sono anche elementi di superficie quali
lastre, pareti portanti.
Tipi di telai (da Man. Progettazione Ed.):
a) telaio a nodi rigidi,
b) telaio a nodi articolati e irrigidimenti a maglia reticolare,
c) telaio con pareti di taglio costituite da lastre rigide collegate
all’ossatura,
d) telaio con nuclei irrigidenti realizzati con più pareti di taglio o
con maglie reticolari.
Il telaio schematizzato a nodi rigidi è un telaio in genere di
c.a., dove per la conformazione degli elementi i nodi possono
essere considerati come tali.
La rigidezza globale del telaio è in questo caso un fattore
importante: se gli elementi sono tozzi allora il telaio
complessivamente è molto rigido e gli elementi hanno una rottura
di tipo rigido (per taglio); nel caso gli elementi siano più snelli,
allora la rottura del telaio è di tipo duttile (per momento
flettente), sempre che i nodi siano ben saldi.
Per aumentare ulteriormente la rigidezza nei telai in c.a. si
associano pareti rigide (per esempio, nella zona delle scale).
Nel caso di telai a nodi articolati, che in sostanza sono
rappresentati da telai metallici, il problema principale, data la
duttilità complessiva, è quello della stabilità dell’intera struttura.
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Strutture a telaio
Teoria delle strutture –comportamento elastico di una trave con doppio incastro e di una trave a mensola
Schemi strutturali della trave incastrata con carico verticale uniformemente distribuito (tre gradi iperstaticità) e della trave a mensola
(isostatica). Nel caso della trave incastrata le reazioni, le sollecitazioni interne e la freccia valgono:
pl
V A = VB =
2
H A = HB = 0
pl
TAdes = VA =
2
pl
TB = −
2
pl
Tx = + − px
2
1 pl 4
f max =
384 EJ
1 pl 4 x 2 y 2
fx =
24 EJ l 2 l 2
pl 2
MA = MB = −
12
2
pl
M + max =
24
29
Strutture a telaio
Nel caso della mensola le reazioni, le sollecitazioni interne, la freccia e la rotazione dello spigolo valgono:
VA = pl
HA = 0
TB = 0
TA = pl
Tx = px
Mx = −
px 2
2
M A = M max = −
pl 4
8 EJ
pl 3
α=
6 EJ
f =
pl 2
2
Portale con nodi rigidi
Doppio telaio sottoposto a carico verticale uniformemente distribuito.
A destra, diagramma del momento flettente.
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Strutture a telaio
Teoria delle strutture – portale con cerniere
Telaio del tipo portale con cerniere alla base, sottoposto o a carico uniforme
verticale sulla traversa o a forza orizzontale sullo spigolo superiore.
Nel primo caso si ha:
V A = VB =
pl
2
MA = MB = 0
M C = M D = − H Ah
pl 2
− H A = HB =
4h(2k + 3)
J h
k= t
Jh l
Ml/2 =
2k + 1 pl 2
2k + 3 8
Nel secondo caso si ha:
p
− VA = VB =
2
p
HA = HB =
2
MA = MB = 0
ph 2 k
V A = VB =
l (1 + 6k )
ph 3 + 2k
HB =
8 2+k
H A = ph − H B
ph
2
ph
MD = −
2
k=
MC =
Nelle figure, indicazione qualitativa dei momenti.
31
Jl h
Jh l
M C = M A − H Ah +
ph 2
2
M D = M B − H Bh
MA = −
1 + 4k ⎤
ph 2 ⎡ 3 + k
+
⎢
4 ⎣ 6(2 + k ) 1 + 6k ⎥⎦
Strutture a telaio
Pilastro incastrato alla base su fondazione continua.
Le cerniere alla base del telaio possono essere costituite da collegamenti tra fondazione in c.a. e piedritti in acciaio, in cui vi è la possibilità da
parte di questi ultimi di avere una piccola rotazione.
Tipi di nodo pilastro in acciaio e fondazione in c.a. realizzati con differenti tipi di vincolo: cerniera, semincastro, incastro perfetto. (da MPE)
32
Strutture a telaio
Caratteristiche dei telai e metodi di risoluzione
Per risolvere le strutture a telaio ci sono vari metodi della Scienza e della Tecnica delle Costruzioni. I più noti sono il metodo delle forze e i il
metodo degli spostamenti.
