M. Rizzo, La liquidazione del danno differenziale

LA
LIQUIDAZIONE
DEL
DANNO
DIFFERENZIALE,
TRA
INDENNIZZO
E
RISARCIMENTO- LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO DA ESPOSIZIONE AD AMIANTO
PREMESSA
Come è noto, quando dalla violazione delle norme di prevenzione infortuni o dalle regole
poste dalle “leges artis”, derivi un infortunio ad un dipendente, le conseguenze
pregiudizievoli derivate alla persona del lavoratore fanno carico al datore di lavoro sia in
virtù di una responsabilità contrattuale ( cfr. art. 1218, 1223, 2087 cod.civ), sia in virtù di
una responsabilità extracontrattuale ( art. 2043 cod.civ.). Il danneggiato può pertanto
scegliere quale delle due azioni esercitare, ( soggette a regole differenti sia in relazione al
regime dell’onere della prova che in relazione ai termini prescrizionali che anche alle
conseguenze pregiudizievoli risarcibili – solo quelle prevedibili in caso di responsabilità
contrattuale in cui il debitore non presenti l’elemento psicologico del dolo-) per vedere
ristorare i danni subiti, sia patrimoniali che non patrimoniali ( cfr. Cass. S.U. 12 marzo
2001, n. 99). Negli ultimi anni questa tesi è stata tuttavia superata dalla Cassazione, la
quale ha affermato la natura esclusivamente contrattuale della responsabilità, la quale
ricorre tutte le volte << che risulti fondata sull’inadempimento di un’obbligazione giuridica
preesistente>> ( cfr. Cass. 25 maggio 2006, n. 12445).
La Corte Costituzionale 11. 7. 2003 n. 233 ha riportato la tutela del danno biologico
nell’ambito della categoria dei danni non patrimoniali e ha ritenuto che lo stesso sia una
componente del danno non patrimoniale disciplinato dall’art. 2059 cod.civ. , ma non
soggetto al soffocante limite della riserva di legge, e sia risarcibile sempre in quanto
espressione del diritto alla salute di cui all’articolo 32 della Costituzione.
La
sentenza delle S.U. della Cassazione n. 26973 del 11/11/2008 ha nuovamente
rivoluzionato lo scenario ( peraltro complicato e non sempre coerente) dei danni risarcibili,
statuendo che, al di fuori della bipartizione danno patrimoniale- danno non patrimoniale,
non sia consentito individuare autonome voci di nocumento, costituendo quelle categorie
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fino ad oggi individuate dalle espressioni “ danno biologico”, “danno morale”, “ danno
esistenziale”, semplici aspetti descrittivi di un unico danno, e nello specifico, del danno non
patrimoniale.
Le problematiche della risarcibilità del danno, ivi compreso quello non patrimoniale,
nell’ambito del diritto del lavoro sono complicate dalla coesistenza di un sistema di
assicurazione pubblica, (gestita dall’INAIL), il quale, da un lato assolve al compito di
indennizzare in tempi rapidi il lavoratore, sollevandolo dallo stato di bisogno conseguente
all’infortunio e non costringendolo ad intentare un’azione comune nei confronti del datore
di lavoro ( il quale rimane esonerato da responsabilità per i danni indennizzati dall’INAIL,
salva la possibilità, per il leso, di richiedere il danno differenziale nei termini e modi previsti
dall’art. 10 T.U. 1124/65), dall’altro non pone in essere un vero e proprio ristoro del danno,
essendo possibile che l’indennizzo sia difforme ( per eccesso o per difetto) al danno
civilisticamente risarcibile.
Per affrontare l’argomento del danno civilistico ( patrimoniale e non patrimoniale)
risarcibile da parte del datore di lavoro quale possibile conseguenza di un infortunio sul
lavoro o di una malattia professionale, o comunque di una condotta non conforme agli
obblighi di cui all’art. 2087 cod.civ., occorre pertanto comprendere l’ambito e l’oggetto della
tutela previdenziale, anche risalendo sinteticamente alle sue origini, per poi esaminare la
disciplina attuale, così come risultante dopo l’introduzione del D.Lgs. 38/00, ed infine dopo
gli arresti delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 26973/2008.
Infine verrà fatto un “focus” sulla liquidazione del danno differenziale nelle lesioni
cagionate da esposizione professionale ad amianto
LE LINEE FONDAMENTALI DELL' ASSICURAZIONE PER GLI INFORTUNI SUL
LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI.
Per comprendere le linee fondamentali dell'assicurazione per gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali, così come risultanti dalla legislazione attuale, è necessario fare un
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breve riferimento alla genesi storica di questo istituto e alle principali tappe evolutive, fino
ai giorni nostri.
Le origini più prossime del problema concernente gli infortuni sul lavoro si fanno risalire,
per il nostro Paese, intorno al 1870.
Il problema cominciò ad essere discusso per una maggiore sensibilità sociale e anche per
il diffondersi di orientamenti che venivano al riguardo manifestati in altre nazioni.
All'epoca, alla stregua delle disposizioni del codice civile del 1865 il lavoratore, colpito da
infortunio sul lavoro, per ottenere un indennizzo a titolo di risarcimento del danno sofferto
si trovava nella necessità : a) di dimostrare la ricorrenza dei presupposti della
responsabilità extracontrattuale o aquiliana dell'imprenditore ( e cioè la colpa del datore di
lavoro, l'esistenza di un danno, la dipendenza fra colpa e danno); b) di sostenere l'onere di
tali non facili prove in procedimenti giudiziari inevitabilmente lunghi; c) di correre l'alea
della non solvibilità dell'imprenditore riconosciuto colpevole.
La inadeguatezza delle disposizioni di diritto comune si palesava, soprattutto, nella
limitazione di tutela che da esse derivava, posto che non erano risarcibili gli infortuni il cui
verificarsi fosse da riferirsi alla colpa del lavoratore, al caso fortuito, o a forza maggiore.
La questione degli infortuni sul lavoro fu inizialmente impostata in rapporto alla
responsabilità dell'imprenditore, e i numerosi progetti di legge e il dibattito dottrinale e
giurisprudenziale dell'epoca si orientarono ad affermare una responsabilità "inasprita" degli
imprenditori nei riguardi degli infortuni sul lavoro, e ad ideare una sua presunzione di
colpa con conseguente inversione dell'onere della prova, tanto da favorire il ricorso
all'assicurazione infortuni, prima in forma facoltativa, e poi in forma obbligatoria.
La L. 17 marzo 1898, n.80 presenta un interesse particolare da un punto di vista storico,
perchè costituisce la prima affermazione legislativa dell'obbligatorietà dell'assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro. Essa, peraltro, aveva un campo di applicazione limitato,
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prevedeva la corresponsione di sole prestazioni economiche e subordinava la tutela
previdenziale al carattere contrattuale del rapporto di assicurazione.
Il T.U. 31 gennaio 1904, n. 51, oltre che riordinare e raccogliere in un solo provvedimento
le disposizioni concernenti l'assicurazione infortuni, abolì il principio della non
obbligatorietà dell'assicurazione per i lavori attuati con meno di cinque operai e per quelli
svolti in condizioni ambientali particolarmente rischiose, ma mantenne il carattere
contrattuale dell'assicurazione, di tal che se l'imprenditore non avesse stipulato
l'assicurazione o avesse posto in essere una inadempienza che avesse comportato la
nullità o l'inoperatività del contratto, avrebbe dovuto personalmente pagare le indennità
agli operai nella misura che sarebbe stata corrisposta dall'Istituto assicuratore e a versare
un uguale ammontare alla Cassa.
L'inizio della tutela infortunistica in forma specifica per il settore agricolo si ebbe più tardi
con
il
D.L.Lgt.
23
agosto
1917,
n.
1450.
Questo
provvedimento
introdusse
nell'ordinamento previdenziale principi nuovi e di rilievo, quali l'automaticità della tutela
previdenziale e l'estensione della stessa ad alcune categorie di lavoratori autonomi.
La L. 13 maggio 1929, n. 928 indrodusse poi l'assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali per il settore industriale, (mentre per il settore agricolo bisogna attendere fino
alla L. 21 marzo n. 313 e al D.P.R. 28 aprile 1959, n.471).
La riforma operata nel settore industriale con il R.D. 17 agosto 1935, n.1765 rappresentò
un punto fondamentale nell'evoluzione legislativa infortunistica, soprattutto per la novità
dei principi con essa affermati, radicalmente diversi rispetto alla normativa fino allora in
vigore.
La riforma, attuata prima con la legge delega 29 gennaio 1934, n.33, e poi appunto con il
R.D. 1765/35 emanato in esecuzione della delega, si qualificò soprattutto per il carattere
pubblicistico impresso all'assicurazione infortuni sul lavoro e malattie professionali. A
seguito di essa si ebbe la costituzione automatica del rapporto assicurativo, la piena
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automaticità del diritto alle prestazioni, l'erogazione delle prestazioni di carattere sanitario
oltre quelle economiche, l'affermazione del c.d. obbligo delle cure, la sostituzione
dell'indennizzo in capitale con quello in rendita per i casi di inabilità permanente e di
morte, la revisione della rendita di inabilità permanente, l'integrazione della rendita in
rapporto alla composizione familiare dell'assicurato.
Con la L. 19 gennaio 1963, n.15 si introdussero ulteriori innovazioni, quali l'ampliamento
del campo di applicazione della tutela sia per le lavorazioni che per le categorie di
lavoratori; l'allineamento generale di tutte le rendite, indipendentemente dall'epoca
dell'infortunio, a parità di inabilità, di condizioni salariale e di composizione familiare;
l'aumento dei massimali e dei minimali per la liquidazione delle rendite per inabilità
permanente e per morte; l'adeguamento periodico dei massimali e minimali anzidetti in
rapporto ai livelli salariali.
La L. n. 15 del 1963 presenta poi un'importanza storica particolare anche perchè
conteneva due deleghe legislative al Governo, una per un testo unico in materia, e un'altra
per la disciplina dell'istituto dell’infortunio "in itinere". La prima delega è stata realizzata
con il D.P.R. 30 giungo 1965, n. 1124, ancora in vigore, se pure novellato dal
D.Lgs.n.38/00, mentre la seconda non è mai stata attuata e la prima disciplina positiva
generalizzata di infortunio "in itinere" è rinvenibile nel D.Lgs n. 38/00, emanato a seguito
della Legge Delega 17 maggio 1999, n. 144.
Il T.U. 1124/65 si ricollega alla L. 19 gennaio 1963, n. 15, non soltanto sotto il profilo
giuridico-formale, essendo stato emanato in virtù della delega contenuta nell'art. 30, ma
anche sotto il profilo sostanziale, perchè esso esprime le scelte legislative accolte in sede
di delega.
L'auspicato ampliamento del campo di applicazione della tutela infortunistica è stato
attuato sia sotto il profilo obiettivo, e cioè allargando l'ambito delle lavorazioni protette
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( anche attraverso il mutato concetto di macchina accolto all'art. 1 D.P.R. 1124/65), sia
sotto il profilo soggettivo, ampliando la nozione di persona assicurata.
Anche l'attuale legislatore, nel D.Lgs 23 febbraio 2000, n. 38, ha mantenuto l'impianto
strutturale del D.P.R. 1124/65, procedendo solo ad ampliare l'ambito di applicazione della
tutela previdenziale, ma rimanendo ancorato ad una logica selettiva delle lavorazioni
protette e dei soggetti assicurati.
Da quanto sopra esposto emergono con evidenza le linee fondamentali del nostro sistema
assicurativo attuale, che per comodità di chi legge mi appresto qui ad elencare.
Sotto il profilo STRUTTURALE:
1- Il sistema, sorto con aspetti che lo avvicinavano alla disciplina delle assicurazioni
private, da contratto di assicurazione, in cui l'assicurato era il datore di lavoro, si è evoluto
in un istituto giuridico ove assicurato è il lavoratore, ma di riflesso comporta anche una
garanzia della responsabilità civile del datore di lavoro, il quale è esonerato dal
risarcimento dei danni nei limiti di cui all'art. 10 T.U. 1124/65 ( la responsabilità sussiste
solo per i fatti costituenti reato perseguibile di ufficio di cui il datore di lavoro debba
rispondere civilmente e solo per la parte di danno eccedente l'indennità liquidata
dall'assicuratore sociale).
2-L'assicurazione sociale ha certamente natura assicurativa, ed è fondata in via prioritaria
( anche se non esclusiva sussistendo anche il concorso finanziario dello Stato) sulla
solidarietà di gruppo ( i premi pagati dai datori di lavoro che svolgono le attività protette
costituiscono le risorse con cui vengono erogate le prestazioni).
3-Il rischio assicurato è quello professionale, cioè quello collegato alle lavorazioni protette
dalla normativa ( e quindi non quello derivante "tout court" da qualsiasi lavoro).,E’ infatti
oggetto di dibattito sia a livello dottrinale che a livello giurisprudenziale se oggetto di
assicurazione siano solo i danni derivanti eziologicamente dalla lavorazione protetta o
anche quelli più semplicemente inerenti alla stessa.
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4-L'assicurazione infortuni è sostanzialmente una assicurazione contro i danni alla
persona del lavoratore. I danni coperti da assicurazione, dopo l'introduzione del D.Lgs
38/00, sono quelli patrimoniali derivanti dalla perdita della capacità lavorativa generica per
inabilità permanente pari o superiore al 16%, dalla perdita della capacità lavorativa
specifica per inabilità temporanea assoluta superiore a tre giorni, dalla morte del
lavoratore derivante dall'infortunio o dalla malattia professionale, dalla perdita dell'integrità
psicofisica in misura pari o superiore ad un 6% ( danno biologico).
5-L'assicurazione ha una funzione indennitaria e non risarcitoria, ed è sorta, e permane,
con l'intento di liberare rapidamente il lavoratore dallo stato di bisogno conseguente
all'infortunio o alla malattia ( cfr. in questo senso Cass.19/2/91, n.8085, nonchè Corte
Cost. 21/11/97, n.350). L'indennizzo, dato in capitale per le invalidità permanenti
ricomprese tra il 6% e il 15%, e in rendita per le lesioni comportanti invalidità permanenti
pari o superiori al 16%, prescinde da un accertamento della effettiva consistenza del
danno, ma è rapportato a delle tabelle in cui il legislatore fa una valutazione
predeterminata ed astratta dei danni derivanti dalle lesioni ( anche se il nuovo sistema
introdotto dal D.Lgs. 38/00 riduce gli eventuali divari esistenti tra danno effettivo e
indennizzo).
Sotto il profilo FUNZIONALE :
6-L'assicurazione infortuni opera a prescindere dalla stipula di un contratto di
assicurazione, di tal che la stessa sorge automaticamente con il sorgere del rapporto
tutelato, e , quindi, l'assicurato ha diritto alle relative prestazioni anche nel caso di omessa
denuncia del rapporto all'INAIL o di mancato o non adeguato pagamento dei premi da
parte del datore di lavoro ( c.d. principio della automaticità delle prestazioni).
7-Il procedimento assicurativo si fonda in ogni caso sull'interdipendenza funzionale e
finalistica esistente fra contributi e prestazioni, e il nostro ordinamento positivo detta una
normativa specifica diretta a garantire l'equilibrio finanziario delle gestioni previdenziali
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mediante preventive valutazioni statistico-attuariali degli oneri corrispondenti alle
prestazioni ( è il procedimento di determinazione dei premi).
8- i soggetti destinatari della normativa ( assicurati e assicuranti) non hanno alcuna facoltà
di modificare la portata della tutela ( e quindi di incidere sul contenuto del rapporto
assicurativo).
9- I lavoratori hanno diritto alla prestazione anche se il fatto dannoso si è verificato per loro
colpa ( è esclusa la tutela solo in caso di dolo), ed hanno solo l'onere di dimostrare che
l'infortunio si è verificato in "occasione di lavoro", o di avere la malattia professionale
indicata in tabella, o, per le malattie non tabellate, di avere contratto detta malattia a causa
della attività professionale espletata. Sono esonerati da dare dimostrazioni sulla colpa del
datore di lavoro o di terzi.
L’EVENTO LESIVO e i DANNI RISARCIBILI.
