Si può dire che la traduzione dal romanzo Se questo è - UvA-DARE

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Se questo è un uomo, dal romanzo al dramma
Una traduzione ‘intersemiotica’ di Primo Levi
Tesi di laurea specialistica in letteratura e cultura italiana
Nome: Sanne Schraa (5889243)
Relatore: dr. Linda Pennings
Correlatore: dr. Ronald de Rooy
Universiteit van Amsterdam
Facoltà di Scienze Umane
agosto 2013
Un classico è un libro che non ha mai
finito di dire quel che ha da dire.
Italo Calvino
2
Indice
1.
Introduzione
4
Il teatro come nuovo modo di raccontare
8
1.1.
Il teatro dell’Olocausto e i suoi problemi
di rappresentazione
1.2. Dal testo narrativo al testo teatrale
2.
3.
Le idee di Primo Levi sulla traduzione
2.1.
Levi traduttore e Levi tradotto
2.2.
L’equivalenza perfetta
2.3.
Il controllo totale
2.4.
La poetica di Levi traduttore
Un confronto tra Se questo è un uomo romanzo e dramma
3.1.
L’itinerario del dramma
3.2.
Lo spettatore fatto partecipe
3.3.
Verso una dimensione universale
3.4.
La predominanza del disumano
15
23
Conclusione
45
Appendici
49
Bibliografia
51
3
Introduzione
Levi criticism focused primarily on the two texts that bookend his impressive
oeuvre: his Se questo è un uomo, the survivor’s memoir […], and his last
publication, I sommersi e i salvati (1986). As a result, […] other components
of his work [were] overlooked ….
Lina N. Insana, Arduous Tasks
Come ha notato giustamente Lina N. Insana, la critica sullo scrittore italiano Primo Levi si
concentra essenzialmente su Levi come sopravvissuto-testimone, fatto in gran parte dovuto al
successo della sua opera di esordio, Se questo è un uomo. All’inizio del 1944 il chimico,
essendo ebreo e partigiano, venne deportato ad Auschwitz, il più grande campo di sterminio
dei nazisti,a cui riesce a sopravvivere. Durante questa prigionia e al suo rientro in Italia dopo
la liberazione lo scrittore sentiva il bisogno di raccontare la sua storia al mondo. Iniziò a
scrivere Se questo è un uomo nel 1946, e dopo un primo rifiuto da parte dell’editore Einaudi
la testimonianza venne finalmente pubblicata nel 1958. Ebbe un enorme successo, e fino ad
oggi il romanzo di Levi è visto come una delle fonti più importanti sull’Olocausto.
Subito dopola pubblicazione nel 1958 il romanzo ha cominciato a diffondersi: in
meno di dieci anni è stato tradotto in inglese, tedesco e francese. Inoltre, nel 1966 la Radio
Canadese ne trattò una riduzione radiofonica. Nello stesso anno Einaudi pubblicò il copione
della versione teatrale del romanzo. Dopo il successo di Se questo è un uomo Levi scopre non
solo il suo talento di scrittore, ma anche quello di poeta, saggista e traduttore. Fino alla sua
morte nel 1987 scrive poesie, saggi, racconti, narrative d’invenzione e altri romanzi di
successo, tra cui il più conosciuto La tregua, il proseguimento di Se questo è un uomo, in cui
lo scrittore racconta del suo viaggio di ritorno in Italia dopo la prigionia ad Auschwitz. Primo
Levi diventa in Italia uno degli scrittori più amati del ventesimo secolo.
Per molto tempo la critica ha diviso l’opera di Levi in categorie nettamente separate,
per cui non veniva vista come un insieme: ‘Levi’s Holocaust memories [...] were read in
4
isolation from the rest of his production’.1 Conseguentemente, molte delle sue qualità sono a
lungo rimaste all’ombra del Levi testimone, tra cui quella del traduttore, che si può definire,
insieme con quella del critico, come il Levi ‘lettore’.
Dato che la figura del Levi traduttore appare molto meno studiata dalla critica, è
proprio tale attività dello scrittore che mi propongo di indagare in questa tesi. Farò un
confronto tra Se questo è un uomo romanzo e dramma, con lo scopo di mettere in luce quali
cambiamenti, problemi e soluzioni questa ‘traduzione’ abbia comportato sia sul piano della
forma che su quello del contenuto. Cercherò di delineare le scelte traduttive e le strategie di
traduzione adottate nel processo traduttivo. Sarà interessante verificare se queste scelte e
strategie corrispondano con le idee che Levi ha espresso sulla traduzione in generale.
L’esperienza del Levi traduttore varia dalla traduzione letteraria a quella scientifica.
La critica si concentra soprattutto su due traduzioni: quella di Der Prozess di Franz Kafka,
pubblicata nel 1983, e la traduzione della novella olandese De nacht der Girondijnen di Jacob
Presser. Prima della pubblicazione nel 1976 di La notte dei Girondini Levi aveva avuto già
qualche esperienza con il mestiere di traduttore: aveva tradotto ‘a four-volume chemistry
textbook, some minor projects for Edizioni Scientifiche Einaudi, and the [book] of the
English anthropologist Mary Douglas Natural Symbols’. 2 Tra questa serie di traduzioni,
quella da Se questo è un uomo romanzo al dramma può essere considerato un unicum: è
l’unica volta che un testo narrativo di Levi è stato trasformato in un testo teatrale. Infatti,
eccezion fatta per la versione cinematografica di La tregua, Levi si è occupato soprattutto
della traduzione interlinguistica, cioè la traduzione ‘vera e propria’.
Un’attenzione particolare merita senza dubbio questa teatralizzazione di Se questo è
un uomo, un’opera poco conosciuta di Levi. Il primo impulso a scrivere per il teatro sarebbe
venuto dall’esterno: dopo il successo del romanzo, l’attore e amico Pieralberto Marché
propose l’idea di trarre dal libro una riduzione teatrale. All’inizio Levi si oppose alla proposta
perché aveva paura del teatro: ‘conoscevo troppo poco il teatro, sia da spettatore, sia da
lettore, per accingermi all’impresa’.
3
Inoltre, ‘non voleva che qualcuno pensasse a
un’operazione commerciale’.4
1
Lina N. Insana, Arduous Tasks: Primo Levi, Translation, and the Transmission of Holocaust Testimony,
University of Toronto Press, Toronto, 2009, Preface.
2
Ivi, p. 125.
3
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo è un uomo. Versione drammatica, Einaudi, Torino, 1966, p. 8.
4
Cit. in: Valeria Parboni, Il ricordo di Marché: ‘Così convinsi Levi a mettere in scena l’orrore di Auschwitz’.
5
Eppure si rendeva conto che ‘si trattava ancora una volta di raccontare: questa volta, anzi, di
raccontare nel modo più immediato’. 5 Il teatro offriva aspetti nuovi che avrebbero potuto
trasferire in modo più diretto l’esperienza di Auschwitz. In collaborazione con Marché, Levi
scrisse il copione per la versione teatrale, che andò in scena a Torino il 18 novembre del 1966:
‘Lo spettacolo, che ebbe un notevole successo di pubblico, […] venne replicato per circa
cinquanta serate [...]’.6 Nel 1967 il dramma vinse ‘il Premio St-Vincent come migliore testo
drammatico della passata stagione’.7
Nel confronto tra romanzo e dramma mi baso sulla sceneggiatura uscita presso
Einaudi nel 1966. Non sono disponibili, a quanto mi risulta, registrazioni della
rappresentazione teatrale. Nondimeno, è possibile farsi un’idea della totalità della
rappresentazione prevista dagli autori, visto che le azioni degli attori sono descritte
ampiamente nelle didascalie. Inoltre, esistono fotografie, note e commenti di Levi, Marché,
alcuni giornalisti e altri.
Sul piano del contenuto metterò a confronto diversi episodi del romanzo e del, tra cui
la selezione all’arrivo nel campo e quella per le camere a gas, i momenti della confusione
delle lingue e il capitolo Il canto di Ulisse. Vedremo che dalle trasformazioni apportate dagli
scrittori emergono le forze espressive offerte dal teatro, tra cui il mimodramma, la
scenografia e lo scenario sonoro. Oltre alla rappresentazione di Auschwitz, i mezzi teatrali
rafforzano anche gli aspetti disumani del testo leviano. L’ipotesi che mi propongo di
dimostrare è che nel dramma predominino gli aspetti disumani, accentuati dalle
trasformazioni provocate dalla traduzione intersemiotica. Le osservazioni di Sophie NezriDufour sulla versione drammatica permettono di capire meglio alcuni di questi aspetti teatrali.
Il confronto tra il romanzo e il dramma sarà preceduto da due capitoli: un primo in cui
passerò in rassegna alcuni problemi che molti testimoni della Shoah incontravano nel
raccontare le loro esperienze, cioè l’impossibilità di rappresentarla, usando diversi studi di
Robert Skloot dedicati al dramma dell’Olocausto. Questo quadro teorico serve per
farsiun’idea delle caratteristiche del teatro dell’Olocausto.
Successivamente discuterò questi problemi nel contesto più ampio della traduzione
dal testo narrativo al testo teatrale, basandomi soprattutto sugli studi semiotici di Umberto
Eco e di Nicola Dusi. La forma di un testo teatrale chiaramente differisce molto da un testo
5
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 8.
Marco Belpoliti, Opere I, Einaudi, Torino, 1997, p. 1410.
7
Ivi, cit., p. 1412.
6
6
narrativo. In questa prospettiva interessa indagare particolarmente in che misura il testo
narrativo di Levi dimostri già degli aspetti ‘teatrali’.
Nel secondo capitolo darò spazio alle idee di Primo Levi sulla traduzione, per metterle
in rapporto al confronto tra romanzo e dramma. Mi concentrerò innanzitutto sui commenti di
Levi alle traduzioni di Se questo è un uomo romanzo. Inoltre mi baserò sugli articoli dei
traduttori di Levi e di Levi stesso, tra cui il suo saggio Tradurre ed essere tradotti, e sugli
scambi epistolari tra Levi e i suoi traduttori. Per completare la ‘poetica’ di Levi sulla
traduzione, discuterò le strategie traduttive adottate da Levi stesso.
7
1. Il teatro come nuovo modo di raccontare
1.1.
Il teatro dell’Olocausto e i suoi problemi di rappresentazione
Protecting against the debasement of language is the job of every
artist, but artists of the Holocaust must exercise a special kind of
vigilance so that the full horrifying power of the word is preserved.
Since the world of the ghettos and concentration camps is impossible
to duplicate on the stage, the writer of the Holocaust is caught in a
dilemma: how to give stage images their full burden of meaning
without making them unrecognizable through abstraction or
untruthful through replication.
Robert Skloot, The Theatre of the Holocaust
Poco dopo la seconda guerra mondiale nacque in Europa un nuovo ‘genere letterario’, vale a
dire la letteratura sui campi di concentramento nazisti, che si può dividere grossolanamente in
tre categorie: ‘i diari o memoriali dei deportati, le loro elaborazioni letterarie, le opere
sociologiche e storiche’. 8 Durante la loro prigionia e al ritorno nella patria, molti dei
sopravvissuti ai campi di concentramento sentivano il bisogno di condividere con il mondo
ciò che avevano visto e vissuto. Le loro motivazioni alla scrittura non si limitavano a quella
di voler contribuire alla letteratura sui campi di concentramento. Come nota Levi, essi
avevano innanzitutto il bisogno di ‘raccontare per liberarsi dell’ossessione’. 9 In secondo
luogo, avevano delle ragioni didattiche e morali, volendo trasmettere la storia dei campi per
avvertire il mondo che l’Olocausto potrebbe ripetersi. Comunicando la loro esperienza
volevano creare nuovi ‘testimoni’, cosa necessaria per non far dimenticare mai l’offesa
nazista contro l’uomo.
Come tanti testimoni dei campi hanno sperimentato, rinarrare l’Olocausto è quasi una
lotta in sé, dato che ‘[it] brings with it all the protocols of the unspeakable, the
8
Hermann Langbein, Uomini ad Auschwitz. Storia del più famigerato campo di sterminio nazista. Prefazione di
Primo Levi, Mursia, Milano, 1984, p. 5.
9
Primo Levi, Se questo è un uomo. Postfazione di Cesare Segre, Einaudi, Torino, 2005, p. 185.
8
incommensurate’.10 Anzi, come spiega Levi, ‘la nostra lingua manca di parole per esprimere
questa offesa, la demolizione di un uomo’.11 Molti sopravvissuti temevano di screditare e
banalizzare l’esperienza. Inoltre, per trasmettere l’Olocausto non bisognava solo tradurre
dall’esperienza umana alla parola, ma anche dal Lagerjargon12 a una lingua comprensibile al
lettore ignaro di Auschwitz. Visto che il linguaggio ‘quotidiano’ non è sufficiente per
descrivere l’orrore dei campi, i testimoni dovevano trovare una lingua adeguata per poter
comunicare l’indicibile.
In un saggio su ‘Primo Levi’s Holocaust vocabularies’,13 Marco Belpoliti e Robert
S.C. Gordon discutono tre ‘lingue’ con cui lo scrittore torinese affronta nella sua
testimonianza il problema dell’incomunicabilità. Innanzitutto, usava un vocabolario
‘antropologico’ per capire meglio il comportamento dei deportati e dei capi e la ‘cultura’ di
Auschwitz. Troviamo quindi nell’opera tanti riferimenti – spesso sotto forma di metafora –
agli animali. In secondo luogo usava un vocabolario scientifico, legato alla sua professione di
chimico, ‘through which he read the camps as a manifestation of a particular pattern of
asymmetry found in molecular analysis’. 14 L’ambiente chimico aiuta Levi a capire il
funzionare del Lager, soprattutto l’organizzazione e la tipologia del lavoro nella Buna. Il
terzo metodo che Belpoliti e Gordon distinguono consiste in un vocabolario etico, attraverso
cui cerca di capire il campo sulla base di domande come ‘how to act, in oneself and with
others, or how to live’.15
Raccontando la loro storia, i sopravvissuti incontravano un altro problema, vale a dire
il fatto che spesso non venivano considerati, e quindi non si sentivano, i testimoni ‘veri’
dell’Olocausto. Levi descrive questo senso nel seguente modo:
Lo ripeto, non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri. È questa una nozione scomoda, di cui ho preso
coscienza a poco a poco, leggendo le memorie altrui, e rileggendo le mie a distanza di anni. Noi
sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per loro prevaricazione
o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato
10
Vivian M. Patraka, Spectacular Suffering. Theatre, Fascism, and the Holocaust, Indiana University Press,
Bloomington, 1999, p. 1.
