Se questo è un uomo, dal romanzo al dramma Una traduzione ‘intersemiotica’ di Primo Levi Tesi di laurea specialistica in letteratura e cultura italiana Nome: Sanne Schraa (5889243) Relatore: dr. Linda Pennings Correlatore: dr. Ronald de Rooy Universiteit van Amsterdam Facoltà di Scienze Umane agosto 2013 Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. Italo Calvino 2 Indice 1. Introduzione 4 Il teatro come nuovo modo di raccontare 8 1.1. Il teatro dell’Olocausto e i suoi problemi di rappresentazione 1.2. Dal testo narrativo al testo teatrale 2. 3. Le idee di Primo Levi sulla traduzione 2.1. Levi traduttore e Levi tradotto 2.2. L’equivalenza perfetta 2.3. Il controllo totale 2.4. La poetica di Levi traduttore Un confronto tra Se questo è un uomo romanzo e dramma 3.1. L’itinerario del dramma 3.2. Lo spettatore fatto partecipe 3.3. Verso una dimensione universale 3.4. La predominanza del disumano 15 23 Conclusione 45 Appendici 49 Bibliografia 51 3 Introduzione Levi criticism focused primarily on the two texts that bookend his impressive oeuvre: his Se questo è un uomo, the survivor’s memoir […], and his last publication, I sommersi e i salvati (1986). As a result, […] other components of his work [were] overlooked …. Lina N. Insana, Arduous Tasks Come ha notato giustamente Lina N. Insana, la critica sullo scrittore italiano Primo Levi si concentra essenzialmente su Levi come sopravvissuto-testimone, fatto in gran parte dovuto al successo della sua opera di esordio, Se questo è un uomo. All’inizio del 1944 il chimico, essendo ebreo e partigiano, venne deportato ad Auschwitz, il più grande campo di sterminio dei nazisti,a cui riesce a sopravvivere. Durante questa prigionia e al suo rientro in Italia dopo la liberazione lo scrittore sentiva il bisogno di raccontare la sua storia al mondo. Iniziò a scrivere Se questo è un uomo nel 1946, e dopo un primo rifiuto da parte dell’editore Einaudi la testimonianza venne finalmente pubblicata nel 1958. Ebbe un enorme successo, e fino ad oggi il romanzo di Levi è visto come una delle fonti più importanti sull’Olocausto. Subito dopola pubblicazione nel 1958 il romanzo ha cominciato a diffondersi: in meno di dieci anni è stato tradotto in inglese, tedesco e francese. Inoltre, nel 1966 la Radio Canadese ne trattò una riduzione radiofonica. Nello stesso anno Einaudi pubblicò il copione della versione teatrale del romanzo. Dopo il successo di Se questo è un uomo Levi scopre non solo il suo talento di scrittore, ma anche quello di poeta, saggista e traduttore. Fino alla sua morte nel 1987 scrive poesie, saggi, racconti, narrative d’invenzione e altri romanzi di successo, tra cui il più conosciuto La tregua, il proseguimento di Se questo è un uomo, in cui lo scrittore racconta del suo viaggio di ritorno in Italia dopo la prigionia ad Auschwitz. Primo Levi diventa in Italia uno degli scrittori più amati del ventesimo secolo. Per molto tempo la critica ha diviso l’opera di Levi in categorie nettamente separate, per cui non veniva vista come un insieme: ‘Levi’s Holocaust memories [...] were read in 4 isolation from the rest of his production’.1 Conseguentemente, molte delle sue qualità sono a lungo rimaste all’ombra del Levi testimone, tra cui quella del traduttore, che si può definire, insieme con quella del critico, come il Levi ‘lettore’. Dato che la figura del Levi traduttore appare molto meno studiata dalla critica, è proprio tale attività dello scrittore che mi propongo di indagare in questa tesi. Farò un confronto tra Se questo è un uomo romanzo e dramma, con lo scopo di mettere in luce quali cambiamenti, problemi e soluzioni questa ‘traduzione’ abbia comportato sia sul piano della forma che su quello del contenuto. Cercherò di delineare le scelte traduttive e le strategie di traduzione adottate nel processo traduttivo. Sarà interessante verificare se queste scelte e strategie corrispondano con le idee che Levi ha espresso sulla traduzione in generale. L’esperienza del Levi traduttore varia dalla traduzione letteraria a quella scientifica. La critica si concentra soprattutto su due traduzioni: quella di Der Prozess di Franz Kafka, pubblicata nel 1983, e la traduzione della novella olandese De nacht der Girondijnen di Jacob Presser. Prima della pubblicazione nel 1976 di La notte dei Girondini Levi aveva avuto già qualche esperienza con il mestiere di traduttore: aveva tradotto ‘a four-volume chemistry textbook, some minor projects for Edizioni Scientifiche Einaudi, and the [book] of the English anthropologist Mary Douglas Natural Symbols’. 2 Tra questa serie di traduzioni, quella da Se questo è un uomo romanzo al dramma può essere considerato un unicum: è l’unica volta che un testo narrativo di Levi è stato trasformato in un testo teatrale. Infatti, eccezion fatta per la versione cinematografica di La tregua, Levi si è occupato soprattutto della traduzione interlinguistica, cioè la traduzione ‘vera e propria’. Un’attenzione particolare merita senza dubbio questa teatralizzazione di Se questo è un uomo, un’opera poco conosciuta di Levi. Il primo impulso a scrivere per il teatro sarebbe venuto dall’esterno: dopo il successo del romanzo, l’attore e amico Pieralberto Marché propose l’idea di trarre dal libro una riduzione teatrale. All’inizio Levi si oppose alla proposta perché aveva paura del teatro: ‘conoscevo troppo poco il teatro, sia da spettatore, sia da lettore, per accingermi all’impresa’. 3 Inoltre, ‘non voleva che qualcuno pensasse a un’operazione commerciale’.4 1 Lina N. Insana, Arduous Tasks: Primo Levi, Translation, and the Transmission of Holocaust Testimony, University of Toronto Press, Toronto, 2009, Preface. 2 Ivi, p. 125. 3 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo è un uomo. Versione drammatica, Einaudi, Torino, 1966, p. 8. 4 Cit. in: Valeria Parboni, Il ricordo di Marché: ‘Così convinsi Levi a mettere in scena l’orrore di Auschwitz’. 5 Eppure si rendeva conto che ‘si trattava ancora una volta di raccontare: questa volta, anzi, di raccontare nel modo più immediato’. 5 Il teatro offriva aspetti nuovi che avrebbero potuto trasferire in modo più diretto l’esperienza di Auschwitz. In collaborazione con Marché, Levi scrisse il copione per la versione teatrale, che andò in scena a Torino il 18 novembre del 1966: ‘Lo spettacolo, che ebbe un notevole successo di pubblico, […] venne replicato per circa cinquanta serate [...]’.6 Nel 1967 il dramma vinse ‘il Premio St-Vincent come migliore testo drammatico della passata stagione’.7 Nel confronto tra romanzo e dramma mi baso sulla sceneggiatura uscita presso Einaudi nel 1966. Non sono disponibili, a quanto mi risulta, registrazioni della rappresentazione teatrale. Nondimeno, è possibile farsi un’idea della totalità della rappresentazione prevista dagli autori, visto che le azioni degli attori sono descritte ampiamente nelle didascalie. Inoltre, esistono fotografie, note e commenti di Levi, Marché, alcuni giornalisti e altri. Sul piano del contenuto metterò a confronto diversi episodi del romanzo e del, tra cui la selezione all’arrivo nel campo e quella per le camere a gas, i momenti della confusione delle lingue e il capitolo Il canto di Ulisse. Vedremo che dalle trasformazioni apportate dagli scrittori emergono le forze espressive offerte dal teatro, tra cui il mimodramma, la scenografia e lo scenario sonoro. Oltre alla rappresentazione di Auschwitz, i mezzi teatrali rafforzano anche gli aspetti disumani del testo leviano. L’ipotesi che mi propongo di dimostrare è che nel dramma predominino gli aspetti disumani, accentuati dalle trasformazioni provocate dalla traduzione intersemiotica. Le osservazioni di Sophie NezriDufour sulla versione drammatica permettono di capire meglio alcuni di questi aspetti teatrali. Il confronto tra il romanzo e il dramma sarà preceduto da due capitoli: un primo in cui passerò in rassegna alcuni problemi che molti testimoni della Shoah incontravano nel raccontare le loro esperienze, cioè l’impossibilità di rappresentarla, usando diversi studi di Robert Skloot dedicati al dramma dell’Olocausto. Questo quadro teorico serve per farsiun’idea delle caratteristiche del teatro dell’Olocausto. Successivamente discuterò questi problemi nel contesto più ampio della traduzione dal testo narrativo al testo teatrale, basandomi soprattutto sugli studi semiotici di Umberto Eco e di Nicola Dusi. La forma di un testo teatrale chiaramente differisce molto da un testo 5 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 8. Marco Belpoliti, Opere I, Einaudi, Torino, 1997, p. 1410. 7 Ivi, cit., p. 1412. 6 6 narrativo. In questa prospettiva interessa indagare particolarmente in che misura il testo narrativo di Levi dimostri già degli aspetti ‘teatrali’. Nel secondo capitolo darò spazio alle idee di Primo Levi sulla traduzione, per metterle in rapporto al confronto tra romanzo e dramma. Mi concentrerò innanzitutto sui commenti di Levi alle traduzioni di Se questo è un uomo romanzo. Inoltre mi baserò sugli articoli dei traduttori di Levi e di Levi stesso, tra cui il suo saggio Tradurre ed essere tradotti, e sugli scambi epistolari tra Levi e i suoi traduttori. Per completare la ‘poetica’ di Levi sulla traduzione, discuterò le strategie traduttive adottate da Levi stesso. 7 1. Il teatro come nuovo modo di raccontare 1.1. Il teatro dell’Olocausto e i suoi problemi di rappresentazione Protecting against the debasement of language is the job of every artist, but artists of the Holocaust must exercise a special kind of vigilance so that the full horrifying power of the word is preserved. Since the world of the ghettos and concentration camps is impossible to duplicate on the stage, the writer of the Holocaust is caught in a dilemma: how to give stage images their full burden of meaning without making them unrecognizable through abstraction or untruthful through replication. Robert Skloot, The Theatre of the Holocaust Poco dopo la seconda guerra mondiale nacque in Europa un nuovo ‘genere letterario’, vale a dire la letteratura sui campi di concentramento nazisti, che si può dividere grossolanamente in tre categorie: ‘i diari o memoriali dei deportati, le loro elaborazioni letterarie, le opere sociologiche e storiche’. 8 Durante la loro prigionia e al ritorno nella patria, molti dei sopravvissuti ai campi di concentramento sentivano il bisogno di condividere con il mondo ciò che avevano visto e vissuto. Le loro motivazioni alla scrittura non si limitavano a quella di voler contribuire alla letteratura sui campi di concentramento. Come nota Levi, essi avevano innanzitutto il bisogno di ‘raccontare per liberarsi dell’ossessione’. 9 In secondo luogo, avevano delle ragioni didattiche e morali, volendo trasmettere la storia dei campi per avvertire il mondo che l’Olocausto potrebbe ripetersi. Comunicando la loro esperienza volevano creare nuovi ‘testimoni’, cosa necessaria per non far dimenticare mai l’offesa nazista contro l’uomo. Come tanti testimoni dei campi hanno sperimentato, rinarrare l’Olocausto è quasi una lotta in sé, dato che ‘[it] brings with it all the protocols of the unspeakable, the 8 Hermann Langbein, Uomini ad Auschwitz. Storia del più famigerato campo di sterminio nazista. Prefazione di Primo Levi, Mursia, Milano, 1984, p. 5. 9 Primo Levi, Se questo è un uomo. Postfazione di Cesare Segre, Einaudi, Torino, 2005, p. 185. 8 incommensurate’.10 Anzi, come spiega Levi, ‘la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo’.11 Molti sopravvissuti temevano di screditare e banalizzare l’esperienza. Inoltre, per trasmettere l’Olocausto non bisognava solo tradurre dall’esperienza umana alla parola, ma anche dal Lagerjargon12 a una lingua comprensibile al lettore ignaro di Auschwitz. Visto che il linguaggio ‘quotidiano’ non è sufficiente per descrivere l’orrore dei campi, i testimoni dovevano trovare una lingua adeguata per poter comunicare l’indicibile. In un saggio su ‘Primo Levi’s Holocaust vocabularies’,13 Marco Belpoliti e Robert S.C. Gordon discutono tre ‘lingue’ con cui lo scrittore torinese affronta nella sua testimonianza il problema dell’incomunicabilità. Innanzitutto, usava un vocabolario ‘antropologico’ per capire meglio il comportamento dei deportati e dei capi e la ‘cultura’ di Auschwitz. Troviamo quindi nell’opera tanti riferimenti – spesso sotto forma di metafora – agli animali. In secondo luogo usava un vocabolario scientifico, legato alla sua professione di chimico, ‘through which he read the camps as a manifestation of a particular pattern of asymmetry found in molecular analysis’. 14 L’ambiente chimico aiuta Levi a capire il funzionare del Lager, soprattutto l’organizzazione e la tipologia del lavoro nella Buna. Il terzo metodo che Belpoliti e Gordon distinguono consiste in un vocabolario etico, attraverso cui cerca di capire il campo sulla base di domande come ‘how to act, in oneself and with others, or how to live’.15 Raccontando la loro storia, i sopravvissuti incontravano un altro problema, vale a dire il fatto che spesso non venivano considerati, e quindi non si sentivano, i testimoni ‘veri’ dell’Olocausto. Levi descrive questo senso nel seguente modo: Lo ripeto, non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri. È questa una nozione scomoda, di cui ho preso coscienza a poco a poco, leggendo le memorie altrui, e rileggendo le mie a distanza di anni. Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per loro prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato 10 Vivian M. Patraka, Spectacular Suffering. Theatre, Fascism, and the Holocaust, Indiana University Press, Bloomington, 1999, p. 1. 11 Primo Levi, Se questo, cit., p. 23. 