Nel metodo delle forze si sostituiscono i gradi di libertà della struttura con le reazioni vincolari corrispondenti, rendendo la struttura
isostatica, e si pongono tali reazioni come incognite. Si trovano le incognite ponendo le equazioni di congruenza (è detto anche metodo della
congruenza), ossia ponendo il rispetto delle reali condizioni di vincolo. Le equazioni sono tante quanti sono i vincoli sovrabbondanti rispetto alla
condizione di isostaticità. Questo metodo diventa molto oneroso per telai complessi in quanto le equazioni e le relative incognite sono troppo
numerose. Non va dimenticato che il comportamento dei telai è tridimensionale.
Il metodo degli spostamenti o delle deformazioni o dell’equilibrio, viene preferibilmente usato per la risoluzione dei telai complessi.
Applicando questo metodo si procede in modo speculare rispetto al precedente: si vincolano i nodi con incastri e si pongono come incognite gli
spostamenti o le rotazioni corrispondenti ai movimenti vincolati. Con questo metodo in genere si riduce anche il numero di equazioni. Una
versione di questo approccio è chiamato metodo di Cross. Senza ricorrere al calcolatore, i telai si studiano con metodo degli spostamenti
semplificandoli. Innanzitutto essi vengono suddivisi per parti e considerati sempre nel piano. Vengono quindi analizzati distinguendo le
situazioni in cui i nodi possono ragionevolmente essere considerati fissi, cioè in grado di ruotare ma non di traslare, oppure non fissi, nel qual
caso è prevalente, in seguito ad un’azione orizzontale, la componente di spostamento orizzontale.
Un aspetto fondamentale dei telai riguarda il loro grado di rigidezza. Esiste una rigidezza alla traslazione ed una rigidezza alla rotazione,
intendendo rispettivamente come rigidezza la forza o il momento in grado di assicurare la rotazione o lo spostamento unitario in un nodo. La
rigidezza è legata alla forma, alle dimensioni e all’elasticità delle aste, nonché al tipo di vincolo tra le aste stesse (incastro o cerniera).
Nel caso di strutture di legno o di acciaio i nodi possono essere considerati rigidi o meno. Nei telai complessi in conglomerato cementizio
armato i nodi sono in genere progettati per essere rigidi (incastri). Le strutture sono dunque fortemente iperstatiche. Nelle strutture elastiche a
scheletro indipendente le murature di chiusura dello spazio interno dell’edificio sono di tamponamento e svolgono una funzione portante non
principale (danno un contributo alla rigidezza al taglio).
Con il metodo degli spostamenti diventa fondamentale l’introduzione del concetto di rigidezza (il metodo è detto infatti anche delle rigidezze).
33
Strutture a telaio
Rigidezza di un telaio
In rapporto al tipo di vincolo tra di loro (cerniera o incastro) ed al tipo di carico, le aste hanno una propria rigidezza alla traslazione e/o alla
rotazione, che misurano l’attitudine di quell’asta di opporsi alla deformazione del telaio. Tale rigidezza dipende non solo dalle caratteristiche
dell’asta, ma anche dal tipo di vincolo.
S’intende per rigidezza (o meglio coefficiente di rigidezza) U alla traslazione la forza P che induce uno spostamento unitario di un nodo, per
rigidezza alla rotazione W il momento M che induce una rotazione φ unitaria di un nodo.
La rigidezza alla traslazione U si ricava dal rapporto tra forza e spostamento: U = P/δ
Per δ = 1 si ha U = P
La rigidezza alla rotazione W si ricava dal rapporto tra momento e rotazione: W= M/φ
per φ = 1 si ha W= Μ
Lo spostamento δ è dato dal rapporto tra forza e rigidezza (P/U). A parità di forza, o sollecitazione, maggiore è la rigidezza,minore è lo
spsostamento.
Così vale anche per la rotazione (φ = M/W): a parità di sollecitazione, maggiore è la rigidezza alla rotazione, minore la rotazione.
Le forze ed i momenti si ripartiscono attraverso i nodi in rapporto a tale rigidezza delle aste ad essi adiacenti.
Per le rigidezze si possono memorizzare dei casi notevoli, che derivano dalla risoluzione di strutture iperstatiche col metodo della
congruenza.