11
Primo Levi, Se questo, cit., p. 23.
12
Il Lagerjargon era la lingua nata nei campi di concentramento, di cui ‘la base era una combinazione del
vecchio tedesco delle caserme prussiane e il nuovo tedesco delle SS, fortemente influenzata da altre lingue che
venivano parlate nel Lager e nei dintorni: dal polacco, dal jiddisch, dal dialetto slesiano, più tardi dall’ungherese’
(Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino, 1986, pp. 76 – 78).
13
Cit. in: a.c.d. Robert S.C. Gordon, The Cambridge Companion to Primo Levi, Cambridge University Press,
Cambridge, 2007, pp. 51 – 65.
14
Ivi, p. 52.
15
Ivi, p. 61.
9
per raccontare, o è tornato muto; ma sono loro, i ‘mussulmani’, i sommersi, i testimoni integrali, coloro
la cui deposizione avrebbe avuto significato generale.16
Per quanto riguarda la sua diffusione, si può dire chela letteratura sui campi di
concentramento all’inizio non ebbe molto successo. Secondo Levi ‘il pubblico non era ancora
in condizione di comprendere e misurare la qualità e l’importanza del fenomeno Lager’.17 Era
un momento in Italia in cui la guerra era ancora troppo vicina: la gente non voleva che
dimenticare e andare avanti. Nondimeno, l’Olocausto come soggetto continua un po’ alla
volta a diffondersi, e dagli anni ’60 scopre il teatro. Vengono scritte e messe in scena diverse
opere teatrali sull’Olocausto, soprattutto in Italia, Israele, Francia, America, Polonia e
Germania.18
Visto che ogni dramma sull’Olocausto varia nella forma e nel contenuto, è difficile
elencarne le caratteristiche specifiche. È chiaro però che tutti i drammi prendono come punto
di partenza lo stesso evento storico:
What makes their work different from attempts to deal with other tragic themes, war for example, is
their conviction that the Holocaust was a unique historical [...] event, an event unlike anything else in
the long and often tragic story of Western civilization.19
Come nella narrativa sui campi di concentramento, anche nel teatro dell’Olocausto sono
proprio gli obiettivi indicati da Levi che formano i principali punti di partenza:
In general, playwrights [...] [of the Holocaust] are motivated by five objectives, often simultaneously
pursued: 1) to pay homage to the victims [...]; 2) to educate audiences to the facts of history; 3) to
produce an emotional response to those facts; 4) to raise certain moral questions for audiences to
discuss and reflect upon; and 5) to draw a lesson from the events re-created.20
La difficoltà di rappresentare l’Olocausto vale anche per il teatro. Nonostante che offra
possibilità espressive che potrebbero facilitare la rappresentazione dell’Olocausto, ciò che
rimane è il rapporto problematico tra l’esperienza e il linguaggio. Robert Skloot sottolinea
che questa ricerca di ‘a style and a form for the Holocaust experience, with all the challenges,
16
Primo Levi, I sommersi, cit., p. 64.
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 6.
18
Cit. in: Claude Schumacher, Staging the Holocaust: the Shoah in drama and performance, Cambridge
University Press, Cambridge, 1998.
19
Robert Skloot, The Theatre of the Holocaust, The University of Wisconsin Press, Wisconsin, 1982, p. 14.
20
Ibidem.
17
10
responsibilities, and risks it entails, is yet more difficult in the theatre, because of all the arts
theatre is the most public and the most real’.21 Potremmo dire che il teatro fa rivivere davanti
al pubblico i campi dei concentramenti.
Gli effetti di realismo nel dramma, tra cui la scenografia e lo scenario sonoro, possono
contribuire alla rappresentazione realistica di Auschwitz, perché il pubblico ottiene
un’immagine visiva dell’interno di un campo. Visto che il soggetto dell’Olocausto richiede
uno stile realistico, gli effetti di realismo sono indispensabili. Nell’ambito della difficoltà di
comunicare l’esperienza, gli effetti di realismo sono usati ‘as a carrier, a medium of
transmission’. 22 Ciononostante, come discusso in The Theatre of the Holocaust, essi
comportano certi problemi: ‘the Holocaust was a time of chaos and madness, a structured
artistic re-creation of that experience, beginning with the process of selecting what part or
aspect of the experience to treat, might distort and even deny the very nature of what life at
that time was like. As a result, the audience might receive a kind of aesthetic satisfaction
which betrays the historical reality or distracts attention from the ethical implications of the
Holocaust’.23
In risposta al problema della rappresentazione realistica dell’Olocausto, ‘playwrights
have often tried to create believable environments by “softening” the depiction of ghetto or
camp life; one method is to exclude or reduce the appearance of the Nazi oppressors and
instead to focus on their victims’.24 Nella teatralizzazione di Se questo è un uomo Levi e
Marché hanno chiaramente applicato questo metodo, mettendo le SS sempre nell’oscurità:
In proiezione sul fondale la sagoma di una SS.25
Sullo sfondo l’ombra della SS ingigantisce in modo lento e progressivo tanto da oscurare
completamente la scena.26
Come spiega Levi nella Nota alla versione teatrale, le SS non compaiono mai sulla scena per
non gridare negli orecchi degli spettatori e per non presentare al pubblico la materia
prefabbricata. Inoltre, Levi e Marché volevano porre l’accento sulle vittime. Vedremo più
tardi che i momenti umani, invece, vengono sempre illuminati.
21
Ivi, p. 16.
Ivi, p. 25.
23
Ivi, p. 12.
24
Ivi, p. 18.
25
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 51.
26
Ivi, p. 52.
22
11
Secondo Claude Schumacher il teatro dell’Olocausto non dovrebbe cercare di creare una
rappresentazione realistica: ‘True theatre affords the spectator a heightened experience
liberated from the lie of being the truth’.27 Quindi, un altro metodo potrebbe essere di non
mirare a una ‘realtà assoluta’: ‘no play text or theatrical performance can hope to get
anywhere near the truth’.28 Potremmo dire che il metodo di Levi e Marché corrisponda alla
‘teoria’ di Schumacher, visto che, come sottolinea Levi stesso, non hanno cercato di ottenere
un effetto realistico ma di puntare invece sui valori simbolici.29
1.2. Dal testo narrativo al testo teatrale
Nell’iniziare a discutere della traduzione intersemiotica, cioè la traduzione tra due media o
due sistemi semiotici diversi, bisogna tener presente che si tratta sempre di due opere
autonome. Per contro, ‘If semiotics is the study of signs, or rather, of systems of signification,
then we can immediately declare that a sign is first of all a reference to something else, and
that no system of signs or signification, and therefore no text, can ever stand on its own’.30
Nicola Dusi afferma che da una parte il testo d’arrivo, cioè il testo tradotto, ha forti
legami con il testo di partenza. Dall’altra parte, le differenze tra i due testi o sistemi
richiedono dei cambiamenti che implicano necessariamente una certa distanza tra di loro:
‘what is set in motion is a negotiation and a comparison with the target culture, which is often
radically different from the source text it receives and decodes. It is thus important to
examine not only how the source text was adapted, but also the choices determined by the
means utilized, as well as the choices linked to the logistics of production and audience
captivation, which directly depend on the producers and the receivers in the target cultural
system’.31
Nella traduzione dal romanzo Se questo è un uomo al dramma, il testo di partenza è
stato adattato alle esigenze del genere o medium di arrivo. In questa prospettiva, secondo
Umberto Eco non si tratta di una ‘traduzione’, ma più propriamente di un ‘adattamento’.32
Secondo Eco la traduzione intersemiotica è ‘a process that operates on the style of the target
27
Claude Schumacher, Staging the Holocaust, cit., p. 4.
Ibidem.
29
Cit. in: ‘Allo Stabile torinese il diario di Primo Levi su Auschwitz’.
30
Cit. in: Nicola Dusi, Translating, Adapting, Transposing.
31
Ibidem.
32
Ibidem.
28
12
text to reformulate some levels of equivalence or similarity with the source text’. 33 Eco
sottolinea che spesso in una traduzione intersemiotica il testo di arrivo esprime il non-detto
del testo di partenza. Così certe cose indicibili suggerite nel primo possono trovare
espressione nel secondo tramite i mezzi specifici del medium. Si potrebbe dire che le
affermazioni di Eco illustrino la situazione del teatro sull’Olocausto: le immagini e i suoni
del teatro possono integrarsi con la parola per esprimere una realtà ‘indicibile’.
Dell’opera di Giovanni Verga è noto che ‘la tecnica narrativa verista [fosse] [già]
molto vicina alla forma drammatica’. 34 Lo stesso vale per molte delle novelle di Luigi
Pirandello. Come spiega Giorgio Pullini, la novella La paura di Pirandello ‘[…] è già
dramma, è già teatro. Perciò Pirandello non si è trovato nella necessità di trasformare la parte
descrittiva in didascalia, perché essa è quasi del tutto assente anche nella novella: la novella è
quasi tutta dialogo’.35 Potremmo dire che Se questo è un uomo romanzo non contiene tanti
elementi che facilitano l’adattamento alle scene. Il testo narrativo non ha simile carattere
‘drammatico’, essendo più descrittivo e contenendo meno dialoghi. Infatti, il romanzo di Levi
non è ‘scrittura disposta al parlato’ 36 ; dall’altra parte, il ‘carattere frammentario’ 37 del
romanzo, come afferma Levi stesso nella prefazione al romanzo, è un elemento che potrebbe
facilitare la trasformazione in un testo teatrale.
Nel riscrivere il romanzo come dramma in due tempi, 38 Levi e Marchè sono stati
quindi costretti a introdurre una serie di cambiamenti. Nella sua analisi di Cavalleria
rusticana di Giovanni Verga dalla novella al dramma, Jone Gaillard distingue i ‘cambiamenti
obbligatori’ dai ‘cambiamenti volontari’. I cambiamenti obbligatori sono quelli
‘automaticamente imposti dal mezzo di comunicazione scelto [...] e che [sono], per esempio,
la sostituzione al testo narrativo del dialogo, e l’abolizione di ogni descrizione [...] sostituita
in palcoscenico dalla scenografia, dai costumi e dal gestire e agire degli attori’. 39 I
cambiamenti volontari invece sono quelli ‘messi in atto dall’autore volontariamente’,40 come
33
Ibidem.
Cit. in: Verga drammaturgo.
35
Stefano Milioto, Gli atti unici di Pirandello: tra narrativa e teatro, Edizioni del Centro Nazionale Studi
Pirandelliani, Agrigento, 1978, p. 32.
36
Dorothea Stewens, Pirandello, cit., p. 20.
37
Primo Levi, Se questo, cit., p. 9.
38
Se questo è un uomo dramma è suddiviso in due tempi. Il primo tempo si occupa dei capitoli Il viaggio, Sul
fondo, Iniziazione e Ka-Be del romanzo, il secondo segue i capitoli Le nostre notti, L’esame di chimica, Il canto
di Ulisse, Die drei Leute vom Labor e Storia di dieci giorni.
39
Jone Gaillard, Cavalleria rusticana: Novella, Dramma, Melodramma, in: “MLN”, 107 (1992), p. 179.
40
Ibidem.
34
13
per esempio l’introduzione di nuovi personaggi. Nel caso leviano, vedremo che predominino
i cambiamenti obbligatori.
La traduzione (intersemiotica) causa una tensione costante tra equivalenza e
trasformazione: da una parte il traduttore ambisce all’equivalenza, dall’altra c’è sempre la
necessità della trasformazione, causata dalla diversità dei mezzi e delle culture. Nella
traduzione dal romanzo al teatro, ad esempio, è importante tener conto del diverso tipo di
pubblico. È un fatto scontato che l’equivalenza perfetta tra un testo e la sua traduzione è
impossibile e che uno scopo più realistico è l‘equivalenza funzionale’, che consiste
nell‘identità espressiva’ rispetto al testo originale.41
Secondo Marcello Pagnini dovremmo fare una distinzione tra il testo drammatico e il
testo che esiste soltanto in funzione della rappresentazione, il primo essendo un genere
letterario, il secondo uno strumento che appartiene alla rappresentazione teatrale.
Chiaramente il testo einaudiano di Se questo è un uomo dramma non è destinato solo alla
scena: ambisce, ‘oltre che a continuare a passare sulle scene, e ad essere perciò [legato] ad
eventi drammaturgici, anche a trovare un […] posto dignitoso nella patria delle lettere,
figurando negli scaffali delle biblioteche’.42 Si tratta, anziché di un copione teatrale, di un
elaborato testo drammatico, e cioè, secondo la visione di Pagnini, di ‘letteratura
drammatica’.43
Nicola Dusi, Il cinema come traduzione. Da un medium all’altro: letteratura, cinema, pittura, UTET, Torino,
2003, p. 39.
42
Marcello Pagnini, Pragmatica della letteratura, Sellerio, Palermo, 1980, p. 88.
43
Ibidem.
41
14
2. Le idee di Primo Levi sulla traduzione
Tradurre può dare gratificazioni uniche: il traduttore è il solo che legga
veramente un testo, lo legga in profondità, in tutte le sue pieghe,
pesando o apprezzando ogni parola e ogni immagine.
Essere tradotti non è un lavoro né feriale né festivo, anzi, non è un lavoro per
niente, è una semi-passività simile a quella del paziente sul lettino del
chirurgo o sul divano dello psicoanalista, ricca tuttavia di emozioni violente e
contrastanti. L’autore che trova davanti a sé una sua pagina tradotta in una
lingua che conosce si sente volta a volta, o a un tempo, lusingato, tradito,
nobilitato, radiografato, castrato, piallato, stuprato, adornato, ucciso.
Primo Levi, Tradurre ed essere tradotti
2.1.
Levi traduttore e Levi tradotto
In questo capitolo discuterò l’opera traduttiva di Levi e le traduzioni del romanzo Se questo è
un uomo, per mettere in luce le strategie traduttive e le idee sulla traduzione dello scrittore
torinese. L’obiettivo è di esaminare le idee di Levi sulla traduzione in rapporto al confronto
tra il romanzo e il dramma che si farà nel capitolo seguente.
Secondo Eco è essenziale aver avuto un’esperienza attiva o passiva della traduzione
per poter formulare delle idee teoriche sul tradurre. 44 Senza dubbio le idee di Levi sulla
traduzione si fondano innanzitutto sulle sue esperienze come traduttore, e in particolare su
quelle delle due grandi traduzioni: quella del romanzo olandese di Jacob Presser e quella di
Franz Kafka, pubblicata nella collezione Scrittori tradotti da scrittori di Einaudi. Inoltre c’è
stata l’esperienza del critico che ha commentato le traduzioni delle proprie opere.