12 Il Lagerjargon era la lingua nata nei campi di concentramento, di cui ‘la base era una combinazione del vecchio tedesco delle caserme prussiane e il nuovo tedesco delle SS, fortemente influenzata da altre lingue che venivano parlate nel Lager e nei dintorni: dal polacco, dal jiddisch, dal dialetto slesiano, più tardi dall’ungherese’ (Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino, 1986, pp. 76 – 78). 13 Cit. in: a.c.d. Robert S.C. Gordon, The Cambridge Companion to Primo Levi, Cambridge University Press, Cambridge, 2007, pp. 51 – 65. 14 Ivi, p. 52. 15 Ivi, p. 61. 9 per raccontare, o è tornato muto; ma sono loro, i ‘mussulmani’, i sommersi, i testimoni integrali, coloro la cui deposizione avrebbe avuto significato generale.16 Per quanto riguarda la sua diffusione, si può dire chela letteratura sui campi di concentramento all’inizio non ebbe molto successo. Secondo Levi ‘il pubblico non era ancora in condizione di comprendere e misurare la qualità e l’importanza del fenomeno Lager’.17 Era un momento in Italia in cui la guerra era ancora troppo vicina: la gente non voleva che dimenticare e andare avanti. Nondimeno, l’Olocausto come soggetto continua un po’ alla volta a diffondersi, e dagli anni ’60 scopre il teatro. Vengono scritte e messe in scena diverse opere teatrali sull’Olocausto, soprattutto in Italia, Israele, Francia, America, Polonia e Germania.18 Visto che ogni dramma sull’Olocausto varia nella forma e nel contenuto, è difficile elencarne le caratteristiche specifiche. È chiaro però che tutti i drammi prendono come punto di partenza lo stesso evento storico: What makes their work different from attempts to deal with other tragic themes, war for example, is their conviction that the Holocaust was a unique historical [...] event, an event unlike anything else in the long and often tragic story of Western civilization.19 Come nella narrativa sui campi di concentramento, anche nel teatro dell’Olocausto sono proprio gli obiettivi indicati da Levi che formano i principali punti di partenza: In general, playwrights [...] [of the Holocaust] are motivated by five objectives, often simultaneously pursued: 1) to pay homage to the victims [...]; 2) to educate audiences to the facts of history; 3) to produce an emotional response to those facts; 4) to raise certain moral questions for audiences to discuss and reflect upon; and 5) to draw a lesson from the events re-created.20 La difficoltà di rappresentare l’Olocausto vale anche per il teatro. Nonostante che offra possibilità espressive che potrebbero facilitare la rappresentazione dell’Olocausto, ciò che rimane è il rapporto problematico tra l’esperienza e il linguaggio. Robert Skloot sottolinea che questa ricerca di ‘a style and a form for the Holocaust experience, with all the challenges, 16 Primo Levi, I sommersi, cit., p. 64. Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 6. 18 Cit. in: Claude Schumacher, Staging the Holocaust: the Shoah in drama and performance, Cambridge University Press, Cambridge, 1998. 19 Robert Skloot, The Theatre of the Holocaust, The University of Wisconsin Press, Wisconsin, 1982, p. 14. 20 Ibidem. 17 10 responsibilities, and risks it entails, is yet more difficult in the theatre, because of all the arts theatre is the most public and the most real’.21 Potremmo dire che il teatro fa rivivere davanti al pubblico i campi dei concentramenti. Gli effetti di realismo nel dramma, tra cui la scenografia e lo scenario sonoro, possono contribuire alla rappresentazione realistica di Auschwitz, perché il pubblico ottiene un’immagine visiva dell’interno di un campo. Visto che il soggetto dell’Olocausto richiede uno stile realistico, gli effetti di realismo sono indispensabili. Nell’ambito della difficoltà di comunicare l’esperienza, gli effetti di realismo sono usati ‘as a carrier, a medium of transmission’. 22 Ciononostante, come discusso in The Theatre of the Holocaust, essi comportano certi problemi: ‘the Holocaust was a time of chaos and madness, a structured artistic re-creation of that experience, beginning with the process of selecting what part or aspect of the experience to treat, might distort and even deny the very nature of what life at that time was like. As a result, the audience might receive a kind of aesthetic satisfaction which betrays the historical reality or distracts attention from the ethical implications of the Holocaust’.23 In risposta al problema della rappresentazione realistica dell’Olocausto, ‘playwrights have often tried to create believable environments by “softening” the depiction of ghetto or camp life; one method is to exclude or reduce the appearance of the Nazi oppressors and instead to focus on their victims’.24 Nella teatralizzazione di Se questo è un uomo Levi e Marché hanno chiaramente applicato questo metodo, mettendo le SS sempre nell’oscurità: In proiezione sul fondale la sagoma di una SS.25 Sullo sfondo l’ombra della SS ingigantisce in modo lento e progressivo tanto da oscurare completamente la scena.26 Come spiega Levi nella Nota alla versione teatrale, le SS non compaiono mai sulla scena per non gridare negli orecchi degli spettatori e per non presentare al pubblico la materia prefabbricata. Inoltre, Levi e Marché volevano porre l’accento sulle vittime. Vedremo più tardi che i momenti umani, invece, vengono sempre illuminati. 21 Ivi, p. 16. Ivi, p. 25. 23 Ivi, p. 12. 24 Ivi, p. 18. 25 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 51. 26 Ivi, p. 52. 22 11 Secondo Claude Schumacher il teatro dell’Olocausto non dovrebbe cercare di creare una rappresentazione realistica: ‘True theatre affords the spectator a heightened experience liberated from the lie of being the truth’.27 Quindi, un altro metodo potrebbe essere di non mirare a una ‘realtà assoluta’: ‘no play text or theatrical performance can hope to get anywhere near the truth’.28 Potremmo dire che il metodo di Levi e Marché corrisponda alla ‘teoria’ di Schumacher, visto che, come sottolinea Levi stesso, non hanno cercato di ottenere un effetto realistico ma di puntare invece sui valori simbolici.29 1.2. Dal testo narrativo al testo teatrale Nell’iniziare a discutere della traduzione intersemiotica, cioè la traduzione tra due media o due sistemi semiotici diversi, bisogna tener presente che si tratta sempre di due opere autonome. Per contro, ‘If semiotics is the study of signs, or rather, of systems of signification, then we can immediately declare that a sign is first of all a reference to something else, and that no system of signs or signification, and therefore no text, can ever stand on its own’.30 Nicola Dusi afferma che da una parte il testo d’arrivo, cioè il testo tradotto, ha forti legami con il testo di partenza. Dall’altra parte, le differenze tra i due testi o sistemi richiedono dei cambiamenti che implicano necessariamente una certa distanza tra di loro: ‘what is set in motion is a negotiation and a comparison with the target culture, which is often radically different from the source text it receives and decodes. It is thus important to examine not only how the source text was adapted, but also the choices determined by the means utilized, as well as the choices linked to the logistics of production and audience captivation, which directly depend on the producers and the receivers in the target cultural system’.31 Nella traduzione dal romanzo Se questo è un uomo al dramma, il testo di partenza è stato adattato alle esigenze del genere o medium di arrivo. In questa prospettiva, secondo Umberto Eco non si tratta di una ‘traduzione’, ma più propriamente di un ‘adattamento’.32 Secondo Eco la traduzione intersemiotica è ‘a process that operates on the style of the target 27 Claude Schumacher, Staging the Holocaust, cit., p. 4. Ibidem. 29 Cit. in: ‘Allo Stabile torinese il diario di Primo Levi su Auschwitz’. 30 Cit. in: Nicola Dusi, Translating, Adapting, Transposing. 31 Ibidem. 32 Ibidem. 28 12 text to reformulate some levels of equivalence or similarity with the source text’. 33 Eco sottolinea che spesso in una traduzione intersemiotica il testo di arrivo esprime il non-detto del testo di partenza. Così certe cose indicibili suggerite nel primo possono trovare espressione nel secondo tramite i mezzi specifici del medium. Si potrebbe dire che le affermazioni di Eco illustrino la situazione del teatro sull’Olocausto: le immagini e i suoni del teatro possono integrarsi con la parola per esprimere una realtà ‘indicibile’. Dell’opera di Giovanni Verga è noto che ‘la tecnica narrativa verista [fosse] [già] molto vicina alla forma drammatica’. 34 Lo stesso vale per molte delle novelle di Luigi Pirandello. Come spiega Giorgio Pullini, la novella La paura di Pirandello ‘[…] è già dramma, è già teatro. Perciò Pirandello non si è trovato nella necessità di trasformare la parte descrittiva in didascalia, perché essa è quasi del tutto assente anche nella novella: la novella è quasi tutta dialogo’.35 Potremmo dire che Se questo è un uomo romanzo non contiene tanti elementi che facilitano l’adattamento alle scene. Il testo narrativo non ha simile carattere ‘drammatico’, essendo più descrittivo e contenendo meno dialoghi. Infatti, il romanzo di Levi non è ‘scrittura disposta al parlato’ 36 ; dall’altra parte, il ‘carattere frammentario’ 37 del romanzo, come afferma Levi stesso nella prefazione al romanzo, è un elemento che potrebbe facilitare la trasformazione in un testo teatrale. Nel riscrivere il romanzo come dramma in due tempi, 38 Levi e Marchè sono stati quindi costretti a introdurre una serie di cambiamenti. Nella sua analisi di Cavalleria rusticana di Giovanni Verga dalla novella al dramma, Jone Gaillard distingue i ‘cambiamenti obbligatori’ dai ‘cambiamenti volontari’. I cambiamenti obbligatori sono quelli ‘automaticamente imposti dal mezzo di comunicazione scelto [...] e che [sono], per esempio, la sostituzione al testo narrativo del dialogo, e l’abolizione di ogni descrizione [...] sostituita in palcoscenico dalla scenografia, dai costumi e dal gestire e agire degli attori’. 39 I cambiamenti volontari invece sono quelli ‘messi in atto dall’autore volontariamente’,40 come 33 Ibidem. Cit. in: Verga drammaturgo. 35 Stefano Milioto, Gli atti unici di Pirandello: tra narrativa e teatro, Edizioni del Centro Nazionale Studi Pirandelliani, Agrigento, 1978, p. 32. 36 Dorothea Stewens, Pirandello, cit., p. 20. 37 Primo Levi, Se questo, cit., p. 9. 38 Se questo è un uomo dramma è suddiviso in due tempi. Il primo tempo si occupa dei capitoli Il viaggio, Sul fondo, Iniziazione e Ka-Be del romanzo, il secondo segue i capitoli Le nostre notti, L’esame di chimica, Il canto di Ulisse, Die drei Leute vom Labor e Storia di dieci giorni. 39 Jone Gaillard, Cavalleria rusticana: Novella, Dramma, Melodramma, in: “MLN”, 107 (1992), p. 179. 40 Ibidem. 34 13 per esempio l’introduzione di nuovi personaggi. Nel caso leviano, vedremo che predominino i cambiamenti obbligatori. La traduzione (intersemiotica) causa una tensione costante tra equivalenza e trasformazione: da una parte il traduttore ambisce all’equivalenza, dall’altra c’è sempre la necessità della trasformazione, causata dalla diversità dei mezzi e delle culture. Nella traduzione dal romanzo al teatro, ad esempio, è importante tener conto del diverso tipo di pubblico. È un fatto scontato che l’equivalenza perfetta tra un testo e la sua traduzione è impossibile e che uno scopo più realistico è l‘equivalenza funzionale’, che consiste nell‘identità espressiva’ rispetto al testo originale.41 Secondo Marcello Pagnini dovremmo fare una distinzione tra il testo drammatico e il testo che esiste soltanto in funzione della rappresentazione, il primo essendo un genere letterario, il secondo uno strumento che appartiene alla rappresentazione teatrale. Chiaramente il testo einaudiano di Se questo è un uomo dramma non è destinato solo alla scena: ambisce, ‘oltre che a continuare a passare sulle scene, e ad essere perciò [legato] ad eventi drammaturgici, anche a trovare un […] posto dignitoso nella patria delle lettere, figurando negli scaffali delle biblioteche’.42 Si tratta, anziché di un copione teatrale, di un elaborato testo drammatico, e cioè, secondo la visione di Pagnini, di ‘letteratura drammatica’.43 Nicola Dusi, Il cinema come traduzione. Da un medium all’altro: letteratura, cinema, pittura, UTET, Torino, 2003, p. 39. 42 Marcello Pagnini, Pragmatica della letteratura, Sellerio, Palermo, 1980, p. 88. 43 Ibidem. 41 14 2. Le idee di Primo Levi sulla traduzione Tradurre può dare gratificazioni uniche: il traduttore è il solo che legga veramente un testo, lo legga in profondità, in tutte le sue pieghe, pesando o apprezzando ogni parola e ogni immagine. Essere tradotti non è un lavoro né feriale né festivo, anzi, non è un lavoro per niente, è una semi-passività simile a quella del paziente sul lettino del chirurgo o sul divano dello psicoanalista, ricca tuttavia di emozioni violente e contrastanti. L’autore che trova davanti a sé una sua pagina tradotta in una lingua che conosce si sente volta a volta, o a un tempo, lusingato, tradito, nobilitato, radiografato, castrato, piallato, stuprato, adornato, ucciso. Primo Levi, Tradurre ed essere tradotti 2.1. Levi traduttore e Levi tradotto In questo capitolo discuterò l’opera traduttiva di Levi e le traduzioni del romanzo Se questo è un uomo, per mettere in luce le strategie traduttive e le idee sulla traduzione dello scrittore torinese. L’obiettivo è di esaminare le idee di Levi sulla traduzione in rapporto al confronto tra il romanzo e il dramma che si farà nel capitolo seguente. Secondo Eco è essenziale aver avuto un’esperienza attiva o passiva della traduzione per poter formulare delle idee teoriche sul tradurre. 