DIOCESI DI VICENZA FORMAZIONE PERMANENTE DEL CLERO 11 Ottobre 2010 A CHE PUNTO SIAMO CON LA RICERCA STORICA SU GESÙ? Premesse - A livello terminologico, va tenuta presente la distinzione tra il ‘Gesù storico’ (o Gesù della storia o Gesù oggetto della storia o Gesù dello storico) e il ‘Gesù reale’ (o Gesù terreno o Gesù soggetto di storia o Gesù durante la sua vita sulla terra). Per ‘Gesù storico’ si intende indicare ciò che scientificamente, mediante gli strumenti dell’indagine storica, si può conoscere intorno a Gesù di N. Col termine ‘Gesù reale’ invece ci si riferisce all'intera esistenza di Gesù (alla realtà totale della sua persona), dalla sua nascita fino alla sua morte in croce. Ma simile totalità, intesa come una ragionevole testimonianza completa di parole e azioni pubbliche di Gesù, non è raggiungibile. Il Gesù storico può darci solo frammenti della sua persona ‘reale’(cf. Gv 20,30; 21,25), ma niente di più. - Noi sappiamo che l’evento decisivo della fede cristiana è stata la Pasqua: alla sua luce al nome di storico Gesù (costante) la chiesa primitiva ha associato i vari titoli cristologici di fede (variabile): Cristo, Signore, Figlio di Dio... La fede cristiana è fin dagli inizi ancorata alla storia, impregnata di storia e la storia è aperta alla fede. Pertanto le formule “Gesù (è il) Cristo/Signore…”, vanno intese nel pieno rispetto dei due termini. Dove questa unità nella distinzione non viene colta, è persa la forza scandalosa del paradosso cristiano. Per cui la domanda oggi tanto inquietante: il Cristo della fede, proclamato cioè dalla fede della comunità postpasquale, è lo stesso del Gesù della storia?, non ha senso per il NT, il quale piuttosto ci ripropone continuamente la ‘sua’ domanda: perché i vangeli dopo le lettere? - Detto diversamente: se al tempo di Gesù ci si chiedeva: “Gesù è il Cristo, cioè il Messia?”, oggi ci domandiamo: “Cristo (colui nel quale noi crediamo) è Gesù (colui che è vissuto a Nazaret)”? Oppure è intervenuta una glorificazione, eroicizzazione e divinizzazione dell’uomo di Nazaret (trasformato in Cristo, Figlio di Dio) o addirittura una consapevole falsificazione della storia originaria di Gesù da parte dei discepoli? I vangeli, nostra fonte principale, non sarebbero il frutto di queste ‘manomissioni’? E, prima ancora, Paolo non ha trasformato la religione di Gesù nella religione su Gesù (Harnack)? Insomma: Il cristianesimo ha tradito Gesù? (Jossa 2008). - Si tratta, come è facile intuire, di interrogativi che investono la radice stessa della nostra fede. È il problema critico di essa. Non meraviglia perciò, che intorno a queste domande si sia concentrata appassionatamente la riflessione cristiana degli ultimi due secoli, l'età della critica! - Fino a poco più di 200 anni fa’ infatti, nessuno mai si era posto il problema dell'autenticità storica dei vangeli. Sia per i protestanti che per i cattolici i vangeli meritavano la massima fiducia e ci proponevano un'immagine fedele ed autentica di Gesù. Le divergenze tra i quattro vangeli erano rilevate prevalentemente con disagio e se ne cercavano le più diverse soluzioni. Già nel II sec. il retore Taziano di Siria, per superare le apparenti contraddizioni fra i quattro vangeli, ne compose un’armonia, il celebre Diatessaron, ‘tratto dai quattro’ (vangeli), in pratica una concordanza dei vangeli. Fu ‘imitato’ da Agostino (De consensu evangeliorum... In particolare si riteneva che l'intelligenza del mistero di Cristo fosse stata uguale prima e dopo la Pasqua. - Questa modalità d’approccio ai vangeli corrisponde a tutta l'età precedente la critica dell'Illuminismo ed è ancor oggi propria del modo di pensare del cristiano medio. Potremmo chiamarla la fase della continuità pre-critica tra il Gesù della storia e il Cristo della fede. La fase critica conosce tre tappe. - Si tratta di un movimento a zigzag o pendolare che rivela quanto sia (stato) difficile tenere uniti e quanto sia (stato) fatale separare Gesù (storia) dal Cristo fede. 1. La prima tappa, si divide in due fasi - La fase numero uno è chiamata la ‘Old Quest’ o ‘Prima Ricerca’ (1778-1906): il Gesù della storia senza il