L’ambito dei danni risarcibili è stato significativamente modificato dalla L. 144/99, prima, e
poi, più incisivamente, dal D.Lgs . 38/2000 e da D.M. 12/7/2000, pubblicato sul
supplemento ordinario n. 119 della Gazzetta Ufficiale n. 172 del 25/7/2000 (le tabelle
risultano recentemente aggiornate con D.M. 27.3.2009 n. 38562 , in G.U. 26.5.2009).
Per comodità espositiva reputo utile
prima delineare il quadro normativo e
giurisprudenziale antevigente, ( che comunque continua a trovare applicazione per tutti gli
infortuni verificatisi prima del 8/8/2000, e per le malattie professionali denunciate prima di
tale data - cfr. art. 13, c.2 D.Lgs 38/2000 , D.M. 12/7/2000, art. 73, comma 3 L. 23/12/00,
n. 388, e art. 1, comma 2 D.Lgs. 19/4/01, n.202), e poi illustrare il contenuto delle nuove
disposizioni legislative. Infine verrà accennato alla scenario attuale, successivo alle sopra
citate Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 11 novembre 2008 in punto di danno
non patrimoniale. Conclusivamente verrà trattato il tema della liquidazione del danno
differenziale per lesioni cagionate dall’esposizione professionale ad amianto.
a)- LA DISCIPLINA ANTEVIGENTE
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Non qualsiasi lesione costituiva infortunio sul lavoro, ma solo quelle che provocavano le
conseguenze normativamente determinate della morte,
della inabilità temporanea
assoluta superiore a tre giorni, o dell’inabilità permanente parziale superiore al 10%
( cfr.artt. 2 e 74 DPR 1124/65, prima della modifica apportata dall’art. 13 D.L.gs. 38/2000).
Tra lesione e invalidità vi era dunque una autonomia concettuale, perché la prima era
causa della seconda, e giuridica, sia perché oggetto della tutela non era la lesione
all’integrità psicofisica dell’assicurato, ma l’inabilità che ne conseguiva, sia perché vi erano
prestazioni collegate alla prima, quali quelle di pronto soccorso, indipendenti dalla
seconda.
L’inabilità è la riduzione, causata dalla lesione infortunistica, della capacità di continuare a
produrre i mezzi adeguati alle esigenze della vita ( art. 38, comma 2 Cost), e cioè della
capacità di lavoro e di guadagno.
Nel previgente
assetto normativo, l’inabilità permanente andava riferita all’attitudine
generica al lavoro, e non alle specifiche capacità professionali dell’infortunato e neppure
alla capacità lavorativa attitudinale, e tantomeno alla capacità di guadagno. Ciò si desume,
tra l’altro, dalle tabelle di valutazione già allegate al testo unico, che prescindono dal
considerare il lavoro specifico ( cfr. Cass. 19 febbraio 1991, n. 8085; nonché Corte Cost.
21 novembre 1997, n. 350, la quale, investita della legittimità costituzionale degli artt. 74,
primo comma e 78, primo comma DPR 1124/65, - i quali, interpretati secondo il diritto
vivente nel senso che l’attitudine al lavoro sia la “capacità lavorativa generica” e non la
“ capacità lavorativa specifica”, secondo il giudice remittente si porrebbero in contrasto con
l’art. 38 , secondo comma, della Costituzione - nel ribadire la sola rilevanza della capacità
lavorativa generica, -e quindi la non fondatezza della censura-, sottolinea come
l’assicurazione obbligatoria non sia sorta con intenti propriamente risarcitori, ma piuttosto
al fine di liberare rapidamente il lavoratore dallo stato di bisogno conseguente all’infortunio
o alla malattia, sulla base di una logica c.d. “ transattiva”).
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Viceversa, per l’inabilità temporanea assoluta rileva il lavoro espletato al momento
dell’infortunio, e quindi la capacità specifica.
Il danno da infortunio andava quindi valutato in maniera articolata in relazione alle
prestazioni stabilite: come lesione, per quelle sanitarie, come invalidità al lavoro specifico,
per l’indennità temporanea, come inabilità generica, per la rendita.
Le principali caratteristiche che differenziavano l’indennizzo previdenziale dal comune
risarcimento del danno si possono così sintetizzare: a) nel sistema delineato dal DPR
1124/65, nella determinazione del grado percentuale di invalidità si aveva riguardo alla
riduzione dell’”attitudine di lavoro” e non già alla compromissione dell’integrità psicofisica;
b) il danno era forfetizzato “ex lege” per il ricorso a retribuzioni convenzionali e perché il
guadagno dell’infortunato aveva rilievo solo entro determinati minimali e massimali; c) le
prestazioni previdenziali erano corrisposte, anziché per equivalente, nella forma della
rendita vitalizia; d) al di fuori dell’invalidità permanente competevano prestazioni solo per il
caso di inabilità temporanea assoluta e non parziale e l’indennità giornaliera, che spettava
per l’inabilità temporanea, era correlata al guadagno dell’infortunato.
L’inabilità costituiva pertanto una nozione diversa dal danno alla persona rilevante ai fini
dell’art. 2043 cod.civ..
Il DANNO BIOLOGICO, quindi, consistente nella menomazione della integrità psicofisica
della persona , ed incidente nel valore uomo in tutta la sua concreta dimensione, che non
si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza ( cfr. Cass. 5 settembre 1988, n.
5033) , era “ de jure condito”, estraneo alla tutela infortunistica, mirata esclusivamente ad
assicurare i mezzi adeguati di vita, in qualche misura sostitutivi di quelli persi a causa
dell’inabilità lavorativa. (Cfr. in questo senso anche Cass.Civ. 22 gennaio 1998, n. 605,
secondo la quale << il risarcimento del danno biologico e l’indennizzo del danno da ridotta
attitudine lavorativa sono reciprocamente estranei, giacché il primo è volto a ristorare il
danneggiato di un pregiudizio subito in un valore personale, di natura non patrimoniale, nel
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ricostruire il quale si deve prescindere da ogni considerazione dell’attitudine della persona
a produrre, con la propria attività lavorativa, un reddito, mentre il secondo è volto ad
indennizzare l’assistito per un pregiudizio che egli è considerato avere subito nella propria
attitudine a ritrarre guadagno dall’esplicazione della sua attività lavorativa.>>).
La problematica relativa alla distinzione tra danno biologico, danno patrimoniale ( nella
duplice veste di danno emergente e lucro cessante), e danno morale ( “ pretium doloris”)
nel campo delle assicurazioni sociali è sorta con riguardo al diritto di regresso dell’INAIL
nei confronti del datore di lavoro, e nello speculare ambito delle azioni dirette spettanti al
lavoratore nei confronti di quest’ultimo ( artt. 10 e 11 T.U. 1124/65).
L’originario impianto della legge si presentava caratterizzato dai seguenti tratti.
L’assicurazione sociale obbligatoria esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile
per gli infortuni sul lavoro ( art. 10, comma 1, cit.).
L’esonero viene meno quando l’infortunio deriva da fatto delle cui conseguenze il datore di
lavoro debba rispondere civilmente e che costituisca reato ( art. 10, commi, 2, 3, 4 e 5) :
però, anche in questo caso, il risarcimento è dovuto limitatamente alla parte di danno
eccedente l’indennità liquidata dall’assicuratore sociale ( art. 10, commi 6 e 7).
L’INAIL è in ogni caso tenuto a corrispondere l’indennità, ma può recuperare il relativo
capitale con azione di regresso ( art. 11, commi 1 e 2 ), contro le persone civilmente
responsabili, se l’infortunio dipende da reato perseguibile d’ufficio imputabile allo stesso
datore o ad altro soggetto del cui operato egli debba rispondere a norma del codice civile
( cfr. altresì Corte Cost. 9 marzo 1967, n. 22); con azione surrogatoria ( art. 1916 cod.civ.)
contro soggetti diversi, responsabili del fatto da cui è derivato l’infortunio; contro
l’assicuratore della responsabilità civile da circolazione stradale ( art. 28 L. n. 990 del
1969), se l’infortunio deriva da fatto che dà luogo a responsabilità da circolazione stradale.
La Corte Costituzionale, dopo le proprie pronunce con cui è stata riconosciuta la figura del
danno biologico, quale lesione del bene giuridico salute, pienamente operante nei rapporti
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tra privati come bene primario ( Corte Cost. 29 luglio 1978, n. 88), e il cui risarcimento non
può essere limitato dal legislatore ( Corte Cost. 14 luglio 1986, n. 184), con le sentenze
87, 356 e 485 del 1991 ha affermato che l’assicurazione sociale contro gli infortuni non ha
per oggetto il danno biologico di per se stesso e nella sua integralità, perché le indennità
prevedute dal DPR n. 1124 del 1965 sono collegate e commisurate esclusivamente ai
riflessi che la menomazione psicofisica ha sull’attitudine al lavoro, mentre nessun rilievo
assumono gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione comporta con
riferimento agli altri ambiti e agli altri modi in cui il soggetto svolge la sua personalità nella
propria vita. La Corte ha così affermato che << il danno biologico, in sé considerato, deve
ritenersi risarcibile dal datore di lavoro secondo le regole che governano la responsabilità
civile >> ( Corte Cost. 15 febbraio 1991, n. 87) e che l’esonero da responsabilità del datore
di lavoro sussiste in rapporto al pregiudizio che trova ristoro attraverso le prestazioni
dell’assicuratore sociale, sicché << all’azione di risarcimento del danno da lesione del
diritto alla salute, per gli effetti non collegati alla eventuale diminuzione della capacità
lavorativa
o
alla
eventuale
perdita
di
guadagno,
non
può
essere
opposto,
indipendentemente dall’esistenza o meno di un reato, l’esonero da responsabilità civile
previsto dalla norma impugnata - l’art. 10, 1^ e 2^ comma del DPR 30 giugno 1965, n.
1124 - a favore del datore di lavoro >> ( Corte Cost. 18 luglio 1991, n. 356).
La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, 6^ e 7^ comma del
DPR n. 1124 del 1965 , << nella parte in cui prevede che il lavoratore infortunato o i suoi
aventi causa, hanno diritto, nei confronti delle persone civilmente responsabili per il reato
da cui l’infortunio è derivato, al risarcimento del danno biologico non collegato alla perdita
o alla riduzione della capacità lavorativa generica solo se e solo nella misura in cui il
danno risarcibile, complessivamente considerato, superi l’ammontare delle indennità
corrisposte dall’INAIL>> ( Corte Cost. 27 dicembre 1991, n. 485).
Questo per quanto attiene al piano del rapporto tra infortunato e datore di lavoro.
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Per quanto ha invece riguardo al piano dei rapporti tra assicuratore sociale e soggetti
tenuti a rispondere delle conseguenze del fatto <<infortunio>>, la Corte ha da un lato
dichiarato l’illegittimità dell’art. 1916 cod.civ. << nella parte in cui consente all’assicuratore
di avvalersi, nell’esercizio del diritto di surrogazione nei confronti del terzo responsabile,
anche delle somme da questi dovute all’assicurato a titolo di risarcimento del danno
biologico>> ( Corte Cost. 18 luglio 1991, n. 356), dall’altro ha dichiarato l’illegittimità
dell’art. 11, 1^ e 2^ comma, del DPR 1124 del 1965 << nella parte in cui consente all’INAIL
di avvalersi, nell’esercizio del diritto di regresso contro le persone civilmente responsabili,
anche delle somme dovute al lavoratore infortunato a titolo di risarcimento del danno
biologico non collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica >>
( Corte Cost. 27 dicembre 1991, n. 485).
Il principio per cui la garanzia costituzionale del diritto alla salute non consente che
nell’ordinamento operino discipline limitative del risarcimento del danno biologico ha fatto
sì che aspetti della disciplina del rapporto assicurativo sociale siano caduti: per il
lavoratore danneggiato sono stati rimossi i limiti all’integrale risarcimento del danno
biologico in confronto del datore di lavoro; per l’assicuratore è stato escluso il diritto a
recuperare il costo delle prestazioni, nella misura in cui l’esercizio di tale diritto veniva a
rappresentare una compressione di quello del danneggiato al pieno risarcimento del
danno biologico.
I principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale hanno manifestato peraltro una
capacità di espandersi oltre il campo della garanzia del diritto alla salute per cui erano stati
forgiati.
La Corte Costituzionale, nella sentenza 18 luglio 1991, n. 356, aveva escluso che la
dichiarazione di parziale illegittimità dell’art. 1916 cod.civ. potesse essere estesa a quanto
atteneva al risarcimento del DANNO MORALE di cui all’art. 2059 cod.civ., o ad altre
ragioni risarcitorie parimenti non assistite dalla garanzia di cui all’art. 32 Cost..
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La Corte di Cassazione, con la sentenza 20 giugno 1992, n. 7577, resa con riguardo a un
caso in cui veniva in discussione il diritto dell’assicuratore sociale ad agire in base all’art.
1916 cod.civ. aggredendo la componente del risarcimento del danno rappresentata dal
danno morale soggettivo,
innovando il precedente orientamento
giurisprudenziale di
legittimità , lo ha escluso in base al principio per cui il diritto di surroga non può operare
fuori dall’ambito del danno cui le prestazioni dell’INAIL assicurano ristoro.
La Corte Costituzionale, di nuovo investita della questione, ( peraltro in rapporto agli artt.
10, 6^ e 7^ comma, ed 11, 1^ e 2^ comma DPR n. 1124/65), nel dichiararla non fondata,
ed in considerazione del mutato orientamento della Corte di Cassazione, ha evidenziato
come i limiti dell’azione di surroga o di regresso << debbano essere ricercati nel rapporto
assicurativo e nella sua funzione indennitaria, escludendosi dunque dall’ambito della
surroga quelle componenti del danno spettanti al danneggiato nei confronti del terzo che
siano estranee alla copertura assicurativa, ché, altrimenti, l’assicurato verrebbe
espropriato del suo diritto all’integrale risarcimento del danno, con conseguente palese
violazione del principio generale espresso dall’art. 2043 cod.civ.>> ( Corte Cost. 17
febbraio 1994, n. 37).
Le sopra indicate sentenze della Corte Costituzionale ( le n. 87, 356 e 485 del 1991, ma in
particolare la 356/91 e la 485/91), mentre
sanciscono chiaramente il principio della
riparazione integrale del danno alla salute, hanno creato, per contro, all’operatore del
diritto, il problema applicativo dell’esatta fissazione dei rapporti tra <<danno civile>> e
<<danno previdenziale>>. La Corte Costituzionale ha infatti precisato che la rendita INAIL,
pur non indennizzando il danno biologico in sé considerato, non ha neppure ad oggetto il
danno patrimoniale in senso stretto, posto che <<essa spetta a prescindere dalla
sussistenza
o
meno
di
un’effettiva
perdita
o
riduzione
dei
guadagni
dell’assicurato>>.(Corte Cost. n. 356/91). Inoltre, nel dichiarare l’illegittimità dei commi 6^
e 7^ dell’art. 10 T.U. 1124/65 nella parte in cui gli stessi possano limitare la piena
14
risarcibilità del danno biologico “laddove esso non sia collegato” alla perdita o alla
riduzione della capacità lavorativa generica, ( costituente l’oggetto precipuo della tutela
previdenziale), la Corte ha implicitamente posto all’interprete il problema della
individuazione del “ quantum” di danno biologico che, essendo collegato alla perdita o
riduzione della capacità lavorativa generica, poteva ritenersi già
ricompreso nel
trattamento previdenziale.
Al riguardo, mentre nella giurisprudenza di legittimità prevaleva la tesi secondo cui <<il
danno biologico non è valutabile in alcun modo in sede di assicurazioni contro gli infortuni
sul lavoro>>, essendo essa volta esclusivamente ad indennizzare la riduzione o la perdita
della capacità lavorativo-reddituale degli assicurati ( cfr. Cass. 25 luglio 1991, n. 8341;
Cass. 4 dicembre 1992, n. 12911; Cass. 6 maggio 1994, n. 4412; Cass. 4 ottobre 1994, n.
8054; Cass. 15 settembre 1995, n. 9761; Cass. 6 dicembre 1995, n. 12569; Cass. 30
dicembre 1997, n. 13126; Cass. 22 gennaio 1998, n. 605 ), nella giurisprudenza di merito
si rinvenivano pronunce propense a riconoscere una cumulabilità soltanto parziale tra le
due specie di danno.
