Luca Lorenzetti L’italiano contemporaneo, Carocci, 2002
(schema compilato da Rita Lugaresi: non sostituisce il libro!)
1. L’Italia linguistica contemporanea
1.1. le lingue d’Italia oggi
L’italiano è la lingua ufficiale e nazionale + lingue minori (francese…) e comunità alloglotte
(ladino, cimbrico…) + dialetti + lingue di immigrati + minoranze diffuse (romanès)
L’indice di diversità linguistica dell’italiano è alto: 0,59
1.2. l’italiano all’estero
800-900: 26 milioni di italiani all’estero. Non si è mai affermato come “lingua etnica” La
lingua più parlata è il dialetto. U.S.A, Australia, America latina, Germania. Svizzera unico
stato estero in cui è riconosciuto come lingua ufficiale. Residualità e recessità dell’italiano
come lingua materna all’estero.
L’italiano come lingua straniera conosciuto dal 3% degli europei. Non ha peso né gode
fascino. Non viene scelta come seconda lingua. Scarso peso anche nella comunicazione
telematica. Tuttavia il n. di persone che studiano italiano sta lentamente crescendo, per motivi
di lavoro, ma soprattutto per arricchimento culturale. Ecclesiastici
2. L’italiano
2.1. Genealogia
È una lingua neolatina, come già ipotizzava Dante nel “De vulgari eloquentia” , notando la
somiglianza di molte parole del francese e del provenzale e come dimostrò la linguistica
comparativa moderna. Attraverso il latino appartiene alla famiglia indoeuropea
2.2. Storia: l’italiano lingua nazionale, parlata, materna
Fortuna dei grandi autori trecenteschi, imporsi del modello grammaticale del veneto P. Bembo
e rinnovamento operato dal Manzoni nella metà dell’800. Fino all’unità però l’Italia visse solo
nello scritto. Solo 2,5% o 10% al massimo. Fattori di italianizzazione: burocrazia, esercito,
istruzione elementare obbligatoria, stampa, processi migratori, nascita dell’industria. Le
comunicazioni a largo raggio aumentano la comprensione del parlato. Il contatto critico
avviene grazie alla radio, al cinema, e alla TV, che propone un parlato non dialettale. Negli
anni 50 i genitori si rivolgono ai figli in italiano
2.3. Sociolinguistica: gli usi dell’italiano
Ogni italiano ha un suo repertorio linguistico, che spazia dal dialetto locale a quello regionale,
fino all’italiano più controllato. Si tratta di una situazione in movimento. Inoltre italiano e
dialetto non sono a compartimenti stagni, perché esistono varietà intermedie. Avvicinamento
reciproco fra lingua e parlanti.
L’errore rilevato dai grammatici è indizio prezioso di effettive tendenze alla variazione.
Assi di variazione linguistica:
diatopico (geografico): dal dialetto locale all’italiano; sociale (diastratico): dall’italiano
popolare all’italiano colto; stilistico (diafasico): dall’italiano informale all’italiano burocratico
aulico; in rapporto tra scritto – parlato (diamesico). Le dimensioni si possono sovrapporre.
2.3.1. l’italiano standard (o normativo)  deve essere varietà di riferimento, normale in
senso statistico, in senso sociolinguistico, sovraregionale, descritto e codificato, usato dagli
strati superiori, utilizzabile oralmente e per iscritto. Una varietà standard scritta è esistita
almeno dal ‘500, ma si mette in dubbio che una tale varietà esista: nessuno ha mai acquisito la
pronuncia fiorentina emendata, si sta rinunciando anche nella formazione degli speaker. A
livello grammaticale l’italiano standard normativo risulta troppo angusto: si censurano tratti
che sono addirittura trainanti (ci + avere per il possesso).
Lo standard è in forte regresso per quel che riguarda i suoni (e, o aperte, s ,z sorde o sonore),
la grammatica (marginalità del congiuntivo nel parlato, distinzione fra gli e loro). Il prestigio è
sociolinguistico, ma si riduce allo scritto più formale.