44 Senza dubbio le idee di Levi sulla traduzione si fondano innanzitutto sulle sue esperienze come traduttore, e in particolare su quelle delle due grandi traduzioni: quella del romanzo olandese di Jacob Presser e quella di Franz Kafka, pubblicata nella collezione Scrittori tradotti da scrittori di Einaudi. Inoltre c’è stata l’esperienza del critico che ha commentato le traduzioni delle proprie opere. Oltre a Levi traduttore, sarà quindi interessante studiare i commenti dello scrittore alle traduzioni di Se questo è un uomo romanzo. Il volume Diffusione e conoscenza di Primo Levi nei paesi europei,45 in cui diversi studiosi di Levi provenienti da quasi tutti paesi europei descrivono la diffusione dello scrittore nel loro paese, dimostra che la fortuna internazionale dello scrittore è stata enorme. Nel corso degli ultimi cinquant’anni il romanzo di Levi è stato tradotto in più di quaranta lingue. Considerato l’importanza attribuito dallo scrittore alla diffusione della sua testimonianza, egli ha sempre seguito con attenzione e commentato le traduzioni della sua opera. 44 Siri Nergaard a.c.d., Teorie Contemporanee della Traduzione, Bompiani, Milano, 1995, p. 122. Giovanni Tesio a.c.d., La manutenzione della memoria. Diffusione e conoscenza di Primo Levi nei paesi europei, Centro Studi Piemontesi, Torino, 2005. 45 15 A questi commenti si aggiunge l’importante saggio Tradurre ed essere tradotti di Levi stesso. Nel 1985 Einaudi pubblicò il volume L’altrui mestiere, in cui sono raccolti una cinquantina di saggi di Levi, tra cui Tradurre ed essere tradotti, scritto dopo che aveva tradotto la novella di Presser. Da una parte lo scrittore affronta nel saggio le difficoltà e i problemi linguistici che aveva incontrato durante le sue esperienze di traduttore. Gli stessi problemi vengono discussi in alcuni degli altri saggi nel volume, dedicati in particolare al linguaggio, ai dialetti e all’etimologia. Si può dire che Levi si è immerso profondamente nell’attività della traduzione; il saggio è basato però anche sull’esperienza dell’essere tradotto. Qui di seguito discuterò alcune idee di Levi, per cercare di ricostruire i principali aspetti della sua ‘poetica traduttiva’. 2.2. Equivalenza perfetta ‘In certo modo, non si trattava di una traduzione ma piuttosto di un restauro: la sua era, o io volevo che fosse, una restitutio in pristinum, una retroversione alla lingua in cui le cose erano avvenute ed a cui esse competevano. Doveva essere, piú che un libro, un nastro di magnetofono’.46 In questa citazione Levi esprime la sua esigenza riguardo alla traduzione tedesca di Se questo è un uomo: la traduzione dovrebbe essere esattamente uguale al testo originale. Infatti, dalla corrispondenza tra Levi e Heinz Riedt, il traduttore tedesco, risulta che Levi insiste su una fedeltà assoluta al testo di partenza. L’esigenza di un’equivalenza perfetta deriva dal fatto che ‘Levi was aware that future generations would receive information about the extermination camps from survivor-witness testimonies and, in its widest sense, through the correct translation of those memoirs and memories’. 47 Per lo scrittore era quindi di fondamentale importanza che il traduttore facesse una riproduzione estremamente fedele del testo originale. L’esigenza di una traduzione perfetta si riflette quindi particolarmente nel processo traduttivo della traduzione tedesca di Se questo è un uomo. Questa esigenza ovviamente era nata dal fatto che quella tedesca era la più importante traduzione per Levi, come spiega nel saggio Lettere di tedeschi48: 46 Primo Levi, I sommersi, cit., p. 142. Robert S.C Gordon, The Cambridge Companion, cit., p. 157. 48 Cit. in: I sommersi e i salvati, pp. 137 – 161. 47 16 Quando, verso il 1959, seppi che un editore tedesco (la Fischer Bücherei) aveva acquistato i diritti per la traduzione, mi sentii invadere da un’emozione violenta e nuova, quella di aver vinto una battaglia. Ecco, avevo scritto quelle pagine senza pensare ad un destinatario specifico […]. All’annuncio di quel contratto, tutto era cambiato e mi era diventato chiaro: il libro lo avevo scritto sí in italiano, per gli italiani, per i figli, per chi non sapeva, per chi non voleva sapere, per chi non era ancora nato, per chi, volentieri o no, aveva acconsentito all’offesa; ma i suoi destinatari veri, quelli contro cui il libro si puntava come un’arma, erano loro, i tedeschi. Ora l’arma era carica49. Allo scrittore non importava la vendetta – essendo ‘stato intimamente soddisfatto dalla […] sacra rappresentazione di Norimberga’50 – ma voleva più che altro capire il popolo tedesco. Questo bisogno si riflette nel controllo ossessivo esercitato sul traduttore: ‘diffidavo [il traduttore] dal togliere o cambiare una sola parola del testo, e lo impegnavo a mandarmi il manoscritto della traduzione a fascicoli, capitolo per capitolo, a mano a mano che il lavoro procedeva; volevo controllarne la fedeltà, non solo lessicale ma intima’.51 David Mendel, nel suo articolo ‘Levi and Translation’, individua l’ossessività dello scrittore in un’altra forma: On nearly every page of his memoirs he inserted a wide variety of translation strategies – literal, adaptive, foreignizing, domesticating – to decode that camp language for us, with the ultimate goal of preserving the sound and authenticity of the original expressions, drawn and distorted from many source languages, as they were used and developed in Auschwitz.52 Questo controllo ossessivo non sarebbe stato possibile senza una stretta collaborazione tra Levi e il traduttore. Già nella prima traduzione inglese di Se questo è un uomo, pubblicata nel 1959, Levi aveva avuto la fortuna di una buona collaborazione con il traduttore Stuart Woolf. Questa buona collaborazione con il traduttore inglese era resa possibile da vari fattori. La proposta dello storico inglese a Levi di fare una traduzione inglese del romanzo nacque da un motivo paragonabile a quello dello scrittore torinese: per entrambi era necessario stimolare la diffusione della storia dei campi nazisti. Secondo Woolf ‘era importante che gli inglesi leggessero Se questo è un uomo’,53 visto che in quel periodo in Inghilterra si sapeva ancora poco dell’Olocausto. La loro collaborazione consisteva in incontri settimanali durante cui discutevano le scelte traduttive di Woolf e il progresso della traduzione. Così Levi poteva immediatamente giudicare la fedeltà della traduzione proposta. Primo Levi, I sommersi, cit., pp. 137 – 138. Ivi, p. 138. 51 Ivi, p. 139. 52 David Mendel, Primo Levi and Translation, p. 158. 53 Stuart Woolf, Tradurre Primo Levi, in “Belfagor, rassegna di varia umanità”, 65 (2010), p. 700. 49 50 17 La collaborazione diretta tra scrittore e traduttore facilitava la discussione su aspetti linguistici e strategie traduttive. Infatti, Levi afferma di aver imparato dalla collaborazione con i traduttoriinglese e tedesco di Se questo è un uomo che ‘traduzione e compromesso sono sinonimi’.54 Spiega: Ogni nostra lettera conteneva una lista di proposte e di controproposte, ed a volte su un singolo termine si accendeva una discussione accanita […]. Lo schema era generale: io gli indicavo una tesi, quella che mi suggeriva la memoria acustica a cui ho accennato a suo luogo; lui mi opponeva l’antitesi, “questo non è buon tedesco, i lettori d’oggi non lo capirebbero”; io obiettavo che “laggiú si diceva proprio cosí”; si arrivava infine alla sintesi, cioè al compromesso’.55 Il buon rapporto con il traduttore Woolf diventa il punto di partenza per le traduzioni successive: dalle corrispondenze emerge un certo modello di Levi Levi che segue sempre i propri traduttori, modello che, secondo Eco, ‘parte da una implicita esigenza di “fedeltà”’.56 Nell’ambizione di raggiungere l’equivalenza perfetta era quindi essenziale una stretta collaborazione tra l’autore e il traduttore. Da una buona collaborazione dovrebbe emergere, agli occhi di Levi, una buona traduzione. 2.3. Il controllo totale Potremmo dire che le esigenze di Levi discusse finora sono intimamente legate: per poter controllare la fedeltà bisogna avere una buona collaborazione. Mentre quelle esigenze emergono da esperienze positive, è stata un’esperienza negativa con la prima traduzione francese di Se questo è un uomo ad aver creato in Levi il bisogno di un controllo totale sulle traduzioni. In una lettera indirizzata al suo editore Einaudi, del 4 novembre 1966, Levi scrive: ‘Se questo è un uomo, tradotto in francese in fretta e furia (e a mia insaputa) dal primo venuto, è risultato letteralmente illeggibile’.57 Dalla lettera risulta che lo scrittore non era per niente soddisfatto della traduzione. Anzi, questa prima traduzione francese, pubblicata nel 1961, per Levi fu un grande fallimento a causa del fatto che era mancata una collaborazione fra traduttore e autore. Levi non aveva avuto nessuna influenza sulla versione definitiva, mentre se fosse stato coinvolto, ‘non 54 Primo Levi, I sommersi, cit., p. 142. Ivi, pp. 141 – 142. 56 Siri Nergaard a.c.d., Teorie, cit., pp. 122 – 123. 57 Marco Belpoliti, Opere II, Einaudi, Torino, p. 1592. 55 18 [avrebbe] fatto altro che identificarne le inadeguatezze’. 58 Levi ha provato invano a far ritirare le copie dal mercato. L’illeggibilità della traduzione si manifesta secondo Levi non solo in errori di lingua, ma anche in parecchi altri aspetti. In primo luogo il traduttore francese aveva cambiato il titolo, diventato J’etais un homme – ero un uomo – che chiaramente non corrisponde al titolo originale e al contenuto del romanzo. Poi sono stati omessi alcuni importanti riferimenti a Dante: ‘le chapitre “Le Chant d’Ulysse” se réduisait à quatre pages et demie’.59 L’influenza di Dante su Levi data dalla gioventù dello scrittore torinese: il poema è per Levi ‘un’opera fondamentale della letteratura italiana, che appartiene alla sua cultura di base, indubbiamente alla sua stessa cultura scolastica. È fra le prime opere che si imparano a memoria’. 60 Quest’importanza del poeta italiano cresce durante la prigionia di Levi ad Auschwitz, fino a diventare un’ancora di salvezza. La scelta da parte del traduttore francese di tagliare grandi pezzi del capitolo è quindi difficile da capire e da giustificare. Il traduttore aveva conservato la parte introduttiva, cioè il momento nella cisterna, e invece tagliato la parte più letteraria del capitolo. In realtà si tratta di una scelta traduttiva brutalmente target oriented, essendo Dante sconosciuto a gran parte del pubblico medio francese. Facendo cosi, il traduttore francese ha evidentemente sottovalutato l’importanza di Dante per Levi ad Auschwitz. Dopo il fallimento della traduzione francese, per evitare in futuro simili traduzioni povere, Levi ‘avait fait insérer dans ses contrats une clause lui permettant de vérifier la traduction de ses ouvrages dans les trois langues qu’il connaissait, l’anglais, le français et l’allemand’.61 2.4. La teoria di ‘Levi traduttore’ Le idee discusse finora danno un’immagine della ‘poetica traduttiva’ di Levi, basata sui suoi commenti alle traduzioni di Se questo è un uomo. Per completare il quadro è utile discutere brevemente le idee di Levi basate sulla sua esperienza di traduttore. 58 Stuart Woolf, Tradurre, cit., p. 705. Philippe Mesnard e Yannis Thanassekos, Primo Levi à l’oeuvre. La reception de l’oeuvre de Primo Levi dans le monde, Éditions Kimé, Paris, 2008, p. 217. 60 Daniela Napoli, La scelta della chiarezza, Einaudi, Torino, 2009, p. 60. 61 Philippe Mesnard e Yannis Thanassekos, Primo Levi à l’oeuvre , cit., p. 218. 59 19 Secondo Levi, tradurre significa in primo luogo ‘entrare nel corpo, nella pelle di un altro’,62 come ha fatto lui stesso traducendo il romanzo di Kafka: ‘mi sono trovato calato dentro il personaggio Joseph K., mi sono sentito processato come lui’. 63 Lo stesso ‘metodo’ dell’identificazione è stato usato per la traduzione della novella di Presser. Levi spiega: Per tutto il tempo [della traduzione de La notte dei Girondini] ho provato un’emozione violenta. Westerbork era il campo che gli olandesi avevano fatto per gli ebrei scappati dalla Polonia; sotto l’occupazione nazista era diventato un campo di smistamento da cui partivano i convogli per l’Est. Traducendo, ho rivissuto Auschwitz.64 Per rendere possibile e adeguata la traduzione, Levi come traduttore entra nella pelle dello scrittore, o anche del protagonista. Si può pensare che la somiglianza fra le trame di Se questo è un uomo e La notte dei Girondini, riguardante l’Olocausto, rendesse non troppo difficile l’identificazione con Presser e che questa identificazione contribuisse a a una traduzione piuttosto della novella olandese. Infatti, in un commento di Mario Baudino si legge: ‘Benché il traduttore insista nella prefazione sui difetti “letterari” del libro, il risultato è poi talmente “bello” e “firmato”, talmente d’autore, che a tratti sembra di leggere un romanzo dello stesso Levi’.65 Secondo Levi quello che potrebbe aiutare a calarsi nella personalità dell’autore o di un personaggio è la ‘sensibilità linguistica’,66 che è ‘l’arma più potente di chi traduce, ma che non si insegna nelle scuole’.67 Però, non basta disporre di una sensibilità linguistica per essere un buon traduttore. Il compito è più pesante: ‘si tratta di trasferire da una lingua a un’altra la forza espressiva del testo’. 68 Si tratta di evitare le trappole linguistiche, tra cui le più frequente sono le parole con più significati,69 i ‘falsi amici’,70 le frasi idiomatiche71 e i termini 62 Lina N. Insana, Arduous Tasks, cit., p. 179. Ivi, p. 180. 64 Ivi, p. 140. 65 Cit. in: Il caso Presser. La ‘complicità’ con i carnefici, La Stampa, 12 dicembre 1997. 