La singolarità dei metodi escogitati per l’individuazione della misura di questa <<quota>>
rappresentava una eloquente spia delle difficoltà operative.
Talune corti hanno infatti quantificato l’incidenza della ridotta capacità lavorativa sulla
integrità psicofisica del danneggiato nella misura di un terzo, sul presupposto che <<
quantomeno nel mondo occidentale, un individuo dedica mediamente otto ore allo
svolgimento di attività lavorativa>> ( la sentenza “capostipite” di tale orientamento è stata
Trib. Milano, 19 marzo 1992, in Resp. Civ e Prev., 1993, 174, seguita da Trib Genova 5
gennaio 1996, n. 61; Trib. Lecco, 14 maggio 1996, n. 275; Trib. Roma, 30 giugno 1997, n.
12811. Si veda altresì Cass. 7 agosto 1997, n.7331, che nel confermare la sentenza n.
454/94 del Tribunale di Lecco, ha affermato che la sentenza impugnata ha fatto buon
governo dei principi esistenti in materia, << perché ha distinto la parte di danno biologico
15
rientrante nella prestazione previdenziale, in quanto ricadente sull’attitudine al lavoro
dell’assicurato, da quella ad essa estranea e, pertanto, non oggetto dell’intervento
dell’INAIL>>. << Quanto alla determinazione nella misura di un terzo del complesso delle
potenzialità e delle attitudini psicofisiche della persona della incidenza della menomazione
della capacità lavorativa generica, si tratta di un accertamento di fatto non suscettibile di
riesame in sede di legittimità, e che, in particolare non può dirsi privo di adeguata e
congrua motivazione, nei suoi aspetti necessariamente presuntivi ed equitativi, allorché si
è fatto riferimento ad elementi proporzionali temporali, alla importanza sociale attribuita
alle stesse attività, secondo un criterio affermatosi nella giurisprudenza di merito>>.). In
diverse occasioni, la <<maggiore considerazione dell’importanza dell’attività lavorativa in
genere ... sul complesso delle attività in cui si estrinseca la personalità umana>> ha
indotto i giudici ad elevare tale misura fino ad un mezzo ( così Trib. Milano, 26 giugno
1995, n. 6507; Trib. Torino 18 novembre 1992, in Riv. Inf. Mal.Prof., 1993, II, 182). Altre
pronunce, infine, non hanno invece condiviso la determinazione matematica della “quota”
del risarcimento del danno biologico recuperabile dall’ente previdenziale, preferendo
rinviare alle risultanze del consulente medico, al quale è stato richiesto di determinare
l’incidenza dei <<postumi residuati sulla capacità lavorativa generica>> ( Trib. Treviso, 2
ottobre 1996, n. 1434).
Non mancano tuttavia decisioni di merito che , nel seguire l’orientamento prevalente della
Corte di Cassazione, hanno rilevato <<la pratica impossibilità di scorporare dal danno
biologico la “quota” già risarcita dall’assicuratore sociale e, quindi, la necessità
di
escludere del tutto la surroga da tale voce di danno per non violare il principio affermato
dalla Corte Costituzionale>> ( così Trib. Udine, 28 aprile 1997, n. 404), ed
hanno
affermato altresì che <<riproporre oggi la rilevanza della capacità lavorativa generica per
consentire una artificiosa suddivisione delle diverse voci che confluiscono nell’unica
categoria di danno...risarcibile...significa negare l’unità della stessa nozione di danno
16
biologico misconoscendone il fondamento>> ( con tali espressioni, richiamando <<i
principi informatori del nuovo sistema di risarcimento del danno alla persona>> Trib.
Milano, 22 gennaio 1996, n. 221, ha motivato il proprio dissenso rispetto alle altre
pronunce dello stesso Tribunale, sopra riportate).
L’orientamento prevalente della Corte di Cassazione trovava un implicito avvallo da Corte
Cost. 23 febbraio 1993, n. 71 ( la quale chiarisce come alla pronuncia di parziale
illegittimità costituzionale dell’art. 10, commi 6 e 7 DPR n. 1124/65, la precedente
decisione n. 485/91 sia giunta <<proprio sul ritenuto presupposto della non computabilità
del danno biologico per la quantificazione della prestazione a carico dell’INAIL>>,
aggiungendo che << il danno biologico non è indennizzato dall’INAIL, ma grava sul
responsabile del fatto>>), e dall’ordinanza Corte Cost. 22 ottobre 1997, n. 319 la quale,
nel ritenere inammissibile la questione di legittimità dell’art. 10 , sesto e settimo comma
DPR 1124/65, sollevata in considerazione dell’omessa previsione di un integrale ristoro del
danno biologico e del danno morale, perché volta a sindacare statuizioni contenute nella
sentenza n. 485 del 1991, precisa come <<il danno morale possa essere richiesto
autonomamente al pari del danno biologico>>. Benché sbrigativo, l’inciso legittimava il
convincimento che la Consulta avesse operato una correzione di tiro rispetto ai passaggi
ambigui della decisione n. 485/91.
I contrasti giurisprudenziali sopra enunciati in parte si ricollegavano alla problematica di
diritto civile concernente i rapporti tra danno biologico e danno da perdita della capacità
lavorativa generica, che per completezza qui di seguito viene sintetizzata.
Secondo un orientamento della Corte di Cassazione, inaugurato con la sentenza
19/3/1993, n. 3260, la lesione della capacità lavorativa generica costituisce uno dei profili
del danno biologico, e non un danno patrimoniale. ( Cfr. testualmente :<< La riduzione
della capacità lavorativa generica, intesa come potenziale attitudine alla prestazione di
attività lavorativa da parte di un soggetto che non svolge al momento attività produttiva di
17
reddito nè sia in procinto presumibilmente di svolgerla, in quanto costituente lesione di un
generico modo di essere del soggetto che non comporta alcun rilievo sul piano della
produzione di reddito e quindi si sostanzia in una menomazione della salute intesa in
senso lato, è risarcibile percò in quanto tale e, cioè, come danno biologico. E così pare
abbia opinato anche la Corte Costituzionale (...) quando ha considerato rilevanti ai fini
della decisione “i profili del danno biologico per gli effetti non collegati all’eventuale
diminuizione della capacità lavorativa”, dal che si deduce che la lesione della capacità
lavorativa generica costituisce uno dei profili di danno biologico.>>).
Su questa linea si pongono anche Cass. 9/12/1994, n. 10539; Cass.14/3/1995, n. 2932
(secondo la quale << la riduzione della capacità lavorativa generica, quale potenziale
attitudine all’attività lavorativa da parte del soggetto che non svolge attività produttiva di
reddito, né sia in procinto presumibilmente di svolgerla, è risarcibile quale danno biologico,
nel quale si ricomprendono tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene alla
salute in sé considerato con la conseguenza che l’anzidetta voce di danno non può
formare oggetto di autonomo risarcimento come danno patrimoniale, in quanto già valutata
come danno biologico.>>); Cass. 18/9/1995, n. 9828; Cass. 16/2/1996, n. 1198; Cass.
19/4/1996, n. 3727; Cass. 16/9/1996, n. 8281; Cass. 11/6/1997, n. 5251; Cass. 25/6/1997,
n. 5675.
Secondo altro orientamento, invece, la capacità lavorativa generica ha una natura
ancipite, potendo consistere ora in un valore personale, e come tale ricompreso nel danno
biologico, ora come un valore patrimoniale, e quindi escluso dal danno biologico. La
stessa, quindi, può rilevare come lesione del generico modo di essere del danneggiato, e
quindi come danno biologico, e come riduzione della capacità di guadagno, e quindi come
danno patrimoniale.( Cfr. Cass. 16/2/1998, n. 1764, secondo la quale << l’accertamento di
postumi permanenti, incidenti con una certa entità (...) sulla capacità lavorativa specifica,
non comporta l’automatico obbligo del danneggiante di risarcire il danno patrimoniale ( art.
18
2043 cod.civ.), conseguenza della riduzione della capacità di guadagno - derivante dalla
ridotta capacità lavorativa, specifica e generica - e quindi di produzione di reddito, e perciò
incombe al danneggiato la prova del lucro cessante - anche presuntiva, perchè proiettato
nel futuro (...), mentre nella liquidazione del danno biologico, consistendo nell’evento della
menomazione dell’integrità psicofisica della persona, può essere compresa la riduzione
della capacità lavorativa generica, considerata però non come causa di mancato
guadagno, ma come lesione del generico modo di essere del soggetto.>>).
Un ulteriore orientamento di legittimità, infine, considera la lesione alla perdita della
capacità lavorativa generica come un danno di natura esclusivamente patrimoniale, e
quindi diverso dal danno biologico. ( Cfr. Cass. 10/3/1998, n. 2639; Cass. 15/11/1996, n.
10015; Cass. 16/4/1996, n. 3563).
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b)- LA NUOVA DISCIPLINA
Consapevole dei contrasti giurisprudenziali sopra evidenziati in materia di danno risarcibile
in sede di assicurazione INAIL e soprattutto nel campo dei rapporti intercorrenti tra danno
patrimoniale per perdita della capacità lavorativa generica e danno biologico, e
accogliendo l’invito più volte effettuato dalla Corte Costituzionale, la quale aveva auspicato
la copertura assicurativa pubblica del danno biologico, il legislatore con la L. 17 maggio
1999, n. 144, all’art. 55, lett.s) ha previsto di delegare il Governo ad emanare uno o più
decreti legislativi che tenessero conto del criterio direttivo consistente nella << previsione ,
nell’oggetto dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e
nell’ambito del relativo sistema di indennizzo e di sostegno sociale, di un’idonea copertura
e valutazione indennitaria del danno biologico, con conseguente adeguamento della tariffa
dei premi >>.
Il Governo ha attuato la delega emanando l’art. 13 del D.L.gs. 23 febbraio 2000, n.38
che:1- << in via sperimentale >> definisce il danno biologico ai fini della tutela
19
dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali; 2stabilisce un indennizzo del danno biologico conseguente ad infortunio o malattia
professionale, purchè la menomazione sia di grado pari o superiore al 6%, prevedendo
una corresponsione di denaro in capitale per le menomazioni ricomprese tra un 6% ed un
16% , e l’erogazione di una rendita per le menomazioni superiori al 16%; 3-stabilisce una
rendita per indennizzare le conseguenze patrimoniali derivanti da menomazioni di grado
pari o superiori al 16%; 4- stabilisce la predisposizione di tabelle di indennizzo del danno
biologico e tabelle << dei coefficienti>> da utilizzarsi per la determinazione dell’indennizzo
del danno patrimoniale, indicando quale autorità competente per la loro predisposizione il
Ministro del lavoro e della previdenza sociale, che opererà su delibera del consiglio di
amministrazione dell’INAIL; 5- prevede l’applicabilità, << per quanto non previsto >> dal
d.l.gs, della normativa del testo unico, << in quanto compatibile>>.
L’art. 13 cit., al primo comma definisce ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria
INAIL, il danno biologico << come la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di
valutazione medico legale, della persona.>>. Precisa poi che << le prestazioni per il ristoro
del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produrre del
reddito dal danneggiato.>>. In tal modo viene recepito legislativamente l’orientamento
della Corte Costituzionale e della giurisprudenza di merito e di legittimità che hanno fino
ad ora considerato il danno biologico come il danno al bene primario della salute, tutelato
dall’art. 32 Cost., non avente natura patrimoniale, ma suscettibile di quantificazione in
termini monetari ( cfr. la giurisprudenza già citata nel paragrafo precedente).
Nel sistema della tutela sociale non possono comunque avere rilevanza altro che le
alterazioni dell’integrità psicofisica suscettibili di valutazione medico-legale proprio per le
intrinseche caratteristiche del sistema, che è imperniato sulla oggettiva rilevabilità della
menomazione, sulla riconducibilità a parametri e meccanismi di presunzione, che
garantiscano
certezza
ed
anche
prontezza
20
ed
immediatezza
del
ristoro,
predeterminandone la misura e liberando il lavoratore dall’onere di provare l’entità del
danno effettivamente patito.
In altre parole, ai fini indennitari può essere preso in considerazione soltanto il danno alla
persona che si traduce nella accertata perdita dell’integrità psico-fisica e nelle conseguenti
limitazioni della possibilità di continuare ad esplicare gli atti ordinari della vita comune, cioè
quel danno che, a parità di sesso, età e lesione, è uguale per qualsiasi soggetto.
Per contro, non possono assumere rilievo diverse componenti del danno ( la cui
collocazione nella categoria del danno biologico è peraltro discussa), quali il DANNO
ESISTENZIALE o il DANNO EDONISTICO, che sono correlate alle specifiche abitudini di
vita del soggetto leso e si riducono ad un coacervo di ipotesi non suscettibili di “reductio ad
unum” perché necessitano di rigorosa prova caso per caso e sono inoltre insuscettibili di
liquidazione predeterminata attraverso un sistema parametrico.
Al comma 2, lett.a), allorchè viene indicata la modalità di indennizzo del danno biologico,
facendo riferimento ad una << tabella delle menomazioni>> di nuova costituzione, il
legislatore fornisce indicazioni ulteriori per comprendere in cosa consiste il danno alla
salute, prevedendo che la tabella di calcolo dell’indennizzo sia << comprensiva degli
aspetti dinamico-relazionali.>>.
A giudizio di chi scrive, la previsione degli aspetti << dinamico-relazionali>> del
nocumento in questione, comporta l’indennizzabilità, sotto tale voce di danno, degli
svantaggi, delle privazioni e degli ostacoli che la menomazione comporta con riferimento
ad ambiti e modi in cui il soggetto svolge la sua personalità nella propria vita, e diversi da
quelli lavorativi e comunque incidenti sulla capacità di produrre reddito, che in passato
certa giurisprudenza qualificava come autonome voci di danno ( es: danno alla vita di
relazione, danno estetico).
In sintesi, l’art. 13 abolisce la rendita per inabilità permanente e al suo posto prevede:
- nessun indennizzo per gradi di menomazione inferiori al 6% ( franchigia);
21
- indennizzo in capitale del solo danno biologico per gradi di menomazioni pari o superiori
al 6% ed inferiori al 16%;
- indennizzo in rendita per gradi di menomazione pari o superiori al 16%, di cui una quota
per danno biologico ed una ulteriore quota aggiuntiva per conseguenze patrimoniali delle
menomazioni.
Gli strumenti attraverso i quali si attua il nuovo sistema di indennizzo sono le tre tabelle
previste dall’art. 13, comma 2, punti a) e b) ed approvate con il Decreto Ministeriale 12
luglio 2000,n. 119, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 172 del 25/7/2000, serie generale,
e cioè:
a) la “Tabella delle menomazioni” che contempla tutti i quadri menomativi derivanti da
lesioni e/o da malattie, comprendendovi gli aspetti dinamico-relazionali. Questa tabella
sostituisce le tabelle sia dell’industria che dell’agricoltura allegate al Testo Unico che
contemplavano solo menomazioni incidenti sulla attitudine lavorativa. Il grado della
menomazione accertato e valutato applicando la nuova tabella delle menomazioni
costituisce la base di calcolo sia per l’indennizzo del danno biologico in capitale o in
rendita, che per la determinazione della ulteriore quota di rendita per l’indennizzo delle
conseguenze patrimoniali;
b) la “Tabella indennizzo danno biologico”, che contiene le misure del ristoro economico
del danno biologico dal 6% al 100%. Tale indennizzo, pur essendo determinato sempre
con gli stessi criteri, viene erogato in capitale per gradi di invalidità pari o superiori al 6%
ed inferiori al 16%, ed in rendita a partire dal 16%;
c) la “ Tabella dei coefficienti” , attraverso i quali si calcola la percentuale di retribuzione da
prendere in riferimento per il calcolo dell’ulteriore quota di rendita che ristora le
conseguenze patrimoniali derivanti, in via presuntiva, dalla menomazione a partire dal
16%.