Oltre a Levi traduttore, sarà quindi interessante studiare i commenti dello scrittore alle
traduzioni di Se questo è un uomo romanzo. Il volume Diffusione e conoscenza di Primo
Levi nei paesi europei,45 in cui diversi studiosi di Levi provenienti da quasi tutti paesi europei
descrivono la diffusione dello scrittore nel loro paese, dimostra che la fortuna internazionale
dello scrittore è stata enorme. Nel corso degli ultimi cinquant’anni il romanzo di Levi è stato
tradotto in più di quaranta lingue. Considerato l’importanza attribuito dallo scrittore alla
diffusione della sua testimonianza, egli ha sempre seguito con attenzione e commentato le
traduzioni della sua opera.
44
Siri Nergaard a.c.d., Teorie Contemporanee della Traduzione, Bompiani, Milano, 1995, p. 122.
Giovanni Tesio a.c.d., La manutenzione della memoria. Diffusione e conoscenza di Primo Levi nei paesi
europei, Centro Studi Piemontesi, Torino, 2005.
45
15
A questi commenti si aggiunge l’importante saggio Tradurre ed essere tradotti di Levi stesso.
Nel 1985 Einaudi pubblicò il volume L’altrui mestiere, in cui sono raccolti una cinquantina
di saggi di Levi, tra cui Tradurre ed essere tradotti, scritto dopo che aveva tradotto la novella
di Presser. Da una parte lo scrittore affronta nel saggio le difficoltà e i problemi linguistici
che aveva incontrato durante le sue esperienze di traduttore. Gli stessi problemi vengono
discussi in alcuni degli altri saggi nel volume, dedicati in particolare al linguaggio, ai dialetti
e all’etimologia. Si può dire che Levi si è immerso profondamente nell’attività della
traduzione; il saggio è basato però anche sull’esperienza dell’essere tradotto.
Qui di seguito discuterò alcune idee di Levi, per cercare di ricostruire i principali
aspetti della sua ‘poetica traduttiva’.
2.2.
Equivalenza perfetta
‘In certo modo, non si trattava di una traduzione ma piuttosto di un restauro: la sua era, o io
volevo che fosse, una restitutio in pristinum, una retroversione alla lingua in cui le cose erano
avvenute ed a cui esse competevano. Doveva essere, piú che un libro, un nastro di
magnetofono’.46
In questa citazione Levi esprime la sua esigenza riguardo alla traduzione tedesca di Se
questo è un uomo: la traduzione dovrebbe essere esattamente uguale al testo originale. Infatti,
dalla corrispondenza tra Levi e Heinz Riedt, il traduttore tedesco, risulta che Levi insiste su
una fedeltà assoluta al testo di partenza. L’esigenza di un’equivalenza perfetta deriva dal fatto
che ‘Levi was aware that future generations would receive information about the
extermination camps from survivor-witness testimonies and, in its widest sense, through the
correct translation of those memoirs and memories’. 47 Per lo scrittore era quindi di
fondamentale importanza che il traduttore facesse una riproduzione estremamente fedele del
testo originale.
L’esigenza di una traduzione perfetta si riflette quindi particolarmente nel processo
traduttivo della traduzione tedesca di Se questo è un uomo. Questa esigenza ovviamente era
nata dal fatto che quella tedesca era la più importante traduzione per Levi, come spiega nel
saggio Lettere di tedeschi48:
46
Primo Levi, I sommersi, cit., p. 142.
Robert S.C Gordon, The Cambridge Companion, cit., p. 157.
48
Cit. in: I sommersi e i salvati, pp. 137 – 161.
47
16
Quando, verso il 1959, seppi che un editore tedesco (la Fischer Bücherei) aveva acquistato i diritti per
la traduzione, mi sentii invadere da un’emozione violenta e nuova, quella di aver vinto una battaglia.
Ecco, avevo scritto quelle pagine senza pensare ad un destinatario specifico […]. All’annuncio di quel
contratto, tutto era cambiato e mi era diventato chiaro: il libro lo avevo scritto sí in italiano, per gli
italiani, per i figli, per chi non sapeva, per chi non voleva sapere, per chi non era ancora nato, per chi,
volentieri o no, aveva acconsentito all’offesa; ma i suoi destinatari veri, quelli contro cui il libro si
puntava come un’arma, erano loro, i tedeschi. Ora l’arma era carica49.
Allo scrittore non importava la vendetta – essendo ‘stato intimamente soddisfatto dalla […]
sacra rappresentazione di Norimberga’50 – ma voleva più che altro capire il popolo tedesco.
Questo bisogno si riflette nel controllo ossessivo esercitato sul traduttore: ‘diffidavo
[il traduttore] dal togliere o cambiare una sola parola del testo, e lo impegnavo a mandarmi il
manoscritto della traduzione a fascicoli, capitolo per capitolo, a mano a mano che il lavoro
procedeva; volevo controllarne la fedeltà, non solo lessicale ma intima’.51
David Mendel, nel suo articolo ‘Levi and Translation’, individua l’ossessività dello
scrittore in un’altra forma:
On nearly every page of his memoirs he inserted a wide variety of translation strategies – literal,
adaptive, foreignizing, domesticating – to decode that camp language for us, with the ultimate goal of
preserving the sound and authenticity of the original expressions, drawn and distorted from many
source languages, as they were used and developed in Auschwitz.52
Questo controllo ossessivo non sarebbe stato possibile senza una stretta collaborazione tra
Levi e il traduttore. Già nella prima traduzione inglese di Se questo è un uomo, pubblicata nel
1959, Levi aveva avuto la fortuna di una buona collaborazione con il traduttore Stuart Woolf.
Questa buona collaborazione con il traduttore inglese era resa possibile da vari fattori. La
proposta dello storico inglese a Levi di fare una traduzione inglese del romanzo nacque da un
motivo paragonabile a quello dello scrittore torinese: per entrambi era necessario stimolare la
diffusione della storia dei campi nazisti. Secondo Woolf ‘era importante che gli inglesi
leggessero Se questo è un uomo’,53 visto che in quel periodo in Inghilterra si sapeva ancora
poco dell’Olocausto. La loro collaborazione consisteva in incontri settimanali durante cui
discutevano le scelte traduttive di Woolf e il progresso della traduzione. Così Levi poteva
immediatamente giudicare la fedeltà della traduzione proposta.
Primo Levi, I sommersi, cit., pp. 137 – 138.
Ivi, p. 138.
51
Ivi, p. 139.
52
David Mendel, Primo Levi and Translation, p. 158.
53
Stuart Woolf, Tradurre Primo Levi, in “Belfagor, rassegna di varia umanità”, 65 (2010), p. 700.
49
50
17
La collaborazione diretta tra scrittore e traduttore facilitava la discussione su aspetti
linguistici e strategie traduttive. Infatti, Levi afferma di aver imparato dalla collaborazione
con i traduttoriinglese e tedesco di Se questo è un uomo che ‘traduzione e compromesso sono
sinonimi’.54 Spiega:
Ogni nostra lettera conteneva una lista di proposte e di controproposte, ed a volte su un singolo termine
si accendeva una discussione accanita […]. Lo schema era generale: io gli indicavo una tesi, quella che
mi suggeriva la memoria acustica a cui ho accennato a suo luogo; lui mi opponeva l’antitesi, “questo
non è buon tedesco, i lettori d’oggi non lo capirebbero”; io obiettavo che “laggiú si diceva proprio cosí”;
si arrivava infine alla sintesi, cioè al compromesso’.55
Il buon rapporto con il traduttore Woolf diventa il punto di partenza per le traduzioni
successive: dalle corrispondenze emerge un certo modello di Levi Levi che segue sempre i
propri traduttori, modello che, secondo Eco, ‘parte da una implicita esigenza di “fedeltà”’.56
Nell’ambizione di raggiungere l’equivalenza perfetta era quindi essenziale una stretta
collaborazione tra l’autore e il traduttore. Da una buona collaborazione dovrebbe emergere,
agli occhi di Levi, una buona traduzione.
2.3.
Il controllo totale
Potremmo dire che le esigenze di Levi discusse finora sono intimamente legate: per poter
controllare la fedeltà bisogna avere una buona collaborazione. Mentre quelle esigenze
emergono da esperienze positive, è stata un’esperienza negativa con la prima traduzione
francese di Se questo è un uomo ad aver creato in Levi il bisogno di un controllo totale sulle
traduzioni. In una lettera indirizzata al suo editore Einaudi, del 4 novembre 1966, Levi scrive:
‘Se questo è un uomo, tradotto in francese in fretta e furia (e a mia insaputa) dal primo venuto,
è risultato letteralmente illeggibile’.57
Dalla lettera risulta che lo scrittore non era per niente soddisfatto della traduzione.
Anzi, questa prima traduzione francese, pubblicata nel 1961, per Levi fu un grande fallimento
a causa del fatto che era mancata una collaborazione fra traduttore e autore. Levi non aveva
avuto nessuna influenza sulla versione definitiva, mentre se fosse stato coinvolto, ‘non
54
Primo Levi, I sommersi, cit., p. 142.
Ivi, pp. 141 – 142.
56
Siri Nergaard a.c.d., Teorie, cit., pp. 122 – 123.
57
Marco Belpoliti, Opere II, Einaudi, Torino, p. 1592.
55
18
[avrebbe] fatto altro che identificarne le inadeguatezze’. 58 Levi ha provato invano a far
ritirare le copie dal mercato.
L’illeggibilità della traduzione si manifesta secondo Levi non solo in errori di lingua,
ma anche in parecchi altri aspetti. In primo luogo il traduttore francese aveva cambiato il
titolo, diventato J’etais un homme – ero un uomo – che chiaramente non corrisponde al titolo
originale e al contenuto del romanzo. Poi sono stati omessi alcuni importanti riferimenti a
Dante: ‘le chapitre “Le Chant d’Ulysse” se réduisait à quatre pages et demie’.59
L’influenza di Dante su Levi data dalla gioventù dello scrittore torinese: il poema è
per Levi ‘un’opera fondamentale della letteratura italiana, che appartiene alla sua cultura di
base, indubbiamente alla sua stessa cultura scolastica. È fra le prime opere che si imparano a
memoria’. 60 Quest’importanza del poeta italiano cresce durante la prigionia di Levi ad
Auschwitz, fino a diventare un’ancora di salvezza. La scelta da parte del traduttore francese
di tagliare grandi pezzi del capitolo è quindi difficile da capire e da giustificare.
Il traduttore aveva conservato la parte introduttiva, cioè il momento nella cisterna, e
invece tagliato la parte più letteraria del capitolo. In realtà si tratta di una scelta traduttiva
brutalmente target oriented, essendo Dante sconosciuto a gran parte del pubblico medio
francese. Facendo cosi, il traduttore francese ha evidentemente sottovalutato l’importanza di
Dante per Levi ad Auschwitz.
Dopo il fallimento della traduzione francese, per evitare in futuro simili traduzioni
povere, Levi ‘avait fait insérer dans ses contrats une clause lui permettant de vérifier la
traduction de ses ouvrages dans les trois langues qu’il connaissait, l’anglais, le français et
l’allemand’.61
2.4.
La teoria di ‘Levi traduttore’
Le idee discusse finora danno un’immagine della ‘poetica traduttiva’ di Levi, basata sui suoi
commenti alle traduzioni di Se questo è un uomo. Per completare il quadro è utile discutere
brevemente le idee di Levi basate sulla sua esperienza di traduttore.
58
Stuart Woolf, Tradurre, cit., p. 705.
Philippe Mesnard e Yannis Thanassekos, Primo Levi à l’oeuvre. La reception de l’oeuvre de Primo Levi dans
le monde, Éditions Kimé, Paris, 2008, p. 217.
60
Daniela Napoli, La scelta della chiarezza, Einaudi, Torino, 2009, p. 60.
61
Philippe Mesnard e Yannis Thanassekos, Primo Levi à l’oeuvre , cit., p. 218.
59
19
Secondo Levi, tradurre significa in primo luogo ‘entrare nel corpo, nella pelle di un altro’,62
come ha fatto lui stesso traducendo il romanzo di Kafka: ‘mi sono trovato calato dentro il
personaggio Joseph K., mi sono sentito processato come lui’. 63 Lo stesso ‘metodo’
dell’identificazione è stato usato per la traduzione della novella di Presser. Levi spiega:
Per tutto il tempo [della traduzione de La notte dei Girondini] ho provato un’emozione violenta.
Westerbork era il campo che gli olandesi avevano fatto per gli ebrei scappati dalla Polonia; sotto
l’occupazione nazista era diventato un campo di smistamento da cui partivano i convogli per l’Est.
Traducendo, ho rivissuto Auschwitz.64
Per rendere possibile e adeguata la traduzione, Levi come traduttore entra nella pelle dello
scrittore, o anche del protagonista. Si può pensare che la somiglianza fra le trame di Se questo
è un uomo e La notte dei Girondini, riguardante l’Olocausto, rendesse non troppo difficile
l’identificazione con Presser e che questa identificazione contribuisse a a una traduzione
piuttosto della novella olandese. Infatti, in un commento di Mario Baudino si legge: ‘Benché
il traduttore insista nella prefazione sui difetti “letterari” del libro, il risultato è poi talmente
“bello” e “firmato”, talmente d’autore, che a tratti sembra di leggere un romanzo dello stesso
Levi’.65
Secondo Levi quello che potrebbe aiutare a calarsi nella personalità dell’autore o di
un personaggio è la ‘sensibilità linguistica’,66 che è ‘l’arma più potente di chi traduce, ma che
non si insegna nelle scuole’.67 Però, non basta disporre di una sensibilità linguistica per essere
un buon traduttore. Il compito è più pesante: ‘si tratta di trasferire da una lingua a un’altra la
forza espressiva del testo’. 68 Si tratta di evitare le trappole linguistiche, tra cui le più
frequente sono le parole con più significati,69 i ‘falsi amici’,70 le frasi idiomatiche71 e i termini
62
Lina N. Insana, Arduous Tasks, cit., p. 179.
Ivi, p. 180.
64
Ivi, p. 140.
65
Cit. in: Il caso Presser. La ‘complicità’ con i carnefici, La Stampa, 12 dicembre 1997.
66
Primo Levi, L’altrui mestiere, Einaudi, Torino, 1986, p. 112.
67
Ibidem.
68
Ivi, p. 110.
69
Pensate al verbo inglese to get, che è un verbo quasi indefinito.