Per esempio, per una trave prismatica con nodi aventi nullo lo spostamento relativo, con un nodo incastrato ed uno con cerniera, la rotazione
nella cerniera, ricavata dalla risoluzione della trave iperstatica col metodo della congruenza, è
Φa = MaL/4EJ
da cui la rigidezza di quella trave è: Wa = Ma/Φa = 4EJ/L = 4R con R (rigidità) = EJ/L
La rigidezza è tanto più grande quanto minore è la luce e maggiore è il modulo elastico e il momento d’inerzia.
Lo stesso vale per la traslazione: la rigidezza alla traslazione dell’asta verticale, incernierata alla base, vale 3EJ/l3 (per semplicità si scrive
3R, dove R=EJ/l3). Se la stessa asta telaio è incastrata alla base, la rigidezza vale 12EJ/l3, cioè 12R, 4 volte superiore al precedente.
34
Strutture a telaio
Valori delle rigidezze, casi notevoli sia per la rotazione che per la traslazione
Le forze si distribuiscono nelle aste in base alle rigidezze.
35
Strutture a telaio
Distribuzione dei momenti flettenti nei piedritti secondo le rigidezze nello schema strutturale di un telaio piano con nodi che traslano soltanto.
L’ipotesi è verosimile se le travate, aiutate dalla rigidezza dei solai, si possono considerare infinitamente rigide rispetto ai pilastri, oppure se ci
sono elementi irrigidenti come scale o controventi (immagine seguente). In questo caso i nodi traslano soltanto, non ruotano ed è più facile
risolvere le equazioni risolutive.
Oggi sono i software di calcolo a velocizzare l’analisi dei telai complessi usando in forma matriciale equazioni da schemi strutturali
del tipo di cui sopra.
36
Strutture a telaio
Progettazione per azioni sismiche ( da NTC)
Criteri generali di progettazione e modellazione
Le costruzioni devono essere dotate di sistemi strutturali che garantiscano rigidezza e resistenza nei confronti delle due componenti ortogonali
orizzontali delle azioni sismiche. La componente verticale deve essere considerata solo in presenza di elementi pressoché orizzontali con luce
superiore a 20 m, elementi precompressi (con l’esclusione dei solai di luce inferiore a 8 m), elementi a mensola di luce superiore a 4 m, strutture
di tipo spingente, pilastri in falso, edifici con piani sospesi, ponti, costruzioni con isolamento e purché il sito
nel quale la costruzione sorge non ricada in zona 3 o 4.
Nei casi di opere con sviluppo longitudinale significativo si deve inoltre tenere conto della variabilità spaziale del moto sismico. Si deve
tenere infine conto degli effetti torsionali che si accompagnano all’azione sismica. A tal fine gli orizzontamenti, ove presenti, devono essere
dotati di rigidezza e resistenza tali da metterli in grado di trasmettere le forze scambiate tra i diversi sistemi resistenti a sviluppo verticale.
Il sistema di fondazione deve essere dotato di elevata rigidezza estensionale nel piano orizzontale e di adeguata rigidezza flessionale. Deve
essere adottata un’unica tipologia di fondazione per una data struttura in elevazione, a meno che questa non consista di unità indipendenti. In
particolare, nella stessa struttura deve essere evitato l’uso contestuale di fondazioni su pali o miste con fondazioni superficiali, a meno che uno
studio specifico non ne dimostri l’accettabilità o che si tratti di un ponte.
Le costruzioni soggette all’azione sismica, non dotate di appositi dispositivi dissipativi, devono essere progettate in accordo con i seguenti
comportamenti strutturali:
a) comportamento strutturale non-dissipativo;
b) comportamento strutturale dissipativo.
Nel comportamento strutturale non dissipativo, cui ci si riferisce quando si progetta per gli stati limite di esercizio, gli effetti combinati delle
azioni sismiche e delle altre azioni sono calcolati, indipendentemente dalla tipologia strutturale adottata, senza tener conto delle non linearità di
comportamento (di materiale e geometriche) se non rilevanti.
