Poesie di Primo Levi Questa poesia di Primo Levi, con la quale l'autore apre il suo primo romanzo pubblicato nel 1947, esprime con l'ossessione dell'anafora, il dramma di chi ha vissuto l'inferno del lager, e non può ammettere la nostra indifferenza Se questo è un uomo Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un si o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d'inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi. Un'altra poesia è posta all'inizio dell'altro grande romanzo di Primo levi, La tregua, il romanzo del ritorno, ad una vita che non può comunque essere normale dopo l'esperienza fatta. La fine del romanzo infatti, che descrive un Primo Levi ormai tornato in famiglia a Torino, riprende ciclicamente questo inizio, con il sogno-incubo che si chiude ancora una volta con la parola straniera, presagio forse del suo suicidio. La tregua Sognavamo nelle notti feroci Sogni densi e violenti Sognati con anima e corpo: Tornare; mangiare; raccontare. Finché suonava breve sommesso Il comando dell'alba: «Wstawac'»; E si spezzava in petto il cuore. Ora abbiamo ritrovato la casa, Il nostro ventre è sazio, Abbiamo finito di raccontare. È tempo. Presto udremo ancora Il comando straniero: « Wstawac'». 11 gennaio 1946