70
I ‘falsi amici’ sono i termini che possono avere un significato diverso in un’altra lingua. Un esempio di Levi,
discusso in Tradurre ed essere tradotti, è i ‘macarons’ francesi, che sono amaretti, ma un italiano potrebbe
scambiarli per maccheroni.
71
Un esempio di Levi di una frase idiomatica è ‘siamo a posto’, che è una frase naturale per un italiano o per
qualcuno che conosce bene l’italiano, però per uno straniero potrebbe significare qualcos’altro.
63
20
locali.72 Inoltre i vocabolari bilingui costituiscono, secondo Levi, ‘una pericolosa fonte di
illusioni’,73 che possono ingannare il traduttore.
Dall’altro canto la difficoltà del mestiere crea anche grandi soddisfazioni quando il
traduttore riesce a‘trovare, o anche [a] inventare, la soluzione di un nodo’.74 Inoltre, nella
storia alcune traduzioni ‘hanno segnato delle svolte nella storia della nostra civiltà’,75 come la
traduzione della Bibbia in tedesco da Maarten Luther. In questa prospettiva, una traduzione
può essere lo specchio di cambiamenti sociali o politici. Purtroppo, dice Levi, questi meriti
del mestiere di traduttore vengono spesso dimenticati o sottovalutati. Nel suo saggio
Tradurre ed essere tradotti Levi vuole soprattutto onorare il mestiere di traduttore e
sottolineare che fare una traduzione è in fondo ‘opera sovrumana’.76
È comunque interessante notare quanto afferma Lina N. Insana: ‘what Levi practises
in the way of translation is often very different from what he professes’. 77 In questa
prospettiva è interessante mettere a confronto il contenuto di Tradurre ed essere tradotti e la
traduzione del romanzo di Kafka.
L’esperienza della traduzione della novella di Presser, su cui la maggior parte di
Tradurre ed essere tradotti è basata, potrebbe poi essere applicata alla traduzione di Der
Prozess. Nonostante che il saggio sia stato scritto due anni prima della traduzione, secondo la
Insana ‘the essay has an uncanny relevance to that project’s unique problematic and its place
in Levi’s thought’. 78 In Arduous Tasks la studiosa afferma che l’esigenza di Levi di una
traduzione molto fedele contrasta con ciò che Levi ha fatto come traduttore: ‘the close and
intense reading process that Levi details […] is seen as violently invasive when applied to his
own work’.79
La Insana allude soprattutto alla critica mossa la traduzione leviana del romanzo di
Kafka. Secondo Sandra Bosco Coletsos, che ha studiato cinque traduzioni italiane del
romanzo di Kafka, la traduzione di Levi è leggibile, però troppo libera. 80 Levi stesso
Levi spiega i termini locali così; ‘Ogni italiano sa cos’è la Juventus, e ogni lettore italiano di quotidiani sa a
cosa si allude dicendo ‘il Quirinale’, ‘la Farnesina’, ‘piazza del Gesú’ […], ma se chi traduce un testo italiano
non ha subito una lunga immersione nelle nostre faccende resterà perplesso’ (Primo Levi, Tradurre ed essere
tradotti).
73
Primo Levi, L’altrui, cit., p. 110.
74
Ivi, p. 113.
75
Ibidem.
76
Ibidem.
77
Lina N. Insana, Arduous Tasks, cit., p. 10.
78
Ivi, p. 179.
79
Ivi, p. 10.
80
Cit. in: David Mendel, Primo Levi and Translation.
72
21
conferma nella postfazione della traduzione ‘that he had “corrected” Kafka’s text’81 e usato il
suo proprio stile. Secondo Levi i suoi adattamenti erano necessari per rendere comprensibile
al lettore italiano il testo di Kafka.
81
Ivi, p. 139.
22
3. Un confronto fra Se questo è un uomo romanzo e dramma
La messinscena del libro [Se questo è un uomo] [è]
effettivamente un’impresa impossibile.
Un recensore svedese, Primo Levi in Svezia
3.1.
L’itinerario del dramma
La versione drammatica di Se questo è un uomo è stata accolta dalla critica in modi diversi.
Secondo Sophie Nezri-Dufour l’adattamento teatrale era originale e assai diverso dal
romanzo. Marco Belpoliti trova il dramma ‘un’ampia rivisitazione del testo originario’. 82
Levi stesso ha sottolineato specialmente la difformità tra romanzo e dramma: ‘Il copione
teatrale di Se questo è un uomo è [...] diverso rispetto al libro […]. Alcuni episodi sono stati
tolti, altri aggiunti, per poter rispondere alle esigenze di una tessitura nuova’.83
Qui è interessante aggiungere la critica alla prima rappresentazione del 1966. In un
articolo pubblicato sulla Stampa un giorno dopo la première, Alberto Blandi si chiede perché
la riduzione drammatica ha scarse risonanze e vibrazioni sulla scena. Secondo il recensore ‘la
materia [...] ripugna alla rappresentazione’.84 Per di più, ‘la regia esaspera il realismo del
testo’.85
Potremmo dire che la critica di Alberto Blandi rifletta la modesta fortuna di Se questo
è un uomo dramma: la diffusione nei paesi europei non è stata così grande come quella del
romanzo. Questa sfortuna ha innanzitutto a che fare con il momento in cui l’opera è stata
rappresentata: come Levi aveva già sperimentato con il romanzo, poco dopo la guerra la
gente non era ancora pronta a guardare in faccia la realtà dei campi di concentramento.
Inoltre, si realizza una tournée limitata ‘[a] causa di una complessità dell’allestimento’. 86
Malgrado questa brutta partenza, la versione ha trovato la sua strada: nel corso degli anni è
stata rappresentata in modi diversi, uno dei quali è interessante discutere.
82
Marco Belpoliti, Opere I, cit., p. 1411.
Cit. in: ‘Allo Stabile torinese il diario di Primo Levi su Auschwitz’.
84
Alberto Blandi, cit. in: ‘L’inferno del Lager di Auschwitz in Se questo è un uomo di Primo Levi’.
85
Ibidem.
86
Marco Belpoliti, Opere I, cit., p. 1410.
83
23
Dagli anni ‘90 la rappresentazione del dramma ha preso nuove forme. Un primo esempio di
quest’innovazione teatrale troviamo nella rappresentazione di Si c’est un homme del 2000 in
Francia, dove ‘l’opera è stata interpretata da un unico attore, Jean-Claude Frissung che, senza
nessun apparato scenico e col solo potere evocatore della parola, ha saputo trasmettere [...] il
messaggio di Primo Levi, davanti a un pubblico attento e partecipo, composto in prevalenza
da giovani’. 87 Secondo un recensore questa riproduzione della versione teatrale, cioè
l’interpretazione del testo leviano da un solo attore, era ‘la più vera e la più fedele
possibile’.88
Anche in Svezia, dove il dramma di Se questo è un uomo veniva considerato ‘un
momento forte’,89 il testo leviano è stato interpretato
da un solo attore, Michael Nyqvist, [che] narra l’esperienza di Levi, la storia di un testimone impegnato,
non quella di una vittima né quella di un giudice. In nessun modo si cerca di enfatizzare gli aspetti
drammatici della rappresentazione, non ci sono le divise a righe né i suoni dei treni, non c’è nessuna
immagine.90
La versione svedese riscosse un grande successo, anche grazie alla scelta dell’attore Michael
Nyqvist, che è un attore molto stimato in Svezia e all’estero.
La nuova interpretazione della versione drammatica del 1966 mette l’accento sul
trasferimento del messaggio leviano, togliendo all’opera ogni drammaticità. Le possibilità
espressive, che assumono un ruolo fondamentale nella versione di Levi e Marché, sono state
invece ridotte:
una volta sola durante questa testimonianza dell’inferno del Lager c’è un supporto visivo: su un pezzo
di tela strappata vengono proiettate le parole della Commedia [...] e una voce femminile recita le righe
‘Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza’.91
Pierpaolo Antonello chiama questa nuova forma teatro di narrazione; ‘a performative mode
in which a solitary narrator on stage, the story-teller, recounts, in epic form, collective and
personal stories or memories, as well as historical accounts of tragic events’.92 Si potrebbe
87
Giovanni Tesio, La manutenzione, cit., p. 40.
Ivi, p. 261.
89
Ibidem.
90
Ibidem.
91
Ibidem.
92
Pierpaolo Antonello and Florian Mussgnug, Postmodern impegno. Ethics and Commitment in Contemporary
Italian Culture, Peter Lang, Bern, 2009, p. 233.
88
24
chiamarlo anche ‘teatro civile’ oppure ‘teatro d’impegno’. Come era stata l’intenzione di
Levi con la sua testimonianza, questa nuova forma di teatro si concentra sulla necessità di una
memoria collettiva. Era quindi necessario ‘to preserve the memory of the dead, to keep
records of deeds, to bear witness [...] and to recount it to others’.93 Gli attori del teatro di
narrazione avevano lo stesso obiettivo di Levi:
Nyqvist racconta come il suo compito sia stato ‘terribilmente difficile’, ogni rappresentazione
fisicamente dolorosa, un’impresa resa possibile dall’assoluta fede di avere una missione da compiere.
Per Nyqvist [...] c’è solo lotta contro la giustizia, che bisogna attivamente mettere in questione. [...]
dichiara che a volte, in scena, diventa felice ed è come se fosse un messaggero che porti la staffetta.94
La conclusione che emerge da questi esempi è che in questo modo il teatro di narrazione
rimane molto vicino alla letteratura.
Levi stesso era molto contento del risultato della prima rappresentazione a Torino.
Marché spiega:
Sicuramente era felice. La sua testimonianza, questo ‘infliggere questa nostra esperienza’ come andava
ripetendo, era stata recepita. Questo solo contava per lui. Si aspettava che la rappresentazione venisse
rappresentata dappertutto, che andasse in giro per l’Italia intera, perché ‘nessuno deve dimenticare’,
diceva. Purtroppo non fu possibile.95
Il teatro era per il Levi scrittore una nuova forma d’arte tramite cui poteva raccontare
diversamente la sua esperienza di Auschwitz. Nonostante la sua inesperienza con il teatro, gli
aspetti teatrali sono descritti precisamente e utilmente usati nelle didascalie inserite tra i
dialoghi, come per esempio:
All’esterno il fischio lacerante di una bomba che cade. Esplosione. Bombardamento con effetto di aerei.
Le luci si spengono: fragore dei vetri della porta e delle finestre, rotti. [...] Altre esplosioni. [...] Silenzio
assoluto all’esterno rotto solo dal sibilo del vento che fa sbattere le finestre e la porta.96
Interessante nella traduzione dal romanzo al dramma è la collaborazione tra Levi e Marché.
Quest’ultimo era stato uno degli attori della versione radiofonica di Se questo è un uomo e
93
Ivi, p. 250.
Ivi, p. 261 – 262.
95
Cit. in: Brandoni, Manila, Gaudenzi, Rossella e Sorrentino, Tiziana a.c.d., Se questo è un uomo. Da De Silva a
Einaudi, p. 26.
96
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 97.
94
25
aveva scritto una scaletta iniziale per la riduzione teatrale. In base a questa scaletta‘Levi
lavorò a una prima riduzione, poi il testo fu ridiscusso innumerevoli volte sino ad arrivare alla
versione pubblicata a stampa’.97 Quindi, a prima vista Levi rimane nel suo ruolo di scrittore.
Considerato l’alto livello letterario del testo teatrale è molto probabile che Levi abbia avuto
una grande influenza sulla versione pubblicata. Sembra infatti più ovvio che Marché, in
collaborazione con il direttore del teatro torinese Gianfranco De Bosio, avesse determinato
gli effetti teatrali.
Tuttavia, il coinvolgimento dello scrittore nella produzione del testo teatrale si può
interpretare come ‘massimo’. In una lettera a Einaudi del 23 novembre 1965 Levi spiega il
suo ruolo nel processo traduttivo: ‘da parte mia, c’è stata una profonda elaborazione del testo,
con soluzioni teatrali non sempre ovvie, che mi è costata non meno di un anno di lavoro’.98
Infatti, nella collaborazione è stato Levi solo a scrivere il testo drammatico, compresi gli
aspetti teatrali. Poi, per la sua esperienza con il teatro, è stato Marché a perfezionare gli
aspetti drammatici, ma sempre insieme con Levi. Nonostante che la conoscenza di Levi del
teatro fosse poca, durante il lavoro traduttivo egli svolgeva anche altri ruoli. Marché spiega:
Mi permisi qualche suggerimento: secondo me si sarebbe dovuto stemperare il ruolo di Aldo; in scena
tutti gli interpreti dovevano essere come ombre che si staccavano dal fondo della scena... che
nell’impossibilità di rappresentare fisicamente le SS si sarebbe potuto ricorrere a voci in tedesco, quelle
voci latranti di cui parlava nel libro... Mi stette a sentire per un po‘ e poi m’interruppe: ’Senta, disse, se
proprio ci crede, lo faccia’. ‘Ma da solo non ce la farò mai, nessuno ci riuscirebbe. Ho bisogno
dell’aiuto di chi ha vissuto quell’esperienza’, feci io . ‘Lei lo scriva, ribatté, e quando ha finito venga a
trovarmi’. Fu così. Mi presentai a casa sua a Torino con le bozze. Lui cominciò a leggere: notò subito
ciò che non andava, ma anche le cose che potevano andare. Mi fece entrare nel suo studio e
cominciammo a lavorare a quattro mani, scucendo e ricucendo, smembrando le pagine del libro e
ricomponendole nelle battute. Per arrivare alla stesura definitiva impiegammo due anni.99
Nella loro collaborazione Levi e Marché seguono chiaramente le due fasi traduttive descritte
da Marcello Pagnini:
‘la prima riguarda la presa di possesso paradigmatica del testo; la seconda il processo della
messinscena. La prima può essere indifferentemente fatta sia da un semplice letterato che da un regista
o da un attore: l’interpretazione del testo, in quanto ermeneutica paradigmatica, non differirà
sostanzialmente da quella di qualsiasi scritto letterario. La seconda sarà invece, ovviamente, una
operazione specialistica degli uomini di teatro, e di essa si dovrà parlare dettagliatamente’.100
97
Marco Belpoliti, Opere I, cit., p. 1410.
Ibidem.
99
Valeria Parboni, cit. in: ‘Il ricordo di Marchè: Così convinsi Levi a mettere in scena l’orrore di Auschwitz’.
100
Marcello Pagnini, Pragmatica, cit., p. 89.