66 Primo Levi, L’altrui mestiere, Einaudi, Torino, 1986, p. 112. 67 Ibidem. 68 Ivi, p. 110. 69 Pensate al verbo inglese to get, che è un verbo quasi indefinito. 70 I ‘falsi amici’ sono i termini che possono avere un significato diverso in un’altra lingua. Un esempio di Levi, discusso in Tradurre ed essere tradotti, è i ‘macarons’ francesi, che sono amaretti, ma un italiano potrebbe scambiarli per maccheroni. 71 Un esempio di Levi di una frase idiomatica è ‘siamo a posto’, che è una frase naturale per un italiano o per qualcuno che conosce bene l’italiano, però per uno straniero potrebbe significare qualcos’altro. 63 20 locali.72 Inoltre i vocabolari bilingui costituiscono, secondo Levi, ‘una pericolosa fonte di illusioni’,73 che possono ingannare il traduttore. Dall’altro canto la difficoltà del mestiere crea anche grandi soddisfazioni quando il traduttore riesce a‘trovare, o anche [a] inventare, la soluzione di un nodo’.74 Inoltre, nella storia alcune traduzioni ‘hanno segnato delle svolte nella storia della nostra civiltà’,75 come la traduzione della Bibbia in tedesco da Maarten Luther. In questa prospettiva, una traduzione può essere lo specchio di cambiamenti sociali o politici. Purtroppo, dice Levi, questi meriti del mestiere di traduttore vengono spesso dimenticati o sottovalutati. Nel suo saggio Tradurre ed essere tradotti Levi vuole soprattutto onorare il mestiere di traduttore e sottolineare che fare una traduzione è in fondo ‘opera sovrumana’.76 È comunque interessante notare quanto afferma Lina N. Insana: ‘what Levi practises in the way of translation is often very different from what he professes’. 77 In questa prospettiva è interessante mettere a confronto il contenuto di Tradurre ed essere tradotti e la traduzione del romanzo di Kafka. L’esperienza della traduzione della novella di Presser, su cui la maggior parte di Tradurre ed essere tradotti è basata, potrebbe poi essere applicata alla traduzione di Der Prozess. Nonostante che il saggio sia stato scritto due anni prima della traduzione, secondo la Insana ‘the essay has an uncanny relevance to that project’s unique problematic and its place in Levi’s thought’. 78 In Arduous Tasks la studiosa afferma che l’esigenza di Levi di una traduzione molto fedele contrasta con ciò che Levi ha fatto come traduttore: ‘the close and intense reading process that Levi details […] is seen as violently invasive when applied to his own work’.79 La Insana allude soprattutto alla critica mossa la traduzione leviana del romanzo di Kafka. Secondo Sandra Bosco Coletsos, che ha studiato cinque traduzioni italiane del romanzo di Kafka, la traduzione di Levi è leggibile, però troppo libera. 80 Levi stesso Levi spiega i termini locali così; ‘Ogni italiano sa cos’è la Juventus, e ogni lettore italiano di quotidiani sa a cosa si allude dicendo ‘il Quirinale’, ‘la Farnesina’, ‘piazza del Gesú’ […], ma se chi traduce un testo italiano non ha subito una lunga immersione nelle nostre faccende resterà perplesso’ (Primo Levi, Tradurre ed essere tradotti). 73 Primo Levi, L’altrui, cit., p. 110. 74 Ivi, p. 113. 75 Ibidem. 76 Ibidem. 77 Lina N. Insana, Arduous Tasks, cit., p. 10. 78 Ivi, p. 179. 79 Ivi, p. 10. 80 Cit. in: David Mendel, Primo Levi and Translation. 72 21 conferma nella postfazione della traduzione ‘that he had “corrected” Kafka’s text’81 e usato il suo proprio stile. Secondo Levi i suoi adattamenti erano necessari per rendere comprensibile al lettore italiano il testo di Kafka. 81 Ivi, p. 139. 22 3. Un confronto fra Se questo è un uomo romanzo e dramma La messinscena del libro [Se questo è un uomo] [è] effettivamente un’impresa impossibile. Un recensore svedese, Primo Levi in Svezia 3.1. L’itinerario del dramma La versione drammatica di Se questo è un uomo è stata accolta dalla critica in modi diversi. Secondo Sophie Nezri-Dufour l’adattamento teatrale era originale e assai diverso dal romanzo. Marco Belpoliti trova il dramma ‘un’ampia rivisitazione del testo originario’. 82 Levi stesso ha sottolineato specialmente la difformità tra romanzo e dramma: ‘Il copione teatrale di Se questo è un uomo è [...] diverso rispetto al libro […]. Alcuni episodi sono stati tolti, altri aggiunti, per poter rispondere alle esigenze di una tessitura nuova’.83 Qui è interessante aggiungere la critica alla prima rappresentazione del 1966. In un articolo pubblicato sulla Stampa un giorno dopo la première, Alberto Blandi si chiede perché la riduzione drammatica ha scarse risonanze e vibrazioni sulla scena. Secondo il recensore ‘la materia [...] ripugna alla rappresentazione’.84 Per di più, ‘la regia esaspera il realismo del testo’.85 Potremmo dire che la critica di Alberto Blandi rifletta la modesta fortuna di Se questo è un uomo dramma: la diffusione nei paesi europei non è stata così grande come quella del romanzo. Questa sfortuna ha innanzitutto a che fare con il momento in cui l’opera è stata rappresentata: come Levi aveva già sperimentato con il romanzo, poco dopo la guerra la gente non era ancora pronta a guardare in faccia la realtà dei campi di concentramento. Inoltre, si realizza una tournée limitata ‘[a] causa di una complessità dell’allestimento’. 86 Malgrado questa brutta partenza, la versione ha trovato la sua strada: nel corso degli anni è stata rappresentata in modi diversi, uno dei quali è interessante discutere. 82 Marco Belpoliti, Opere I, cit., p. 1411. Cit. in: ‘Allo Stabile torinese il diario di Primo Levi su Auschwitz’. 84 Alberto Blandi, cit. in: ‘L’inferno del Lager di Auschwitz in Se questo è un uomo di Primo Levi’. 85 Ibidem. 86 Marco Belpoliti, Opere I, cit., p. 1410. 83 23 Dagli anni ‘90 la rappresentazione del dramma ha preso nuove forme. Un primo esempio di quest’innovazione teatrale troviamo nella rappresentazione di Si c’est un homme del 2000 in Francia, dove ‘l’opera è stata interpretata da un unico attore, Jean-Claude Frissung che, senza nessun apparato scenico e col solo potere evocatore della parola, ha saputo trasmettere [...] il messaggio di Primo Levi, davanti a un pubblico attento e partecipo, composto in prevalenza da giovani’. 87 Secondo un recensore questa riproduzione della versione teatrale, cioè l’interpretazione del testo leviano da un solo attore, era ‘la più vera e la più fedele possibile’.88 Anche in Svezia, dove il dramma di Se questo è un uomo veniva considerato ‘un momento forte’,89 il testo leviano è stato interpretato da un solo attore, Michael Nyqvist, [che] narra l’esperienza di Levi, la storia di un testimone impegnato, non quella di una vittima né quella di un giudice. In nessun modo si cerca di enfatizzare gli aspetti drammatici della rappresentazione, non ci sono le divise a righe né i suoni dei treni, non c’è nessuna immagine.90 La versione svedese riscosse un grande successo, anche grazie alla scelta dell’attore Michael Nyqvist, che è un attore molto stimato in Svezia e all’estero. La nuova interpretazione della versione drammatica del 1966 mette l’accento sul trasferimento del messaggio leviano, togliendo all’opera ogni drammaticità. Le possibilità espressive, che assumono un ruolo fondamentale nella versione di Levi e Marché, sono state invece ridotte: una volta sola durante questa testimonianza dell’inferno del Lager c’è un supporto visivo: su un pezzo di tela strappata vengono proiettate le parole della Commedia [...] e una voce femminile recita le righe ‘Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza’.91 Pierpaolo Antonello chiama questa nuova forma teatro di narrazione; ‘a performative mode in which a solitary narrator on stage, the story-teller, recounts, in epic form, collective and personal stories or memories, as well as historical accounts of tragic events’.92 Si potrebbe 87 Giovanni Tesio, La manutenzione, cit., p. 40. Ivi, p. 261. 89 Ibidem. 90 Ibidem. 91 Ibidem. 92 Pierpaolo Antonello and Florian Mussgnug, Postmodern impegno. Ethics and Commitment in Contemporary Italian Culture, Peter Lang, Bern, 2009, p. 233. 88 24 chiamarlo anche ‘teatro civile’ oppure ‘teatro d’impegno’. Come era stata l’intenzione di Levi con la sua testimonianza, questa nuova forma di teatro si concentra sulla necessità di una memoria collettiva. Era quindi necessario ‘to preserve the memory of the dead, to keep records of deeds, to bear witness [...] and to recount it to others’.93 Gli attori del teatro di narrazione avevano lo stesso obiettivo di Levi: Nyqvist racconta come il suo compito sia stato ‘terribilmente difficile’, ogni rappresentazione fisicamente dolorosa, un’impresa resa possibile dall’assoluta fede di avere una missione da compiere. Per Nyqvist [...] c’è solo lotta contro la giustizia, che bisogna attivamente mettere in questione. [...] dichiara che a volte, in scena, diventa felice ed è come se fosse un messaggero che porti la staffetta.94 La conclusione che emerge da questi esempi è che in questo modo il teatro di narrazione rimane molto vicino alla letteratura. Levi stesso era molto contento del risultato della prima rappresentazione a Torino. Marché spiega: Sicuramente era felice. La sua testimonianza, questo ‘infliggere questa nostra esperienza’ come andava ripetendo, era stata recepita. Questo solo contava per lui. Si aspettava che la rappresentazione venisse rappresentata dappertutto, che andasse in giro per l’Italia intera, perché ‘nessuno deve dimenticare’, diceva. Purtroppo non fu possibile.95 Il teatro era per il Levi scrittore una nuova forma d’arte tramite cui poteva raccontare diversamente la sua esperienza di Auschwitz. Nonostante la sua inesperienza con il teatro, gli aspetti teatrali sono descritti precisamente e utilmente usati nelle didascalie inserite tra i dialoghi, come per esempio: All’esterno il fischio lacerante di una bomba che cade. Esplosione. Bombardamento con effetto di aerei. Le luci si spengono: fragore dei vetri della porta e delle finestre, rotti. [...] Altre esplosioni. [...] Silenzio assoluto all’esterno rotto solo dal sibilo del vento che fa sbattere le finestre e la porta.96 Interessante nella traduzione dal romanzo al dramma è la collaborazione tra Levi e Marché. Quest’ultimo era stato uno degli attori della versione radiofonica di Se questo è un uomo e 93 Ivi, p. 250. Ivi, p. 261 – 262. 95 Cit. in: Brandoni, Manila, Gaudenzi, Rossella e Sorrentino, Tiziana a.c.d., Se questo è un uomo. Da De Silva a Einaudi, p. 26. 96 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 97. 94 25 aveva scritto una scaletta iniziale per la riduzione teatrale. In base a questa scaletta‘Levi lavorò a una prima riduzione, poi il testo fu ridiscusso innumerevoli volte sino ad arrivare alla versione pubblicata a stampa’.97 Quindi, a prima vista Levi rimane nel suo ruolo di scrittore. Considerato l’alto livello letterario del testo teatrale è molto probabile che Levi abbia avuto una grande influenza sulla versione pubblicata. Sembra infatti più ovvio che Marché, in collaborazione con il direttore del teatro torinese Gianfranco De Bosio, avesse determinato gli effetti teatrali. Tuttavia, il coinvolgimento dello scrittore nella produzione del testo teatrale si può interpretare come ‘massimo’. In una lettera a Einaudi del 23 novembre 1965 Levi spiega il suo ruolo nel processo traduttivo: ‘da parte mia, c’è stata una profonda elaborazione del testo, con soluzioni teatrali non sempre ovvie, che mi è costata non meno di un anno di lavoro’.98 Infatti, nella collaborazione è stato Levi solo a scrivere il testo drammatico, compresi gli aspetti teatrali. Poi, per la sua esperienza con il teatro, è stato Marché a perfezionare gli aspetti drammatici, ma sempre insieme con Levi. Nonostante che la conoscenza di Levi del teatro fosse poca, durante il lavoro traduttivo egli svolgeva anche altri ruoli. Marché spiega: Mi permisi qualche suggerimento: secondo me si sarebbe dovuto stemperare il ruolo di Aldo; in scena tutti gli interpreti dovevano essere come ombre che si staccavano dal fondo della scena... che nell’impossibilità di rappresentare fisicamente le SS si sarebbe potuto ricorrere a voci in tedesco, quelle voci latranti di cui parlava nel libro... Mi stette a sentire per un po‘ e poi m’interruppe: ’Senta, disse, se proprio ci crede, lo faccia’. ‘Ma da solo non ce la farò mai, nessuno ci riuscirebbe. Ho bisogno dell’aiuto di chi ha vissuto quell’esperienza’, feci io . ‘Lei lo scriva, ribatté, e quando ha finito venga a trovarmi’. Fu così. Mi presentai a casa sua a Torino con le bozze. Lui cominciò a leggere: notò subito ciò che non andava, ma anche le cose che potevano andare. Mi fece entrare nel suo studio e cominciammo a lavorare a quattro mani, scucendo e ricucendo, smembrando le pagine del libro e ricomponendole nelle battute. Per arrivare alla stesura definitiva impiegammo due anni.99 Nella loro collaborazione Levi e Marché seguono chiaramente le due fasi traduttive descritte da Marcello Pagnini: ‘la prima riguarda la presa di possesso paradigmatica del testo; la seconda il processo della messinscena. La prima può essere indifferentemente fatta sia da un semplice letterato che da un regista o da un attore: l’interpretazione del testo, in quanto ermeneutica paradigmatica, non differirà sostanzialmente da quella di qualsiasi scritto letterario. La seconda sarà invece, ovviamente, una operazione specialistica degli uomini di teatro, e di essa si dovrà parlare dettagliatamente’.100 97 Marco Belpoliti, Opere I, cit., p. 1410. Ibidem. 99 Valeria Parboni, cit. in: ‘Il ricordo di Marchè: Così convinsi Levi a mettere in scena l’orrore di Auschwitz’. 100 Marcello Pagnini, Pragmatica, cit., p. 89. 