I principi sui quali è impostata la “Tabella indennizzo danno biologico” sono tre:
22
1- l’indennizzo è areddituale, prescinde cioè dalla retribuzione dell’assicurato, in quanto la
menomazione in sé produce lo stesso pregiudizio alla persona per tutti gli esseri umani;
2- l’indennizzo è crescente al crescere della gravità della menomazione in misura più che
proporzionale sia in termini assoluti che in termini relativi. Infatti, al crescere della
percentuale di invalidità, aumenta il peso di ciascun punto percentuale aggiuntivo, in
quanto va ad incidere su di un quadro clinico maggiormente compromesso;
3- l’indennizzo è variabile in funzione dell’età ( decresce al crescere dell’età) e del sesso
( tiene conto della maggiore longevità femminile). Infatti l’indennizzo in capitale deve
essere proporzionato alla durata della residua vita nel corso della quale deve ristorare il
pregiudizio della menomazione.
Si tratta dei principi del c.d. “sistema a punto variabile” che è quello seguito da molti
Tribunali per il risarcimento civilistico del danno biologico da fatto illecito.
Il valore finanziario del punto base unitario ( “punto INAIL”), è stabilito in £. 1.600.000 ( ora
€. 826,33), e cresce in misura progressiva all’aumentare del grado.
Per quanto attiene all’età, gli importi dell’indennizzo sono modulati in undici classi
quinquennali sulla base dell’andamento delle speranze di vita riscontrate per la collettività
degli infortunati INAIL.
La tabella prevede indennizzi differenziati per i due sessi ( superiori per le femmine), in
ragione della maggiore longevità delle donne.
La “Tabella indennizzo danno biologico” per gradi di menomazioni pari o superiori al 6% ed
inferiori al 16% si applica come una tabella a “ doppia entrata” : una volta accertato il
grado dei postumi, l’importo dell’indennizzo è determinato dall’incrocio tra la riga del grado
stesso e la colonna della classe di età, distintamente per maschi e per femmine.
Per quanto riguarda l’età da prendere in riferimento, il comma 2, lettera a), dispone che si
deve considerare l’età dell’assicurato al momento della guarigione clinica, e cioè alla data
di cessazione del periodo di inabilità temporanea assoluta.
23
Nei casi in cui non esiste un periodo di inabilità temporanea assoluta ( ad es. in diverse
fattispecie di malattie professionali), deve essere presa a riferimento l’età dell’assicurato al
momento della ricezione della denuncia.
Ai sensi del comma 9, se l’assicurato al quale è riconosciuto l’indennizzo in capitale del
danno biologico decede prima che tale indennizzo sia stato corrisposto, è dovuto un
indennizzo proporzionale al tempo trascorso tra la data della guarigione clinica e la morte.
Si tratta dell’applicazione del principio di carattere generale secondo il quale l’indennizzo
in capitale deve essere proporzionato alla durata della residua vita nel corso della quale
deve ristorare il pregiudizio della menomazione, principio che sta alla base della
differenziazione dell’indennizzo in relazione all’età. E’ perciò consequenziale che in caso di
morte prima della erogazione della prestazione si debba corrispondere un indennizzo
rapportato alla effettiva durata della sopravvivenza del danneggiato, e non quello indicato
nella “Tabella indennizzo danno biologico”, costruito utilizzando parametri statistici.
Si osserva, peraltro, che la norma riguarda solo la fattispecie in cui la morte sopravviene
prima della corresponsione dell’indennizzo, con la conseguenza che se l’importo liquidato
in capitale è stato corrisposto e regolarmente riscosso, questa disposizione non si applica.
Gli infortunati o tecnopatici con postumi di grado pari o superiore al 16% hanno diritto
primariamente all’indennizzo del danno biologico e, in aggiunta, ad un ulteriore indennizzo
per le conseguenze patrimoniali della menomazione. Entrambi gli indennizzi sono
corrisposti in forma di rendita vitalizia che, pur essendo unitaria, è composta di due quote
in relazione alla diversa natura e alle conseguenti differenze delle modalità di calcolo.
La quota di rendita per l’indennizzo del danno biologico è quella indicata nella parte della
“Tabella indennizzo danno biologico” riferita a gradi di menomazioni pari o superiori al
16%.
Va precisato che gli indennizzi del danno biologico relativi ai gradi di invalidità di cui si
tratta sono stati determinati con gli stessi criteri utilizzati per i gradi inferiori, e quindi sono
24
anche essi di natura aredittuale e crescenti con il crescere della gravità della
menomazione in misura più che proporzionale sia in termini assoluti che relativi. In questo
caso, però, la tabella non è articolata per fasce di età e per sesso e riporta un solo valore
di rendita annua in corrispondenza di ciascun grado di menomazione. Ciò non significa
che si perdano le relative specificità : queste incidendo sulla durata della rendita vitalizia
determinano automaticamente la diversificazione dell’importo complessivo dell’indennizzo
( ad esempio, un soggetto di 20 anni percepirà la prestazione per un tempo
verosimilmente più lungo di un soggetto di 50 anni, con un conseguente maggiore importo
dell’indennizzo complessivamente corrisposto).
Una volta determinata la quota di rendita annuale per danno biologico, ad essa va
aggiunta una seconda quota per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali, che viene
calcolata ai sensi dell’art.1, comma 1 D.Lgs 19/4/01, n.202, emanato in virtù dell’art. 78,
comma 26, lett.b) L.23/12/00, n.388 ( il quale ultimo, modificando l’art. 55, comma 2
L.17/5/99, n.144, dispone che entro due anni dalla data di entrata in vigore del D.Lgs
38/00 possono essere emanate disposizioni correttive ed integrative del decreto
medesimo), moltiplicando la retribuzione, determinata con le modalità e i criteri del Testo
Unico, per il coefficiente di cui alla “tabella dei coefficienti” e per il grado percentuale di
menomazione.( Il testo originario degli ultimi due periodi del comma 2 lett.b) dell’art. 13
D.Lgs 38/00 prevedevano invece che la quota di rendita fosse liquidata con le modalità e i
criteri di cui all’art. 74 T.U., e cioè rapportando il grado della menomazione valutata sulla
base della tabella delle menomazioni alla retribuzione calcolata secondo le disposizioni
dell’art. 116 e 120, sulla base delle aliquote di cui all’allegato n.7).
L’importante innovazione introdotta dall’art. 13 D.Lgs. 38/2000 è costituita dal fatto che la
retribuzione , ferma restando la sua preliminare riconduzione, ove occorra, al minimale o
massimale di legge, non viene considerata per intero ( salvo che in precisi e determinati
casi), ma viene assunta in una misura percentualmente ridotta in funzione della gravità
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della menomazione, e della sua incidenza sulla capacità lavorativa del lavoratore di
produrre reddito attraverso il lavoro. Questa operazione viene effettuata utilizzando
appunto l’apposita “Tabella dei coefficienti”.
Quest’ultima tabella è finalizzata a determinare uno dei fattori che incidono sulla
quantificazione dell’indennizzo delle conseguenze patrimoniali della menomazione ( gli
altri fattori sono la retribuzione, il grado di menomazione accertato sulla base della nuova
“tabella delle menomazioni”).
In un sistema indennitario di tutela sociale la determinazione e la quantificazione delle
conseguenze patrimoniali della menomazione avviene attraverso parametri fissati per
legge, non essendo possibile la prova caso per caso, nè essendo il sistema finalizzato a
risarcire il danno nell’esatta misura in cui si è verificato. Pertanto la “Tabella coefficienti” è
stata costruita dal legislatore con criteri che prescindono dalle specifiche e contingenti
peculiarità delle effettive modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, nonchè delle
concrete condizioni socio-economiche del mercato del lavoro.
Testualmente il D.M. 12/7/2000 recita :<< Ai fini della presente Tabella si intende per
categoria di attività lavorativa di appartenenza dell’assicurato il complesso delle attività
adeguate al suo patrimonio bio-attitudinale-professionale ( cultura, età, sesso, condizione
psicofisica, esperienze lavorative, ecc.); si intende per ricollocabilità dell’assicurato la
possibilità che le residue capacità psicofisiche siano utilizzabili per attività lavorative anche
mediante interventi di supporto e ricorso a servizi di sostegno.>>.
In questa chiave vanno interpretati ed applicati i concetti espressi dal D.M. di << attività
svolta>>, << categoria di appartenenza>>, e << ricollocabilità>>.
Con circolare n. 57 del 4 agosto 2000 la Direzione Generale dell’INAIL ha fornito una
prima interpretazione del dato normativo, specificando che per << attività svolta>> va
preso in considerazione il tipo di attività nelle sue << generali connotazioni>>,
indipendentemente dalle condizioni contingenti e peculiari dell’organizzazione del lavoro in
26
cui in concreto il danneggiato operava; per << categoria di appartenenza>> quella che va
rapportata al complesso delle attività adeguate, generalmente configurate; per <<
ricollocabilità>> occorre avere riguardo esclusivamente alle << potenzialità lavorative del
soggetto>>, tenendo conto anche dei risultati degli interventi riabilitativi effettuati nonchè
dei benefici che il soggetto può ricavare dagli interventi di supporto ambientali e dai servizi
di sostegno effettivamente fruibili.
La Tabella contiene una predeterminazione dei coefficienti in relazione a fasce di gradi di
menomazione : Fascia A, << la menomazione non pregiudica gravemente nè l’attività
svolta nè quelle della categoria di appartenenza>>, ( menomazione dal 16% al 25%);
Fascia B, << la menomazione pregiudica gravemente o impedisce l’attività svolta, ma
consente comunque altre attività della categoria di appartenenza anche mediante
interventi di supporto e ricorso a servizi di sostegno>>, ( menomazione da 26% a 50%);
Fascia C, << la menomazione consente soltanto lo svolgimento di attività lavorative
diverse da quella svolta e da quelle della categoria di appartenenza, compatibili con le
residue capacità psicofisiche anche mediante interventi di supporto e ricorso a servizi di
sostegno>>, ( menomazione da 51% ad 85%); Fascia D, << la menomazione impedisce
qualunque attività lavorativa, o consente il reimpiego solo in attività che necessitano di
intervento assistenziale permanente, continuativo e globale>>, ( menomazione da 86% a
100%). Questa suddivisione in fasce sottende la presunzione che, con il crescere della
menomazione,
aumenti
l’incidenza
della
menomazione
stessa
sulla
capacità
dell’infortunato di produrre reddito.
Tale presunzione, al fine di personalizzare l’indennizzo, può essere superata, con
adeguata motivazione medico-legale, mediante l’attribuzione, in particolari casi, di un
coefficiente previsto per una fascia di gradi superiore ( cfr. D.M. 12/7/2000 :<< E’
consentito, con motivato parere medico-legale, sia in sede di prima valutazione dei
27
postumi che in sede di revisione, attribuire o confermare il coefficiente previsto per una
fascia di grado superiore.>>).
Per l’applicazione di un coefficiente superiore a quello predeterminato per legge in via
presuntiva, occorre attenersi ai principi ed ai concetti di “ attività svolta”,” categoria di
appartenenza” e “ ricollocabilità” così come sopra illustrati.
Si richiama l’attenzione sui seguenti aspetti:
- è consentito attribuire coefficienti indicati in una fascia di gradi superiore ma non
inferiore;
- è possibile attribuire, sempre motivatamente, un coefficiente indicato in una qualunque
delle fasce superiori e, quindi, non necessariamente in quella immediatamente superiore;
- in sede di revisione è possibile attribuire un più alto coefficiente per la prima volta, se non
è già stato attribuito in precedenza; se invece lo è stato. è necessario che sia
espressamente confermato o revocato;
- per retribuzioni inferiori al minimale o superiori al massimale di legge, il coefficiente va
applicato rispettivamente al minimale e al massimale.
*************************
c)- CONSIDERAZIONI e PROBLEMATICHE SORTE DOPO L’ENTRATA in VIGORE del
D.Lgs.38/2000 MA PRIMA E A PRESCINDERE DALLA SENTENZA delle S.U. della
CORTE di CASSAZIONE 11/11/08.
Non può non notarsi la stranezza di una definizione << in via sperimentale>> del danno
biologico, che la circolare INAIL n.57 del 4/8/2000 giustifica con la portata radicalmente
innovativa dell’art. 13 D.Lgs 38/00, che oltre a rivoluzionare il precedente sistema, <<
rappresenta anche la prima regolamentazione legislativa di una materia che, da almeno
un ventennio, impegna dottrina e giurisprudenza in sede civilistica e che non ha ancora
raggiunto stabilità ed uniformità valutative>>.
28
Considerata nel suo complesso, l’attuazione della nuova disciplina indennitaria comporta
l’erogazione di maggiori prestazioni economiche. La nuova normativa prevede infatti
l’abbassamento del grado minimo indennizzabile dal 11% al 6%, l’estensione della tutela a
tipologie di danni prima non contemplate ed una maggiore personalizzazione
dell’indennizzo.
Sotto altro versante, va sottolineato che il nuovo sistema amplia le garanzie per il datore di
lavoro in quanto, essendo fornita una copertura assicurativa del danno biologico di origine
lavorativa, viene conseguentemente esteso l’esonero del datore di lavoro dalla
responsabilità civile.
Pur essendo comune l’oggetto ( e cioè il danno biologico e il danno patrimoniale) e pur in
presenza di alcune analogie tra il sistema indennitario delineato dall’art. 13 ed il sistema
risarcitorio-civilistico, deve ritenersi che notevoli differenze derivino dalla diversa finalità
dei due sistemi e dalla conseguente diversa strutturazione del meccanismo di ristoro del
danno.
L’indennizzo INAIL, infatti, assolve ad una funzione sociale ed è finalizzato a garantire
mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore, secondo quanto previsto dall’art. 38
della Costituzione, mentre il sistema civilistico è finalizzato a risarcire il danno nella esatta
misura in cui si è verificato.
L’art. 13, nell’introdurre il danno biologico nella copertura assicurativa gestita dall’INAIL dei
danni derivanti da infortuni sul lavoro e malattie professionali, non ha modificato i principi
di fondo che caratterizzano il sistema, e cioè il suo automatismo ed i meccanismi
solidaristici che lo ispirano.
D’altro canto, nel sistema civilistico il risarcimento del danno avviene, salvo ipotesi
eccezionali, per mezzo dell’erogazione di un risarcimento in capitale omnicomprensivo,
che chiude definitivamente il rapporto. Nel sistema di indennizzo sociale, invece, le
condizioni di salute del danneggiato sono oggetto di valutazione nel tempo e comportano
29
l’adeguamento della prestazione corrisposta, che è anche integrata da altre prestazioni di
natura diversa ( protesi, cure mediche, assistenza sociale, ecc.).
Per effetto del comma 2 dell’art. 13 e del comma 2 dell’art.1 D.Lgs. 19/4/01, n.202, la
nuova disciplina si applica esclusivamente agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie
professionali denunciate a decorrere dal 25/7/00, e cioè dalla data della pubblicazione
sulla Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale di approvazione delle tre tabelle di cui in
narrativa, o, qualora si ritenga applicabile ai decreti il regime vigente per le leggi, dal 15^
giorno successivo alla sua pubblicazione, e cioè dal 8/8/2000 ( in quest’ultimo senso
sembra orientata la giurisprudenza della Cassazione).
Ciò significa che per gli infortuni occorsi o le malattie denunciate prima di quella data
continuano ad applicarsi integralmente le disposizioni del Testo Unico, in un regime di
coesistenza delle due discipline che perdurerà fino ad esaurimento dei casi ricadenti nel
precedente sistema.
La nuova disciplina innova esclusivamente in materia di invalidità permanente, mentre
nulla è modificato in materia di inabilità temporanea assoluta, che pertanto continuerà ad
essere erogata nelle misure e con le modalità vigenti, non avendo il legislatore previsto
l’indennizzo del danno biologico temporaneo, che quindi deve considerarsi in franchigia,
come le micropermanenti inferiori al 6%.
Nulla è modificato neppure per quanto concerne le prestazioni economiche erogate ai
superstiti in conseguenza della morte dell’assicurato per cause lavorative.
Il legislatore, infatti, ha tenuto conto dei principi affermati in materia dalla giurisprudenza
sia costituzionale ( Corte Costituzionale, n. 372/1994), sia di legittimità ( Cassazione n.