Nel comportamento strutturale dissipativo, cui ci si riferisce quando si progetta per gli stati limite ultimi, gli effetti combinati delle azioni
sismiche e delle altre azioni sono calcolati, in funzione della tipologia strutturale adottata, tenendo conto delle non linearità di comportamento (di
materiale sempre, geometriche quando rilevanti e comunque sempre quando precisato).
37
Strutture a telaio
Gli elementi strutturali delle fondazioni, che devono essere dimensionati sulla base delle sollecitazioni ad essi trasmesse dalla struttura
sovrastante, devono avere comportamento non dissipativo, indipendentemente dal comportamento strutturale attribuito alla struttura su di esse
gravante.
Nel caso la struttura abbia comportamento strutturale dissipativo, si distinguono due livelli di Capacità Dissipativa o Classi di Duttilità (CD):
− Classe di duttilità alta (CD”A”)
− Classe di duttilità bassa (CD”B”).
La differenza tra le due classi risiede nella entità delle plasticizzazioni cui ci si riconduce in fase di progettazione; per ambedue le classi, onde
assicurare alla struttura un comportamento dissipativo e duttile evitando rotture fragili e la formazione di meccanismi instabili imprevisti, si fa
ricorso ai procedimenti tipici della gerarchia delle resistenze.
Si localizzano dunque le dissipazioni di energia per isteresi in zone a tal fine individuate e progettate, dette “dissipative” o “critiche”,
effettuando il dimensionamento degli elementi non dissipativi nel rispetto del criterio di gerarchia delle resistenze; l’individuazione delle zone
dissipative deve essere congruente con lo schema strutturale adottato.
Poiché il comportamento sismico della struttura è largamente dipendente dal comportamento delle sue zone critiche, esse debbono formarsi ove
previsto e mantenere, in presenza di azioni cicliche, la capacità di trasmettere le necessarie sollecitazioni e di dissipare energia.
Resistenza agli effetti sismici: nuovo approccio secondo la gerarchia delle resistenze (o capacity design)
L’azione dinamica del sisma, quando la struttura viene impegnata in campo anelastico, tende a concentrare la domanda di spostamento (o
duttilità) negli elementi di maggior debolezza, portandoli rapidamente al collasso, e con loro tutta la struttura.
È questo il caso del cosiddetto piano debole, situazione che si crea quando gli elementi strutturali verticali hanno brusche variazioni di
rigidezza, particolarmente ai piani bassi o, situazione ancor più frequente, quando tamponature e tramezzature sono presenti a tutti i piani tranne
che ad uno (classico è il cosiddetto piano pilotis). In quest’ultimo caso la progettazione delle strutture interessate viene giustamente penalizzata
con incrementi significativi delle sollecitazioni di progetto.
La normativa sismica attuale distingue la regolarità in pianta da quella in elevazione, adottando provvedimenti diversi, sulla
modellazione e sul fattore di struttura, atti a contrastare gli effetti negativi che i diversi tipi d’irregolarità producono sul comportamento
sismico di una struttura. Infatti, un calcolo elastico convenzionale può garantire il corretto comportamento della struttura fino al limite elastico,
ma non può fornire predizioni realistiche del comportamento non lineare, particolarmente qualora la struttura presenti situazioni di debolezza
localizzata, ad esempio di un piano rispetto agli altri, o di concentrazione di tensioni, che possano determinare comportamenti locali fragili.Pur se
38
Strutture a telaio
appare difficile fornire criteri semplici e oggettivi per definire la regolarità in pianta e in elevazione, le nuove norme propongono criteri
quantitativi di tipo geometrico e meccanico, che sicuramente servono a guidare il progettista nelle sue scelte progettuali. Sembra, però, più
opportuno che il progettista stesso maturi una sensibilità rispetto al problema della regolarità strutturale, giudicando direttamente le situazioni in
cui il comportamento anelastico della struttura possa discostarsi sensibilmente da quello elastico.
Procedure di progetto: capacity design e dettagli costruttivi
La capacità di una struttura di sostenere grandi deformazioni anelastiche è determinata dalla capacità duttile dei singoli elementi
strutturali e dalla distribuzione delle deformazioni anelastiche tra i diversi elementi.