98
26
A questo riguardo è interessante indagare l’influenza che lo scrittore ha esercitato sugli altri
aspetti teatrali. In una lettera a Marché scrive:
Caro Alberto, ti rispondo da Torino dove sono appena rientrato... sabato scorso ho avuto un secondo
incontro con De Bosio. Si sono fatti solo discorsi generali per la scenografia e i costumi... la
responsabilità e la firma spettano solo a Polidori che mi è sembrato molto serio e impegnato. Gli ho
scritto, su sua richiesta, una lettera dettagliata con schizzi per i costumi... 101
In un’altra lettera a Gianni Polidori, il costumista, Levi descrive ‘l’abbigliamento dei
deportati e i loro oggetti d’uso, corredat[o] da disegni’. 102 Da queste lettere possiamo
concludere che Levi ha anche avuto una certa influenza sui costumi e sulla scenografia. Per
restare fedeli alla realtà di Auschwitz avevano naturalmente bisogno di Levi come testimone
diretto. In questo modo lo scrittore poteva comunque mantenere il controllo totale. Infatti, si
può dire che il testo teatrale dimostri tanta ‘equivalenza funzionale’ con il testo narrativo, che
si rivela dappertutto l’influenza di Levi sul testo della versione teatrale.
Dai fatti discussi finora possiamo già trarre una conclusione preliminare per quanto
riguarda la corrispondenza delle strategie traduttive con le idee che Levi ha espresso sulla
traduzione. L’alta misura di coinvolgimento dello scrittore fa immediatamente pensare ai
rapporti tra Levi en i suoi traduttori di Se questo è un uomo romanzo discussi nel capitolo
precedente. È la forma di collaborazione preferita da Levi perché gli permette il controllo
assoluto e totale sulla versione definitiva.
3.2.1. Lo spettatore fatto partecipe
‘Il pubblico che legge, anche quello che ascolta la radio, è lontano, nascosto, anonimo: il
pubblico teatrale è lí, ti guarda, ti aspetta al varco, ti giudica’.103 Dalla citazione emerge la
paura di Levi per il pubblico di teatro. Chiaramente la presenza fisica del pubblico nel teatro
è una delle principali differenze con la letteratura: ‘While other art forms presuppose a more
passive relationship between the art object and the audience, the theatre’s temporal and
101
Ibidem.
Marco Belpoliti, Opere I, cit., p. 1411.
103
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo,cit., p. 8.
102
27
physical nature evokes immediate and intense interaction, permitting less evasion by
encouraging greater subjective involvement’.104
Ovviamente, la presenza fisica vale anche per gli attori sul palcoscenico, creando ‘la
possibilità per gli spettatori di identificarsi con personaggi così lontani da loro, e dunque di
“capire” quel mondo per altri versi così alieno’.105 In questa prospettiva, richiede dal dramma
uno stile realistico. È proprio questo ‘realismo’ degli attori e del pubblico che distingue il
teatro dalla letteratura: ‘The theatre possesses an immediacy and impact which surpasses all
the other art forms’. 106 Il pubblico e gli attori fanno letteralmente rivivere la storia
dell’Olocausto sul palcoscenico.
Contemporaneamente, la presenza fisica del pubblico potrebbe contribuire al
trasferimento del messaggio leviano, cioè ‘raccontare agli “altri’ [e] fare gli “altri”
partecipi’, 107 visto che il pubblico diventa veramente parte dell’esperienza. Ripeto che
l’obiettivo morale delle testimonianze, cioè ‘le sue finalità pedagogiche ed etiche’, 108 era
molto importante per gli scrittori dell’Olocausto. In questa prospettiva il pubblico fisico a
teatro favorisce lo scopo esecutivo del romanzo: Levi non voleva solo dare informazioni sugli
orrori nazisti, ma anche influenzare i suoi spettatori, cambiare le loro idee e il loro
comportamento. Se questo è un uomo dramma richiede quindi un pubblico che non è solo
‘ricettivo’, ma anche ‘produttivo’. I lettori dei suoi libri sono sempre stati molto importanti
per lo scrittore torinese: ‘Io penso che si debba scrivere per il lettore, per procurargli gioia o
anche solo diletto, e per migliorarlo: non per stupire o esibirsi, non per fare quattrini’.109
3.3.
Verso una dimensione universale
Rivolgendosi dunque ad un pubblico più concreto, il teatro, oltre a contribuire a un efficace
trasferimento del messaggio leviano, favorisce anche il carattere universale dell’esperienza.
Potremmo dire che nel romanzo l’enfasi cada soprattutto – e inconsciamente – sul deportato
Primo Levi. Infatti, è lui il protagonista vero e proprio del racconto: è la sua testimonianza,
sono le sue esperienze e i suoi sentimenti. La versione teatrale invece acquista una
104
Robert Skloot, The Theatre, cit., p. 16.
Jone Gaillard, Cavalleria Rusticana, cit., p. 187.
106
Robert Skloot, The darkness we carry, The University of Wisconsin Press, Wisconsin, 1988, Introduction xiv.
107
Primo Levi, Se questo, cit., p. 9.
108
Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale di Se questo è un uomo, in “Memoria collettiva e memoria privata:
il ricordo della Shoah come politica sociale”, Italianistica Ultraiectina 3, Igitur, Utrecht, 2008, p. 78.
109
Marco Belpoliti, Opere I, cit., p. 1197.
105
28
dimensione collettiva: si concentra su tutte le vittime dei campi di concentramento, cioè
anche quelle che non ci sono sopravvissuti.
Questa dimensione universale viene riflessa in primo luogo in alcuni personaggi. Il
dramma si concentra su un gruppo di più personaggiche si muovono sempre nsieme, cioè
Aldo, Alberto, Flesch, Schlome, Jean, Piotr, Resnyk, Elias, Nogalla e 018. Sono tutti dei
personaggi che nel romanzo erano stati trattati invece come individui. Uno dei protagonisti è
l’alter ego ‘teatrale’ di Levi, chiamato Aldo, che percorre gli stessi momenti ad Auschwitz,
tra cui il periodo nel Krankenbau e nel laboratorio. 110 Inoltre, egli esercita la stessa
professione di chimico. È solamente il cambiamento del nome che impedisce un’analogia
netta con il romanzo, e quindi anche con l’esperienza di Levi solo. Il dramma pone invece
l’accento sul deportato ‘anonimo’ che, nello stesso tempo, rappresenti tutti i deportati.
Un’altra differenza con il romanzo che favorisce l’universalità è il ruolo del migliore
amico di Levi nel campo: Alberto. Nel dramma è già presente dall’inizio, è il primo
personaggio che prende la parola e, stando sempre insieme con Levi, diventa, insieme con
Aldo, uno dei protagonisti del dramma. Nel romanzo invece Alberto viene introdotto solo nel
quinto capitolo Le nostre notti.
L’amicizia tra Alberto e Levi ha giocato un ruolo decisivo nella sopravvivenza dello
scrittore ad Auschwitz. I due erano inseparabili e avevano stretto una specie di alleanza in cui
si dividevano il cibo e altre cose utili. Visto che Alberto era italiano, non esisteva una barriera
linguistica. Quest’amicizia con Alberto, una ‘delle sue amicizie personali più durature e
intense’,111 aveva avuto un ruolo fondamentale nella lotta di Levi contro la distruzione della
propria dignità nel Lager. Alberto gli ridà la forza per continuare a vivere. Un amico così
affidabile, umano e amato, in un mondo bestiale in cui ci si trova soli, può avere un
significato determinante. La differenza tra romanzo e dramma si dimostra anche nel modo in
cui Alberto viene presentato. Nel romanzo lo scrittore dà maggiore spazio alla figura
dell’amico, sottolineando l’importanza della loro amicizia per la sua sopravvivenza ad
Auschwitz. Nel dramma è fuori questione che è stato proprio Alberto ad aiutare Levi a
sopravvivere.
110
Durante la sua prigionia ad Auschwitz, Primo Levi è ricoverato due volte in infermeria, detta anche Ka-Be,
l’abbreviazione di Krankenbau. Era l’ospedale di Auschwitz, separato dal campo da una cancellata e composto
di otto baracche. Qui intendo il primo ricovero, durante il quale Levi scopre che il Krankebau è l’unico posto
piacevole nel campo dove si può riacquistare le forze. Alla fine della sua esperienza lavora per poco tempo nel
laboratorio come operaio specializzato. Del laboratorio parlerò più ampio nel quarto paragrafo.
111
Dora Bertucci e Soravia Bruna, Primo Levi: Le virtù dell’uomo normale, Carocci, Roma, 2003, p. 195.
29
Oltre ad Alberto, anche il ruolo della figura di Lorenzo è differente nel dramma. Lorenzo era
un ‘civile’ che lavorava come muratore fuori il campo di Auschwitz. Per sei mesi Levi
riceveva aiuto dall’italiano, che gli forniva cibo e vestiti. Nel fare questo, Lorenzo aiutava
Levi a sopportare gli infiniti giorni nel campo. Per Levi, Lorenzo era ‘un uomo’.
Nel romanzo il lettore nota il carattere difficile del muratore, visto che non parla tanto.
Nel dramma invece il carattere di Lorenzo è cambiato considerevolmente. Visto che nel
teatro i dialoghi hanno il sopravvento, Lorenzo parla di continuo. Racconta alcuni aspetti
della sua storia che non si trovano nel romanzo ma che possiamo rileggere nel Ritorno di
Lorenzo. 112 Poi colpisce il fatto che è cambiato anche il nome di Lorenzo: nel dramma
diventa Pietro, per cui manca di nuovo la connessione diretta con il romanzo.
Una strategia traduttiva ricorrente è quindi il cambiamento dei nomi di alcuni
personaggi importanti del romanzo, che non può che essere un modo per non ‘fare violenza’
ai deportati. Lorenzo, che viveva ancora nell’anno della prima rappresentazione del dramma,
con la sua ‘reincarnazione’ si sarebbe trovato ad affrontare di nuovo l’esperienza. Inoltre, gli
scrittori cambiando i nomi mettevano l’attenzione non su una ma su tutte le vittime dei nazisti.
Come ha detto Pirandello: “Un lavoro drammatico dovrebbe risultare come scritto da tanti e
non dal suo autore, come composto per questa parte, dai singoli personaggi, nel fuoco
dell’azione, e non dal suo autore”. 113 Il testo teatrale dovrebbe dunque dare spazio alle
prospettive autonome dei personaggi, anziché privilegiare quella dell’autore. Nondimeno,
come spiega Stewens, dietro queste prospettive dei personaggi c’è naturalmente sempre la
prospettiva dell’autore.
Anche la presenza del coro favorisce l’aspetto universale del dramma. Nel romanzo il
narratore è l’individuo Levi che racconta la storia da lui vissuta ad Auschwitz. Nel dramma
questo ruolo viene assunto innanzitutto da un autore, il cui monologo apre il dramma:
All’aprirsi del sipario la scena è completamente buia. Un fascio di luce illumina il volto dell’autore al
centro della scena.
Autore: A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ‘ogni
straniero è nemico’. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una
infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un
sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa
maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una
concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la
concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione
dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo.114
112
Cit. in: Tutti i racconti.
Cit. in: Dorothea Stewens, Pirandello, cit., p. 18.
114
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 13.
113
30
Successivamente, in una rapida transizione, il coro, composto da più attori, prende il ruolo di
narratore: ‘La luce sull’autore dissolve mentre in assolvenza la luce scopre il coro: [...] fuori
della scena che rimane al buio’.115 È il coro che mantiene per il resto del dramma questo
ruolo di narratore: l’autore non torna più.
Come già detto nel paragrafo dedicato alla traduzione dal testo narrativo al testo
drammatico, con riferimento alla funzione del coro potremmo dire che da una parte il
romanzo e il dramma sono due opere autonome con una propria funzione, mentredall’altra
c’è un forte rapporto di dipendenza. Sono due opere autonome per quanto riguarda la
presenza del coro, assente nel romanzo e formando un’aggiunta importante al dramma. Il
coro offre a Levi e Marché la possibilità di dare una voce a tutti i deportati.
Mentre il romanzo comincia con la frase ‘Ero stato catturato dalla Milizia fascista il
13 dicembre 1943’,116 presentando quindi il racconto di una sola persona, il dramma invece
apre quasi immediatamente con l’introduzione del coro, ponendo così l’accento sull’aspetto
universale del dramma. Non è più il solo Levi a raccontare l’esperienza, dato che ‘il narratore’
consiste di sei uomini e sei donne. ‘Costantemente present[e] come sfondo, commento e
punto di riferimento delle vicende e dei protagonisti […]’,117 il coro parla sempre di ‘noi’:
Primo uomo ... Porteremo finché vivremo il marchio...
Secondo uomo ... Il numero tatuato sul braccio sinistro...
Terzo uomo ... Allora, per la prima volta...
Quarto uomo ...Ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest’offesa...
Primo uomo ... La demolizione di un uomo.
Quinto uomo ... Noi non siamo più uomini ma prigionieri...118
Considerato il carattere spesso descrittivo delle testimonianze dei campi di concentramento,
potremmo dire con Vivian Petraka che ‘[...] testimony is not easily translatable into
theatre’.119 Nel dramma di Levi le parti descrittive del romanzo sono trasformate soprattutto
nei dialoghi del coro.
Interrompendo spesso i dialoghi dei personaggi, il coro crea così una certa tensione:
115
Ibidem.
Primo Levi, Se questo, cit., p. 11.
117
Jone Gaillard, Cavalleria Rusticana, cit., p. 180.
118
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 26.
119
Vivian M. Patraka, Spectacular Suffering, cit., p. 87.
116
31
La scritta appare sul fondo della scena.
Secondo uomo
…”Arbeit macht frei”…
Terzo uomo
…”Il lavoro rende liberi”…
Via la scritta dal fondale.
Quarto uomo
…Siamo scesi…
Quinto uomo
…Ci hanno fatti entrare in una camera vasta e nuda…
Da questo punto la luce scopre in scena il gruppo dei deportati che passeggiano nervosamente. In un
angolo sta un rubinetto con un cartello: “Wassertrinken verboten”.
Sesto uomo
…Debolmente riscaldata…
La luce sul coro comincia a dissolvere.
Primo uomo
…Sono quattro giorni che non beviamo…
Secondo uomo
…Il leggero fruscio dell’acqua nei radiatori ci rende feroci.
Buio sul coro.120
Riprendendo i brani più importanti e significativi del romanzo, il coro rappresenta un
importante collegamento con il testo originale: ‘Accuratamente scelti, [...] rappresentano una
realtà verbalmente indicibile’. 121 Il coro si assume anche il ruolo ‘tradizionale’, cioè di
descrivere quello che succede.