98 26 A questo riguardo è interessante indagare l’influenza che lo scrittore ha esercitato sugli altri aspetti teatrali. In una lettera a Marché scrive: Caro Alberto, ti rispondo da Torino dove sono appena rientrato... sabato scorso ho avuto un secondo incontro con De Bosio. Si sono fatti solo discorsi generali per la scenografia e i costumi... la responsabilità e la firma spettano solo a Polidori che mi è sembrato molto serio e impegnato. Gli ho scritto, su sua richiesta, una lettera dettagliata con schizzi per i costumi... 101 In un’altra lettera a Gianni Polidori, il costumista, Levi descrive ‘l’abbigliamento dei deportati e i loro oggetti d’uso, corredat[o] da disegni’. 102 Da queste lettere possiamo concludere che Levi ha anche avuto una certa influenza sui costumi e sulla scenografia. Per restare fedeli alla realtà di Auschwitz avevano naturalmente bisogno di Levi come testimone diretto. In questo modo lo scrittore poteva comunque mantenere il controllo totale. Infatti, si può dire che il testo teatrale dimostri tanta ‘equivalenza funzionale’ con il testo narrativo, che si rivela dappertutto l’influenza di Levi sul testo della versione teatrale. Dai fatti discussi finora possiamo già trarre una conclusione preliminare per quanto riguarda la corrispondenza delle strategie traduttive con le idee che Levi ha espresso sulla traduzione. L’alta misura di coinvolgimento dello scrittore fa immediatamente pensare ai rapporti tra Levi en i suoi traduttori di Se questo è un uomo romanzo discussi nel capitolo precedente. È la forma di collaborazione preferita da Levi perché gli permette il controllo assoluto e totale sulla versione definitiva. 3.2.1. Lo spettatore fatto partecipe ‘Il pubblico che legge, anche quello che ascolta la radio, è lontano, nascosto, anonimo: il pubblico teatrale è lí, ti guarda, ti aspetta al varco, ti giudica’.103 Dalla citazione emerge la paura di Levi per il pubblico di teatro. Chiaramente la presenza fisica del pubblico nel teatro è una delle principali differenze con la letteratura: ‘While other art forms presuppose a more passive relationship between the art object and the audience, the theatre’s temporal and 101 Ibidem. Marco Belpoliti, Opere I, cit., p. 1411. 103 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo,cit., p. 8. 102 27 physical nature evokes immediate and intense interaction, permitting less evasion by encouraging greater subjective involvement’.104 Ovviamente, la presenza fisica vale anche per gli attori sul palcoscenico, creando ‘la possibilità per gli spettatori di identificarsi con personaggi così lontani da loro, e dunque di “capire” quel mondo per altri versi così alieno’.105 In questa prospettiva, richiede dal dramma uno stile realistico. È proprio questo ‘realismo’ degli attori e del pubblico che distingue il teatro dalla letteratura: ‘The theatre possesses an immediacy and impact which surpasses all the other art forms’. 106 Il pubblico e gli attori fanno letteralmente rivivere la storia dell’Olocausto sul palcoscenico. Contemporaneamente, la presenza fisica del pubblico potrebbe contribuire al trasferimento del messaggio leviano, cioè ‘raccontare agli “altri’ [e] fare gli “altri” partecipi’, 107 visto che il pubblico diventa veramente parte dell’esperienza. Ripeto che l’obiettivo morale delle testimonianze, cioè ‘le sue finalità pedagogiche ed etiche’, 108 era molto importante per gli scrittori dell’Olocausto. In questa prospettiva il pubblico fisico a teatro favorisce lo scopo esecutivo del romanzo: Levi non voleva solo dare informazioni sugli orrori nazisti, ma anche influenzare i suoi spettatori, cambiare le loro idee e il loro comportamento. Se questo è un uomo dramma richiede quindi un pubblico che non è solo ‘ricettivo’, ma anche ‘produttivo’. I lettori dei suoi libri sono sempre stati molto importanti per lo scrittore torinese: ‘Io penso che si debba scrivere per il lettore, per procurargli gioia o anche solo diletto, e per migliorarlo: non per stupire o esibirsi, non per fare quattrini’.109 3.3. Verso una dimensione universale Rivolgendosi dunque ad un pubblico più concreto, il teatro, oltre a contribuire a un efficace trasferimento del messaggio leviano, favorisce anche il carattere universale dell’esperienza. Potremmo dire che nel romanzo l’enfasi cada soprattutto – e inconsciamente – sul deportato Primo Levi. Infatti, è lui il protagonista vero e proprio del racconto: è la sua testimonianza, sono le sue esperienze e i suoi sentimenti. La versione teatrale invece acquista una 104 Robert Skloot, The Theatre, cit., p. 16. Jone Gaillard, Cavalleria Rusticana, cit., p. 187. 106 Robert Skloot, The darkness we carry, The University of Wisconsin Press, Wisconsin, 1988, Introduction xiv. 107 Primo Levi, Se questo, cit., p. 9. 108 Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale di Se questo è un uomo, in “Memoria collettiva e memoria privata: il ricordo della Shoah come politica sociale”, Italianistica Ultraiectina 3, Igitur, Utrecht, 2008, p. 78. 109 Marco Belpoliti, Opere I, cit., p. 1197. 105 28 dimensione collettiva: si concentra su tutte le vittime dei campi di concentramento, cioè anche quelle che non ci sono sopravvissuti. Questa dimensione universale viene riflessa in primo luogo in alcuni personaggi. Il dramma si concentra su un gruppo di più personaggiche si muovono sempre nsieme, cioè Aldo, Alberto, Flesch, Schlome, Jean, Piotr, Resnyk, Elias, Nogalla e 018. Sono tutti dei personaggi che nel romanzo erano stati trattati invece come individui. Uno dei protagonisti è l’alter ego ‘teatrale’ di Levi, chiamato Aldo, che percorre gli stessi momenti ad Auschwitz, tra cui il periodo nel Krankenbau e nel laboratorio. 110 Inoltre, egli esercita la stessa professione di chimico. È solamente il cambiamento del nome che impedisce un’analogia netta con il romanzo, e quindi anche con l’esperienza di Levi solo. Il dramma pone invece l’accento sul deportato ‘anonimo’ che, nello stesso tempo, rappresenti tutti i deportati. Un’altra differenza con il romanzo che favorisce l’universalità è il ruolo del migliore amico di Levi nel campo: Alberto. Nel dramma è già presente dall’inizio, è il primo personaggio che prende la parola e, stando sempre insieme con Levi, diventa, insieme con Aldo, uno dei protagonisti del dramma. Nel romanzo invece Alberto viene introdotto solo nel quinto capitolo Le nostre notti. L’amicizia tra Alberto e Levi ha giocato un ruolo decisivo nella sopravvivenza dello scrittore ad Auschwitz. I due erano inseparabili e avevano stretto una specie di alleanza in cui si dividevano il cibo e altre cose utili. Visto che Alberto era italiano, non esisteva una barriera linguistica. Quest’amicizia con Alberto, una ‘delle sue amicizie personali più durature e intense’,111 aveva avuto un ruolo fondamentale nella lotta di Levi contro la distruzione della propria dignità nel Lager. Alberto gli ridà la forza per continuare a vivere. Un amico così affidabile, umano e amato, in un mondo bestiale in cui ci si trova soli, può avere un significato determinante. La differenza tra romanzo e dramma si dimostra anche nel modo in cui Alberto viene presentato. Nel romanzo lo scrittore dà maggiore spazio alla figura dell’amico, sottolineando l’importanza della loro amicizia per la sua sopravvivenza ad Auschwitz. Nel dramma è fuori questione che è stato proprio Alberto ad aiutare Levi a sopravvivere. 110 Durante la sua prigionia ad Auschwitz, Primo Levi è ricoverato due volte in infermeria, detta anche Ka-Be, l’abbreviazione di Krankenbau. Era l’ospedale di Auschwitz, separato dal campo da una cancellata e composto di otto baracche. Qui intendo il primo ricovero, durante il quale Levi scopre che il Krankebau è l’unico posto piacevole nel campo dove si può riacquistare le forze. Alla fine della sua esperienza lavora per poco tempo nel laboratorio come operaio specializzato. Del laboratorio parlerò più ampio nel quarto paragrafo. 111 Dora Bertucci e Soravia Bruna, Primo Levi: Le virtù dell’uomo normale, Carocci, Roma, 2003, p. 195. 29 Oltre ad Alberto, anche il ruolo della figura di Lorenzo è differente nel dramma. Lorenzo era un ‘civile’ che lavorava come muratore fuori il campo di Auschwitz. Per sei mesi Levi riceveva aiuto dall’italiano, che gli forniva cibo e vestiti. Nel fare questo, Lorenzo aiutava Levi a sopportare gli infiniti giorni nel campo. Per Levi, Lorenzo era ‘un uomo’. Nel romanzo il lettore nota il carattere difficile del muratore, visto che non parla tanto. Nel dramma invece il carattere di Lorenzo è cambiato considerevolmente. Visto che nel teatro i dialoghi hanno il sopravvento, Lorenzo parla di continuo. Racconta alcuni aspetti della sua storia che non si trovano nel romanzo ma che possiamo rileggere nel Ritorno di Lorenzo. 112 Poi colpisce il fatto che è cambiato anche il nome di Lorenzo: nel dramma diventa Pietro, per cui manca di nuovo la connessione diretta con il romanzo. Una strategia traduttiva ricorrente è quindi il cambiamento dei nomi di alcuni personaggi importanti del romanzo, che non può che essere un modo per non ‘fare violenza’ ai deportati. Lorenzo, che viveva ancora nell’anno della prima rappresentazione del dramma, con la sua ‘reincarnazione’ si sarebbe trovato ad affrontare di nuovo l’esperienza. Inoltre, gli scrittori cambiando i nomi mettevano l’attenzione non su una ma su tutte le vittime dei nazisti. Come ha detto Pirandello: “Un lavoro drammatico dovrebbe risultare come scritto da tanti e non dal suo autore, come composto per questa parte, dai singoli personaggi, nel fuoco dell’azione, e non dal suo autore”. 113 Il testo teatrale dovrebbe dunque dare spazio alle prospettive autonome dei personaggi, anziché privilegiare quella dell’autore. Nondimeno, come spiega Stewens, dietro queste prospettive dei personaggi c’è naturalmente sempre la prospettiva dell’autore. Anche la presenza del coro favorisce l’aspetto universale del dramma. Nel romanzo il narratore è l’individuo Levi che racconta la storia da lui vissuta ad Auschwitz. Nel dramma questo ruolo viene assunto innanzitutto da un autore, il cui monologo apre il dramma: All’aprirsi del sipario la scena è completamente buia. Un fascio di luce illumina il volto dell’autore al centro della scena. Autore: A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ‘ogni straniero è nemico’. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo.114 112 Cit. in: Tutti i racconti. Cit. in: Dorothea Stewens, Pirandello, cit., p. 18. 114 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 13. 113 30 Successivamente, in una rapida transizione, il coro, composto da più attori, prende il ruolo di narratore: ‘La luce sull’autore dissolve mentre in assolvenza la luce scopre il coro: [...] fuori della scena che rimane al buio’.115 È il coro che mantiene per il resto del dramma questo ruolo di narratore: l’autore non torna più. Come già detto nel paragrafo dedicato alla traduzione dal testo narrativo al testo drammatico, con riferimento alla funzione del coro potremmo dire che da una parte il romanzo e il dramma sono due opere autonome con una propria funzione, mentredall’altra c’è un forte rapporto di dipendenza. Sono due opere autonome per quanto riguarda la presenza del coro, assente nel romanzo e formando un’aggiunta importante al dramma. Il coro offre a Levi e Marché la possibilità di dare una voce a tutti i deportati. Mentre il romanzo comincia con la frase ‘Ero stato catturato dalla Milizia fascista il 13 dicembre 1943’,116 presentando quindi il racconto di una sola persona, il dramma invece apre quasi immediatamente con l’introduzione del coro, ponendo così l’accento sull’aspetto universale del dramma. Non è più il solo Levi a raccontare l’esperienza, dato che ‘il narratore’ consiste di sei uomini e sei donne. ‘Costantemente present[e] come sfondo, commento e punto di riferimento delle vicende e dei protagonisti […]’,117 il coro parla sempre di ‘noi’: Primo uomo ... Porteremo finché vivremo il marchio... Secondo uomo ... Il numero tatuato sul braccio sinistro... Terzo uomo ... Allora, per la prima volta... Quarto uomo ...Ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest’offesa... Primo uomo ... La demolizione di un uomo. Quinto uomo ... Noi non siamo più uomini ma prigionieri...118 Considerato il carattere spesso descrittivo delle testimonianze dei campi di concentramento, potremmo dire con Vivian Petraka che ‘[...] testimony is not easily translatable into theatre’.119 Nel dramma di Levi le parti descrittive del romanzo sono trasformate soprattutto nei dialoghi del coro. Interrompendo spesso i dialoghi dei personaggi, il coro crea così una certa tensione: 115 Ibidem. Primo Levi, Se questo, cit., p. 11. 117 Jone Gaillard, Cavalleria Rusticana, cit., p. 180. 118 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 26. 119 Vivian M. Patraka, Spectacular Suffering, cit., p. 87. 116 31 La scritta appare sul fondo della scena. Secondo uomo …”Arbeit macht frei”… Terzo uomo …”Il lavoro rende liberi”… Via la scritta dal fondale. Quarto uomo …Siamo scesi… Quinto uomo …Ci hanno fatti entrare in una camera vasta e nuda… Da questo punto la luce scopre in scena il gruppo dei deportati che passeggiano nervosamente. In un angolo sta un rubinetto con un cartello: “Wassertrinken verboten”. Sesto uomo …Debolmente riscaldata… La luce sul coro comincia a dissolvere. Primo uomo …Sono quattro giorni che non beviamo… Secondo uomo …Il leggero fruscio dell’acqua nei radiatori ci rende feroci. Buio sul coro.120 Riprendendo i brani più importanti e significativi del romanzo, il coro rappresenta un importante collegamento con il testo originale: ‘Accuratamente scelti, [...] rappresentano una realtà verbalmente indicibile’. 