2.3.2. l’italiano neostandard Coincide in buona parte con il normativo, ma accoglie una serie
di fenomeni rifiutati o sconsigliati
2.3.3. l’italiano regionale Studiato a partire dagli anni ’60. C’è una analogia genetica tra
italiano regionali e dialetti storici, perché si sono formate dal contatto con una lingua di
prestigio con altre lingue usate in precedenza. Però tra il latino e le lingue prelatine c’erano
differenze ben maggiori di quelle esistenti tra italiano e dialetti.
L’italiano regionale si distingue dallo standard che da altre varietà proprio per gli elementi
locali. Pronunce del tutto prive di tratti locali sono rarissime. Gli italiani regionali
corrispondono alle regioni dialettali, non amministrative
2.3.4 L’italiano popolare è il tipo di italiano imperfettamente acquisito da chi ha per madre
lingua il dialetto. È una varietà linguistica di contatto, ma non viene tramandata di generazione
in generazione. Ci sono però anche parlanti che hanno un italiano popolare regionale come L1
senza possedere un dialetto. Si può parlare di italiano popolare anche per la lingua dei testi
scritti da incolti nell’Italia preunitaria.
Non può esistere neppure un italiano popolare parlato unitario, è comunque più o meno
regionale. Passando però dalla pronuncia alla grammatica l’impressione di unitarietà è
maggiore. Ci sono anche rapporti con l’italiano neostandard, come livellare le differenze fra le
varie forme dei verbi, ma ciò che li distingue è lo status sociolinguistico.
3. Il lessico
3.1. Nozioni generali
Lessema: unità di lessico considerata in astratto; parola o forma: ciascuna delle possibili
varianti dello stesso lessema; occorrenza tutte le volte che un lessema o una forma vengono
usati. Ciascun lessema è portatore di un significato, suddivisibile in diverse accezioni
3.2. Quante sono le parole dell’italiano?
I lessemi (lemmi) sono raccolti nei vocabolari, i più ampi sono più di 200.000, le forme sono
circa 2 milioni. Non tutti conosciamo le stesse parole, né usiamo le stesse parole, secondo
cultura, varianti sinonimiche regionali o convenzioni sociali. C’è poi da considerare la
polisemia, e le parole usate nel antiche.
C’è un’altra classificazione, per elementi lessicali ed elementi funzionali.
3.3. Chi usa le parole dell’italiano?
Vocabolario
corrente
Lessico fondamentale (2000) lessemi funzionali e termini ad
Vocabolario alta frequenza. Lo capisce il 95% della popolazione italiana
di
base (anno)
(7000)
Lessico ad alto uso (2500-3000) lessemi capiti ed usati da chi
ha una istruzione media alimento
Lessico ad alta disponibilità (2300) legati a fatti oggetti
quotidiani ma di cui non c’è bisogno di scrivere o nominare
forchetta
Regionalismi
Letterari
(5000)
Lessici
settoriali
Parole
lunga
durata
di
Settore più
esposto
a
evoluzioni
Vocabolario Lessemi per produrre testi non specialistici, compresi da chi
comune
ha una istruzione medio-alta
(45.000)
Usati all’interno della regione linguistica
carnezzeria
Usati con riferimento alla regione linguistica di appartenenza
nuraghe
Uso scritto medio alto
cimbalo
Tecnico – scientifici  termini
Gerghi (varietà linguistiche parassite) erba (modificazioni nel significato) pula (nella forma)
3.4. Come si è formato il lessico italiano?
Lessemi ereditari
derivati ininterrottamente dal
latino parlato (15% del lessico
Dal latino
globale, metà del lessico di base)
Lessemi di tradizione Attinti dal serbatoio della lingua
indiretta (latinismi o scritta nel Medioevo. Hanno
cultismi)
modificato
la
fonologia
dell’italiano (es. cons + L)
Da
altre Prestiti: greco, inglese, Foresterismi (prestiti recenti)
lingue
francese. Poco inglese
Adattati
Adattati nella
nel vocabolario di base
(prestiti antichi) forma
Calchi
(traduzioni)
Abbiamo così degli
allotropi , ma anche
abbondanza di “falsi
amici”,
cioè
con
significati oggi diversi
Secondo i settori più
aperti al prestito: moda,
politica,
burocrazia,
guerra, scienze (fr.);
tecnologia,
trasporti,
informatica (ingl.)