6404/1998), in base ai quali il danno biologico è la conseguenza della violazione del diritto
alla salute e, quindi, postula necessariamente la permanenza in vita del soggetto leso,
mentre in caso di morte è violato il diritto alla vita, che è bene giuridico completamente
diverso dal diritto alla salute.
30
Resta pertanto confermata , in caso di morte dell’assicurato per cause lavorative,
l’erogazione della rendita a superstiti nella sua attuale disciplina, rendita che conserva la
natura di indennizzo del pregiudizio patrimoniale sofferto dai superstiti, come conseguenza
immediata e diretta dell’evento lesivo che ha colpito il lavoratore, in ragione del loro
rapporto di dipendenza economica con il defunto .
In relazione alle azioni esercitabili dal leso e alla tutela apprestata dall’ordinamento, deve
ritenersi che dove non c’è copertura previdenziale infortunistica non c’è esonero, perché la
regola dell’esonero dalla responsabilità civile opera all’interno e nell’ambito del sistema di
tutela infortunistico, così come delimitato nei suoi presupposti soggettivi ed oggettivi (Corte
Cost. 18 luglio 1991 n. 356, Riv.inf.mal.prof. 1991, II, 108, già citata).
Su tale base, mi sembra condivisibile e segnalo la terminologia proposta dal MARANDO
(in Responsabilità, danno e rivalsa per gli infortuni sul lavoro, Milano, 2003, pag. 47-48) il
quale distingue tra danno complementare e danno differenziale; differenza che è già in
nuce nella giurisprudenza di merito (ad es. Tribunale
Pinerolo
27 aprile 2004
Pidulo/RAS, quando distingue tra danno differenziale qualitativo - quello che il Marando
definisce complementare- e quantitativo -il differenziale in senso proprio-).
Danno complementare è quello non coperto dall’ assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali:
-
danno patrimoniale per le inabilità inferiori al 16%;
-
danno biologico per micropermanenti inferiori al 6% ;
-
danno biologico temporaneo;
-
danno morale;
-
danno biologico jure proprio degli eredi;
-
danno esistenziale.
Per tutte queste voci di danno la giurisprudenza di merito , prima delle sentenze gemelle
delle Sezioni Unite del 2008,era orientata ad escludere la regola dell’esonero, in quanto
31
estranee alla copertura previdenziale (Tribunale Torino 22 dicembre 2003 Procopio c/
Mautino, in Danno e responsabilità, n. 12/2004 pag. 1230 con nota di BARRACO, INAIL e
risarcibilità del danno biologico differenziale, che riconosce il danno biologico per inabilità
temporanea).
Anche la dottrina era nello stesso senso: GIUBBONI, in DE Matteis-Giubboni, Infortuni sul
lavoro e malattie professionali, Milano, 2005, pag. 982 segg.; BARRACO, cit.; BONA , D.L.
n. 70/2000 e D.Lgs 38/2000: verso quale riforma del danno alla persona? In Giur. It, 2000,
I, 1083..
Tale conclusione presuppone che le voci enunciate sono titoli di danno esclusi, e non
componenti dell’unico titolo danno biologico, già coperto dall’ assicurazione obbligatoria.
Trattandosi di voci di danno sottratte alla copertura assicurativa ed alla connessa regola
dell’esonero, la colpa del datore di lavoro o delle persone di cui egli deve rispondere può
essere provata, a differenza che per la responsabilità penale presupposta dal danno
differenziale , con i meccanismi presuntivi di cui agli artt. 2087 e 1218 cod.civ. propri della
responsabilità civile contrattuale (GIUBBONI cit., pag. 966).
Il danno differenziale, invece, è quello che rientra nel tipo già considerato dalla
assicurazione obbligatoria, ma che, dato il carattere indennitario di questa, può presentare
delle differenze monetarie che possono essere in più o in meno
rispetto al danno
civilistico ( solo in presenza di differenze in più può parlarsi di danno differenziale
azionabile dal leso), in relazione sia alla diversa valutazione del grado di inabilità in sede
INAIL ed in sede civilistica, sia al diverso valore del punto di inabilità. Significativa al
riguardo Corte d’ Appello Torino 29 novembre 2004 n. 1639 (Mass.giur.lav. 2005, 51, con
nota di BARRACO, Il danno biologico differenziale è risarcibile anche nel nuovo regime
indennitario INAIL una soluzione conforme alla Costituzione) la quale, in una fattispecie di
reato estinto per prescrizione, ammette in linea di principio il danno biologico differenziale,
32
ma respinge la domanda perché l’indennizzo INAIL era risultato superiore al danno
civilistico.
La possibilità di ipotizzare l’ esistenza di un danno biologico differenziale da diversa
valutazione tabellare o da diversa valutazione monetaria del punto è radicalmente
contestata da certa giurisprudenza di merito , quale il Tribunale Vicenza 3 giugno 2004 n.
82 est. Perina, secondo cui la valutazione medico legale del danno alla persona non può
che essere unitaria, e la sua determinazione legislativa, ex D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38,
esaurisce la misura del danno ed assorbe ogni altra precedente determinazione delle
tabelle di formazione
giurisprudenziale, nonché da
Tribunale Torino 23/5/2003, est.
Lanza.
Quest’ultima sentenza è stata riformata dalla Corte d'appello di Torino con decisione del
29 novembre 2004, già citata. Rileva la Corte, con argomentazione condivisa da chi
scrive, : che l'articolo 10 del testo unico deve necessariamente essere applicato perché è
la norma che prevede l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile; che
l'applicazione deve essere fatta per intero, non solo nella parte in cui prevede l'esonero da
responsabilità per il datore di lavoro, ma anche nella parte in cui prevede la responsabilità
del datore per il cosiddetto danno differenziale; che l'articolo 10 è riferibile anche alle
ipotesi di estensione delle prestazioni assicurative INAIL al danno biologico, in quanto
l'articolo 10 dispone che il risarcimento è dovuto per la parte eccedente le indennità
liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti del testo unico, e l'articolo 13 del decreto
legislativo 38 del 2000 dispone che l’indennizzo deve essere erogato proprio in luogo della
prestazione di cui all’articolo 66 del testo unico. La Corte osserva che l'uso del termine
“indennizzo” da parte del decreto legislativo 38 del 2000 - che non può certo essere
ritenuto equivalente a “risarcimento”- dimostra la volontà del legislatore di non porre a
carico dell’INAIL un vero e proprio obbligo risarcitorio e di lasciare pertanto spazio a una
domanda di risarcimento per la parte di danno non compresa nell'indennizzo. Osserva
33
altresì che diversamente argomentando si verificherebbe disparità di trattamento tenuto
conto che il danno biologico da infortunio sul lavoro o da malattia professionale non
sarebbe interamente risarcibile a differenza degli altri tipi di danno e considerato che il
lavoratore che prima dell'emanazione del decreto legislativo 38 del 2000 poteva ottenere il
risarcimento integrale del danno biologico dal datore di lavoro si verrebbe a trovare in una
situazione deteriore perché non potrebbe più ottenere il risarcimento integrale ma si
dovrebbe accontentare dell'indennizzo INAIL.
Quindi, mentre per la delimitazione delle prestazioni escluse dalla regola dell’esonero si
era delineata una giurisprudenza sufficientemente omogenea, per quanto riguarda
l’esperibilità dell’azione per ottenere il risarcimento del danno biologico differenziale in
senso stretto, la questione doveva ritenersi controversa.
In concreto, conformemente a quanto ritenuto da certa dottrina ( La Peccerella) il giudice
adito dal lavoratore infortunato o tecnopatico, il quale pretenda il risarcimento del danno
biologico, laddove non ricorra la fattispecie disciplinata dall’articolo 5 della legge n.
57/2001, con il conseguente obbligo di attenersi ai criteri di liquidazione fissati dalla
norma, dovrà applicare i criteri comunemente seguiti per il calcolo del danno risarcibile,
conformandosi ai principi enunciati in materia dalla Corte di Cassazione.
I giudici di legittimità avevano ribadito che <<in tema di liquidazione del danno biologico , il
giudice di merito può adottare tanto il criterio equitativo puro, quanto criteri predeterminati
e standardizzati, previa definizione, in quest'ultimo caso, di una regola ponderale
commisurata al caso specifico. Valido criterio di liquidazione equitativa del danno alla
salute sarà, pertanto, quello che assume a parametro il valore medio del punto di invalidità
calcolato sulla media dei precedenti giudiziari>>, sempre che il giudice motivi
esaustivamente in ordine all'adeguamento del valore medio del punto alla peculiarità del
caso concreto, non potendosi prescindere dal criterio del collegamento al danno specifico
e della sua personalizzazione ( Cass. Civ. Sez. III, 23 febbraio 2005, n. 3766).
34
Nel determinare l’entità del danno differenziale, per sottrazione dall’ammontare del danno
risarcibile dell’importo delle indennità erogate dall’INAIL, bisognerà anche tenere conto
della circostanza che l’articolo 13 del D.Lgs n. 38/2000 riconosce al lavoratore infortunato
o tecnopatico, che riporti, in conseguenza dell’evento lesivo, una menomazione pari o
superiore al 16%, l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali della menomazione stessa.
E’ evidente, quindi, che, avendo l’indennizzo sociale ad oggetto sia il danno biologico che
quello patrimoniale, il danno differenziale dovrà essere calcolato per differenza tra
l’ammontare complessivo del risarcimento dovuto per tali titoli di danno e l’importo
complessivo dell’indennizzo sociale erogato per gli stessi titoli.
La diversa modalità, secondo la quale il danno differenziale venisse calcolato
separatamente per ciascuno dei titoli di danno oggetto della tutela sociale, secondo taluno
finirebbe per produrre una sostanziale obliterazione del principio “indennitario” o di non
locupletazione.
Le differenti regole ed i diversi criteri che presiedono al riconoscimento ed alla
quantificazione dell’indennizzo sociale e del risarcimento del danno ben potrebbero
determinare, infatti, che per un titolo di danno l’indennizzo sia inferiore al risarcimento e
per l’altro sia superiore.
Risulta evidente che in tali fattispecie, tutt’altro che rare, il calcolo del danno differenziale
effettuato separatamente per ciascun titolo si tradurrebbe nel riconoscimento, in favore del
danneggiato, di un ristoro superiore all’ammontare del danno effettivamente patito.
Ed appunto con la precipua finalità di evitare una ingiustificata locupletazione da parte del
lavoratore infortunato ed un corrispondente ingiustificato aggravio degli obbligati, la Corte
di Cassazione ha più volte ribadito che il danno "differenziale" deve essere determinato
<<sottraendo dall'importo del danno complessivo (liquidato dal giudice secondo i principi
ed i criteri di cui agli art. 1223 ss., 2056 ss., c.c.) quello delle prestazioni liquidate
35
dall'INAIL>> ( Cass. Civ. Sez. III, 25 maggio 2004, n. 10035; Cass. 17 gennaio 2003, n.
604).
d) Il DANNO RISARCIBILE DOPO il 2008
Sino al 2008 si poteva considerare che, accanto al danno patrimoniale ed al danno
biologico risarcito dall’INAIL, si potesse richiedere al datore di lavoro, ovviamente per
infortuni successivi al 8.8.2000, ed in presenza di allegazione e prova, il danno biologico
temporaneo, il danno biologico differenziale in presenza di patologia (da liquidarsi
deducendo dal danno biologico da tabelle la componente non patrimoniale di quanto
liquidato dall’INAIL), il danno ulteriore di natura esistenziale ed il danno morale (da
liquidarsi in percentuale rispetto al danno biologico complessivo da tabelle).
Tali conclusioni sono state sovvertite dall’ultima giurisprudenza di legittimità.
La Corte di Cassazione, nel 2008, ha di fatto rivisitato l’intera materia del danno biologico
soprattutto sotto il profilo del danno esistenziale e delle stesso danno morale come voci
autonome.
Veniamo quindi all’esame della notissima sentenza, resa a Sezioni Unite, n. 26972/2008.
La prima precisazione che occorre fare al riguardo è che detta pronuncia, a ben vedere in
ossequio agli avvertimenti della Corte Costituzionale, sin dalla sentenza 184/1986, di
evitare la duplicazione (o meglio la proliferazione) delle voci di danno, individua, come del
resto aveva fatto la giurisprudenza agli albori di questa vicenda, due soli voci di danno e
cioè quello patrimoniale e quello non patrimoniale. Precisa la Corte che “Il riferimento a
determinati tipi di pregiudizio in vario modo denominati (danno morale, danno esistenziale,
danno biologico, danno da perdita di rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive
ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno…….. Al danno biologico va
infatti attribuita portata tendenzialmente omnicomprensiva……… In esso sono quindi
compresi i pregiudizi attinenti agli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato…”
La pronuncia parifica dal punto risarcitorio la responsabilità contrattuale e quella
extracontrattuale.
Nell’ambito della voce danno non patrimoniale dà ingresso unicamente a quegli interessi
che trovano tutela nella Costituzione, e cioè i diritti inviolabili della persona (salute,
famiglia, identità personale), o in una legge ordinaria (e la Corte indica espressamente a
tale proposito il contratto di lavoro).
36
Orbene ritengo che, a ben vedere la Corte di legittimità abbia messo uno stop alla
proliferazione delle voci di danno singolarmente considerate ma non al danno complessivo
derivante dal coacervo di dette voci.
Ciò che la Corte ha inteso frenare è l’uso eccessivo del danno esistenziale sino a risarcire
danni che tali non sono; ed ancora, ad evitare la liquidazione del danno in” re ipsa”. Il
danno deve essere provato e, prima ancora allegato.
Comunque, in materia di danni bagatellari, la pronuncia appare in contrasto con la
precedente sentenza resa a Sezioni Unite in data 29.8.2008 n. 21934, che aveva ritenuto
corretta la decisione di un GUP che aveva risarcito, in via equitativa, il danno da stress
emotivo e nervoso causato da messaggi pubblicitari del cronista di una partita di calcio ed
anche con una pronuncia della Corte di Giustizia Europea in data 12.3.2002 (causa
Leitner), che aveva ritenuto riparabile il pregiudizio immateriale da vacanza rovinata.
Il sovvertimento c’è stato in particolare per quanto riguarda la liquidazione del danno
morale. La Corte di legittimità, con pronuncia 12/12/08 n. 29191, nel riconoscerne
l’autonomia rispetto al danno alla salute, in relazione alla diversità del bene protetto (che
pure attiene ad un diritto inviolabile della persona ovvero all'integrità morale, quale
massima espressione della dignità umana, desumibile dall'art. 2 della Costituzione in
relazione all'art. 1 della Carta di Nizza, contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato
dall'Italia con legge 2 agosto 2008 n. 190), precisa che la sua liquidazione deve tener
conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che
possa quantificarsi il valore dell'integrità morale come una quota minore proporzionale al
danno alla salute, sicché vanno esclusi meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo
automatico.
La sentenza delle Sezioni Unite del novembre 2008 è peraltro pienamente conforme alle
novità legislative da ultimo introdotte, ed in particolare all’art. 2, punto o) del D.lvo 81/2008
che definisce salute il benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in
un’assenza di malattia o di infermità.
37
Nel genus non patrimoniale campeggia, poi, il danno biologico, la cui definizione viene
tratta dagli artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005, con una connotazione dinamica, tale da
attrarre a sé i pregiudizi di tipo esistenziale, alla vita di relazione ed ogni sofferenza, anche
soggettiva e transeunte, comunque patita. Questa nuova vis abtractiva del danno
biologico, che sollecita più incisivi meccanismi di personalizzazione della liquidazione, si
ripercuote problematicamente anche sul versante della liquidazione del danno per
violazione dell’art. 2087 c.c.
Le tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale predisposte dal Tribunale di Milano,
( le prime risalgono già all'anno 2009), hanno già tenuto conto, in parte, di tali indicazioni
fornite dalla giurisprudenza.
Non si parla più di danno biologico ma di danno non patrimoniale e si liquida lo stesso
aumentando percentualmente il danno biologico (sembrerebbe quindi che il danno morale
c.d. interiore venga ancora liquidato in una percentuale, non più fissa, in ossequio a
quanto sancito dalla Suprema Corte ma collegata all’entità dell’inabilità), offrendo anche
una percentualizzazione decrescente di possibile aumento personalizzato, che altro non
sembra essere che l’eventuale danno esistenziale .