Cristo della fede (sì a Gesù, no a Cristo). È la posizione tipica della teologia liberale Come punto di partenza si pone una data, il 1778. È l'anno in cui il filosofo Lessing (1729-1781), pubblica, postumo, l’ultimo dei sette frammenti dell’enorme opera Apologia, o scritto difensivo, degli adoratori razionali di Dio, di H.S. Reimarus (1694-1768), che viene considerato l'iniziatore della ricerca storica sulla vita di Gesù. La discrepanza fra il messaggio politico-messianico di Gesù e 1 l’annuncio di un Cristo che redime attraverso la sofferenza, che risorge e che ritornerà (cf. il titolo del 7° frammento: Sullo scopo di Gesù e dei suoi discepoli), è spiegata da Reimarus ricorrendo alla teoria di un vero e proprio inganno da parte degli apostoli. La teologia ed esegesi liberale, a partire da Reimarus (e per tutto il secolo XIX), con una analisi preconcetta della figura di Gesù (razionalismo positivista, “paradigma illuministico”), sostenne che Gesù non era il Cristo, non aveva spessore divino, tale da legittimare la fede in lui come Signore, Messia, Figlio di Dio. Al massimo Gesù di N. era stato un maestro religioso eccezionale, un grande spirito illuso (‘la storia di Gesù banalizzata’). D.F. Strauss, nella sua Vita di Gesù (1835), contesta Reimarus quanto alla teoria dell’inganno deliberato e introduce il concetto di mito: il grande pensiero teologico del NT, in particolare di Paolo e di Giovanni, non sarebbe altro che il frutto di un processo inconscio di immaginazione mitica. Le affermazioni (idee, miti) dei vangeli (soprattutto l’incarnazione e la risurrezione) anche se non sono fatti storici, sono diventate però storia e perciò restano verità eterne. → Risultato: i due termini della formula pasquale “Gesù è il Cristo” vengono contrapposti. Il secondo viene visto in assoluta discontinuità col primo, come elaborazione della primitiva comunità credente, che nasconde il volto autentico dell'uomo di Nazaret. Siamo alla gesuologia opposta alla cristologia. È il periodo delle ‘vite di Gesù’ o della ‘Leben Jesu Forschung’, con la varietà delle immagini ‘autentiche’ di Gesù (Paulus, Schleiermacher, Strauss, Bauer, Renan, Wrede…). Sulla vicenda della ‘Leben Jesu Forschung’, animata dal pregiudizio illuminista e da un intento antidogmatico, pose la pietra tombale A. Schweitzer con la sua Storia della ricerca della vita di Gesù, del 1906 (trad. it. 1986). Ecco il suo tranciante giudizio: “L'indagine storica sulla vita di Gesù non è partita dal puro interesse storico, ma ha cercato il Gesù della storia come colui che poteva aiutarla nella lotta di liberazione dal dogma… Ha cercato il Gesù storico così come era comprensibile al proprio tempo. Così ogni epoca successiva della teologia ha trovato i suoi pensieri in Gesù e non avrebbe potuto farlo rivivere altrimenti”. Insomma tale ricerca era destinata al fallimento per il semplice fatto che il Gesù storico che si raffigurava altro non era che il riverbero delle idee dei singoli studiosi. Possiamo ricordare qui – anche se lo sfondo è quello della riscoperta dell’escatologia – la tanto citata frase di A. Loisy, ne Il vangelo e la chiesa, del 1902: “Gesù annunciò il regno di Dio, ma venne la chiesa”, espressione del distacco radicale del Gesù della storia dal Cristo predicato dalla chiesa.1 Una ‘replica’ contemporanea di simile lettura liberale (non a caso definita ‘neoliberale’), che contrappone Gesù della storia e Cristo della fede, si trova nel libro, di largo successo, di C. Augias, M. Pesce, Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo (2006), che così inizia: “È possibile sapere chi era l’uomo che circa duemila anni fa percorse la terra d’Israele, parlò alle folle, guarì gli ammalati, lanciò un messaggio che mai prima d’allora era stato concepito e finì straziato su un patibolo infame… prima che la liturgia, la dottrina, il mito trasformassero la sua memoria in un culto, il culto in una fede, la fede in una delle grandi religioni dell’umanità? In una certa misura è possibile… Possiamo avvicinarci alla sua immensa figura e tentare di conoscerlo com’era, prima che scomparisse sotto la coltre fitta della