Neo - formazioni italiane (35% del lessico di base) v. par 4.2
3.5. Dove sta andando il lessico dell’italiano?
Il cosiddetto lessico intellettuale è diffuso in tutte le lingue europee il motore è stata la
cristianizzazione dell’Europa (es. vescovo). Un altro tipo di innovazione è quella neoclassica,
diffusa attraverso il francese settecentesco. Leopardi distinse giustamente gli europeismi
(parole usate in maniera non ambigua) dai barbarismi.
Gli unici prestiti che possono snaturare il lessico sono quelli non adattati. Ma del resto
combinazioni diverse di suoni sono state acquisite già coi latinismi.
La vitalità di una lingua si misura in base alla capacità di creare o assimilare parole nuove,
assegnare nuovi significati a quelle vecchie.
4. Morfologia: la forma delle parole italiane
4.1. Nozioni generali
Morfologia parte della grammatica che riguarda la struttura delle parole, modo in cui elementi
dotati di significato si combinano per formare i lessemi e le parole della lingua. La formazione
stabilisce le regole di creazione, la flessione le regole in cui un lessema sii articola in tutte le
sue possibili forme.
Morfo è l’unità minima dell’espressione Morfo lessicale riporta al significato
morfologica
Morfo grammaticale
Flessivo (es. sing. pl.)
Derivativo (es. –aio, -iere)
Morfema è l’unità minima del contenuto
morfologico, cioè ciascun significato
minimo espresso da un morfo
L’italiano è una lingua a morfologia fusiva o flessiva. Lo stesso morfema può essere espresso
da morfi diversi, detti allomorfi o varianti ( es. masch –o, -a, -e)
Base+ affisso (prefisso o suffisso)  derivato
Base + base  composti
Lessemi morfologicamente
complessi
Unità lessicali formate da gruppi di parole: collocazioni se di significato prevedibile
polirematiche (o lessemi complessi)
4.2. La formazione delle parole in italiano
o
Più della metà dei lessemi sono dotati di struttura morfologica, tre quarti sono derivati, gli altri
composti. La prefissazione e la suffissazione hanno pesi diversi per numerosità e per le
categorie morfologiche rappresentate.
I composti sono costituiti da nomi e avverbi. Più della metà sono neoclassici.
4.2.1. Tendenze La maggioranza dei lessemi a struttura si è formata nell’’800-‘900. Paradigmi
a ventaglio oppure a cumulo
4.2.2. Affissi, regole e produttività. Si definisce produttività la probabilità di un affisso o di
un procedimento di produrre neologismi all’interno di un periodo storico determinato.
‘800: -ista, ‘900 dis- , in-, ri-.
Morti non più segmentabili all’interno delle parole che lo contengono
Affissi
Vivi
Non produttivi appaiono in formazioni di struttura ben
riconoscibile, ma non forma più neologismi
Regressivi formano sempre meno
Produttivi
parole nel corso del tempo
Progressivi sempre più parole
Lo stesso con i procedimenti
4.3. La flessione dell’italiano contemporaneo
Le tendenze della morfologia flessiva si spiegano bene come reazioni da parte di un sistema
grammaticale che solo da pochi decenni subisce regolarmente le sollecitazioni dell’uso parlato.
Nella maggior parte dei casi si tratta del riemergere di fenomeni antichi
4.3.1 Il nome: evoluzione delle classi flessive
Una classe flessiva è un insieme di lessemi che selezionano lo stesso sottoinsieme di morfi
flessivi. Si propone la classificazione di D’Achille.
–o/ –i maschile
–a/ –e, femminile
–e/ –i, maschile, femminile
–a/ –i maschile
I neologismi e i prestiti affluiscono in queste due classi oppure in
quella degli invariabili
Si nutre oggi dei suffissati in – ale, -tore, -zione
in varie epoche (dopoguerra, pianoterra, puma, koala). Di per sé
non più produttivo, viene rimpinguata dalla massa dei derivati in
-ista
–o/ –a, sing. masch., pl. Recentemente la fonte principale sono gli accorciamenti tipo
femm.
foto, moto,
invariabili.