Diversamente dal romanzo, nel dramma è necessario guidare il pubblico a una
conclusione. Nella versione teatrale di Levi e Marché è il coro che esercita questo compito,
citando all’inizio la poesia con cui Levi apre il romanzo. Alla fine sono tutti i personaggi a
concludere il dramma citando di nuovo la poesia, che sottolinea lo scopo morale della
rappresentazione, cioè che l’Olocausto non dovrebbe mai ripetersi.
Gianfranco De Bosio, il direttore del teatro Carignano a Torino, ha considerato la
versione teatrale di Levi e Marché ‘[a] high point of a long evolution and also the beginning
of a new theatre’.
122
Potremmo concludere che a questa novità contribuisce
significativamente il ruolo svolto dal coro.
3.4. La predominanza del disumano nel dramma
Si dice in genere che la traduzione dal romanzo al dramma implica una riduzione del tempo,
e quindi una riduzione del testo di partenza. Nella traduzione dal romanzo Se questo è un
uomo al dramma Levi e Marché erano costretti a tagliare alcuni pezzi del romanzo.
Considerato che il dramma ‘offre une représentation crue et palpable, extrêmement physique,
Ivi, pp. 20 – 21.
Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale, cit., p. 78.
122
Gianfranco De Bosio in ‘Note di regia’, I Quaderni. Cit. in: Staging the Holocaust, cit., p. 236.
120
121
32
de l’univers d’Auschwitz’, 123 si può dire che Levi e Marché hanno scelto i momenti più
intensi del romanzo, tra cui la prigionia nel campo di Fossoli, la deportazione, le selezioni, i
momenti di sogno e di fame, la difficoltà di comunicazione, la confusione e il caos, mettendo
così l’enfasi sul disumano dell’esperienza nel campo. Per andare incontro al gusto del
pubblico, Levi tralascia invece gli aspetti umani che sono così importanti nel romanzo.
Il laboratorio
Diremmo con la Nezri-Dufour che ‘l’adaptation théâtrale de Si c’est un homme favorise la
visualisation du camp relève de l’évidence’. 124 Questo si riflette naturalmente nella
scenografia, che dà una nuova interpretazione al testo narrativo: i materiali fisici fanno vivere
il testo leviano, che per il pubblico diventa palpabile. Gli oggetti sono numerosi e descritti per
esteso nelle didascalie numerose, e per lo più pratiche: ci troviamo la descrizione
dell’ambiente, delle azioni e dei movimenti dei personaggi, dei tratti fisici e caratteriali dei
personaggi. Dalla discussione di Helga Finter risulta infatti che Levi e Marché hanno dato
molta attenzione alla scenografia:
The stage, entirely covered by a structure of movable wooden beams, was divided into two sections,
one was fixed, the other movable. The beams had been oxidized by flame and darkened by carbon soot.
[...] Another movable structure of four wooden folding screens, also grey, served as the exterior walls
of the Fossoli camp or the train, as the gate to Auschwitz, as the walls of the huts, as an office in Buna,
and so on. Wooden superposed bunks, a blockboard, a desk, gallows and other precise accessories like
a stove or a vat for soup were the only mimetic objects in this abstract space.125
Per gran parte del dramma il palcoscenico è occupato dall’interno di un Block, rappresentato
in modo molto realistico e dettagliato:
Sul fondo della scena, in centro, una baracca in legno della quale è visibile l’interno ove sta una panca,
una stufa, il recipiente della zuppa, le gamelle dei deportati e attrezzi vari di lavoro. Nella parete di
fondo della baracca vi è una finestra a vetri chiusa. Alla baracca si accede per una porta situata in una
delle pareti laterali. Sempre sul fondo della scena, ma da un lato, sollevato da terra a mezzo di cunei e
rulli, sta un grosso parallelepipedo di metallo grigiastro. Dall’altro lato una catasta di traversine in
legno, di quelle comunemente usate nella costruzione delle strade ferrate. Vicino alle traversine, alcuni
rulli di ferro. Sul panorama di fondo (in proiezione) si intravede, incombente nel rigore della giornata
Sophie Nezri-Dufour, Primo Levi et le théâtre face au défi de l’irrationnel, in “Théâtres du monde”, 7 (1997),
p. 140.
124
Ibidem.
125
Claude Schumacher, Staging the Holocaust, cit., pp. 238 – 249.
123
33
invernale, la sagoma della torre del carburo: è altissima, tanto che la sommità si perde sfumando nella
cappa grigia del cielo.126
Anche la scenografia privilegia i momenti disumani, selezionati con cura dal romanzo, come
‘i cartelli delle docce che rappresentano l’immagine dello Häftling’127 e ‘la scritta [...] sul
fondo della scena: [Arbeit macht frei]’128, chiaramente illuminata.
Tra le scene scelte per il dramma c’è anche quella del laboratorio.129 In un primo
momento, il laboratorio è presentato come un paradiso: ‘questo è il paradiso, ricordalo
bene’.130 Sul palcoscenico gli elementi scenici presentano ‘un comune laboratorio chimico
industriale; niente deve ricordare lo squallore essenziale del Lager che pervade tutte le altre
scene’.131 Secondo Claude Schumacher, l’uso di colori distingue il laboratorio dal resto del
campo. Sono rappresentati ad esempio le tre ragazze tedesche che lavorano nel laboratorio:
The only spots of colour were those of the secretaries’ dresses at the Buna offices, contrasting with the
grey and sombre universe of the camp.132
Infatti, Levi e Marché enfatizzano il carattere piacevole del posto usando per i vestiti delle
ragazze tedesche ‘colori vivaci’:
Tutte e tre sono vestite a colori vivaci, bionde e ben pettinate.133
Contemporaneamente, potremmo dire che è proprio l’aspetto umano della situazione nel
laboratorio che sottolinea l’esistenza da schiavi dei deportati. Perfino in questo posto umano
predomina il disumano, riflesso nella gerarchia:
126
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 33.
Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale, cit., p. 79.
128
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 21.
129
Vedi: il quindicesimo capitolo Die drei Leute vom Labor nel romanzo. La scena nel laboratorio sottolinea a
prima vista l’umano nel campo. Nonostante che il laboratorio si trovi dentro il campo, sembra un mondo
totalmente diverso. Levi discute nel romanzo il piacevole del posto: è pulito, tranquillo, non troppo caldo, e,
come nel Krankenbau, c’è meno disumanità. Nondimeno, il periodo nel laboratorio rappresenta soprattutto le
grandi differenze nella gerarchia nel campo. Nel capitolo stanno centrale i rapporti con il personale civile del
laboratorio e il fatto che Levi e gli altri prigionieri vengono trattati come bestie.
130
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 86.
131
Ivi, p. 85.
132
Claude Schumacher, Staging the Holocaust, cit., p. 249.
133
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 87.
127
34
Le ragazze del laboratorio. Hai dimenticato che al mondo ci sono anche le ragazze? Mica male, sai,
ragazze tedesche civili, belle, pulite e ordinate. Invece di tenere in ordine il laboratorio, come
dovrebbero, cantano, chiacchierano, fumano… rompono la vetreria e cercano di dare la colpa a noi 134.
Aldo (si guarda attorno perplesso, poi comprende che Stawinoga allude al barattolo portato dalla
terza ragazza. Si avvicina a questa con grande imbarazzo)
Darf ich die Muster nehmen?
Terza ragazza (lo guarda infastidita, non gli risponde e si volge a Stawinoga) Mit den Stinkjuden
möchte ich lieber gar nicht mitmachen! (Volge le spalle).
Stawinoga (a Aldo, serio e freddo, ma con imbarazzo) Prego, Monsieur, sempre a me fate domande.
Mai parlate con signorine […].135
La canzone del Cantastorie
Come gli elementi scenici visivi, anche lo scenario sonoro offre a Levi e Marché un nuovo
modo per rappresentare l’universo concentrazionario in modo più immediato. Sono
soprattutto i rumori spaventosi a rappresentare il dolore, creando nel pubblico la stessa paura
sperimentata dai deportati. Così il pubblico viene coinvolto totalmente nell’esperienza di
Auschwitz.
Ricorrenti sono i sonori ‘naturali’, come il ‘sibilare del vento [con] reazione di freddo
da parte dei deportati’,136 ‘il suono frequente e ossessivo della campana del campo’137 e ‘il
fischio della sirena di mezzogiorno’,138 sempre dall’altoparlante. Poi, sono presenti i sonori
che rappresentano il dolore fisico, come i prigionieri che durante la notte ‘sbattono le
mandibole come se sognassero di mangiare’.139 Sono tutti sonori che favoriscono solamente e
violentemente l’orrore di Auschwitz e la sua demolizione dell’uomo.
Teatralmente Se questo è un uomo esegue in modo adeguato il dolore psicologico dei
deportati. Questo
viene
rappresentato negli
ordini
e nelle voce dei
tedeschi:
‘contemporaneamente cresce il volume della voce tedesca in altoparlante sino a distorcersi in
suono incomprensibile e assordante’.140
Fino a questo punto abbiamo discusso soltanto i ‘cambiamenti obbligatori’, vale a dire
le strategie che Levi e Marché hanno usato per convertire il romanzo leviano in un testo
drammatico. In questa prospettiva, e considerato il carattere peculiare del soggetto di Se
questo è un uomo, è chiaro che le somiglianze con il romanzo sono numerose, e le
134
Ibidem.
Ivi, pp. 87 – 88.
136
Ivi, p. 22.
137
Ivi, p. 78.
138
Ivi, p. 37.
139
Ivi, p. 39.
140
Ivi, p. 81.
135
35
innovazioni invece poche. Sono soprattutto gli aspetti specificamente teatrali a creare le
differenze con il romanzo.
È interessante a questo punto discutere le aggiunte drammaturgiche, tra cui la canzone
del Cantastorie, che è del tutto assente nel romanzo. Il personaggio del Cantastorie entra
durante il primo soggiorno141 nel Krankenbau e, cantando il ‘Börgermoorlied’, cioè la famosa
canzone tedesca dei prigionieri dei campi di concentramento, offre un attimo di
intrattenimento ai prigionieri ricoverati nell’ospedale. Quando esistevano delle prospettive di
guarigione, il Ka-Be era un posto piacevole dove il prigioniero poteva riacquistare le forze.
Nel dramma, questa canzone simboleggia l’umanità del posto; durante la seconda guerra
mondiale rappresentava per i prigionieri dei campi la resistenza ai capi.
Sono presenti altre canzoni nel dramma, tra cui Rosamunda, su cui Levi osserva nel
romanzo che ‘sono la voce del Lager, l’espressione sensibile della sua follia geometrica, della
risoluzione altrui di annullarci prima come uomini per ucciderci poi lentamente’.142
Le selezioni
Le selezioni nei campi di concentramento rappresentano il culmine della disumanizzazione.
Nei momenti più inaspettati, e spesso senza motivi, i prigionieri venivano chiamati per una
selezione, che era quasi sempre una selezione per le camere a gas. Durante queste selezioni
‘tutto era incomprensibile e folle […]’. 143 Sia il romanzo che il dramma presentano due
momenti di selezione ad Auschwitz, cioè quella immediatamente dopo l’arrivo al campo e
quella più tardi e inaspettata, nell’ottobre 1944.
La differenza nella rappresentazione delle selezioni per le camere a gas, tra romanzo e
dramma, sta soprattutto nell’uso del mimodramma, cioè la comunicazione per via di gesti,
che sottolinea il disumano della selezione.
Romanzo
Come tutti, sono passato con passo energico ed elastico, cercando di tenere la testa alta, il petto in fuori
e i muscoli contratti e rilevati.144
Dramma
Tutti i prigionieri si sforzano di effettuare questo percorso con passo energico e agile, tenende il petto
in fuori e la testa alta.145
141
Sia nel romanzo che nel dramma Levi è stato ricoverato due volte al Krankenbau: la prima poco dopo
l’arrivo al campo con una ferita al piede, la seconda poco prima della liberazione di Auschwitz.
142
Primo Levi, Se questo, cit., p. 45.
143
Ivi, p. 18.
144
Ivi, p. 114.
36
Come dimostrano queste citazioni, il mimodramma esprime principalmente le sofferenze del
corpo: ‘La gestualità e il mimodramma presentano […] l’interesse di proporre un senso al di
là delle parole’.146 In questa prospettiva, essi offrono una soluzione per il problema che Levi
incontrava scrivendo il romanzo Se questo è un uomo, cioè di trovare la lingua adeguata per
descrivere l’orrore dell’esperienza. Potremmo dire che i gesti completano le situazioni
inesprimibili. Dando espressione alle cose indicibili, il mimodramma rafforza la disumanità
nelle scene più terribili.
Levi e Marché spesso fanno uso del mimodramma per rafforzare la confusione:
Qualcuno piange, altri chiamano per nome i loro parenti, altri imprecano per la sete. Si crea una certa
confusione. Rumore di porta aperta, sibilare del vento e reazione di freddo da parte dei deportati che
cercano di ripararsi alla meglio. [...] qualcuno si accascia a terra, altri rimangono assorti a pensare,
qualcuno si siede tenendosi la testa fra le mani.147
Secondo la Patraka ‘we have no language for representing the body in pain […]. Another
person’s physical pain is an invisible geography, especially in extreme cases such as torture,
that not only resists language but actively destroys it’.148 In questo senso, visto che la lingua
non è in grado di esprimere l’indicibile, la gestualità permette di rappresentarlo, utilizzando il
linguaggio del corpo e delle espressioni facciali.
Se poi prendiamo in considerazione la rappresentazione della selezione che avviene
immediatamente dopo l’arrivo ad Auschwitz, potremmo dire che in quel momento la
differenza tra romanzo e dramma stia nell’occupazione dello spazio. Durante questa prima e
rapida selezione venivano mandati direttamente alle camere a gas le donne, i bambini, i
vecchi e i malati. Gli uomini in grado di lavorare utilmente per il Reich, tra cui Levi,
venivano invece portati ai campi di Buna-Monowitz.
Nel dramma, durante la scena della prima selezione ‘i prigionieri sono
significativamente mandati in direzioni opposte.149 Qui sembra lecito dire che le possibilità
espressive del teatro favoriscano gli aspetti simbolici:
145
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 80.
Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale, cit., p. 79.
147
Ivi, p. 22 – 24.
148
Vivian M. Patraka, Spectacular Suffering, cit., p. 87.
149
Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale, cit., p. 79.