La capacità duttile del singolo elemento strutturale è ottenibile solo con un’attenta calibrazione delle resistenze rispetto ai diversi possibili
meccanismi di rottura (a flessione, a taglio eccetera) che possono avvenire nell’elemento stesso. Infatti, le rotture a taglio di elementi
monodimensionali, come travi, pilastri e pareti snelle, sono considerate fragili, mentre quelle a flessione sono duttili. Occorrerà dunque in
generale che la crisi in tali elementi avvenga per flessione piuttosto che per taglio.
D’altra parte è noto che la compressione riduce la duttilità disponibile, così come la plasticizzazione di tutti i pilastri di un piano, a formare un
meccanismo di piano soffice, porta a richieste di duttilità concentrate e insostenibili da parte dei pilastri. Infine, la rottura di un nodo travepilastro presenta il duplice inconveniente di essere fragile ed indurre una rapida labilizzazione delle strutture intelaiate, determinando la
cernierizzazione delle travi e dei pilastri che convergono in quel nodo.
È dunque regola unanimamente riconosciuta quella per cui occorre favorire la formazione di cerniere plastiche nelle travi piuttosto che
nei pilastri, evitando la rottura dei nodi.
Per ottenere ciò si deve individuare una vera e propria gerarchia delle resistenze all’interno dello stesso elemento strutturale e tra i vari
elementi strutturali, il rispetto della quale permette di conseguire capacità duttili nelle strutture in c.a..
In sostanza, il meccanismo ideale di plasticizzazione in una struttura intelaiata vede la formazione di cerniere plastiche solamente alle
estremità delle travi e, eventualmente, alla base dei pilastri del piano terra, così da formare una meccanismo duttile con un solo grado di labilità,
dal quale siano esclusi gli elementi e i meccanismi di rottura fragile.
39
Strutture a telaio
Collasso del piano terra di un edificio con irregolarità in elevazione, determinate dall’assenza di tamponature e tramezzature al piano terra.
Meccanismi di rottura duttile (a sinistra) e fragile (a destra) di un telaio multipiano.
L’applicazione del metodo della gerarchia delle resistenze richiede un approccio totalmente diverso dal classico approccio finalizzato alla
realizzazione di strutture a “uniforme resistenza”, la cui pratica attuazione avveniva progettando tutte le parti strutturali unicamente sulla base
delle sollecitazioni ottenute dall’analisi elastica.
Da un lato, l’”uniforme resistenza” non garantisce di per sé un buon comportamento duttile, per la fragilità di alcuni meccanismi di rottura che
si svilupperebbero contemporaneamente ad altri meccanismi duttili, dall’altro, le approssimazioni del modello e le differenze tra sollecitazioni
resistenti e di calcolo (legate, nel c.a., alla discretizzazione dei diametri dei tondini di acciaio, ai requisiti minimi di armatura previsti, in quantità
40
Strutture a telaio
e disposizione, alle differenze tra resistenze effettive e di progetto dei materiali), determinano maggiorazioni incontrollate di resistenza, che
portano all’anticipazione dei meccanismi fragili.
La procedura di progetto deve, perciò, partire dalla determinazione delle resistenze delle parti deputate alla dissipazione d’energia con
meccanismi duttili (estremità delle travi nei telai), sulla base dei risultati dell’analisi elastica e delle effettive caratteristiche dell’elemento
(geometria e armature nel c.a.).
Successivamente, attraverso semplici equazioni d’equilibrio locale (equilibrio alla rotazione intorno al nodo, equilibrio alla rotazione di travi e
pilastri) riferite alle sollecitazioni resistenti opportunamente maggiorate dei meccanismi duttili, si arriva alla progettazione delle resistenze delle
parti non deputate alla dissipazione di energia (pilastri e nodi) e dei relativi meccanismi fragili (taglio nelle travi, nei pilastri, nei nodi).
Applicazione della gerarchia delle resistenze nella progettazione dei pilastri a flessione e delle travi a taglio
Ovviamente, ad una progettazione attenta ai meccanismi di rottura a livello di struttura e di elemento occorre affiancare una progettazione
attenta dei dettagli strutturali, che condizionano a livello locale l’effettivo sviluppo della duttilità richiesta, per garantire la corretta
trasmissione delle sollecitazioni tra i diversi elementi (continuità e limiti geometrici), la prevenzione di modalità di crisi non messe in conto nel
calcolo (ad esempio l’instabilità delle barre di armatura), il miglioramento delle caratteristiche di resistenza e duttilità del calcestruzzo (mediante
armature di confinamento), una resistenza minima a parti strutturali cruciali e non facilmente progettabili (ad esempio i nodi trave-pilastro).