Questa classe costituisce l’elemento dinamico della flessione
nominale contemporanea. Una volta erano invariabili i nomi che
finiscono per vocale accentata, poi i grecismi in -i, nel ‘900 i
prestiti che finiscono in consonante.
4.3.2 Il verbo
Alla base di numerosi mutamenti grammaticali. Semplificazione del sistema.
L’italiano contemporaneo rea neologismi o adatta prestiti solo in due classi verbali: quelle in
–are quella in –ire, nella quale confluiscono solo alcune neoformazioni parasintetiche.
Si è ridotto il numero di temi e modi della grammatica standard.
L’indicativo copre quasi l’80% degli usi nelle principali.
Il presente si espande a danno del futuro, con il supporto di espressioni avverbiali.
Il futuro recupera spazio negli usi “epistemici” in frasi che esprimono previsioni, oppure dubbi
C’è anche un’espansione del presente ai danni del passato, soprattutto nei racconti
autobiografici.
Il presente indicativo sostituisce normalmente il congiuntivo nel periodo ipotetico delle
possibilità.
Il passato remoto tende ad essere sostituito dal passato prossimo in tutte le varietà
deregionalizzate.
Il p. prossimo funziona anche da futuro anteriore.
L’imperfetto indicativo assume valore più di modo che di tempo (sostituisce il presente
condizionale negli usi di cortesia, il congiuntivo trapassato e il condizionale passato nelle
ipotetiche di irrealtà.
Il congiuntivo compare nel 55 delle subordinate nel parlato italiano. Là dove servirebbe per
indicare la subordinazione, questo compito viene già svolto dagli introduttori delle
subordinate. Là dove la funzione è quella modale, lo spazio viene occupato sempre più dal
futuro.
La frequenza del passivo è in calo. Mentre il passivo della frase può assegnare il ruolo di tema
solo all’oggetto della frase, gli spostamenti e le riprese pronominali sono molto più potenti
perché possono coinvolgere altri costituenti della frase.
4.3.3 I pronomi
I paradigmi dei pronomi stanno subendo i cambiamenti più sensibili. Pronomi personali:
vittoria definitiva delle forme soggetto di terza persona lui, lei, loro, processo che inizia già nei
primi secoli dell’italiano. Analoga estensione alla funzione di soggetto del pronome di seconda
persona te, per due fattori convergenti: influsso sociolinguistico dell’italiano settentrionale;
influsso grammaticale che vede l’indebolirsi della distinzione tra una forma soggetto e una
complemento oggetto (te lo troviamo soprattutto dopo il verbo).
Fra gli atoni, estensione della gli, che relega loro ai registri più formali del parlato e sostituisce
ci con riferimento a entità non animate. La sostituzione di le come pronome singolare
femminile è ancora avvertita come substandard.
Ristrutturazione del che polivalente, la forma non specificata del pronome relativo, una
presenza del resto costante lungo tutta la storia dell’italiano. L’accettazione è alta quando
viene ripresa una indicazione temporale, scende con l’indicazione di luogo o causale. Spesso
affiancato da un pronome atono clitico (l’amico che gli ho fatto un regalo). Il che polivalente
non costituisce una semplificazione, ma produce una sintassi più lineare.
5. La sintassi
5. 1. Nozioni generali
La sintassi studia il modo in cui le parole si combinano per formare e frasi della lingua. Un
sintagma può essere costituito da una o più parole.
Virginia
Sintagma nominale
recita
una poesia
di Natale
Sintagma verbale
Sintagma nominale
Sint. verbale
Sintagma nominale
Sint. nom.
Sint. preposizionale
molto bella
Sint. aggettivale
Sint. aggettivale
Le parole sono i costituenti dei sintagmi, i sintagmi semplici sono i costituenti dei sintagmi
complessi e delle frasi.