121 Il coro si assume anche il ruolo ‘tradizionale’, cioè di descrivere quello che succede. Diversamente dal romanzo, nel dramma è necessario guidare il pubblico a una conclusione. Nella versione teatrale di Levi e Marché è il coro che esercita questo compito, citando all’inizio la poesia con cui Levi apre il romanzo. Alla fine sono tutti i personaggi a concludere il dramma citando di nuovo la poesia, che sottolinea lo scopo morale della rappresentazione, cioè che l’Olocausto non dovrebbe mai ripetersi. Gianfranco De Bosio, il direttore del teatro Carignano a Torino, ha considerato la versione teatrale di Levi e Marché ‘[a] high point of a long evolution and also the beginning of a new theatre’. 122 Potremmo concludere che a questa novità contribuisce significativamente il ruolo svolto dal coro. 3.4. La predominanza del disumano nel dramma Si dice in genere che la traduzione dal romanzo al dramma implica una riduzione del tempo, e quindi una riduzione del testo di partenza. Nella traduzione dal romanzo Se questo è un uomo al dramma Levi e Marché erano costretti a tagliare alcuni pezzi del romanzo. Considerato che il dramma ‘offre une représentation crue et palpable, extrêmement physique, Ivi, pp. 20 – 21. Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale, cit., p. 78. 122 Gianfranco De Bosio in ‘Note di regia’, I Quaderni. Cit. in: Staging the Holocaust, cit., p. 236. 120 121 32 de l’univers d’Auschwitz’, 123 si può dire che Levi e Marché hanno scelto i momenti più intensi del romanzo, tra cui la prigionia nel campo di Fossoli, la deportazione, le selezioni, i momenti di sogno e di fame, la difficoltà di comunicazione, la confusione e il caos, mettendo così l’enfasi sul disumano dell’esperienza nel campo. Per andare incontro al gusto del pubblico, Levi tralascia invece gli aspetti umani che sono così importanti nel romanzo. Il laboratorio Diremmo con la Nezri-Dufour che ‘l’adaptation théâtrale de Si c’est un homme favorise la visualisation du camp relève de l’évidence’. 124 Questo si riflette naturalmente nella scenografia, che dà una nuova interpretazione al testo narrativo: i materiali fisici fanno vivere il testo leviano, che per il pubblico diventa palpabile. Gli oggetti sono numerosi e descritti per esteso nelle didascalie numerose, e per lo più pratiche: ci troviamo la descrizione dell’ambiente, delle azioni e dei movimenti dei personaggi, dei tratti fisici e caratteriali dei personaggi. Dalla discussione di Helga Finter risulta infatti che Levi e Marché hanno dato molta attenzione alla scenografia: The stage, entirely covered by a structure of movable wooden beams, was divided into two sections, one was fixed, the other movable. The beams had been oxidized by flame and darkened by carbon soot. [...] Another movable structure of four wooden folding screens, also grey, served as the exterior walls of the Fossoli camp or the train, as the gate to Auschwitz, as the walls of the huts, as an office in Buna, and so on. Wooden superposed bunks, a blockboard, a desk, gallows and other precise accessories like a stove or a vat for soup were the only mimetic objects in this abstract space.125 Per gran parte del dramma il palcoscenico è occupato dall’interno di un Block, rappresentato in modo molto realistico e dettagliato: Sul fondo della scena, in centro, una baracca in legno della quale è visibile l’interno ove sta una panca, una stufa, il recipiente della zuppa, le gamelle dei deportati e attrezzi vari di lavoro. Nella parete di fondo della baracca vi è una finestra a vetri chiusa. Alla baracca si accede per una porta situata in una delle pareti laterali. Sempre sul fondo della scena, ma da un lato, sollevato da terra a mezzo di cunei e rulli, sta un grosso parallelepipedo di metallo grigiastro. Dall’altro lato una catasta di traversine in legno, di quelle comunemente usate nella costruzione delle strade ferrate. Vicino alle traversine, alcuni rulli di ferro. Sul panorama di fondo (in proiezione) si intravede, incombente nel rigore della giornata Sophie Nezri-Dufour, Primo Levi et le théâtre face au défi de l’irrationnel, in “Théâtres du monde”, 7 (1997), p. 140. 124 Ibidem. 125 Claude Schumacher, Staging the Holocaust, cit., pp. 238 – 249. 123 33 invernale, la sagoma della torre del carburo: è altissima, tanto che la sommità si perde sfumando nella cappa grigia del cielo.126 Anche la scenografia privilegia i momenti disumani, selezionati con cura dal romanzo, come ‘i cartelli delle docce che rappresentano l’immagine dello Häftling’127 e ‘la scritta [...] sul fondo della scena: [Arbeit macht frei]’128, chiaramente illuminata. Tra le scene scelte per il dramma c’è anche quella del laboratorio.129 In un primo momento, il laboratorio è presentato come un paradiso: ‘questo è il paradiso, ricordalo bene’.130 Sul palcoscenico gli elementi scenici presentano ‘un comune laboratorio chimico industriale; niente deve ricordare lo squallore essenziale del Lager che pervade tutte le altre scene’.131 Secondo Claude Schumacher, l’uso di colori distingue il laboratorio dal resto del campo. Sono rappresentati ad esempio le tre ragazze tedesche che lavorano nel laboratorio: The only spots of colour were those of the secretaries’ dresses at the Buna offices, contrasting with the grey and sombre universe of the camp.132 Infatti, Levi e Marché enfatizzano il carattere piacevole del posto usando per i vestiti delle ragazze tedesche ‘colori vivaci’: Tutte e tre sono vestite a colori vivaci, bionde e ben pettinate.133 Contemporaneamente, potremmo dire che è proprio l’aspetto umano della situazione nel laboratorio che sottolinea l’esistenza da schiavi dei deportati. Perfino in questo posto umano predomina il disumano, riflesso nella gerarchia: 126 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 33. Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale, cit., p. 79. 128 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 21. 129 Vedi: il quindicesimo capitolo Die drei Leute vom Labor nel romanzo. La scena nel laboratorio sottolinea a prima vista l’umano nel campo. Nonostante che il laboratorio si trovi dentro il campo, sembra un mondo totalmente diverso. Levi discute nel romanzo il piacevole del posto: è pulito, tranquillo, non troppo caldo, e, come nel Krankenbau, c’è meno disumanità. Nondimeno, il periodo nel laboratorio rappresenta soprattutto le grandi differenze nella gerarchia nel campo. Nel capitolo stanno centrale i rapporti con il personale civile del laboratorio e il fatto che Levi e gli altri prigionieri vengono trattati come bestie. 130 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 86. 131 Ivi, p. 85. 132 Claude Schumacher, Staging the Holocaust, cit., p. 249. 133 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 87. 127 34 Le ragazze del laboratorio. Hai dimenticato che al mondo ci sono anche le ragazze? Mica male, sai, ragazze tedesche civili, belle, pulite e ordinate. Invece di tenere in ordine il laboratorio, come dovrebbero, cantano, chiacchierano, fumano… rompono la vetreria e cercano di dare la colpa a noi 134. Aldo (si guarda attorno perplesso, poi comprende che Stawinoga allude al barattolo portato dalla terza ragazza. Si avvicina a questa con grande imbarazzo) Darf ich die Muster nehmen? Terza ragazza (lo guarda infastidita, non gli risponde e si volge a Stawinoga) Mit den Stinkjuden möchte ich lieber gar nicht mitmachen! (Volge le spalle). Stawinoga (a Aldo, serio e freddo, ma con imbarazzo) Prego, Monsieur, sempre a me fate domande. Mai parlate con signorine […].135 La canzone del Cantastorie Come gli elementi scenici visivi, anche lo scenario sonoro offre a Levi e Marché un nuovo modo per rappresentare l’universo concentrazionario in modo più immediato. Sono soprattutto i rumori spaventosi a rappresentare il dolore, creando nel pubblico la stessa paura sperimentata dai deportati. Così il pubblico viene coinvolto totalmente nell’esperienza di Auschwitz. Ricorrenti sono i sonori ‘naturali’, come il ‘sibilare del vento [con] reazione di freddo da parte dei deportati’,136 ‘il suono frequente e ossessivo della campana del campo’137 e ‘il fischio della sirena di mezzogiorno’,138 sempre dall’altoparlante. Poi, sono presenti i sonori che rappresentano il dolore fisico, come i prigionieri che durante la notte ‘sbattono le mandibole come se sognassero di mangiare’.139 Sono tutti sonori che favoriscono solamente e violentemente l’orrore di Auschwitz e la sua demolizione dell’uomo. Teatralmente Se questo è un uomo esegue in modo adeguato il dolore psicologico dei deportati. Questo viene rappresentato negli ordini e nelle voce dei tedeschi: ‘contemporaneamente cresce il volume della voce tedesca in altoparlante sino a distorcersi in suono incomprensibile e assordante’.140 Fino a questo punto abbiamo discusso soltanto i ‘cambiamenti obbligatori’, vale a dire le strategie che Levi e Marché hanno usato per convertire il romanzo leviano in un testo drammatico. In questa prospettiva, e considerato il carattere peculiare del soggetto di Se questo è un uomo, è chiaro che le somiglianze con il romanzo sono numerose, e le 134 Ibidem. Ivi, pp. 87 – 88. 136 Ivi, p. 22. 137 Ivi, p. 78. 138 Ivi, p. 37. 139 Ivi, p. 39. 140 Ivi, p. 81. 135 35 innovazioni invece poche. Sono soprattutto gli aspetti specificamente teatrali a creare le differenze con il romanzo. È interessante a questo punto discutere le aggiunte drammaturgiche, tra cui la canzone del Cantastorie, che è del tutto assente nel romanzo. Il personaggio del Cantastorie entra durante il primo soggiorno141 nel Krankenbau e, cantando il ‘Börgermoorlied’, cioè la famosa canzone tedesca dei prigionieri dei campi di concentramento, offre un attimo di intrattenimento ai prigionieri ricoverati nell’ospedale. Quando esistevano delle prospettive di guarigione, il Ka-Be era un posto piacevole dove il prigioniero poteva riacquistare le forze. Nel dramma, questa canzone simboleggia l’umanità del posto; durante la seconda guerra mondiale rappresentava per i prigionieri dei campi la resistenza ai capi. Sono presenti altre canzoni nel dramma, tra cui Rosamunda, su cui Levi osserva nel romanzo che ‘sono la voce del Lager, l’espressione sensibile della sua follia geometrica, della risoluzione altrui di annullarci prima come uomini per ucciderci poi lentamente’.142 Le selezioni Le selezioni nei campi di concentramento rappresentano il culmine della disumanizzazione. Nei momenti più inaspettati, e spesso senza motivi, i prigionieri venivano chiamati per una selezione, che era quasi sempre una selezione per le camere a gas. Durante queste selezioni ‘tutto era incomprensibile e folle […]’. 143 Sia il romanzo che il dramma presentano due momenti di selezione ad Auschwitz, cioè quella immediatamente dopo l’arrivo al campo e quella più tardi e inaspettata, nell’ottobre 1944. La differenza nella rappresentazione delle selezioni per le camere a gas, tra romanzo e dramma, sta soprattutto nell’uso del mimodramma, cioè la comunicazione per via di gesti, che sottolinea il disumano della selezione. Romanzo Come tutti, sono passato con passo energico ed elastico, cercando di tenere la testa alta, il petto in fuori e i muscoli contratti e rilevati.144 Dramma Tutti i prigionieri si sforzano di effettuare questo percorso con passo energico e agile, tenende il petto in fuori e la testa alta.145 141 Sia nel romanzo che nel dramma Levi è stato ricoverato due volte al Krankenbau: la prima poco dopo l’arrivo al campo con una ferita al piede, la seconda poco prima della liberazione di Auschwitz. 142 Primo Levi, Se questo, cit., p. 45. 143 Ivi, p. 18. 144 Ivi, p. 114. 36 Come dimostrano queste citazioni, il mimodramma esprime principalmente le sofferenze del corpo: ‘La gestualità e il mimodramma presentano […] l’interesse di proporre un senso al di là delle parole’.146 In questa prospettiva, essi offrono una soluzione per il problema che Levi incontrava scrivendo il romanzo Se questo è un uomo, cioè di trovare la lingua adeguata per descrivere l’orrore dell’esperienza. Potremmo dire che i gesti completano le situazioni inesprimibili. Dando espressione alle cose indicibili, il mimodramma rafforza la disumanità nelle scene più terribili. Levi e Marché spesso fanno uso del mimodramma per rafforzare la confusione: Qualcuno piange, altri chiamano per nome i loro parenti, altri imprecano per la sete. Si crea una certa confusione. Rumore di porta aperta, sibilare del vento e reazione di freddo da parte dei deportati che cercano di ripararsi alla meglio. [...] qualcuno si accascia a terra, altri rimangono assorti a pensare, qualcuno si siede tenendosi la testa fra le mani.147 Secondo la Patraka ‘we have no language for representing the body in pain […]. Another person’s physical pain is an invisible geography, especially in extreme cases such as torture, that not only resists language but actively destroys it’.148 In questo senso, visto che la lingua non è in grado di esprimere l’indicibile, la gestualità permette di rappresentarlo, utilizzando il linguaggio del corpo e delle espressioni facciali. Se poi prendiamo in considerazione la rappresentazione della selezione che avviene immediatamente dopo l’arrivo ad Auschwitz, potremmo dire che in quel momento la differenza tra romanzo e dramma stia nell’occupazione dello spazio. Durante questa prima e rapida selezione venivano mandati direttamente alle camere a gas le donne, i bambini, i vecchi e i malati. Gli uomini in grado di lavorare utilmente per il Reich, tra cui Levi, venivano invece portati ai campi di Buna-Monowitz. Nel dramma, durante la scena della prima selezione ‘i prigionieri sono significativamente mandati in direzioni opposte.149 Qui sembra lecito dire che le possibilità espressive del teatro favoriscano gli aspetti simbolici: 145 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 80. Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale, cit., p. 79. 147 Ivi, p. 22 – 24. 148 Vivian M. Patraka, Spectacular Suffering, cit., p. 87. 149 Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale, cit., p. 79. 146 37 ‘Terza voce di tedesco: Weiter, weiter. Los, los! Uomini questa parte, donne quella parte, vecchi, malati e bambini altra parte. (I deportati, salutandosi confusamente, cominciano a dividersi. Un giovane e una giovane indugiano salutandosi e abbracciandosi). […] I deportati si dividono in tre gruppi seguendo le disposizioni loro impartite. […] Il gruppo degli uomini validi rimane da un lato ad osservare gli altri due gruppi che escono dal fondo’.150 Le urla dei tedeschi contribuiscono alla confusione e al caos della selezione. Simbolicamente, i selezionati escono dal palcoscenico per morire. La scomparsa dei personaggi viene sottolineata dall’uso della luce: ‘La luce sulla scena lentamente sfuma a zero mentre contemporaneamente sale in assolvenza sul coro, rimasto ora di soli uomini’.151 Qui è chiaro che gli aspetti espressivi del teatro rafforzano il carattere disumano della selezione. La confusione delle lingue Ad Auschwitz ‘si è circondati da una perpetua Babele, in cui tutti si urlano ordini e minacce in lingue mai prime udite’.152 Il plurilinguismo è un elemento fondamentale individuato dagli studi sui campi di concentramento. Esso viene riflesso sia negli ordini dei capi in tedesco che nella molteplicità della provenienza dei prigionieri. Come spiega Levi nel suo saggio Comunicare, 153 a causa del plurilinguismo i deportati di Auschwitz hanno vissuto l’incomunicabilità nel modo più radicale: Ci siamo accorti subito, fin dai primi contatti con gli uomini sprezzanti dalle mostrine nere, che il sapere o no il tedesco era uno spartiacque. Con chi li capiva, e rispondeva in modo articolato, si instaurava una parvenza di rapporto umano. Con chi non li capiva, i neri reagivano in un modo che ci stupí e spaventò: l’ordine, che era stato pronunciato con la voce tranquilla di chi sa che verrà obbedito, veniva ripetuto identico con voce alta e rabbiosa, poi urlato a squarciagola, come si farebbe con un sordo, o meglio con un animale domestico, più sensibile al tono che al contenuto del messaggio. Se qualcuno esitava […] arrivavano i colpi. […] per quegli altri, uomini non eravamo più.154 Trovarsi in un posto dove la comunicazione è ridotta a zero, il bisogno di comunicare diventa intenso. Se un prigioniero aveva la fortuna di trovare qualcuno che parlava una lingua Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., pp. 19 – 20. Ivi, p. 20. 152 Ivi, p. 33. 153 Cit. in: Primo Levi, I sommersi e i salvati. 154 Ivi, p. 70. 150 151 38 comune, potevano scambiare consigli, impressioni e informazioni, il che poteva aumentare la probabilità di sopravvivenza. Un primo punto che emerge dal confronto tra la presenza della confusione delle lingue nel romanzo e nel dramma è che essa ha un posto più centrale nella versione teatrale che nel romanzo. Come afferma Marco Belpoliti, questo potrebbe essere un risultato dell’influenza della riduzione radiofonica di Se questo è un uomo, visto che il plurilinguismo aveva un ruolo prominente nella versione della Radio Canadese. Uno dei collaboratori spiega: Confidiamo che, anche per l’ascoltatore che conosce solo l’inglese, questo uso di altre lingue non costituirà un ostacolo alla comprensione: ... ma anche quando (il senso) non è subito evidente, quando per un attimo brancoliamo sconcertati davanti a una battuta straniera e incomprensibile, proprio allora penetriamo a fondo nell’esperienza dell’autore, perché questo isolamento è la parte fondamentale della sua sofferenza, e la sofferenza, sua e di tutti i prigionieri, scaturiva dal proposito deliberato di espellerli dalla comunità umana, di cancellare la loro identità, di ridurli da uomini a cose.155 E ancora: ‘per conservare l’impianto multilingue vennero scelti [innanzitutto] attori provenienti da diversi teatri stabili d’Europa’.156 In tal modo, Levi e Marché accentuano nel dramma il problema della confusione dei linguaggi. Interessante è la strategia traduttiva di non tradurre niente: Primo voce di tedesco (fuori scena) Seconda voce di tedesco (c. s.) Terza voce di tedesco (c. s.) Prima voce di tedesco (c. s.) Seconda voce di tedesco (c. s.) Charles (inquieto ad Aldo) Arthur Aldo (di malavoglia) Askenazi Arthur Aldo Askenazi Aldo 155 156 Alle heraus! Appell, Appell! Nur die Kranken bleiben im Lager! Los! Los! Schnell, schnell! Cosa succede fuori? Que est-ce qui se passe? Qu’est-ce que c’est que cette pagaille? Non lo so. Succede ogni tanto: quelli gridano sempre. ([...] Parla un linguaggio strano, misto, molto colorito. [...]) Rasieren! Alles zum rasieren! (In cattivo francese, aiutandosi coi gesti) Couper la barbe. Tutti barba. Scheiss egal, sano y malato: a los vivos e a los muertos! [...] Qu’est-ce qu’il nous veut cette tête-là? È il barbiere dell’infermeria. Viene tutte le settimane. [...] Oh, sí, sí! Tutte settimane! Eh, ma... (sottovoce a Aldo) hoy, oggi, es la ultima vez, ultima volta. (mettendosi di scatto a sedere sulla cuccetta) L’ultima volta? Che cosa vuoi dire? Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 7. Ibidem. 39 Askenazi Charles Aldo? Askenazi (indicando l’esterno) No entiendes? Hay que verlo... hai da vedere, los alemanes, i tedeschi, come corren... por todas partes! [...] Morgen, Alle Kamerad weg: domani, partire tutti, tutti via... Todos, todos! Mañana se van todos! (che non ha capito bene) Cos’ha detto? Ci fanno partire? Tutti via? Anche noi? anche i malati? (continuando il suo discorso) Hay que ver el campo! Il Lager... Schreibstube: (Aiutandosi coi gesti) El escritorio... Pfff! Fuego! Fuoco! Tutti documenti bruciato! Buna... tutte mine pronte. Los alemanes... coren, coren... Ordini, contrordini... Partire, fermare... partire ancora. Los Kapos, armati, machine pistole... Caos, caos! Magazzini kaputt... Scarpe... zapatos per tutto! Grande confusione!157 Chiaramente non importava se il pubblico non capisse cosa veniva detto. ‘Car c’est justement par cette incompréhension que le spectateur, paradoxalement, peut vraiment comprendre l’expérience des déportés’. 158 Specialmente il tedesco rimane senza traduzione, il che volutamente causa confusione nel pubblico, rendendolo intimamente parte della rappresentazione. Mentre in generale i dialoghi formano la struttura base del teatro, in Se questo è un uomo la presenza costante del plurilinguismo causa un’assenza di dialoghi scorrevoli, riusciti. Allo scopo di rendere l’esperienza comprensibile al lettore italiano, nel romanzo, invece, Levi aveva scelto di tradurre di più. La differenza risulta in modo evidente dalle seguenti citazioni, prese dal romanzo e dal testo drammatico. Levi si trova nel laboratorio con tre ragazze tedesche che lavorano lì: Romanzo Discorrono fra loro: parlano del tesseramento, dei loro fidanzati, delle loro case, delle feste prossime… Domenica vai a casa? Io no: è così scomodo viaggiare! Io andrò a Natale. Due settimane soltanto, e poi sarà ancora Natale: non sembra vero, quest’anno è passato così presto!159 Dramma Entrano tre ragazze, chiacchierando fra loro in tedesco […]. Prima ragazza […] Fährst du Sonntag nach Hause? Das Reisen ist so beschwerlich. Seconda ragazza […] Ich fahr Weihnachten. In zwei Wochen ist schon wieder Weihnachten. Terza ragazza […] Dieses Jahr ist so schnell vergangen, kaum zu glauben!160 Ivi, pp. 93 – 94. Sophie Nezri-Dufour, Primo Levi et le théâtre, cit., p. 145. 159 Primo Levi, Se questo, cit., p. 127. 160 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 87. 157 158 40 Lo stesso succede in una conversazione poco dopo l’arrivo ad Auschwitz con il polacco Schlome. Nel romanzo Levi mette l’accento sul momento umano dell’incontro, vale a dire l’abbraccio.161 Nel dramma invece prevale chiaramente la confusione causata dalla mancanza di una lingua comune. Romanzo Sei ebreo? - gli chiedo. Sí, ebreo polacco. Da quanto sei in Lager? Tre anni, - e leva tre dita. [...] Qual è il tuo lavoro? Schlosser, - risponde. Non capisco: - Eisen; Feuer, - (ferro, fuoco) insiste lui [...]. Ich Chemiker, - dichiaro io [...]. Ma tutto questo riguarda il futuro lontano: ciò che mi tormenta, in questo momento, è la sete. Bere, acqua. Noi niente acqua, - gli dico. Lui mi guarda con un viso serio, quasi severo, e scandisce: Non bere acqua, compagno [...]. Warum? Geschwollen, - risponde lui telegraficamente [...]. Poi mi dice: - Ich Schlome. Du? – Gli dico il mio nome, e lui mi chiede: - Dove tua madre? – In Italia -. Schlome si stupisce: - Ebrea in Italia? – Sí, - spiego io del mio meglio, - nascosta, nessuno conosce, scappare, non parlare, nessuno vedere -. Ha capito; ora si alza, mi si avvicina e mi abbraccia timidamente. L’avventura è finita, e mi sento pieno di una tristezza serena che è quasi gioia. Non ho più rivisto Schlome, ma non ho dimenticato il suo volto grave e mite di fanciullo, che mi ha accolto sulla soglia della casa dei morti’.162 Dramma Schlome (che durante tutta la scena è rimasto seduto in un angolo, seguendo attentamente, si alza, si avvicina a Aldo e Alberto. Chiamando sottovoce) Psst... (Aldo volge con stanchezza il capo verso il ragazzo. Schlome, sedendosi accanto a Aldo) Du bist ein Zugang, ja? wo kommst du her? Welche Bürger bist du? Aldo Non capisco. Cosa dici? (Schlome fa intendere con un gesto che nemmeno lui ha capito. Aldo, in cattivo tedesco e stentatamente) Was sagst du? Schlome Woher du kommen? Aldo Italien. Italiener. Ebreo. Jude. Alberto È ebreo anche lui? Aldo Du auch Jude? Schlome Ja, ein polnischer. Poilen, Poilen. Aldo (ad Alberto) Dice che è un ebreo polacco. (A Schlome) Tu, quanto tempo qui? [...] Wie lange bist du hier? [...] Schlome Drei Johr. Ich bin noch gewen ein Kind, als ich verhaftet wurde. Alberto Cosa ha detto? Aldo Che è qui da tre anni. Era ancora un bambino quando l’hanno arrestato. (A Schlome) Qual è il tuo lavoro? Schlome Was Laforo? Aldo Deine Arbeit. Levi e Schlome si incontrano poco dopo l’arrivo di Levi ad Auschwitz. Levi ha appena sopportato le selezioni e crede di essere arrivato nell’inferno. Quando Levi parla di sua madre, Schlome lo abbraccia timidamente: un’iniziativa e un incontro speciale che Levi non ha mai dimenticato. 162 Primo Levi, Se questo, cit., pp. 26 – 27. 161 41 Schlome Aldo Ich, Schmiedt. Was? Schlome Aldo [...] Alberto Aldo Schlome [...] Alberto Aldo Schlome Aldo (a Alberto) Schlome Alberto Aldo [...] Schlome Ich Schlosser. Eisen, Faier. Schlugen, mit Hammer... bum... bum... Schlosser. Dice che è un fabbro. (A Schlome) Ich Chemiker... io chimico. Chiedigli se ci daranno da bere. Acqua. Wasser. Wir kein Wasser. Trink nicht kein Wosser, kamarad. Dos Wosser ist nicht git. Che cosa dice? Perché non si può bere l’acqua? Dice che l’acqua è cattiva, che fa gonfiare [...]. Ich Schlome. [...] Du? Si chiama Schlome. [...] Ich Aldo. Er Alberto. [...] Aldo, wo deine Mame? Cos’ha detto? Chiede dov’è mia madre. (A Schlome) Meine Mutter ist in Italien. Oh!... Gut. Gut Aldo!... Mutter versteckt! Nascosta! (Abbraccia timidamente Aldo, si alza e si allontana nel buio circostante)’163. Nel dramma, l’aspetto umano della situazione viene sottolineato di nuovo dall’uso della luce: ‘La luce lentamente sfuma tutt’attorno sino a lasciare illuminato, verso il termine della scena, soltanto il gruppo dei tre’.164 Il canto di Ulisse I numerosi riferimenti al poema dantesco che si trovano nel romanzo di Levi variano da citazioni letterali a singoli elementi lessicali. Discusso ampiamente dalla critica è soprattutto l’undicesimo capitolo del romanzo, Il canto di Ulisse, che è interamente dantesco. Considerate le diverse interpretazioni del significato della figura di Ulisse nel romanzo, è impossibile discuterle tutte in questa sede. Tuttavia, alla luce della traduzione dal romanzo al dramma non si può prescindere da un breve accenno all’importanza di questo personaggio per lo scrittore torinese. Potremmo dire che l’intertestualità sia per Levi un modo per poter descrivere l’indicibile. Nella letteratura sui campi di concentramento i testimoni dell’Olocausto hanno spesso paragonato il mondo dei campi con l’Inferno di Dante. Il riferimento all’Inferno dantesco è una ‘strategia’ testuale frequentemente utilizzata per descrivere in modo indiretto la realtà disumana del Lager. Sono prediletti in particolare gli aspetti del terzo canto, tra cui la 163 164 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., pp. 29 – 31. Ivi, p. 30. 42 famosa iscrizione sopra la porta dell’Inferno ‘Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’, confrontata con le parole sopra l’entrata di Auschwitz Arbeit macht frei. I riferimenti intertestuali non si limitano all’Inferno dantesco ma riguardano anche la bibbia. Nel Capitolo di Ulisse si trova un confronto diretto di Auschwitz con l’Inferno di Dante. Il capitolo è pieno di elementi danteschi presi dal ventiseiesimo canto della prima cantica. Durante il suo viaggio Dante incontra Ulisse che racconta l’avventura del proprio viaggio. Com’è noto, nella Divina Commedia il canto ha un’importanza enorme: l’eroe Ulisse è rispettato e ammirato da Dante per i suoi valori umani, la sua curiosità intellettuale e il suo coraggio. Nonostante che abbiano destini opposti ‘nella vita ultraterrena’, Ulisse può essere interpretato come l’alter ego di Dante. Anche per Levi il personaggio di Ulisse rappresenta i fondamentali valori umani. Il breve momento con Jean sembra pertanto funzionare come un antidoto alla barbarie del Lager. Secondo Alberto Blandi Il canto di Ulisse nel dramma segna un netto punto di svolta rispetto al romanzo: l’elemento dantesco soffre della sua trasformazione scenica. ‘il canto dantesco di Ulisse […] è inferiore, e non è il solo, alla narrazione del libro’. 