Il nuovo assetto induce ad interrogarci in ordine ai rapporti ora esistenti tra azione per
danno differenziale e azione per danno complementare, essendo all’uopo sostenibili due
tesi:
1)
Il divieto di duplicazione delle poste risarcitorie impone in sede civile la corretta
liquidazione del danno non patrimoniale, nelle componenti allegate e provate, biologico,
morale ed esistenziale, e la decurtazione dallo stesso di quanto riconosciuto in sede
previdenziale: in tal modo le componenti del danno non patrimoniale, descrittivamente
individuabili come danno morale e danno esistenziale, non prescinderebbero dal
meccanismo previsto dall’art. 10 T.U. 1124/65, di tal che gli stessi andrebbero valutati per
determinare il monte di danno da cui detrarre quanto corrisposto dall’INAIL , con la
conseguenza che essi sono ancora risarcibili solo in termini di danno differenziale e non
come autonome voci di danno complementare, azionabili a prescindere dall’esistenza di
un differenziale ( come succedeva fino alle sentenze del 2008). Questa impostazione
produce poi che sul danno civilistico ( patrimoniale e non patrimoniale) comprensivo anche
di questi aspetti ( morale ed esistenziale) l’INAIL potrebbe esercitare il regresso, non
38
ostante abbia erogato una rendita o un indennizzo sulla base di tabelle che non
considerano questi aspetti del danno non patrimoniale.
2)
Secondo una diversa impostazione, invece, poiché nel calcolo dell’indennizzo
INAIL, non vengono presi in esame questi aspetti del danno non patrimoniale, ma solo il
danno non patrimoniale qualificabile come danno biologico, questi aspetti del danno non
patrimoniale non concorrono a determinare l’ammontare del danno da cui procedersi alla
sottrazione di quanto indennizzato dall’INAIL, ma sono porzioni di danni complementari e
sfuggono al meccanismo di cui all’art. 10 T.U. 1124/65.
Le due diverse impostazioni conducono a risultati pratici significativamente diversi, in
quanto, aderendo alla prima prospettazione, rispetto a quanto si operava prima delle
sezioni Unite del 2008, ma dopo l’entrata in vigore del D.lgs 38/00, il lavoratore vede
corrisposto in suo favore complessivamente un risarcimento inferiore a quanto avrebbe
percepito prima delle sentenze gemelle, (se pure pari al nocumento patito), mentre
aderendo alla seconda impostazione verrebbe risarcito in maniera conforme a quanto
normalmente si operava in giurisprudenza
prima delle Sezioni Unite, con il rischio,
però,( in caso di indennizzo superiore al danno civilistico calcolato senza valutare le
componenti del morale e dell’esistenziale) di percepire complessivamente un risarcimento
superiore al danno effettivamente patito.
L’opzione verso l’una o l’altra delle soluzioni è peraltro resa particolarmente difficile dalla
considerazione che la ricostruzione del danno non patrimoniale operato dalle Sezioni
Unite è per ora solo giurisprudenziale, ( e peraltro le Sezioni Unite sono state
successivamente contraddette da pronunce delle Sezioni semplici della Corte di
Cassazione), mentre le disposizioni normative interessate fanno riferimento non al danno
non patrimoniale, ma al danno biologico e al danno morale.
Sul "campo" sono quindi presenti, anche in giurisprudenza, due fondamentali indirizzi: Il
primo (c.d. per "poste complessive"), che si ispira al principio indennitario della
compensatio lucri cum danno e alla necessità di evitare, per effetto di concorrenti sistemi
di tutela da un lato e risarcitori dall'altro, possibili locupletazioni da parte del soggetto che
ha subito un danno risarcibile.
. Il secondo (c.d. "posta per posta"), che legittima il proprio fondamento dal principio di
scomposizione dei danni ristorati dal sistema previdenziale, come desunto dalle sentenze
39
della Corte costituzionale degli anni '90, che hanno profondamente inciso sulla disciplina
civilistica e previdenziale degli infortuni sul lavoro
Aderiscono all' orientamento della liquidazione per “ poste complessive”:
Trib. Milano, Sez. V, 9 giugno 2009, n. 7515, G.U. Spera, in www.altalex.com secondo cui «
il giudice — una volta liquidato il danno non patrimoniale civilisticamente risarcibile e
conseguente alla lesione del bene salute — non può fare altro che raffrontare tale importo,
senza ulteriori e non più consentiti distinguo, con il quantum erogato dall'ente a titolo di
danno biologico, accogliendo la domanda di surroga per l'intero relativo ammontare (nei
limiti dell'importo risarcitorio liquidato) e riconoscendo in capo al danneggiato il diritto al
risarcimento dell'importo differenziale ».
Trib.Arezzo sentenza n. 57 del 21-1-2015, secondo cui <<Il danno non patrimoniale
costituisce una categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie.
Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominali (danno biologico,
danno da perdita del rapporto parentale, danno morale, danno esistenziale) risponde ad
esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno; quindi
il compito del giudice è l'accertamento dell'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a
prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione; infatti il risarcimento
del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il
pregiudizio, ma non oltre.
La Corte di Cassazione, sez. III con la sentenza n. 5243 del 6 marzo 2014, ha indicato i
criteri cui i giudici si devono attenere per la personalizzazione.
Nella sentenza in esame la Suprema Corte ribadisce che il risarcimento del danno alla
persona deve essere integrale, essendo compito del giudice accertare l'effettiva
consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli. Pertanto, in tema
di liquidazione del danno per la lesione del diritto alla salute, nei diversi aspetti o voci di cui
40
tale unitaria categoria si compendia, l'applicazione dei criteri di valutazione equitativa,
rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, deve consentirne la maggiore
approssimazione
possibile
all'integrale
risarcimento,
anche
attraverso
la
cd.
personalizzazione del danno (Cass., SS.UU. n. 26972/2008). La Corte di Cassazione
ritiene che possano essere un valido criterio di riferimento ai fini della valutazione
equitativa ex art. 1226 cc, le tabelle per la liquidazione del danno biologico elaborate dal
Tribunale di Milano, laddove la fattispecie concreta non presenti circostanze che
richiedano la relativa variazione in aumento o in diminuzione, anche per le lesioni derivanti
dalla circolazione stradale, che abbiano determinato una percentuale di invalidità
superiore al 10% (Cass. n. 12408/2011). come nel caso di specie.
La Corte ha ritenuto di preferire come parametro di riferimento per la liquidazione
equitativa del danno biologico le tabelle milanesi. Tra queste ragioni, oltre alla "vocazione
nazionale" evidenziata dal già richiamato precedente n. 12408/2011, vi è soprattutto quella
data dal fatto che le "Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da
lesione all'integrità psico - fisica" del Tribunale di Milano sono state rielaborate all'esito
delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008. In particolare, esse hanno determinato il
valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente,
procedendo ad un aumento dell'originario punto tabellare in modo da includervi la
componente già qualificata in termini di "danno morale", che si usava liquidare
separatamente (nei sistemi tabellari antecedenti la pronuncia n. 26972 /08) con
operazione che le Sezioni Unite hanno ritenuto non più praticabile. L'affermazione delle
Sezioni Unite secondo cui siffatta componente rientra nell'area del danno biologico, del
quale, ogni sofferenza fisica o psichica per sua natura intrinseca costituisce componente,
non può certo essere intesa nel senso che di essa non si debba tenere conto a fini
risarcitori. Le tabelle milanesi quantificano nel 25% del danno biologico la cd
personalizzazione del danno.
41
Danno
risarcibile
€ 927.759,00
Aumento
personalizzato
€ 1.159.699,00
(max 25%)
La personalizzazione viene, pertanto, riconosciuta in € 232940.00. Come è noto, il D.Lgs.
38/2000 ha introdotto per di infortuni vendicatisi successivamente al 9.8.00 la copertura
assicurativa dell'INAIL al danno biologico comprensivo (art. 13 c. 2 letto a) di tutte le
menomazioni dell'integrità psico fisica complessivamente considerata quale voce da
liquidarsi da parte dell'assicuratore sociale al lavoratore infortunato. Da ciò deriva che
l'infortunato non può cumulare il risarcimento spettante da parte dell'assicurazione del
responsabile civile all'indennizzo del danno biologico ricevuto da Inail oltre, ovviamente, al
divieto di duplicazione della voce relativa al danno patrimoniale da sempre ricompreso
nell'indennizzo INAIL. Conseguentemente, al lavoratore infortunato spetta il risarcimento
solo nella misura del differenziale derivante dal raffronto tra l'ammontare complessivo del
risarcimento e quello delle indennità liquidate dall'Inail in dipendenza del sinistro al fine di
evitare una ingiustificata duplicazione (risarcimento + indennità: le erogazioni Inail sono
qualificabili alla stregua di mero "indennizzo" determinato dalla legge in misura forfettaria e
predeterminata ed opera a prescindere dalla colpa in quanto deve garantire un "minimum
sociale", come desumibile dalla finalità solidaristica prevista ex art. 38 Cost. mentre il
danno civile va riconosciuto previo accertamento della responsabilità; trattasi dunque di un
istituto che a differenza del risarcimento, non appare necessariamente riconducibile ad un
fatto illecito contrattuale o aquiliano e che può pertanto prescindere dall'elemento
soggettivo di chi ha realizzato la condotta dannosa e, persino, dall'individuazione di un
responsabile diverso dallo stesso danneggiato. L'evidente diversità strutturale e funzionale
42
tra l'erogazione effettuata ex art. 13 D.Lgs. 38/00 ed il risarcimento del danno biologico
consente di escludere che le somme versate da INAIL a tal titolo possano considerarsi
integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo
all'infortunato laddove l'applicazione delle usuali tabelle di liquidazione porti a ritenere
sussistente un "danno differenziale" ulteriore rispetto a quello liquidato da INAIL che non
copre il danno morale da liquidarsi in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 cc. facendo
riferimento come prassi di questo tribunale, ad una percentuale sull'importo del liquidato a
titolo di danno biologico).Tale danno differenziale deve essere determinato sottraendo
dall'importo del danno complessivo liquidato dal giudice autonomamente secondo i principi
ed i criteri civilistici quello delle prestazioni previdenziali erogate dall'Inail sulla base di
criteri diversi e su voci di danno che, ancorchè simili, come per il danno biologico,
divergono per quanto concerne i contenuti differenti in particolare dopo le pronunce delle
SSUU del novembre'08 n. 26972-75 soprattutto con riguardo alla nozione di danno
biologico ed ai pregiudizi in esso compresi, tenendo conto dei valori attualizzati alla data
della decisione (Cass. 10035/04)atteso che, per orientamento prevalente, il credito per
"danno differenziale "è considerato credito di valore quindi, va quantificato alla data di
liquidazione e sulla somma finale vanno calcolati la rivalutazione monetaria e gli interessi
da ritardo, con decorrenza dal momento in cui il danno è stato cagionato. Cass.
4184/06).>>
Tribunale di Vicenza, II sez. civile, sentenza 29.4.2014 n. 1231, secondo cui il danno
differenziale va calcolato globalmente o per poste complessive ai fini di assicurare un
risultato di giustizia per tutte le parti in causa. Tale metodo è l'unico a poggiare su basi
normative di rango costituzionale. In particolare :<< Quanto al metodo di liquidazione del
danno cd. differenziale, questo giudice ritiene preferibile il sistema indicato dall'attore
INAIL, in quanto l'unico idoneo ad assicurare che al lavoratore spetti l'integrale
risarcimento senza però dare luogo a indebite locupletazioni, come avverrebbe proprio nel
43
presente caso ove si prescegliesse invece il metodo suggerito dall' interveniente, "posta
per posta", atteso che l'INAIL ha liquidato allo Z. A. a titoli di danno patrimoniale da
invalidità lavorativa specifica di più della somma risultante invece dal calcolo civilistico (cfr.
pag.15 e pag. 16 della comparsa conclusionale depositata il 21.1.2014 dal legale di Z.
A.). Il metodo di liquidazione globale, per poste complessive, invece, assicura un risultato
di giustizia per tutte le parti in causa e, come bene argomentato dal procuratore dell'INAIL
nella sua comparsa conclusionale, è l'unico a poggiare su basi normative di rango
costituzionale, ossia sul concetto di "mezzi adeguati alle esigenze di vita" di cui all'art.38
Costituzione>>.
Con la sentenza in questione il Tribunale di Vicenza ha dato una diversa "lettura
costituzionale" della questione, che fuoriesce dai tradizionali canoni entro i quali finora è
stata impostata e consente un approccio idoneo a risolvere in apicibus i rapporti tra diritto
civile e diritto previdenziale a cui consegue una certa stabilità e prevedibilità alle vicende
liquidatorie.
Aderiscono all'orientamento della liquidazione c.d. posta per posta:
Trib. Treviso, Sez. I, 20 gennaio 2009, in Banca dati Utet, 2009, che espressamente si
è posto in « difformità rispetto a quanto ritenuto da Sez. Un. n.26972/2008 », e continua
a distinguere nettamente, secondo il « criterio dello scomputo per poste », fra danno
biologico e danno morale (quantificato secondo i consueti criteri), dunque senza
coinvolgere quest'ultima posta risarcitoria nel computo del « danno differenziale » (« è
pacifico che l'INAIL non risarcisce il danno morale »).
Tribunale di Pavia, 24.04.2009:
<<Il giudice deve accertare quelli che sono i danni alla persona non risarciti dall’Inail (il
danno biologico differenziale, l’inabilità temporanea biologica, il danno non patrimoniale
inteso nella sua globalità – compreso quello della lesione ai diritti inalienabili della persona
44
riconosciuti dalla Costituzione). Dopo il soddisfacimento del credito del lavoratore
infortunatosi, l’Inail potrà agire contro l’assicurazione del responsabile dell’infortunio,
potendo surrogarsi solo sulle voci di danno che ha indennizzato all’infortunato a titolo
personale. Fra i danni alla persona non risarciti, rientrano gli interessi e la rivalutazione
sulle somme personalmente spettanti all’infortunato>>.
Tribunale di Treviso, I° Sezione, 23.06.2011:
<<Va, a questo punto, considerato che, in conseguenza del sinistro stradale per cui è
causa, costituente infortunio in itinere, in favore dell’attore sono state liquidate dall’Inail le
prestazioni di cui alla nota fatta pervenire dall’ente in data ______. Ciò posto e richiamate
le considerazioni svolte in punto di esatta determinazione del quantum debeatur dai
convenuti, diviene necessario detrarre dal valore del danno biologico quale sopra indicato
l’importo già liquidato dall’Inail. Ed invero, il danneggiato non può pretendere dal
responsabile civile il ristoro integrale del danno alla salute già indennizzato dall’Inail ma
solo il cosiddetto danno differenziale, ormai pacificamente riconoscibile nei casi, quale
quello di specie, in cui l’applicazione delle usuali tabelle di liquidazione del danno biologico
portino a ritenere sussistente un danno ulteriore rispetto all’ammontare liquidato
dall’istituto assistenziale (cfr. Cass. civ. sent. n. 10035/04). Con la precisazione che, ai fini
della relativa liquidazione, la detrazione di quanto erogato dall’Inail non può riguardare gli
importi spettanti a titolo di risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea perché
l’indennizzo corrisposto dall’ente non vale a compensare il danno biologico temporaneo
ma in via forfettaria il danno derivante al lavoratore dalla perdita della retribuzione per il
periodo di mancata prestazione dell’attività lavorativa. Ciò posto, la detrazione riguarderà
la sola somma di Euro ______, costituente la rendita diretta erogata dall’Inail per ristorare
le conseguenze di carattere permanente>>.