5.2. La sintassi della frase
La struttura dei sintagmi non ha subito modifiche sensibili in seguito all’insorgere dei fattori
caratteristici dell’italiano contemporaneo. Anche il livello della frase non ha conosciuto
brusche inversioni di tendenza. L’italiano è classificato sintatticamente come “lingua SVO”.
Alcune variazioni nell’ordine dei costituenti sono diventate più numerose nell’italiano
contemporaneo. Quando si vuole enfatizzare un pezzo dell’informazione portata dalla frase, si
sposta dalla sua sede naturale la parte di frase che contiene quell’informazione.
La dislocazione a sinistra sposta nella prima posizione della frase il costituente su cui si vuol
porre l’attenzione (l’inglese lo leggo bene), trasformandolo in tema e riprendendolo poi con
un pronome nella seconda parte della frase (già nel Placito cassinese).
Nella dislocazione a destra risale verso l’inizio della frase un pronome che anticipa il
costituente (lo leggo bene, l’inglese). È particolarmente frequente nelle domande che non
presuppongono risposta (la conoscete l’educazione?); a causa della loro frequenza, certe
formule tendono a cristallizzarsi.
Nelle frasi scisse la messa in rilievo avviene scindendo la frase in due, la prima col verbo
essere, la seconda introdotta da che (è questo che volevo sentire). Stabilizzatasi in italiano nel
‘700 per influsso del francese, combattuta dai puristi, è discesa in tutte le varietà attuali. Si è
specializzata in certi usi , soprattutto negazioni e domande, in cui c’è una vera e propria fissità
formulare.
Le frasi a tema sospeso sono simili per struttura e funzione nelle dislocazioni a sinistra, ma il
tema è dotato di ripresa pronominale ma resta privo di indicazioni che ne specifichino il ruolo
sintattico (l’autostrada non ci si può più circolare). Bollato come “anacoluto” è tipico del
parlato e delle scritture che vi si avvicinano.
Più confinate nelle varietà popolari le costruzioni a tema libero (io il morale è alto).
Un tipo di anticipazione con ripresa lessicale anziché sintattica (il pupo mangiare mangia).
Gli spostamenti hanno contribuito anche alla formazione di alcune costruzioni davvero nuove
per la morfosintassi italiana: il cosiddetto accusativo preposizionale (il compl. Oggetto è retto
dalla preposizione a). Es il tipo ma perché a me non mi invita mai? È libero da limitazioni
geografiche, conserva un alone di informalità, ma risalgono fino ad usi scritti relativamente
controllati (a me diverte vedere…) se proviamo a sostituire i pronomi preposizionali con
semplici i risultato è inaccettabile o ambiguo.
Le ragioni della fortuna si devono all’esigenza di differenziare una sottoclasse di complementi
oggetto e i pronomi sono tra gli elementi più aperti alle innovazioni recenti.
5.3 La sintassi del periodo e la struttura del discorso
L’opposizione tra scritto e parlato è un criterio troppo grossolano per dar conto di tutte le
sfumature che movimentano l’italiano oggi. tuttavia possiamo ravvisare queste tendenze:
la lunghezza media delle frasi è minima nei dialoghi; la percentuale delle frasi è massima nei
dialoghi faccia a faccia; più informale è il discorso, più sono frequenti le subordinate di primo
grado.
A compensare il rumore informativo come interruzioni o ripensamenti provvedono i
cosiddetti segnali o particelle discorsive che riempiono i buchi del testo o gestiscono meglio
l’andamento del discorso. La categoria segnale discorsivo non è lessicale, ma funzionale, che
può essere svolta da avverbi (praticamente), congiunzioni (dunque),interiezioni (eh?),
sintagmi verbali (diciamo), frasi (come dire). Può capitare che un certo elemento si specializzi
per una specifica funzione discorsiva (dice) e perda il suo significato lessicale e non possa
essere flesso né al passato né al plurale.
5.3. Sintassi popolare e regionale
La componente popolare e regionale si sovrappongono nel parlato e anche nello scritto.
È nota l’incertezza nella scelta dei verbi ausiliari, che nello scritto si limita ad alcuni
intransitivi.