L’attenta considerazione di tutti questi aspetti relativi sia al comportamento globale che a quello locale vengono premiati con una cospicua
riduzione delle azioni (ovvero da valori maggiori del fattore di struttura q).
In ogni caso la norma permette di progettare senza applicare il metodo della gerarchia delle resistenze, adottando, però, azioni sismiche più
gravose, così da bilanciare la minore duttilità con una maggiore resistenza.
In sostanza, si ammettono due diverse modalità progettuali alternative, per realizzare strutture a “bassa duttilità” o ad “alta duttilità”.
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Hugo Bachmann, “Seismic Conceptual Design of Buildings”: indicazioni progettuali in merito al principio di gerarchia delle resistenze.
Errori e difetti di progettazione di massima non possono essere compensati dai calcoli e dalla progettazione dettagliata.
Una corretta progettazione antisismica dal punto di vista concettuale è necessaria per ottenere una buona resistenza al terremoto senza dover
sostenere significativi costi aggiuntivi in fase esecutiva e di esercizio.
1
Evitare piani deformabili al piano terra: molti crolli durante i terremoti possono essere attribuiti al fatto che gli elementi di contenimento, ad
esempio pareti in c.a., collocate nei piani superiori, sono state tralasciate al piano terra e sostituite da colonne; si sviluppa quindi in questo modo,
un piano terra che è cedevole in direzione orizzontale (soft storey).
Spesso le colonne sono danneggiate da spostamenti ciclici tra il movimento del suolo e della parte superiore dell'edificio; le deformazioni
plastiche (cerniere plastiche) in alto e in basso nei pilastri possono condurre a un pericoloso meccanismo oscillatorio (sway), con una grande
concentrazione di deformazioni plastiche nelle colonne.
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Evitare piani deformabili ai piani superiori: un piano superiore può anche essere
meno rigido in confronto agli altri se i rinforzi laterali sono deboli o trascurati, o se
la resistenza orizzontale è fortemente ridotta sopra un certo piano. La conseguenza
può essere, nuovamente, un pericoloso meccanismo oscillatorio.
3
Evitare controventi di rinforzo asimmetrici o sfalsati: i rinforzi laterali spezzati
devono essere assolutamente evitati. La resistenza alla flessione assicurata con gli
irrigidimenti non può essere completamente compensata, nonostante i notevoli costi
supplementari dovuti ai sovradimensionamenti.
Le compensazioni, per il flusso diretto di forze, possono indebolire la resistenza e
ridurre la duttilità del controvento. Con uno sfalsamentoìmolto evidente della
costruzione la vulnerabilità e la sua resistenza sismica sono notevolmente ridotte.
Rinforzi sfalsati devono pertanto essere assolutamente evitati.
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Discontinuità nella rigidezza e nella resistenza causano problemi: discontinuità
ed irregolarità nei sistemi di controventamento possono causare problemi. Questo
può causare irregolarità nel comportamento dinamico e perturbare il locale flusso di
forze. Un aumento della rigidità e della resistenza dal basso verso l’alto è
generalmente meno favorevole del contrario. Di fronte al calcolo della struttura in
fase di progetto nonché in dettaglio la discontinuità deve essere progettata molto
attentamente.
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Disporre due muri snelli di calcestruzzo armato in ogni direzione principale: le
pareti strutturali in cemento armato di sezione rettangolare, costituiscono il più
adatto sistema di rinforzo contro le azioni sismiche per le strutture a telaio. Le pareti
possono essere relativamente corte in orizzontale, ma devono, tuttavia, continuare
lungo l’intera altezza dell’edificio. In una zona moderatamente sismica, nella
maggior parte dei casi due pareti slanciate, progettate con capacità deformativa in
ciascuna delle principali direzioni, sono sufficienti all’assorbimento di forze
orizzontali.
Gli elementi di tipo non portante possono anche influenzare la scelta delle
dimensioni (rigidità), del sistema di rinforzo. Quando i muri hanno sezioni ad L
(pareti d"angolo) o ad U, la mancanza di simmetria può rendere difficile un
comportamento duttile. Pareti in cemento armato con sezione trasversale
rettangolare (spessore standard 30 cm), possono essere effettuate con poca capacità
duttile, garantendo così un elevata sicurezza sismica.