165 Infatti, considerando la presenza dei dantismi nel dramma, si nota subito che solo Il capitolo di Ulisse è stato conservato. I vari altri riferimenti danteschi invece sono stati tolti, tra cui quello alla figura di Caronte: […] un soldato tedesco, irto d’armi: non lo vediamo perché è buio fitto, ma ne sentiamo il contatto duro ogni volta che uno scossone del veicolo ci getta tutti in mucchio a destra o a sinistra. Accende una pila tascabile, e invece di gridare “Guai a voi, anime prave” ci domanda cortesemente ad uno ad uno, in tedesco e in lingua franca, se abbiamo danaro od orologi da cedergli: tanto dopo non ci servono piú. Non è un comando, non è regolamento questo: si vede bene che è una piccola iniziativa privata del nostro caronte.166 Nella Commedia, Caronte trasporta le ‘anime prave [...] ne le tenebre etterne’.167 Quindi, è lui, o meglio ‘la trista riviera d’Acheronte’,168 che ‘marks the confine of the netherworld’.169 Il soldato tedesco nel romanzo di Levi ha avuto lo stesso compito: porta i prigionieri dentro il campo, ossia l’Inferno. Alberto Blandi, cit. in: L’inferno del Lager di Auschwitz in Se questo è un uomo di Primo Levi. Primo Levi, Se questo, cit., p. 18. 167 Dante Alighieri, Inferno, Translated by Robert & Jean Hollander, Anchor, New York, 2000, p. 50, Canto III. 168 Ibidem. 169 Ivi, Introduzione. 165 166 43 Blandi indica giustamente le inevitabili differenze del dramma rispetto al romanzo; eppure sembra lecito dire nel dramma il significato del Capitolo di Ulisse rimanga per la maggior parte lo stesso: il francese Jean, il Pikolo170 del Kommando Chimico di Levi, indica Levi per l’aiuto nella corvée quotidiana del trasporto del rancio. Jean racconta che gli piace l’Italia e che vorrebbe imparare l’italiano, per cui Levi gli fa una lezione di italiano. Si nota che c’è il desiderio di comunicare nella stessa lingua. Appena comincia a citare e tradurre Dante, la memoria di Levi deve lottare contro l’oblio: non si ricorda tutto il canto. Nel dramma si spiega perché Levi ha scelto il canto di Ulisse come lezione d’italiano: Il Canto di Ulisse: Ulisse, sai bene, il marinaio, quello dell’Odissea. È in Inferno per i suoi inganni, non per il viaggio che sto per raccontarti. È un viaggio eroico, il più eroico dei viaggi che mai uomo abbia osato. È fra i dannati, ma è rimasto un eroe.171 Nel romanzo invece Levi stesso si chiede perché ha scelto proprio Ulisse: … Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente … 172 Concludendo potremmo dire che Levi e Marché hanno conservato la forza espressiva del ventiseiesimo capitolo del romanzo. L’avventura di Ulisse sembrerebbe formare una risposta alla domanda sul destino di essere ad Auschwitz, cioè se gli ebrei e Ulisse abbiano gli stessi destini. 170 ‘Il Pikolo era il fattorino-scritturale, addetto alla pulizia della baracca, alle consegne degli attrezzi, alla lavatura delle gamelle e alla contabilità delle ore di lavoro del Kommando. Era una carica eccezionale perché il Pikolo non lavorava manualmente, aveva mano libera sui fondi della marmitta del rancio e poteva stare tutto il giorno vicino alla stufa’ (Primo Levi, in: Se questo è un uomo, cit., p. 98. 171 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 68. 172 Primo Levi, Se questo, cit., p. 100. 44 Conclusione Si può dire che la traduzione dal romanzo Se questo è un uomo al dramma è rimasta sempre all’ombra delle altre attività del ‘Levi traduttore’. La traduzione intersemiotica costituisce un unicum nell’opera dello scrittore, considerato che è stata la prima e l’ultima esperienza di Levi come drammaturgo. Pertanto è difficile parlare di una ‘poetica teatrale’ di Levi, al contrario dell’opera di per esempio Luigi Pirandello e Giovanni Verga, le cui strategie e idee come drammaturghi sono state analizzate ampiamente. Mi è sembrato per questo importante riesaminare la teatralizzazione del romanzo di Levi. La prima domanda che mi sono posta in questa tesi è quali cambiamenti e problemi abbia comportato questa traduzione dal romanzo al dramma, sul piano della forma e del contenuto. Successivamente ho verificato se le scelte e le strategie adottate corrispondano con le idee che Levi ha espresso sulla traduzione in generale. Alla domanda concernente il perché dell’iniziativa di passare da un genere letterario all’altro, sembra possibile una sola risposta, cioè il fatto che il teatro offre allo scrittore una nuova possibilità per raccontare, diversamente, la sua esperienza di Auschwitz. Il teatro dell’Olocausto ‘non serviva per distrarsi [o] per divertirsi’.173 Tutt’altro, con il suo dramma, Levi voleva avvertire gli spettatori che quello che era accaduto poteva ripetersi in ogni momento. Era quindi importante parlare di quanto era avvenuto e diffondere nel mondo la storia dei campi. Nel teatro dell’Olocausto il pubblico diventa un nuovo ‘testimone’ dell’orrore dei campi. L’idea di scrivere il testo drammatico poneva a Levi e Marché, come ad altri testimoni dell’Olocausto vari problemi legati all’impossibilità di rappresentare Auschwitz. Non esisteva una lingua appropriata per poter descrivere l’esperienza dell’estremo orrore: si trattava di un problema che Levi aveva già sperimentato scrivendo il romanzo. Ciononostante, come hanno dimostrato gli studi di Robert Skloot e Claude Schumacher sul teatro dell’Olocausto, proprio questa forma d’arte poteva offrire delle soluzioni al problema dell’impossibilità di rappresentare l’indicibile: i mezzi specificamente teatrali possono integrare le parole dove queste non sono in grado di esprimere adeguatamente l’esperienza. Abbiamo visto che la traduzione dal romanzo al dramma porta con sé lo spostamento a una dimensione più universale, funzione attribuita ad alcuni personaggi e soprattutto al coro. 173 Quirino Principe, La novella di Pirandello: dramma, film, musica, fumetto, Metauro, Pesaro, 2007, p. 77. 45 Così Levi ‘dà la parola all’insieme dei deportati’174 mentre il romanzo è invece la storia del deportato Levi. Poi, la traduzione al teatro richiedeva di dare un’identità ai personaggi, rinnovando per questi personaggi reali l’esperienza del campo. Si spiega così, forse, la scelta da parte degli autori di cambiare i nomi di alcuni personaggi. Levi stesso afferma in proposito: ...e l’impresa di trasformare una persona viva in un personaggio lega la mano di chi scrive. Questo avviene perché tale impresa, anche quando è condotta con le intenzioni migliori e su una persona stimata ed amata, sfiora la violenza private, e non è mai indolore per chi ne è l’oggetto.175 Per quanto riguardo le trasformazioni sul piano del contenuto, dall’analisi fatta nel terzo capitolo risulta che nel dramma predominano gli aspetti disumani. Come ho cercato di dimostrare in base all’episodio laboratorio, perfino nei momenti più umani predomina l’assurdità e l’ingiustizia. Sono soprattutto i mezzi teatrali a sottolineare e rafforzare la disumanità. Avendo scelto solo le parti e i personaggi utili alla nuova ideazione scenica, Levi e Marché hanno creato in questa scena una netta divisione in buoni e cattivi. Questa netta divisione manca nel romanzo, in cui ‘Levi non intende scrivere sugli orrori del Lager, […] ma indagare su problemi morali e condizioni psicologiche’. 176 Infatti, il romanzo si può considerare piuttosto un’indagine del comportamento umano, mentre il teatro richiede uno stile più diretto e più drammatico. Questo stile drammatico si manifesta innanzitutto nella presenza costante della confusione delle lingue. Qui sta una grande differenza rispetto al romanzo. Ho dimostrato con vari esempi che Levi e Marché lasciano molti dialoghi senza traduzione, ponendo l’accento sull’aspetto dell’incomunicabilità. In tal modo sortiscono l’effetto che lo spettatore è fatto partecipe dell’esperienza del campo. Le differenze che il testo drammatico presenta nei momenti di selezione dei deportati, si manifestano soprattutto nel modo in cui sono adoperati i mezzi espressivi del teatro, ovvero il mimodramma e l’occupazione dello spazio. Tramite questi mezzi si trasmette una realtà dolorosa e si rafforza la rappresentazione del dolore fisico dei prigionieri. Lo scenario sonoro mette in evidenza il dolore psicologico dei deportati, in particolare tramite le urla dei capi tedeschi che ‘somigliano più a rumori che a espressioni umane’. 177 Queste sonorità 174 Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale, cit., p. 83. Primo Levi, Tutti i racconti, Einaudi, Torino, 2005, p. 639. 176 Primo Levi, Se questo, cit., p. 191. 177 Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale, cit., p. 80. 175 46 simboleggiano soprattutto la violenza e il dolore. Insieme con la scenotecnica fanno ‘fisicamente’ rivivere Auschwitz. Sulla base delle idee e i commenti di Levi sulla traduzione ho individuato alcuni punti fondamentali della ‘poetica traduttiva’ di Levi, per poter stabilire se si ritrovano gli stessi principi nella sua traduzione intersemiotica. Dall’analisi dei commenti di Levi alle traduzioni di Se questo è un uomo romanzo possiamo trarre due conclusioni. In primo luogo che lo scrittore esige sempre una fedeltà assoluta dei suoi traduttori; e in secondo luogo che nella collaborazione con il traduttore Levi voleva sempre avere il controllo totale sul processo traduttivo. La necessità ossessiva di un’equivalenza perfetta deriva, come si è visto, dall’importanza del soggetto dell’Olocausto e dal bisogno inesorabile di una diffusione della testimonianza. Per realizzare queste due esigenze Levi ha sempre cercato una stretta collaborazione con il traduttore. Inoltre è da ricordare la strategia di Levi traduttore nella quale cerca di identificarsi completamente con il romanzo da tradurre. Questo si vede ad esempio nella traduzione del romanzo di Kafka nell’identificazione col protagonista. Un’altra cosa che emerge dalla traduzione del romanzo di Kafka è che nel mestiere di traduttore Levi cerca un equilibrio tra libertà e fedeltà. Questo fatto collima con le affermazioni di Lina N. Insana, che insiste sul contrasto tra la fedeltà che Levi esige dei suoi traduttori e la libertà che predomina nelle sue traduzioni. Nel suo articolo su ‘Levi and Translation’, David Mendel sottolinea ‘the depth of Levi’s obsession about issues of accuracy and word-for-word fidelity’.178 Quest’ossessione si esprime perfino nel controllo della traduzione ‘with the help of dictionaries and grammar books, [with which he] sought to measure their fidelity against his original text’.179 Secondo Levi, una condizione per poter ottenere una traduzione fedele era un contatto intenso tra il traduttore e l’autore, che spiega e fornisce informazioni. La collaborazione tra Levi e Marché nella stesura del dramma corrisponde senz’altro a questa visione di Levi. Innanzitutto, Levi e Marché hanno lavorato insieme al testo drammatico mediante un contatto intensivo per due anni interi, per cui Levi aveva la possibilità di controllare in ogni momento la fedeltà della nuova versione. Si può dire che il risultato della trasformazione dal testo narrativo al testo teatrale era, durante l’intero processo traduttivo, in mano allo scrittore. Poi è stato Levi, quale testimone diretto dell’esperienza, ad aver avuto l’ultima parola nella scelta dei costumi e degli elementi scenici. 178 179 Cit. in: David Mendel, Primo Levi and Translation, p. 157. Ibidem. 47 Concludendo possiamo dire che il dramma Se questo è un uomo costituisca un unicum non solo nell’opera di Primo Levi, ma anche nell’ambito della letteratura italiana. Non solo con il suo romanzo ma anche con il suo teatro dell’Olocausto Levi continua a trasmettere il suo messaggio, che si dimostra sempre vivo e nuovo, come ad esempio nel ‘teatro di narrazione’. È chiaro che Primo Levi non ha ancora finito di dire quel che ha da dire. 48 Appendici La poesia di Levi messa ad epigrafe Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango Che non conosce pace Che lotta per mezzo pane Che muore per un sí o per un no. Considerate se questa è una donna, Senza capelli e senza nome Senza piú forza di ricordare Vuoti gli occhi e freddo il grembo Come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri nati torcano il viso da voi.180 180 Primo Levi, Se questo è un uomo, 2005, cit., p. 7. 49 La canzone del Cantastorie Wohin auch das Auge blicket, Moor und Heide nur ringsum. Vogelsang uns nicht erquicket, Eichen stehen kahl und krumm. Wir sind die Moorsoldaten Und ziehen mit den Spaten ins Moor… Morgens ziehen die Kolonnen Durch das Moor zur Arbeit hin, Graben bei dem Brand der Sonnen, doch zur Heimat steht der Sinn. Wir sind… (ecc.) Auf und nieder geh’n die Posten, Keiner, keiner kann hindurch, Flucht wird nur das Leben kosten, Vierfach ist umzäunt die Burg. Wir sind… (ecc.) Doch für uns gibt es kein Klagen, Ewig kann’s nicht Winter sein. Einmal werden froh wir sagen: Heimat, du bist wieder mein! Wir sind… (ecc.).181 181 Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 46. 50 Bibliografia Alighieri, Dante, Inferno, Translated by Robert & Jean Hollander, Anchor, New York, 2000. Antonello, Pierpaolo and Mussgnug, Florian (2009), Postmodern impegno. Ethics and Commitment in Contemporary Italian Culture, Peter Lang, Bern. Belpoliti, Marco a.c.d. (1997), Opere, 2 voll., Einaudi, Torino. Bertucci, Dora e Bruna, Soravia (2003), Primo Levi: Le virtù dell’uomo normale, Carocci, Roma. 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