Nell’italiano popolare l’uso anomalo di avere è molto più frequente di quello di essere, e ciò
indica un legame stretto con i sostrati dialettali.
Un fenomeno che si riscontra oggi nell’italiano di Toscana è l’uso tendenzialmente
obbligatorio del soggetto pronominale.
Altre costruzioni regionali:
a) essere dietro/qui/lì + frase con valore durativo b) l’integrazione del verbo con particelle
locative c) la costruzione senza articolo dei sintagmi nominali con nomi di parentela; d) la
costruzione fiale del sintagma verbale a fare? di origine romana; e) l’interrogativa diretta
introdotta da che; f) verbi pronominali con valore mediale e non riflessivo (ti sei guarito)
negli it. centrali; g) noi + il si impersonale (es. letterari e tosc.); h) uso meridionale di
costruire transitivamente verbi scendere, salire, uscire, entrare; i) particolare sintassi del
gerundio in Sardegna (l’ho visto camminando); l) verbo finale nelle interrogative in Sardegna;
m) verbo finale in Sicilia.
6. Fonologia: i suoni dell’italiano
6.1. Nozioni generali
La fonetica studia i suoni del linguaggio dal punto di vista fisico, articolatorio e acustico, cioè
in quanto foni. Il fono è l’unità minima della fonetica (elemento sonoro minimo). Nelle
trascrizioni si racchiudono tra parentesi quadrate.
La fonologia studia i suoni linguistici dal punto di vista della funzione che hanno all’interno di
una lingua, cioè in quanto fonemi. Il fonema è l’unità minima della fonologia, cioè ciascun
elemento che in una data lingua può distinguere, da solo, un significante da un altro. Non è un
oggetto puramente fisico, ma un elemento oppositivo. Si indica tra sbarre oblique.
Al fonema si riconducono tutti i foni fisicamente diversi, detti varianti o allofoni, che possono
realizzarlo in una data lingua. Gli stessi tipi fonetici possono rappresentare fonemi diversi
oppure varianti dello stesso fonema.
6.2. L’alfabeto fonetico
La corrispondenza tra fonemi e lettere non è né potrebbe essere esatta. Sistema I.P.A. il più
diffuso.
6.3. Quando sono nati i suoni dell’italiano?
L’evoluzione dal latino è avvenuta in tre modi: alcuni fonemi si sono persi del tutto /h/, altri si
sono formati gn, sc, gl, z, v, ce, ge,, modificando l’inventario dei fonemi; altri si sono
modificati t  d, c  g, senza creare suoni nuovi (modificata è stata la distribuzione).
La maggior parte dei cambiamenti di inventario precede di vari secoli la formazione del
fiorentino. e e o semiaperte diventano fonemi distinti entro il V sec., lo stesso per le palatali c e
g. /ts/ si forma dal II sec. sulla base dei nessi /ti/ + vocale, analogamente gli e gn. Più tardi
appaiono sviluppi come il dittongamento di e, o semiaperte, la monottongazione di /aw/.
Alcuni sono processi del fiorentino, come la chiusura di /e/ ed /o/ davanti a certe consonanti.
Per mezzo millennio l’italiano è stato pronunciato adattando le lettere al sistema di pronuncia
del proprio dialetto materno.
Quando l’italiano è diventato lingua materna si è cominciato ad assistere ad un altro tipo di
interferenza, parlata anziché scritta: la formazione di un tipo di pronuncia che conserva forti
elementi locali o regionali  dialetti secondari
6.4. I fonemi
Per gli studiosi il numero dei fonemi italiani oscilla. Noi ne conteremo 30.
6.4.1. Consonanti
Occlusive prodotte tramite l’interruzione completa e momentanea del flusso dell’aria
grazie al contatto degli organi articolatori mobili con quelli fissi. Possono essere brevi o
lunghe. Non dovrebbero stare in finale, ma esistono nei prestiti (che nelle varietà centrali e
popolari vengono adattate)
Sorda
Sonora
Bilabiali
Palla
Balla
Dentali
Tetto
Detto
Velari
Callo
Gallo
Una varietà regionale e la gorgia toscana, che le rende affricate tra le vocali o tra una
vocale e /r/. Lenizione di /p t k/ intervocaliche frequenti negli italiani meridionali.