45
Tribunale di Varese, Sezione Lavoro, 11.12.2012
<<la liquidazione del danno differenziale, ravvisato nel caso di specie nelle somme dovute
a titolo di invalidità temporanea (assoluta e parziale), danno morale sull’inabilità
permanente e spese. Per meglio comprendere il discorso che si deve affrontare in ordine
alla risarcibilità o meno del danno morale (come voce autonoma di danno) subìto dal
lavoratore a seguito di infortunio sul lavoro -problema che è stato ampiamente discusso
già a seguito della riforma di cui al D.Lgs. n. 38/2000 e che si è riproposto a seguito delle
note sentenze di San Martino del novembre 2008 – occorre premettere come la tutela
contro gli infortuni e le malattie professionali viene, nel nostro ordinamento, perseguita
attraverso interventi in diversi settori (con finalità differenti) e cioè: il diritto penale, volto a
punire un colpevole che ha violato norme fondamentali della convivenza civile; il diritto
civile, finalizzato ad assicurare l’integrale e pieno ristoro del danno nei limiti
dell’imputabilità del fatto all’autore. A questi ambiti si aggiunge la particolare tutela
I.N.A.I.L. con lo scopo di realizzare una finalità di natura sociale, garantire ai lavoratori
colpiti da infortuni o malattie per motivi di lavoro mezzi adeguati alle proprie esigenze di
vita ai sensi dell’art. 38 Cost, indipendentemente da ogni valutazione in merito
all’imputabilità
del
fatto
generatore.
Poiché dunque la materia infortunistica in campo civilistico deve coniugare questi differenti
interventi di tutela, l’operazione di liquidazione del danno non patrimoniale – che
comprende la componente biologica e morale – deve essere effettuata con operazioni
parzialmente differenti rispetto ad altri campi del diritto civile e cioè scorporando le
differenti voci di danno posto che non tutte quelle spettanti al lavoratore sono soggette alla
tutela assicurativa. In altre parole, in campo lavoristico, è talvolta necessario “separare” ciò
che la Cassazione ha unito al solo scopo di evitare duplicazioni ma non certo di eliminare
la
risarcibilità
di
talune
componenti
di
danno.
Consegue da quanto sopra detto che anche a seguito della riforma di cui al D. Lgs. n.
46
38/2000 sussiste in capo al lavoratore un diritto ad agire nei confronti del datore di lavoro
per ottenere il ristoro di quei danni che non sono ricompresi nella tutela I.N.A.I.L.: mentre
l’assicurazione I.N.A.I.L. garantisce una liquidazione indennitaria del danno subito dal
lavoratore, anche per propria colpa, nell’ambito del rapporto di lavoro, nell’ipotesi in cui
l’infortunio sia stato cagionato in conseguenza della violazione da parte del datore di
lavoro delle norme di protezione contro gli infortuni, rimane in capo allo stesso la
responsabilità dell’illecito compiuto e quindi il dovere di risarcire l’intero danno provocato.
E poiché il danno indennizzato dall’I.N.A.I.L. è esclusivamente il danno alla salute in senso
stretto (si tratta di un danno quantificato oggettivamente a parità di sesso, età e
menomazione; esula dalla tutela indennitaria I.N.A.I.L. qualsiasi rilevanza soggettiva del
danno, le cd. componenti dinamiche del danno biologico, le conseguenze pregiudizievoli –
anche di tipo morale – che il danno ha sulla singola persona), il danno che il lavoratore
può chiedere in sede civilistica come danno differenziale non si limita a quello riguardante
il diverso apprezzamento oggettivo della lesione nei due sistemi di valutazione (I.N.A.I.L. e
responsabilità civile), ma si estende a tutto ciò che non è compreso nella copertura
assicurativa, e cioè: il danno biologico temporaneo, il danno biologico fino al 5%, il danno
morale
e
tutta
la
componente
strettamente
soggettiva
del
danno
biologico.
Premesso tutto ciò, si osserva come l’eccezione di “irrisarcibilità” dei danni indicati da
parte ricorrente sollevata da ______ s.n.c. non risulti fondata, ben potendo, anche dopo le
pronunce della Suprema Corte del novembre 2008, un lavoratore agire in giudizio per
ottenere il risarcimento di tutte le voci di danno non coperte dall’indennizzo I.N.A.I.L., fra
cui danno biologico temporaneo e danno morale>>.
La posizione dell'ultima giurisprudenza della CORTE di Cassazione :
a) Cassazione civile , sez. III, sentenza 23.01.2014 n° 1361
47
Con questa rivoluzionaria sentenza la Corte di Cassazione ha riconosciuto per la prima
volta il danno per la perdita della vita ( la questione tuttavia è ora al vaglio delle Sezioni
Unite, essendo stata rimessa dalla stessa terza sezione civile, con ordinanza 5056/2014
del 5/2/2014). Nella premessa la Corte fa una attenta ricognizione delle opzioni
interpretative in punto di danno non patrimoniale, e, ai fini che qui interessano, conferma
l’esistenza della triade costituita dai pregiudizi di natura esistenziale, morale e biologico,
sia pure non come categoria di danni a sé, ma come aspetti descrittivi, ancorchè
ontologicamente diversi (a prescindere dalla nomenclatura utilizzata), della unica categoria
del danno non patrimoniale, secondo le note sentenze gemelle delle Sez. Unite del 2008.
La sentenza , valutando tutte le poste del danno non patrimoniale, sottolinea come il
danno morale ha natura complessa perché ha riguardo sia alla sofferenza soggettiva (il
perturbamento dello stato d’animo) cagionata dal reato in sé considerata, sia alla lesione
della dignità della persona. Il giudice perciò non fa bene il suo mestiere se, chiamato a
liquidare i due aspetti del danno, ne consideri uno soltanto, ove nell’offesa recata ad un
soggetto sia implicata anche la dignità della persona. Perché appunto si tratta di un
diverso aspetto del danno, avente un autonomo e specifico rilievo. La Corte evidenzia in
proposito che è “escluso che il valore della integrità morale possa stimarsi in una quota
minore del danno biologico” e che si possa fare ricorso a meccanismi semplificativi di tipo
automatico.
Con riferimento al danno esistenziale, afferma esplicitamente che “al contrario di quanto
da alcuni dei primi commentatori sostenuto e anche in giurisprudenza di legittimità a volte
affermato deve escludersi che le Sezioni Unite del 2008 abbiano negato la configurabilità
e la rilevanza a fini risarcitori anche del c.d. danno esistenziale”.
48
<<…..gli aspetti o voci di danno non patrimoniale non rientranti nell'ambito del danno
biologico, in quanto non conseguenti a lesione psico- fisica, ben possono essere definiti
come esistenziali, attenendo alla sfera relazionale della persona, autonomamente e
specificamente configurabile allorquando la sofferenza e il dolore non rimangano più allo
stato intimo ma evolvano, seppure non in "degenerazioni patologiche" integranti il danno
biologico, in pregiudizi concernenti aspetti relazionali della vita v. Cass., Sez. Un.,
11/11/2008, n. 26972. Nel senso che il danno biologico può sostanziarsi nel "danno alla
salute" che risulti "il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo
turbamento dell'equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo, e che in
persone predisposte da particolari condizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa, ecc.),
anzichè esaurirsi in un patema d'animo o in uno stato di angoscia transeunte, può
degenerare in un trauma fisico o psichico permanente, alle cui conseguenze in termini di
perdita di qualità personali, e non semplicemente al pretium doloris in senso stretto, va
allora commisurato il i risarcimento", v. già Corte Cost., 27/10/1994, n. 372).>>
La sentenza studia i rapporti tra le diverse voci del danno esistenziale, biologico e morale
confermando “l’autonomia” della prima voce <<rispetto sia alla nozione di danno morale
elaborata
dall’interpretazione
giurisprudenziale
(e
successivamente
recepita
dal
legislatore) sia a quella normativamente fissata di danno biologico (a tale stregua
cogliendosi una sicura diversità con quanto al riguardo indicato dalla norma del Codice
delle assicurazioni)>>.
Quanto al danno biologico la Cassazione, richiamando le Sez. Un. 26972/ 2008, gli
attribuisce portata tendenzialmente, (e quindi da verificare alla stregua dei casi concreti)
omnicomprensiva rispetto alla sofferenza morale, ma non certamente rispetto al danno
morale relativo alla offesa della dignità della persona.
49
“La diversità ontologica dei suindicati aspetti (o voci) di cui si compone la categoria
generale del danno non patrimoniale impone che, in ossequio al principio (delle Sezioni
Unite del 2009 assunto ad assioma) della integrità del risarcimento dei danni ………, in
quanto sussistenti e provati, vengano tutti risarciti e nessuno sia lasciato privo di ristoro”.
<<Emerge evidente come rimanga a tale stregua invero sostanzialmente osservato il
principio
dell'integralità
del
ristoro,
sotto
il
suindicato
profilo
della
necessaria
considerazione di tutti gli aspetti o voci in cui la categoria del danno non patrimoniale si
scandisce nel singolo caso concreto, non essendovi in realtà differenza tra la
determinazione dell'ammontare a tale titolo complessivamente dovuto mediante la somma
dei vari "addendi", e l'imputazione di somme parziali o percentuali del complessivo
determinato ammontare a ciascuno di tali aspetti o voci>>
Il principio di integrità del ristoro non si trova poi in termini antitetici con la necessità di
evitare duplicazioni risarcitorie, atteso che duplicazioni si hanno soltanto quando si
pretende che il medesimo pregiudizio lamentato venga risarcito sotto altro nome, ma non
quando vengono presi in considerazione ai fini della liquidazione aspetti negativi distinti
del fatto, diversamente incidenti sulla persona del danneggiato. E’ dunque compito del
giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato a prescindere dal nome
attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative si sono verificate e provvedendo alla
relativa integrale riparazione.
Queste riflessioni effettuate dalla Corte appaiono legittimare in pieno l’orientamento
giurisprudenziale che procede alla liquidazione del danno differenziale con il metodo c.d.
del “posta per posta”.
50
b) Cassazione 19/01/2015 n. 777
<<…va rilevato che, per costante giurisprudenza, l'esonero del datore di lavoro dalla
responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell'azione
risarcitoria di quest'ultimo al cosiddetto danno differenziale nel caso di esclusione di detto
esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale, a norma del D.P.R. n. 1124 del
1965, art. 10, e delle inerenti pronunce della Corte Cost., riguarda l'ambito della copertura
assicurativa, cioè il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa
generica.
Invece - in armonia con i principi ricavabili dalle sentenze della Corte cost. n. 356 e 485
del 1991 e con il conseguente orientamento della giurisprudenza ordinaria sui limiti della
surroga dell'assicuratore - tale esonero non riguarda il danno alla salute o biologico e il
danno morale di cui all'art. 2059 c.c., entrambi di natura non patrimoniale, al cui integrale
risarcimento il lavoratore ha diritto ove sussistano i presupposti della relativa
responsabilità del datore di lavoro (cfr., ex aliis, Cass. n. 8182/2001 e successive
conformi).>>.
Questa pronuncia lascia perplessi nella parte in cui , nel non ritenere applicabile la regola
dell’esonero di cui all’art. 10 T.U. 1124/65 al danno non patrimoniale, non tiene in alcun
conto delle modifiche apportate dal D.Lgs. 38/2000 e, nello specifico, dall’art. 13 del
predetto decreto, che ha introdotto l’indennizzo anche per il danno biologico.
La liquidazione del danno differenziale nel caso di danni riportati per esposizione
professionale ad amianto.
La giurisprudenza prevalente in questo ambito sembra aderire all'orientamento più
favorevole per il lavoratore di liquidazione c.d. posta per posta, per il cui contenuto si
rimanda a quanto sopra già evidenziato.
51
Si sono poste tuttavia in giurisprudenza problematiche tutte peculiari alle caratteristiche
della malattia, sia con riferimento all'iter di insorgenza, che vede vari stadi di lesioni, sia
con riferimento alle particolari sofferenze collegabili alla malattia terminale, sia con
riguardo alla legislazione speciale.
Il termine asbesto equivale totalmente ad amianto, ed in greco significa "perpetuo",
"inestinguibile". I due termini vengono usati indifferentemente per indicare lo stesso
minerale (più precisamente un silicato). Da qui anche l'uso del termine asbestosi, per
indicare la patologia derivante dall'inalazione delle polveri generate dall'amianto/asbesto,
le quali vanno a depositarsi nella parte inferiore dei polmoni, dove formano cicatrici fibrose
che si estendono anche alla membrana pleurica.
L'esposizione ad amianto comporta che il lavoratore sia soggetto ad inalazione di fibre di
asbesto che si vanno a depositare nei polmoni, creando nel tempo tipiche placche
pleuriche che, pur non comportando inizialmente un danno funzionale alla respirazione,
possono però preludere a lesioni più importanti, con danni funzionali e spesso con
sviluppo di tumori ad esito infausto (si veda il caso del mesotelioma pleurico).
La lesione all'integrità psicofisica rappresentata dalla formazione di placche non
comportanti limitazioni funzionali, costituisce danno risarcibile?
Corte Appello Venezia n. 229/2011
<<Circa l'assenza di danno all'integrità fisica, in mancanza di menomazione della funzione
respiratoria del lavoratore, si condivide l'indirizzo della Cassazione secondo il quale "
quando l'alterazione anatomica non abbia attualmente incidenza funzionale, non è
censurabile la sentenza di merito che ravvisi il danno biologico a causa del semplice
pericolo cagionato dall'alterazione"(così Cass. n. 2491/2008).>>
52
Nella liquidazione del danno differenziale si tiene conto di quanto liquidato dal
fondo per le vittime dell'amianto?
Corte Appello Venezia n. 229/2011
<<…il testo normativo richiamato istituisce un fondo dedicato alle vittime professionali
dell'amianto ed al comma 242 dell'art. 1 l.244/2007 riconosce la cumulabilità delle
prestazioni erogate dal fondo rispetto agli altri diritti (a carattere risarcitorio o indennitario)
che le medesime vittime hanno in base ad altre norme generali e speciali. La prestazione
erogata dal fondo si aggiungerà alla rendita ex T.U. 1124/65 e la misura sarà in
percentuale su tale rendita. Allo stato non è dato evincere se tale "prestazione economica
aggiuntiva" operi solo come prestazione aggiuntiva alla "rendita" e non anche all'
"indennizzo" erogato dall'I.N.A.I.L., e se essa operi sulla parte indennizzata dall'I.N.A.I.L. a
titolo di danno biologico o a titolo di danno patrimoniale. Vi è inoltre da rilevare che il
comma 242 art. l L. cit espressamente dispone che le prestazioni del Fondo "non
escludono e si cumulano ai diritti di cui alle norme generali e speciali dell'ordinamento" .
Appare dal dato letterale sufficientemente chiaro che le prestazioni dispensate
dal
Fondo non potranno escludere alcuno degli altri diritti (quali che essi siano, anche di
natura puramente previdenziale) stabiliti dall'ordinamento per i medesimi soggetti; in
particolare non si potrà opporre alcuna compensazione né calcolo differenziale tra le
prestazioni erogate dal fondo e
il diritto al risarcimento dei danni spettanti alla stesse
vittime ex art. 1218 c.c. ovvero ex art .2043 c.c.. A differenza di quanto avviene per le
prestazioni erogate dall'INAIL in base al T.U. 1124/1965, la legge 244/2007 stabilisce che
le speciali prestazioni erogate dal Fondo "non escludono e si cumulano" agli altri diritti
(risarcitori o indennitari)>>.
Cass. 17334 /2012; Cass.17172/ 2012; Cass. 1709/2012
<< la ricorrente lamenta che la Corte territoriale, erroneamente, da un lato ha ritenuto che
la mancata adozione dei regolamenti attuativi del funzionamento del Fondo incidesse sulla
53
sua stessa configurazione nell'ordinamento giuridico, dall'altro ha affermato che le
erogazioni del Fondo sarebbero meramente aggiuntive rispetto al sistema risarcitorio
previgente, mentre, invece, il Fondo, che è sorto con l'entrata in vigore della citata legge,
avrebbe "esteso la copertura assicurativa INAIL (sia pure attraverso una gestione
separata) a voci di danno che altrimenti spetterebbe alle imprese risarcire" (come ad
esempio il danno biologico inferiore al 6% di invalidità come tale non coperto dalla rendita
INAIL così completando "l'integrale socializzazione del danno alla salute del lavoratore
esposto all'amianto"). >>
<< va rilevato che ai sensi della L. n. 244 del 2007, art. 1, commi 241 e ss.:
"241. E' istituito presso l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro
(INAIL), con contabilità autonoma e separata, un Fondo per le vittime dell'amianto, in
favore di tutte le vittime che hanno contratto patologie asbesto-correlate per esposizione
all'amianto e alla fibra "fiberfrax", e in caso di premorte in favore degli eredi.