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Evitare i sistemi misti di colonne e pareti in muratura: strutture miste di acciaio e
calcestruzzo, in pilastri e pareti portanti possono avere un comportamento
sfavorevole alle sollecitazioni sismiche. Le colonne in combinazione con le pareti in
muratura forata hanno ridotta capacità di resistenza orizzontale rispetto alle pareti in
sola muratura piena; le azioni del terremoto sono quindi assorbite in buona quantità
dalle pareti in muratura.
In aggiunta alle forze inerziali nella loro zona di influenza, le pareti in muratura
devono resistere anche per la parte di struttura fatta a telaio. Il risultato è una
resistenza sismica da considerare inferiore a quella di una struttura in sola muratura.
Quando pareti in laterizio sono soggette ad azioni sismiche, esse non possono più
portare i carichi verticali, quindi generalmente provocano una totale collasso
dell’edificio. Costruzioni miste di colonne e pareti strutturali di muratura devono
pertanto essere assolutamente evitate.
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Evitare i controventi con elementi in muratura: È ancora un'opinione comune che
le tamponature con pareti di muratura migliorino il comportamento sotto carichi
orizzontali, comprese le azioni sismiche. Questo è vero solo per piccoli carichi, e
finché la muratura resta in gran parte intatta. La combinazione di due diversi e
incompatibili tipi di elementi costruttivi si comporta in modo anomalo durante i
terremoti. Il telaio è relativamente flessibile e leggermente duttile, mentre la
muratura è molto rigida e fragile e può «esplodere» sotto l’effetto di sole piccole
deformazioni.
All'inizio di un terremoto la muratura assicura la maggior parte della resistenza
sismica, ma quando l’azione si intensifica la muratura collassa a causa delle forze di
taglio e dello scorrimento (l’attrito è generalmente piccolo a causa della mancanza
di carichi verticali). La comparsa di fessure diagonali è caratteristica di un
danneggiamento. Con colonne più forti la muratura si distrugge, mentre con colonne
più deboli la muratura si può danneggiare e tagliare le colonne, portando al crollo.
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Combinare elementi strutturali e non strutturali: se si verificano sensibili
deformazioni di pareti non portanti ed elementi di facciata (ad esempio di muratura),
o situati all’interno di una struttura orizzontalmente debole (ad esempio un telaio),
collegati senza usare opportuni accorgimenti, possono verificarsi danni sostanziali
anche per piccoli terremoti.
Una moderna progettazione antisismica deve quindi corrispondere alla rigidità
della struttura la capacità di deformarsi delle pareti divisorie come degli elementi di
facciata. L’abile selezione e combinazione di elementi strutturali e non può
prevenire danni, anche per terremoti di relativa intensità.
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In strutture a scheletro, separare con giunti i muri in di tamponamento: uno
scheletro strutturale flessibile, può essere vantaggioso per separare pareti divisorie
non portanti, con giunti non rigidi. In questo modo, i danni verificatesi anche per
deboli terremoti, possono essere impediti. I giunti corrono lungo colonne, pareti in
muratura, e lastre, o travi, e devono essere riempiti con materiale molto flessibile ed
insonorizzato, come ad es. pannelli in gomma morbida.
Lo spessore, tipicamente da 20 a 40 mm, dipende dalla rigidità della struttura e
dalla sensibilità alla deformazione del muro divisorio, come pure dal livello di
protezione che si vuole ottenere. Generalmente le pareti divisorie devono anche
essere garantite contro azioni fuori dal piano, ad esempio da un sostegno d’angolo.
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Evitare colonne corte: il collasso per taglio della cosiddetta short column è una
frequente causa del crollo durante i terremoti. Essa riguarda colonne tozze, vale a
dire colonne che sono relativamente spesse rispetto alla loro altezza, e sono spesso
incastrate in travi o pareti molto resistenti. Le colonne sotto azioni orizzontali, in
strutture a telaio, possono essere sollecitate con forze superiori a quella del momento
plastico.