Molte varietà settentrionali tendono ad annullare l’opposizione tra lunghe e brevi.
Fricative prodotte tramite una restrizione del canale orale e il conseguente effetto acustico
di frizione.
Sorda
Sonora
Labiodentali
/f/ Fetta
/v/ Vetta
Alveolari
/s/ Chiese (verbo)
/z/ Chiese (sost.)
Palatale
/ʃ/ Sciame
/Ʒ/ (dal fr. abatjour)
Possono trovarsi sia all’inizio che a fine parola, tranne /z/ che non può trovarsi ad inizio di
parola a meno che non sia seguito da consonante sonora.
/z/ è sistematicamente “irregolare”, perché l’opposizione è solida nell’italiano toscano, meno
nell’italiano standard. Per effetto delle pronunce settentrionali si impone una
generalizzazione di s sonora come variante intervocalica indiscriminata.
Le varietà regionali sono ricche di foni fricativi assenti nello standard. Il toscano ha anche un
/Ʒ/ breve, ma /ʃ/ e /Ʒ/ j restano varianti allofoni di c e g.
Al Nord si trova /z/ intervocalico, al Sud, /s/. Nell’emiliano romagnolo le sibilanti /s z/ si
realizzano come /ʃ/ /Ʒ/ leggermente avanzati.
Affricate identiche alle occlusive nelle fasi di impostazione, ma con una fase di rilascio
progressiva, come per le fricative.
Sorda
Sonora
Alveolari
/ts/ negozio
/dz/ zoo
Palatali
/ʧ/ cielo
/ʤ / gelo
Sono sempre foneticamente lunghe se si trovano dopo vocale o all’inizio di parola.
Compaiono di preferenza in posizione non finale. Il carico funzionale è basso, poiché ci
sono pochissime coppie minime (es. razza). Ci sono parole che hanno sempre la sorda
(canzone), altre la sonora (mezzo), altre è indifferente. La tendenza è che la variazione
libera è circoscritta alla posizione iniziale della parola, e che iil neostandard tende a
preferire [ddz] iniziale. In Emilia Romagna /ts/ e /dz/ sono pronunciate con attacco debole,
approssimante anziché occlusivo. Nel pugliese –zione viene pronunciata con una sonora
semplice. Infine del Sud la sonorizzazione di ʦ e ʧ dopo nasale (Vin[ʤ] en[ʣ]o).
Nasali durante la loro articolazione l’aria non esce dalla bocca, ma dal naso. Son
preferibilmente sonore.
Bilabiale
/m/ mano
Alveolare
/n/ nano
Palatale
/ɳ/ gnocco
Le prime due si oppongono tra lunghe e brevi, la terza è di regola lunga. Compaiono in
posizione finale anche in parole di altissima frequenza derivate popolarmente dal latino
(con, in..) e dove è applicato il troncamento (ben, san,…)
Vibranti suoni prodotti da una serie di velocissime occlusioni intermittenti, tramite
contatto delle labbra oppure della lingua con gli alveoli. In italiano c’è solo la vibrante
alveolare /r/; si trova in tutte le posizioni di parola, è sensibile alle opposizioni di
lunghezza. Varianti regionali per vari motivi la “erre moscia” (realizzazioni fricative
monovibranti).
Laterali l’aria passa ai lati della lingua, che tocca il palato. Sono soltanto sonore in
italiano.
Alveolare
/ l / luna
Palatale
/ ʎ / aglio
/l/ può comparire in qualsiasi posizione della parola, ed oppone una variante lunga ad una
breve.
/ ʎ / si trova preferibilmente al centro della parola e non si distingue in base alla lunghezza.
Negli italiani regionali si ricorda la resa bifonematica sett. lj per / ʎ / e il passaggio a /jj/; i
vari esiti veneti di /l/ preconsonatica; inoltre in Sicilia /l/ più consonante viene assimilata.