242. Le prestazioni del Fondo di cui al comma 241 non escludono e si cumulano ai diritti di
cui alle norme generali e speciali dell'ordinamento.
243. Il Fondo di cui al comma 241 eroga, nel rispetto della propria dotazione finanziaria,
una prestazione economica, aggiuntiva alla rendita, diretta o in favore di superstiti,
liquidata ai sensi ......., fissata in una misura percentuale della rendita stessa definita
dall'INAIL.
244. Il finanziamento del Fondo di cui al comma 241 è a carico, per un quarto, delle
imprese e, per tre
quarti, del bilancio dello Stato.
L'onere a carico dello Stato è determinato in......Agli oneri a carico delle imprese si
provvede con una addizionale sui premi assicurativi relativi ai settori delle attività
lavorative comportanti esposizione all'amianto.
245. Per la gestione del Fondo di cui al comma 241 è istituito, senza maggiori oneri a
carico della finanza pubblica, un comitato amministratore la cui composizione, la cui
54
durata in carica e i cui compiti sono determinati con decreto del Ministro del lavoro e della
previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare
entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
246. L'organizzazione e il finanziamento del Fondo di cui al comma 241, nonchè le
procedure e le modalità di erogazione delle prestazioni, sono disciplinati con regolamento
adottato con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore
della presente legge". (Tale regolamento è stato da ultimo emanato soltanto con decreto
12 gennaio 2011, n. 30).
A prescindere, quindi, dalla mancata emanazione all'epoca del detto regolamento …. è
evidente che trattasi di "prestazione economica, aggiuntiva alla rendita, diretta o in favore
dei superstiti", "fissata in misura percentuale della rendita stessa definita dall'INAIL", che
"non esclude e si cumula ai diritti di cui alle norme generali e speciali dell'ordinamento".
Tale essendo il chiaro tenore letterale della norma di legge, legittimamente la Corte
territoriale ha affermato che "le prestazioni dispensate dal Fondo non potranno escludere
alcuno degli altri diritti stabiliti dall'ordinamento per i medesimi soggetti" e che "non si potrà
opporre alcuna compensazione nè calcolo differenziale tra le prestazioni erogate dal
Fondo e il diritto al risarcimento dei danni spettanti alle stesse vittime".
Si tratta, infatti, di diritti aventi titolo e significato diversi, come tali non confrontabili.>>.
La problematica della personalizzazione del danno non patrimoniale.
Peculiare alla tipologia di lesioni conseguenti all’esposizione ad amianto, (ed in particolare
alle lesioni polmonari oncologiche, alla loro certa
risoluzione in morte, alle rilevanti
sofferenze, fisiche e psicologiche patite dal leso, il quale progressivamente sente diminuire
la sua capacità di respirare e ha la lucida consapevolezza di avvicinarsi inesorabilmente
alla morte- c.d. danno catastrofico-) , è la problematica della personalizzazione del danno
non patrimoniale, spesso affrontata dalla giurisprudenza superando le standardizzazioni
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connesse alla predisposizione di tabelle equitative di quantificazione del danno ( quali ad
esempio quelle di Milano, di regola ormai generalmente seguite- cfr. Cass. n. 5243 del 6
marzo 2014, nonché la stessa Cass. 1361/2014 , secondo cui , ribadito che il criterio di
liquidazione dei danni non patrimoniali sia l’equità intesa come valutazione congrua,
ragionevole, proporzionale, ma anche rispettosa della parità di trattamento, le tabelle giudiziali o normative- sono uno strumento idoneo all’attuazione della clausola generale ex
art. 1226 c.c.
ma il loro uso impone però al giudice di procedere ad adeguata
“personalizzazione” della liquidazione del danno non patrimoniale , così che il mancato
utilizzo delle tabelle di Milano integra violazione di legge, salvo adeguata motivazione,
posto che anche le tabelle di Milano pongono “alcune problematiche interpretative e
applicative”).
Con la Sentenza n. 2251, del 16 Febbraio 2012 - la Sezione Lavoro della Corte di
Cassazione Civile - decidendo su un ricorso - attivato da una Società veneziana che
chiedeva la riforma di una Sentenza (pronunciata, nel 2009, dalla Corte d'Appello di
Venezia) con la quale era stata condannata a liquidare, agli eredi di un lavoratore
deceduto per mesotelioma pleurico da contatto prolungato con amianto, la somma di Euro
100,00 per ogni giorno di malattia intercorso tra la diagnosi ed il decesso del lavoratore
stesso - ha sancito due principi importanti.
In primis la Corte ha stabilito che la responsabilità del danno grave all'integrità
psicofisica del lavoratore - e che successivamente ne aveva causato il decesso, dovesse
ricadere
interamente
sulla
Società
stessa,
in
quanto
datrice
di
lavoro.
Secondariamente, che il "ristoro" economico richiesto dai familiari, per la sua
quantificazione, dovesse essere calcolato considerando non solo il danno biologico, ma
anche quello esistenziale, in ciò includendo anche le sofferenze che una patologia
aggressiva come il mesotelioma pleurico procura a chi ne è colpito.
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La Corte ha stabilito, infatti, che:
"[...] in caso di lesione dell'integrità fisica conseguente a malattia occorsa al lavoratore per
la violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro ex art. 2087 cc.,
ove dalla malattia sia derivato l'esito letale e la vittima abbia percepito lucidamente
l'approssimarsi della fine attivando un processo di sofferenza psichica, l'entità del danno
non patrimoniale (il cui risarcimento è reclamabile dagli eredi) deve essere determinata
sulla base non già (e non solo) della durata dell'intervallo tra la manifestazione conclamata
della malattia e la morte, ma dell'intensità della sofferenza provata, delle condizioni
personali e soggettive del lavoratore e delle altre particolarità del caso concreto", cui il
giudice di rinvio è stato chiamato ad uniformarsi.".
Analoga la decisione presa - sempre dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione
Civile - con la Sentenza 8 Ottobre 2012, n. 17092. Il caso esaminato era stavolta relativo
ad un lavoratore morto nel 2003, in conseguenza di un mesotelioma pleurico anch'esso
derivante da esposizione prolungata alle polveri di amianto. Il lavoratore aveva scaricato
per anni (dal 1956 al 1980) sacchi di iuta con fibre di amianto, privo anche della pur
minima protezione di una mascherina.
La Cassazione ha stabilito - anche in questo caso - che l'entità del risarcimento liquidato
dovesse essere calcolata sulla base non solo del danno biologico patito dal lavoratore,
rivelatosi di tale gravità da causarne il decesso, ma anche considerando il danno
esistenziale, con riguardo particolare alle sofferenze patite dalla persona colpita e, di
conseguenza, ha giudicato incongruo il risarcimento stabilito, con Sentenza del 2010, dalla
Corte d'Appello di Venezia pari a 19.800 Euro, ovvero 150,00 Euro per ciascuno dei 132
giorni di malattia del lavoratore, poi deceduto.
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Analogamente Cass. n.17334 del 11/10/2012 ha deciso un caso sottopostole a seguito di
impugnazione incidentale della sentenza della Corte di Appello di Venezia che, in
relazione alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale patito dal de cuius
avanzata dagli eredi di un lavoratore morto a seguito di mesotelioma pleurico causato da
esposizione ad amianto, aveva quantificato il nocumento utilizzando come parametro di
riferimento la durata della malattia sofferta dal de cuius e valutato come importo risarcitorio
un dato complessivamente rapportabile a tutte quelle voci di danno non patrimoniale (nel
caso di specie biologico e morale) considerate unitariamente e non in una percentuale
rispetto all'altra, data l'unitarietà del concetto stesso di danno non patrimoniale. Pertanto
valutando un importo unitario di complessivo danno non patrimoniale di Euro 4.500,00 al
mese e moltiplicando tale importo per i dieci mesi di malattia, la Corte di merito aveva
liquidato una somma complessiva di Euro 45.000,00.
La Corte di Cassazione ha sul punto così deciso:
<<risulta invece fondato il ricorso incidentale avverso la stessa sentenza, con il quale gli
eredi B. censurano la sentenza impugnata sul quantum del risarcimento, del danno non
patrimoniale (biologico e morale) unitariamente considerato, liquidato dalla Corte di merito.
In particolare i ricorrenti incidentali, con il primo motivo, denunciando violazione degli artt.
2043, 2056, 1223 e 1226 c.c., deducono che il parametro utilizzato dalla Corte di merito (la
durata della malattia) soltanto in parte è riferito e personalizzato in relazione al reale
danno subito dal defunto B.V. ed è inidoneo a misurare l'entità del danno risarcibile, "non
liquidando il danno patito nella sua globalità ma solo nel suo aspetto di transitorietà>>.
<< Questa Corte, infatti, ha evidenziato come in caso di lesione dell'integrità fisica che
abbia portato ad esito letale, la vittima che abbia percepito lucidamente l'approssimarsi
della fine attivi un processo di sofferenza psichica particolarmente intensa che qualifica il
danno biologico e ne determina l'entità sulla base non già (e non solo) della durata
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dell'intervallo tra la lesione e la morte, ma dell'intensità della sofferenza provata" (v. Cass.
16-2-2012 n. 2251, cfr. Cass.18-1.2011 n. 1072, Cass. 14-2-2007 n. 3260).
Del resto, come pure è stato precisato, proprio in una ipotesi di azione risarcitoria
promossa dagli eredi di un lavoratore deceduto per esposizione a fibre di amianto, "in
materia di risarcimento danni, in caso di lesione di un diritto fondamentale della persona,
la regola, secondo la quale il risarcimento deve ristorare interamente il danno subito,
impone di tenere conto dell'insieme dei pregiudizi sofferti, ivi compresi quelli esistenziali,
purchè sia provata nel giudizio l'autonomia e la distinzione degli stessi, dovendo il giudice,
a tal fine, provvedere all'integrale riparazione secondo un criterio di personalizzazione del
danno, che, escluso ogni meccanismo semplificato di liquidazione di tipo automatico,
tenga conto, pur nell'ambito di criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive
del lavoratore e della gravità della lesione e, dunque, delle particolarità del caso concreto
e della reale entità del danno" (Cass. 21-4-2011 n. 9238).
Orbene la sentenza impugnata (definitiva), in contrasto con tali principi, ha quantificato il
danno adottando un parametro rapportato esclusivamente alla durata della malattia, in tal
modo non sufficientemente personalizzando il danno stesso, stante la mancanza di
qualsiasi altra considerazione relativa alle condizioni personali e soggettive, al decorso
della malattia, alla concreta penosità della stessa, alle ripercussioni sulla vita del
danneggiato, alle cure praticate e alle relative prospettive ed in genere ad ogni ulteriore
circostanza rilevante ai fini dell'intensità della sofferenza provata.>>
Particolarmente interessante è la distinzione che opera il Tribunale di Pisa 27/11/2012,
allorchè differenzia il danno biologico da inabilità permanente dal danno biologico da
inabilità temporanea “terminale”.
La sentenza appare ulteriormente interessante perché inquadra l’istituto del danno
differenziale dopo il D.Lgs. 38/2000 e dopo la pronuncia delle sentenze gemelle delle
Sezioni Unite della Cassazione del 2008 in una fattispecie ove si discuteva di danni non
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patrimoniali riportati da un lavoratore esposto ad amianto, e per questo ammalatosi e
deceduto. Riporto i passi salienti e di interesse, avuto riguardo all’oggetto della presente
relazione:
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Il danno da perdita della vita, trasmissibile iure hereditatis, dopo la sentenza di
Cass. 1361/2014, è un danno differenziale qualitativo ( o complementare) che può
essere chiesto in aggiunta al tradizionale danno non patrimoniale( danno biologico+
danno morale + danno esistenziale)?
Dato l’esito infausto del mesotelioma da esposizione ad amianto, il riconoscimento da
parte della Corte di Cassazione del danno non patrimoniale per perdita della vita , a mio
parere può legittimamente far ritenere che questo aspetto del danno non patrimoniale
possa essere chiesto iure successionis dagli eredi del lavoratore deceduto , a prescindere
dall’indennizzo percepito dall’INAIL,
per i titoli per i quali opera l’esonero disciplinato
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dall’art. 10 T.U. 1124/65, ivi compresa la rendita superstiti disciplinata dall’art. 85 T.U.
1124/65, che pacificamente indennizza solo un danno patrimoniale.
La Corte di Cassazione, nella sentenza citata, ha statuito che:
- <<Va conclusivamente affermato che il danno non patrimoniale da perdita della vita
consiste nella perdita del bene vita, bene supremo dell'individuo oggetto di un diritto
assoluto e inviolabile dall'ordinamento garantito in via primaria, anche sul piano della
tutela civile.>>.
- <<Trattasi di danno altro e diverso, in ragione del diverso bene tutelato, dal danno alla
salute, e si differenzia pertanto dal danno biologico terminale e dal danno morale terminale
( o catastrofale o catastrofico ) della vittima, rilevando ex se, nella sua oggettività di perdita
del bene vita, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile.>>
- <<La perdita della vita va ristorata a prescindere dalla consapevolezza che il
danneggiato ne abbia, anche in caso di morte c.d. immediata o istantanea, senza che
assumano pertanto rilievo né il presupposto della persistenza in vita per un apprezzabile
lasso di tempo successivo al danno evento né il criterio dell'intensità della sofferenza
subita dalla vittima per la cosciente e lucida percezione dell'ineluttabile sopraggiungere
della propria fine.>>
- << Il diritto al ristoro del danno da perdita della vita si acquisisce dalla vittima
istantaneamente al momento della lesione mortale, e quindi anteriormente all'exitus,
costituendo ontologica, imprescindibile eccezione al principio dell'irrisarcibilità del dannoevento e della risarcibilità dei soli danni-conseguenza, giacché la morte ha per
conseguenza la perdita non già solo di qualcosa bensì di tutto; non solamente di uno dei
molteplici beni, ma del bene supremo della vita; non già di qualche effetto o conseguenza,
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bensì di tutti gli effetti e conseguenze, di tutto ciò di cui consta(va) la vita della (di quella
determinata) vittima e che avrebbe continuato a dispiegarsi in tutti i molteplici effetti suoi
propri se l'illecito non ne avesse causato la soppressione>>
- <<Il ristoro del danno da perdita della vita ha funzione compensativa, e il relativo diritto
( o ragione di credito ) è trasmissibile iure hereditatis ( cfr. Cass., 3/l0/2013, n. 2260l ), non
patrimoniale essendo il bene protetto ( la vita ), e non già il diritto al ristoro della relativa
lesione>>.
- <<il danno da perdita della vita è imprescindibilmente rimesso alla valutazione equitativa
del giudice>>;
- <<non essendo il danno da perdita della vita della vittima contemplato dalle Tabelle di
Milano, è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice di merito l'individuazione dei
criteri di relativa valutazione che consentano di pervenire alla liquidazione di un ristoro
equo, nel significato delineato dalla giurisprudenza di legittimità, non apparendo pertanto
idonea una soluzione di carattere meramente soggettivo, nè la determinazione di un
ammontare uguale per tutti, a prescindere cioè dalla relativa personalizzazione, in
considerazione in particolare dell'età delle condizioni di salute e delle speranze di vita
futura, dell'attività svolta, delle condizioni personali e familiari della vittima>>.
- <<Vale
al riguardo altresì segnalare che dal riconoscimento della ristorabilità della perdita
del bene vita in sè e per sè considerato, anche in caso di immediatezza o istantaneità
della morte, deriva, quale corollario, la necessità di procedere alla relativa quantificazione
senza dare in ogni caso ingresso a duplicazioni risarcitorie>>.
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Nell’attesa della pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, a cui la questione è stata
demandata, rimane tuttavia il problema dei criteri di liquidazione a cui ricorrere per
quantificare e adeguatamente personalizzare il danno, per evitare che la liquidazione di
detto nocumento si palesi del tutto arbitraria e soggettiva.
Napoli, 17 aprile 2015
Marilena Rizzo
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