146
37
‘Terza voce di tedesco: Weiter, weiter. Los, los! Uomini questa parte, donne quella parte, vecchi,
malati e bambini altra parte. (I deportati, salutandosi confusamente, cominciano a dividersi. Un
giovane e una giovane indugiano salutandosi e abbracciandosi). […] I deportati si dividono in tre
gruppi seguendo le disposizioni loro impartite. […] Il gruppo degli uomini validi rimane da un lato ad
osservare gli altri due gruppi che escono dal fondo’.150
Le urla dei tedeschi contribuiscono alla confusione e al caos della selezione. Simbolicamente,
i selezionati escono dal palcoscenico per morire. La scomparsa dei personaggi viene
sottolineata dall’uso della luce: ‘La luce sulla scena lentamente sfuma a zero mentre
contemporaneamente sale in assolvenza sul coro, rimasto ora di soli uomini’.151 Qui è chiaro
che gli aspetti espressivi del teatro rafforzano il carattere disumano della selezione.
La confusione delle lingue
Ad Auschwitz ‘si è circondati da una perpetua Babele, in cui tutti si urlano ordini e minacce
in lingue mai prime udite’.152 Il plurilinguismo è un elemento fondamentale individuato dagli
studi sui campi di concentramento. Esso viene riflesso sia negli ordini dei capi in tedesco che
nella molteplicità della provenienza dei prigionieri. Come spiega Levi nel suo saggio
Comunicare,
153
a causa del plurilinguismo i deportati di Auschwitz hanno vissuto
l’incomunicabilità nel modo più radicale:
Ci siamo accorti subito, fin dai primi contatti con gli uomini sprezzanti dalle mostrine nere, che il
sapere o no il tedesco era uno spartiacque. Con chi li capiva, e rispondeva in modo articolato, si
instaurava una parvenza di rapporto umano. Con chi non li capiva, i neri reagivano in un modo che ci
stupí e spaventò: l’ordine, che era stato pronunciato con la voce tranquilla di chi sa che verrà obbedito,
veniva ripetuto identico con voce alta e rabbiosa, poi urlato a squarciagola, come si farebbe con un
sordo, o meglio con un animale domestico, più sensibile al tono che al contenuto del messaggio. Se
qualcuno esitava […] arrivavano i colpi. […] per quegli altri, uomini non eravamo più.154
Trovarsi in un posto dove la comunicazione è ridotta a zero, il bisogno di comunicare diventa
intenso. Se un prigioniero aveva la fortuna di trovare qualcuno che parlava una lingua
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., pp. 19 – 20.
Ivi, p. 20.
152
Ivi, p. 33.
153
Cit. in: Primo Levi, I sommersi e i salvati.
154
Ivi, p. 70.
150
151
38
comune, potevano scambiare consigli, impressioni e informazioni, il che poteva aumentare la
probabilità di sopravvivenza.
Un primo punto che emerge dal confronto tra la presenza della confusione delle
lingue nel romanzo e nel dramma è che essa ha un posto più centrale nella versione teatrale
che nel romanzo. Come afferma Marco Belpoliti, questo potrebbe essere un risultato
dell’influenza della riduzione radiofonica di Se questo è un uomo, visto che il plurilinguismo
aveva un ruolo prominente nella versione della Radio Canadese. Uno dei collaboratori spiega:
Confidiamo che, anche per l’ascoltatore che conosce solo l’inglese, questo uso di altre lingue non
costituirà un ostacolo alla comprensione: ... ma anche quando (il senso) non è subito evidente, quando
per un attimo brancoliamo sconcertati davanti a una battuta straniera e incomprensibile, proprio allora
penetriamo a fondo nell’esperienza dell’autore, perché questo isolamento è la parte fondamentale della
sua sofferenza, e la sofferenza, sua e di tutti i prigionieri, scaturiva dal proposito deliberato di espellerli
dalla comunità umana, di cancellare la loro identità, di ridurli da uomini a cose.155
E ancora: ‘per conservare l’impianto multilingue vennero scelti [innanzitutto] attori
provenienti da diversi teatri stabili d’Europa’.156 In tal modo, Levi e Marché accentuano nel
dramma il problema della confusione dei linguaggi. Interessante è la strategia traduttiva di
non tradurre niente:
Primo voce di tedesco (fuori scena)
Seconda voce di tedesco (c. s.)
Terza voce di tedesco (c. s.)
Prima voce di tedesco (c. s.)
Seconda voce di tedesco (c. s.)
Charles (inquieto ad Aldo)
Arthur
Aldo (di malavoglia)
Askenazi
Arthur
Aldo
Askenazi
Aldo
155
156
Alle heraus!
Appell, Appell!
Nur die Kranken bleiben im Lager!
Los! Los!
Schnell, schnell!
Cosa succede fuori?
Que est-ce qui se passe? Qu’est-ce que c’est que cette
pagaille?
Non lo so. Succede ogni tanto: quelli gridano sempre.
([...] Parla un linguaggio strano, misto, molto colorito. [...])
Rasieren! Alles zum rasieren! (In cattivo francese,
aiutandosi coi gesti)
Couper la barbe. Tutti barba. Scheiss egal, sano y malato:
a los vivos e a los muertos! [...]
Qu’est-ce qu’il nous veut cette tête-là?
È il barbiere dell’infermeria. Viene tutte le settimane.
[...] Oh, sí, sí! Tutte settimane! Eh, ma... (sottovoce a Aldo)
hoy, oggi, es la ultima vez, ultima volta.
(mettendosi di scatto a sedere sulla cuccetta) L’ultima
volta? Che cosa vuoi dire?
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 7.
Ibidem.
39
Askenazi
Charles
Aldo?
Askenazi
(indicando l’esterno) No entiendes? Hay que verlo... hai da vedere,
los alemanes, i tedeschi, come corren... por todas partes! [...]
Morgen, Alle Kamerad weg: domani, partire tutti, tutti via... Todos,
todos! Mañana se van todos!
(che non ha capito bene) Cos’ha detto? Ci fanno partire?
Tutti via? Anche noi? anche i malati?
(continuando il suo discorso) Hay que ver el campo! Il Lager...
Schreibstube: (Aiutandosi coi gesti) El escritorio... Pfff! Fuego!
Fuoco! Tutti documenti bruciato! Buna... tutte mine pronte. Los
alemanes... coren, coren... Ordini, contrordini... Partire, fermare...
partire ancora. Los Kapos, armati, machine pistole... Caos, caos!
Magazzini kaputt... Scarpe... zapatos per tutto! Grande
confusione!157
Chiaramente non importava se il pubblico non capisse cosa veniva detto. ‘Car c’est justement
par cette incompréhension que le spectateur, paradoxalement, peut vraiment comprendre
l’expérience des déportés’. 158 Specialmente il tedesco rimane senza traduzione, il che
volutamente causa confusione nel pubblico, rendendolo intimamente parte della
rappresentazione. Mentre in generale i dialoghi formano la struttura base del teatro, in Se
questo è un uomo la presenza costante del plurilinguismo causa un’assenza di dialoghi
scorrevoli, riusciti.
Allo scopo di rendere l’esperienza comprensibile al lettore italiano, nel romanzo,
invece, Levi aveva scelto di tradurre di più. La differenza risulta in modo evidente dalle
seguenti citazioni, prese dal romanzo e dal testo drammatico. Levi si trova nel laboratorio con
tre ragazze tedesche che lavorano lì:
Romanzo
Discorrono fra loro: parlano del tesseramento, dei loro fidanzati, delle loro case, delle feste prossime…
Domenica vai a casa? Io no: è così scomodo viaggiare!
Io andrò a Natale. Due settimane soltanto, e poi sarà ancora Natale: non sembra vero, quest’anno è
passato così presto!159
Dramma
Entrano tre ragazze, chiacchierando fra loro in tedesco […].
Prima ragazza […]
Fährst du Sonntag nach Hause? Das Reisen ist so beschwerlich.
Seconda ragazza […]
Ich fahr Weihnachten. In zwei Wochen ist schon wieder Weihnachten.
Terza ragazza […]
Dieses Jahr ist so schnell vergangen, kaum zu glauben!160
Ivi, pp. 93 – 94.
Sophie Nezri-Dufour, Primo Levi et le théâtre, cit., p. 145.
159
Primo Levi, Se questo, cit., p. 127.
160
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 87.
157
158
40
Lo stesso succede in una conversazione poco dopo l’arrivo ad Auschwitz con il polacco
Schlome. Nel romanzo Levi mette l’accento sul momento umano dell’incontro, vale a dire
l’abbraccio.161 Nel dramma invece prevale chiaramente la confusione causata dalla mancanza
di una lingua comune.
Romanzo
Sei ebreo? - gli chiedo.
Sí, ebreo polacco.
Da quanto sei in Lager?
Tre anni, - e leva tre dita. [...]
Qual è il tuo lavoro?
Schlosser, - risponde. Non capisco: - Eisen; Feuer, - (ferro, fuoco) insiste lui [...].
Ich Chemiker, - dichiaro io [...]. Ma tutto questo riguarda il futuro lontano: ciò che mi tormenta, in
questo momento, è la sete.
Bere, acqua. Noi niente acqua, - gli dico. Lui mi guarda con un viso serio, quasi severo, e scandisce: Non bere acqua, compagno [...].
Warum?
Geschwollen, - risponde lui telegraficamente [...].
Poi mi dice: - Ich Schlome. Du? – Gli dico il mio nome, e lui mi chiede: - Dove tua madre? – In Italia -.
Schlome si stupisce: - Ebrea in Italia? – Sí, - spiego io del mio meglio, - nascosta, nessuno conosce,
scappare, non parlare, nessuno vedere -. Ha capito; ora si alza, mi si avvicina e mi abbraccia
timidamente. L’avventura è finita, e mi sento pieno di una tristezza serena che è quasi gioia. Non ho
più rivisto Schlome, ma non ho dimenticato il suo volto grave e mite di fanciullo, che mi ha accolto
sulla soglia della casa dei morti’.162
Dramma
Schlome
(che durante tutta la scena è rimasto seduto in un angolo, seguendo attentamente, si
alza, si avvicina a Aldo e Alberto. Chiamando sottovoce)
Psst... (Aldo volge con
stanchezza il capo verso il ragazzo. Schlome, sedendosi accanto a Aldo) Du bist ein
Zugang, ja? wo kommst du her? Welche Bürger bist du?
Aldo
Non capisco. Cosa dici? (Schlome fa intendere con un gesto che nemmeno lui ha
capito. Aldo, in cattivo tedesco e stentatamente) Was sagst du?
Schlome
Woher du kommen?
Aldo
Italien. Italiener. Ebreo. Jude.
Alberto
È ebreo anche lui?
Aldo
Du auch Jude?
Schlome
Ja, ein polnischer. Poilen, Poilen.
Aldo (ad Alberto)
Dice che è un ebreo polacco. (A Schlome) Tu, quanto tempo qui? [...] Wie
lange bist du hier?
[...]
Schlome
Drei Johr. Ich bin noch gewen ein Kind, als ich verhaftet wurde.
Alberto
Cosa ha detto?
Aldo
Che è qui da tre anni. Era ancora un bambino quando l’hanno arrestato. (A Schlome)
Qual è il tuo lavoro?
Schlome
Was Laforo?
Aldo
Deine Arbeit.
Levi e Schlome si incontrano poco dopo l’arrivo di Levi ad Auschwitz. Levi ha appena sopportato le
selezioni e crede di essere arrivato nell’inferno. Quando Levi parla di sua madre, Schlome lo abbraccia
timidamente: un’iniziativa e un incontro speciale che Levi non ha mai dimenticato.
162
Primo Levi, Se questo, cit., pp. 26 – 27.
161
41
Schlome
Aldo
Ich, Schmiedt.
Was?
Schlome
Aldo
[...]
Alberto
Aldo
Schlome
[...]
Alberto
Aldo
Schlome
Aldo (a Alberto)
Schlome
Alberto
Aldo
[...]
Schlome
Ich Schlosser. Eisen, Faier. Schlugen, mit Hammer... bum... bum... Schlosser.
Dice che è un fabbro. (A Schlome) Ich Chemiker... io chimico.
Chiedigli se ci daranno da bere.
Acqua. Wasser. Wir kein Wasser.
Trink nicht kein Wosser, kamarad. Dos Wosser ist nicht git.
Che cosa dice? Perché non si può bere l’acqua?
Dice che l’acqua è cattiva, che fa gonfiare [...].
Ich Schlome. [...] Du?
Si chiama Schlome. [...] Ich Aldo. Er Alberto.
[...] Aldo, wo deine Mame?
Cos’ha detto?
Chiede dov’è mia madre. (A Schlome) Meine Mutter ist in Italien.
Oh!... Gut. Gut Aldo!... Mutter versteckt! Nascosta! (Abbraccia timidamente Aldo, si
alza e si allontana nel buio circostante)’163.
Nel dramma, l’aspetto umano della situazione viene sottolineato di nuovo dall’uso della luce:
‘La luce lentamente sfuma tutt’attorno sino a lasciare illuminato, verso il termine della scena,
soltanto il gruppo dei tre’.164
Il canto di Ulisse
I numerosi riferimenti al poema dantesco che si trovano nel romanzo di Levi variano da
citazioni letterali a singoli elementi lessicali. Discusso ampiamente dalla critica è soprattutto
l’undicesimo capitolo del romanzo, Il canto di Ulisse, che è interamente dantesco.
Considerate le diverse interpretazioni del significato della figura di Ulisse nel romanzo, è
impossibile discuterle tutte in questa sede. Tuttavia, alla luce della traduzione dal romanzo al
dramma non si può prescindere da un breve accenno all’importanza di questo personaggio
per lo scrittore torinese.
Potremmo dire che l’intertestualità sia per Levi un modo per poter descrivere
l’indicibile. Nella letteratura sui campi di concentramento i testimoni dell’Olocausto hanno
spesso paragonato il mondo dei campi con l’Inferno di Dante. Il riferimento all’Inferno
dantesco è una ‘strategia’ testuale frequentemente utilizzata per descrivere in modo indiretto
la realtà disumana del Lager. Sono prediletti in particolare gli aspetti del terzo canto, tra cui la
163
164
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., pp. 29 – 31.
Ivi, p. 30.
42
famosa iscrizione sopra la porta dell’Inferno ‘Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’,
confrontata con le parole sopra l’entrata di Auschwitz Arbeit macht frei. I riferimenti
intertestuali non si limitano all’Inferno dantesco ma riguardano anche la bibbia.