In caso di colonne corte con notevole capacità di curvatura si può avere una
grande sollecitazione flessionale, con un grande taglio risultante; ciò porta ad crollo
per taglio prima di raggiungere il momento plastico ultimo. Un’alternativa è di
progettare le colonne in dettaglio seguendo i principi del capacity design, in cui
occorre rafforzare la capacità di resistenza al taglio in relazione al rafforzamento
verticale.
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Evitare i telai parzialmente riempiti: l’aggiunta di muri di tamponamento, a
formare parapetti, senza l’aggiunta di nodi o giunzioni scorrevoli, può portare alla
formazione di colonne più corte. Il collasso per taglio può causare meccanismi
oscillatori, con la possibilità di avere importanti effetti del secondo ordine.
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Progettare i controventi diagonali in acciaio con attenzione: per il controventamento
di edifici, in particolare edifici industriali, possono essere utilizzati sistemi a
traliccio in acciaio, che devono essere tuttavia accuratamente studiati e progettati. La
comune travatura di controventamento con piastra di collegamento, ed elementi
diagonali, possono mostrare uno sfavorevole comportamento sotto azioni cicliche.
Nei ripetuti movimenti, la rigidità del traliccio diventa molto piccola mandando a
zero la deformazione del nodo. Questo, insieme agli effetti dinamici, può contribuire
al crollo della struttura.
Tali rinforzi devono pertanto essere progettati per avere un comportamento
elastico, o, se necessario, una duttilità molto bassa. È opportuno inoltre verificare la
compatibilità tra le deformazioni dei controventi e quelle degli altri elementi,
strutturali e non strutturali. Questo può indicare la necessità di un rinforzo più rigido
o altri sistemi di rinforzo, quali pareti di tamponamento. I sistemi a traliccio in
acciaio, con sistemi di connessione eccentrici ed elementi compatti, si comportano
molto meglio di travature con elementi snelli e connessioni al centro.
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Progettare strutture in acciaio conferendo comportamento duttile: l’acciaio
generalmente possiede una buona capacità d deformarsi plasticamente. Tuttavia
elementi in acciaio e strutture in acciaio, possono mostrare scarsa duttilità o
addirittura un comportamento fragile sotto azioni cicliche, in particolare a causa di
locali instabilità e rotture. Pertanto, devono essere prese misure addizionali durante
la progettazione di massima della struttura.
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Costruzioni adiacenti devono essere separate da giunti: edifici adiacenti colpendosi
possono causare danni rilevanti, se non il crollo. La minaccia di crollo è maggiore
quando i solai di edifici adiacenti sono a livelli diversi, e premono contro i pilastri
dell’edificio in appoggio. In tali casi, le unioni devono essere conformi alle norme di
progettazione. Ciò comporta le seguenti prescrizioni:
1. i giunti devono avere una certa larghezza minima;
2. i giunti devono essere vuoti.
Al fine di consentire la libera oscillazione ed evitare l’impatto tra edifici adiacenti, è
spesso necessario avere una sostanziale larghezza. Affinché gli elementi strutturali
non perdano la loro capacità portante urtandosi, sono possibili anche altre soluzioni
(vedi Eurocodice 8).
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Evitare controventamenti orizzontali asimmetrici: i rinforzi asimmetrici sono una
frequente causa di crolli delle costruzioni durante i terremoti. I pilastri, che
sopportano i carichi verticali, dovrebbero essere in grado di seguire gli spostamenti
orizzontali della struttura senza perdere le loro capacità portanti. Ogni edificio ha un
centro di massa M, attraverso il quale le forze d’inerzia sono costrette ad agire, ed
un centro di resistenza W per le forze orizzontali, e di un centro di rigidezza S
(centro di taglio). Il punto W è il «centro di massa» di flessione e resistenza degli
elementi strutturali lungo gli assi principali. Se il centro della resistenza e il centro di
massa non coincidono, si può verificare torsione.
L’edificio ruota nel piano orizzontale intorno al centro delle rigidezze. In
particolare, questa torsione genera spostamenti significativi tra il fondo e la sommità
delle colonne più lontane dal centro di rigidezza. Ciò può essere ottenuto con un
accordo simmetrico di elementi di rinforzo laterale. Questi dovrebbero essere posti,
se possibile, lungo i bordi dell'edificio, o in ogni caso abbastanza lontano dal centro
di massa.
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