Approssimanti foni prodotti da un restringimento del canale orale, senza che gli
articolatori vengano a toccarsi. In italiano sono due, entrambi sonori e brevi.
Palatale
/ j / ieri, piano
Labiovelare
/ w / uovo, suono
In italiano possono apparire solo davanti a una vocale interna di parola. Possono essere
considerate al confine tra vocali e consonanti (etichettate come semiconsonanti). Non
subiscono raddoppiamento. Nelle varietà centrali si tende a realizzare la j come una
consonante lunga. Dubbi su quale sia corretto l’articolo lo, l’ o il. Nei prestiti viene adottato
l’articolo lo. Gli italiani settentrionali hanno forme come lo suocero. Altre varianti regionali
riducono i dittonghi (bono)
6.4.2 Vocali
Prodotte dalla vibrazione delle corde vocali amplificata e modificata dalla bocca. Le
modificazioni dipendono principalmente dalla lingua e dalle labbra.
Movimento orizzontale della lingua
Anteriori
Centrali
Posteriori
Movimento
Chiuse
i
u
verticale
labializzat
Semichiuse
e
o
della
Semiaperte
ɛ
ɔ
lingua
Aperte
a
In realtà sono sette solo in posizione tonica, quando non sono accentate, le vocali si
riducono a cinque. Sono tutte sonore. La lunghezza delle vocali non è distintiva in italiano.
Sono foneticamente lunghe solo le vocali accentate che siano anche finali di sillaba e non
finali di parola, mentre sono brevi tutte le altre.
/a/, /i/ possono trovarsi in tutte le posizioni; /ɛ/, /ɔ/ si trovano solo sotto accento; /u/ in
fine parola solo se accentata, /o/ in fine parola solo se non è accentata altrimenti diventa /
ɔ/.
I dittonghi possono essere ascendenti quando il primo elemento è la semiconsonante (la più
chiusa)(piede); o discendenti, quando la vocale più aperta è la prima e i secondi elementi
sono detti semivocali (pausa).
La gamma di variazioni regionali è piuttosto ampia.
6.5. La sillaba
Sequenza minima di foni raggruppati intorno a un fono più sonoro (in italiano una vocale).
Dalla struttura della sillaba dipendono la forma della parola e le sue modificazioni
nell’enunciato, la posizione dell’accento, l’accettabilità dei prestiti stranieri…
Una sillaba che finisce in vocale si chiama aperta (o libera), una sillaba che finisce in
consonante si chiama chiusa (o bloccata o implicata).
Sillaba
(attacco)
nucleo
rima
(coda)
L’unico elemento vocalico obbligatorio è il nucleo vocalico. Attacco e coda in italiano
possono essere anche complessi. Grazie all’analisi sillabica si possono inquadrare fenomeni
noti, come la semplificazione psicologia  pisicologia è preferenza per una sillaba CV
piuttosto che CCV. Se il fiorentino è passato tra il ‘400 e il ‘500 da forme come brieve a breve
è per evitare attacchi sillabici tripartiti
6.6. L’accento
L’italiano effettua questa distinzione attraverso un aumento dell’intensità della voce in
corrispondenza di una determinata sillaba. Per questo l’accento italiano si dice accento
intensivo. Gli errori di accentazione possono essere considerati esempi di varietà più o meno
popolari, forme nate dall’apprendimento dell’italiano mediato esclusivamente dalla scrittura
6.7. Il raddoppiamento morfosintattico
Le consonanti iniziali delle parole si realizzano in certe condizioni come lunghe anche quando
sono fonologicamente brevi. L’allungamento dipende dalla parola che precede: se è vocale
accentata; le preposizioni a, da, fra, sopra, su; numerosi monosillabi (che, chi, fa,…) e qualche
polisillabo (dove, qualche, come). Tracce grafiche si si trovano in parole che deriveno da
antiche locuzioni cristallizzatesi (dappertutto…).
La vitalità del raddoppiamento fonosintattico può essere paragonato ad altre opposizioni
fonologiche “in difficoltà”. Il raddoppiamento si mantiene saldo nelle varietà nelle quali è
nativo, ma non si impone al di fuori di esse (manca un distinzione scritta).