Nel Capitolo di Ulisse si trova un confronto diretto di Auschwitz con l’Inferno di
Dante. Il capitolo è pieno di elementi danteschi presi dal ventiseiesimo canto della prima
cantica. Durante il suo viaggio Dante incontra Ulisse che racconta l’avventura del proprio
viaggio. Com’è noto, nella Divina Commedia il canto ha un’importanza enorme: l’eroe Ulisse
è rispettato e ammirato da Dante per i suoi valori umani, la sua curiosità intellettuale e il suo
coraggio. Nonostante che abbiano destini opposti ‘nella vita ultraterrena’, Ulisse può essere
interpretato come l’alter ego di Dante. Anche per Levi il personaggio di Ulisse rappresenta i
fondamentali valori umani. Il breve momento con Jean sembra pertanto funzionare come un
antidoto alla barbarie del Lager.
Secondo Alberto Blandi Il canto di Ulisse nel dramma segna un netto punto di svolta
rispetto al romanzo: l’elemento dantesco soffre della sua trasformazione scenica. ‘il canto
dantesco di Ulisse […] è inferiore, e non è il solo, alla narrazione del libro’. 165 Infatti,
considerando la presenza dei dantismi nel dramma, si nota subito che solo Il capitolo di
Ulisse è stato conservato. I vari altri riferimenti danteschi invece sono stati tolti, tra cui quello
alla figura di Caronte:
[…] un soldato tedesco, irto d’armi: non lo vediamo perché è buio fitto, ma ne sentiamo il contatto duro
ogni volta che uno scossone del veicolo ci getta tutti in mucchio a destra o a sinistra. Accende una pila
tascabile, e invece di gridare “Guai a voi, anime prave” ci domanda cortesemente ad uno ad uno, in
tedesco e in lingua franca, se abbiamo danaro od orologi da cedergli: tanto dopo non ci servono piú.
Non è un comando, non è regolamento questo: si vede bene che è una piccola iniziativa privata del
nostro caronte.166
Nella Commedia, Caronte trasporta le ‘anime prave [...] ne le tenebre etterne’.167 Quindi, è lui,
o meglio ‘la trista riviera d’Acheronte’,168 che ‘marks the confine of the netherworld’.169 Il
soldato tedesco nel romanzo di Levi ha avuto lo stesso compito: porta i prigionieri dentro il
campo, ossia l’Inferno.
Alberto Blandi, cit. in: L’inferno del Lager di Auschwitz in Se questo è un uomo di Primo Levi.
Primo Levi, Se questo, cit., p. 18.
167
Dante Alighieri, Inferno, Translated by Robert & Jean Hollander, Anchor, New York, 2000, p. 50, Canto III.
168
Ibidem.
169
Ivi, Introduzione.
165
166
43
Blandi indica giustamente le inevitabili differenze del dramma rispetto al romanzo; eppure
sembra lecito dire nel dramma il significato del Capitolo di Ulisse rimanga per la maggior
parte lo stesso: il francese Jean, il Pikolo170 del Kommando Chimico di Levi, indica Levi per
l’aiuto nella corvée quotidiana del trasporto del rancio. Jean racconta che gli piace l’Italia e
che vorrebbe imparare l’italiano, per cui Levi gli fa una lezione di italiano. Si nota che c’è il
desiderio di comunicare nella stessa lingua. Appena comincia a citare e tradurre Dante, la
memoria di Levi deve lottare contro l’oblio: non si ricorda tutto il canto.
Nel dramma si spiega perché Levi ha scelto il canto di Ulisse come lezione d’italiano:
Il Canto di Ulisse: Ulisse, sai bene, il marinaio, quello dell’Odissea. È in Inferno per i suoi inganni, non
per il viaggio che sto per raccontarti. È un viaggio eroico, il più eroico dei viaggi che mai uomo abbia
osato. È fra i dannati, ma è rimasto un eroe.171
Nel romanzo invece Levi stesso si chiede perché ha scelto proprio Ulisse:
… Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente … 172
Concludendo potremmo dire che Levi e Marché hanno conservato la forza espressiva del
ventiseiesimo capitolo del romanzo. L’avventura di Ulisse sembrerebbe formare una risposta
alla domanda sul destino di essere ad Auschwitz, cioè se gli ebrei e Ulisse abbiano gli stessi
destini.
170
‘Il Pikolo era il fattorino-scritturale, addetto alla pulizia della baracca, alle consegne degli attrezzi, alla
lavatura delle gamelle e alla contabilità delle ore di lavoro del Kommando. Era una carica eccezionale perché il
Pikolo non lavorava manualmente, aveva mano libera sui fondi della marmitta del rancio e poteva stare tutto il
giorno vicino alla stufa’ (Primo Levi, in: Se questo è un uomo, cit., p. 98.
171
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 68.
172
Primo Levi, Se questo, cit., p. 100.
44
Conclusione
Si può dire che la traduzione dal romanzo Se questo è un uomo al dramma è rimasta sempre
all’ombra delle altre attività del ‘Levi traduttore’. La traduzione intersemiotica costituisce un
unicum nell’opera dello scrittore, considerato che è stata la prima e l’ultima esperienza di
Levi come drammaturgo. Pertanto è difficile parlare di una ‘poetica teatrale’ di Levi, al
contrario dell’opera di per esempio Luigi Pirandello e Giovanni Verga, le cui strategie e idee
come drammaturghi sono state analizzate ampiamente.
Mi è sembrato per questo importante riesaminare la teatralizzazione del romanzo di
Levi. La prima domanda che mi sono posta in questa tesi è quali cambiamenti e problemi
abbia comportato questa traduzione dal romanzo al dramma, sul piano della forma e del
contenuto. Successivamente ho verificato se le scelte e le strategie adottate corrispondano con
le idee che Levi ha espresso sulla traduzione in generale.
Alla domanda concernente il perché dell’iniziativa di passare da un genere letterario
all’altro, sembra possibile una sola risposta, cioè il fatto che il teatro offre allo scrittore una
nuova possibilità per raccontare, diversamente, la sua esperienza di Auschwitz. Il teatro
dell’Olocausto ‘non serviva per distrarsi [o] per divertirsi’.173 Tutt’altro, con il suo dramma,
Levi voleva avvertire gli spettatori che quello che era accaduto poteva ripetersi in ogni
momento. Era quindi importante parlare di quanto era avvenuto e diffondere nel mondo la
storia dei campi. Nel teatro dell’Olocausto il pubblico diventa un nuovo ‘testimone’
dell’orrore dei campi.
L’idea di scrivere il testo drammatico poneva a Levi e Marché, come ad altri
testimoni dell’Olocausto vari problemi legati all’impossibilità di rappresentare Auschwitz.
Non esisteva una lingua appropriata per poter descrivere l’esperienza dell’estremo orrore: si
trattava di un problema che Levi aveva già sperimentato scrivendo il romanzo. Ciononostante,
come hanno dimostrato gli studi di Robert Skloot e Claude Schumacher sul teatro
dell’Olocausto, proprio questa forma d’arte poteva offrire delle soluzioni al problema
dell’impossibilità di rappresentare l’indicibile: i mezzi specificamente teatrali possono
integrare le parole dove queste non sono in grado di esprimere adeguatamente l’esperienza.
Abbiamo visto che la traduzione dal romanzo al dramma porta con sé lo spostamento
a una dimensione più universale, funzione attribuita ad alcuni personaggi e soprattutto al coro.
173
Quirino Principe, La novella di Pirandello: dramma, film, musica, fumetto, Metauro, Pesaro, 2007, p. 77.
45
Così Levi ‘dà la parola all’insieme dei deportati’174 mentre il romanzo è invece la storia del
deportato Levi. Poi, la traduzione al teatro richiedeva di dare un’identità ai personaggi,
rinnovando per questi personaggi reali l’esperienza del campo. Si spiega così, forse, la scelta
da parte degli autori di cambiare i nomi di alcuni personaggi. Levi stesso afferma in proposito:
...e l’impresa di trasformare una persona viva in un personaggio lega la mano di chi scrive. Questo
avviene perché tale impresa, anche quando è condotta con le intenzioni migliori e su una persona
stimata ed amata, sfiora la violenza private, e non è mai indolore per chi ne è l’oggetto.175
Per quanto riguardo le trasformazioni sul piano del contenuto, dall’analisi fatta nel terzo
capitolo risulta che nel dramma predominano gli aspetti disumani. Come ho cercato di
dimostrare in base all’episodio laboratorio, perfino nei momenti più umani predomina
l’assurdità e l’ingiustizia. Sono soprattutto i mezzi teatrali a sottolineare e rafforzare la
disumanità. Avendo scelto solo le parti e i personaggi utili alla nuova ideazione scenica, Levi
e Marché hanno creato in questa scena una netta divisione in buoni e cattivi. Questa netta
divisione manca nel romanzo, in cui ‘Levi non intende scrivere sugli orrori del Lager, […]
ma indagare su problemi morali e condizioni psicologiche’. 176 Infatti, il romanzo si può
considerare piuttosto un’indagine del comportamento umano, mentre il teatro richiede uno
stile più diretto e più drammatico.
Questo stile drammatico si manifesta innanzitutto nella presenza costante della
confusione delle lingue. Qui sta una grande differenza rispetto al romanzo. Ho dimostrato con
vari esempi che Levi e Marché lasciano molti dialoghi senza traduzione, ponendo l’accento
sull’aspetto dell’incomunicabilità. In tal modo sortiscono l’effetto che lo spettatore è fatto
partecipe dell’esperienza del campo.
Le differenze che il testo drammatico presenta nei momenti di selezione dei deportati,
si manifestano soprattutto nel modo in cui sono adoperati i mezzi espressivi del teatro, ovvero
il mimodramma e l’occupazione dello spazio. Tramite questi mezzi si trasmette una realtà
dolorosa e si rafforza la rappresentazione del dolore fisico dei prigionieri. Lo scenario sonoro
mette in evidenza il dolore psicologico dei deportati, in particolare tramite le urla dei capi
tedeschi che ‘somigliano più a rumori che a espressioni umane’. 177 Queste sonorità
174
Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale, cit., p. 83.
Primo Levi, Tutti i racconti, Einaudi, Torino, 2005, p. 639.
176
Primo Levi, Se questo, cit., p. 191.
177
Sophie Nezri-Dufour, La versione teatrale, cit., p. 80.
175
46
simboleggiano soprattutto la violenza e il dolore. Insieme con la scenotecnica fanno
‘fisicamente’ rivivere Auschwitz.
Sulla base delle idee e i commenti di Levi sulla traduzione ho individuato alcuni punti
fondamentali della ‘poetica traduttiva’ di Levi, per poter stabilire se si ritrovano gli stessi
principi nella sua traduzione intersemiotica. Dall’analisi dei commenti di Levi alle traduzioni
di Se questo è un uomo romanzo possiamo trarre due conclusioni. In primo luogo che lo
scrittore esige sempre una fedeltà assoluta dei suoi traduttori; e in secondo luogo che nella
collaborazione con il traduttore Levi voleva sempre avere il controllo totale sul processo
traduttivo. La necessità ossessiva di un’equivalenza perfetta deriva, come si è visto,
dall’importanza del soggetto dell’Olocausto e dal bisogno inesorabile di una diffusione della
testimonianza. Per realizzare queste due esigenze Levi ha sempre cercato una stretta
collaborazione con il traduttore.
Inoltre è da ricordare la strategia di Levi traduttore nella quale cerca di identificarsi
completamente con il romanzo da tradurre. Questo si vede ad esempio nella traduzione del
romanzo di Kafka nell’identificazione col protagonista. Un’altra cosa che emerge dalla
traduzione del romanzo di Kafka è che nel mestiere di traduttore Levi cerca un equilibrio tra
libertà e fedeltà. Questo fatto collima con le affermazioni di Lina N. Insana, che insiste sul
contrasto tra la fedeltà che Levi esige dei suoi traduttori e la libertà che predomina nelle sue
traduzioni.
Nel suo articolo su ‘Levi and Translation’, David Mendel sottolinea ‘the depth of
Levi’s obsession about issues of accuracy and word-for-word fidelity’.178 Quest’ossessione si
esprime perfino nel controllo della traduzione ‘with the help of dictionaries and grammar
books, [with which he] sought to measure their fidelity against his original text’.179 Secondo
Levi, una condizione per poter ottenere una traduzione fedele era un contatto intenso tra il
traduttore e l’autore, che spiega e fornisce informazioni.
La collaborazione tra Levi e Marché nella stesura del dramma corrisponde senz’altro
a questa visione di Levi. Innanzitutto, Levi e Marché hanno lavorato insieme al testo
drammatico mediante un contatto intensivo per due anni interi, per cui Levi aveva la
possibilità di controllare in ogni momento la fedeltà della nuova versione. Si può dire che il
risultato della trasformazione dal testo narrativo al testo teatrale era, durante l’intero processo
traduttivo, in mano allo scrittore. Poi è stato Levi, quale testimone diretto dell’esperienza, ad
aver avuto l’ultima parola nella scelta dei costumi e degli elementi scenici.
178
179
Cit. in: David Mendel, Primo Levi and Translation, p. 157.
Ibidem.
47
Concludendo possiamo dire che il dramma Se questo è un uomo costituisca un unicum non
solo nell’opera di Primo Levi, ma anche nell’ambito della letteratura italiana. Non solo con il
suo romanzo ma anche con il suo teatro dell’Olocausto Levi continua a trasmettere il suo
messaggio, che si dimostra sempre vivo e nuovo, come ad esempio nel ‘teatro di narrazione’.
È chiaro che Primo Levi non ha ancora finito di dire quel che ha da dire.
48
Appendici
La poesia di Levi messa ad epigrafe
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sí o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza piú forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.180
180
Primo Levi, Se questo è un uomo, 2005, cit., p. 7.
49
La canzone del Cantastorie
Wohin auch das Auge blicket,
Moor und Heide nur ringsum.
Vogelsang uns nicht erquicket,
Eichen stehen kahl und krumm.
Wir sind die Moorsoldaten
Und ziehen mit den Spaten
ins Moor…
Morgens ziehen die Kolonnen
Durch das Moor zur Arbeit hin,
Graben bei dem Brand der Sonnen,
doch zur Heimat steht der Sinn.
Wir sind… (ecc.)
Auf und nieder geh’n die Posten,
Keiner, keiner kann hindurch,
Flucht wird nur das Leben kosten,
Vierfach ist umzäunt die Burg.
Wir sind… (ecc.)
Doch für uns gibt es kein Klagen,
Ewig kann’s nicht Winter sein.
Einmal werden froh wir sagen:
Heimat, du bist wieder mein!
Wir sind… (ecc.).181
181
Primo Levi e Pieralberto Marché, Se questo, cit., p. 46.
50
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