teologia” (p. 3). E, più avanti, in modo ancor più esplicito: “Il tentativo di questo libro è delineare un ritratto ‘terreno’ [di Gesù], spogliando cioè la sua immagine dalle stratificazioni della successiva teologia” (p. 38). Risultato: abbiamo il Gesù reale, autentico… di Augias-Pesce. Cf. Augias-Cacitti, Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione (2008). È proprio di fronte a questo “strappo” tra il Gesù storico e il Cristo della fede, che il Papa si/ci chiede: “Ma che significato può avere la fede in Gesù il Cristo, in Gesù Figlio di Dio, se poi l’uomo Gesù era stato così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come, partendo dai Vangeli, lo annuncia la Chiesa?... Una simile situazione è drammatica per la fede perchè rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto”. Di qui il suo progetto: “Ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico in senso vero e proprio… Io ritengo che proprio questo Gesù – quello dei Vangeli 1 Per quanto riguarda l’Italia, nell’ambito delle ‘vite di Gesù’, ma in tutt’altra prospettiva rispetto ai protagonisti della Leben Jesu Forschung, merita una parola per il rigore, l’ampiezza della documentazione, la forza e la vivacità dello stile la Vita di Gesù Cristo del grande esegeta, G. Ricciotti, pubblicata nel 1941, continuamente riedita e tradotta in molte lingue. Si distingue per la preoccupazione storiografica ed apologetica e per la confutazione brillante ed arguta delle letture razionalistiche della vita di Gesù. Nella sua grandiosità è un classico ‘datato’ che segna la fine di un’epoca. Difatti già dalla metà degli anni '40 il magistero incoraggiò il ricorso ai moderni strumenti dell’esegesi che trovarono conferma nella DV. 2 – sia una figura storicamente sensata e convincente… Il metodo storico-critico – ripetiamolo – resta indispensabile a partire dalla struttura della fede cristiana” (Gesù di Nazaret, pp. 7.8.18.12). - La seconda fase è detta ‘No Quest’ (1921-1953): il Cristo della fede senza il Gesù della storia (sì a Cristo, no a Gesù). È la posizione della teologia dialettica, specie di Bultmann La teologia dialettica, in opposizione a quella liberale segna, nella comprensione di Gesù, un grosso cambiamento ad opera soprattutto di R. Bultmann (La storia dei vangeli sinottici, 1921), che scava un grande fossato fra il Cristo annunciato dalla chiesa mediante il kerygma e il Gesù storico: decisivo è solo il primo. Il “paradigma kerygmatico” subentra a quello “illuministico”. Di qui una specie di black aut o oscuramento nella ricerca (‘No Quest’, appunto!). Il pensiero di Bultmann si caratterizza per: - Scetticismo storico: “Io sono indubbiamente del parere che noi – scrive nell’opera Gesù del 1926 – non possiamo sapere più nulla della vita e della personalità di Gesù, poiché le fonti cristiane non si sono interessate al riguardo se non in modo frammentario e con taglio leggendario, e perchè non esistono altre fonti su Gesù”. Non è possibile risalire al di là del ‘kerygma’ (l' ‘annuncio’ della comunità cristiana), adoperandolo come una ‘fonte’, per ricostruire un ‘Gesù storico’ con la sua ‘coscienza messianica’, la sua ‘interiorità’ o il suo ‘eroismo’. Tale sarebbe precisamente il “Cristo secondo la carne” (cf. 2Cor 5,16), che è passato per sempre. Non il Gesù storico, ma Gesù Cristo, colui che viene predicato, è il Signore e ci salva. Ciò che conta per noi oggi è la decisione per lui. - Presupposto dogmatico: la fede si giustifica solo con la fede; ogni altra giustificazione annullerebbe la fede, la quale allora non sa che farsene dei risultati della storia. Insomma, importante per Bultmann è quello che gli apostoli predicano di lui, ossia il Cristo della fede (del kerygma). Decisivo non è l'evangelium Christi=il vangelo di Cristo, un fatto ormai passato e senza avvenire, ma l'evangelium de Cristo=il vangelo su Cristo, l'evento che viene proclamato per l’oggi della comunità. Determinante quindi per la fede è il significato ‘per noi’ del Cristo annunciato nel kerygma, in quanto rivelatore di Dio che in lui chiama l’uomo all’obbedienza della fede e gli offre la possibilità della salvezza. La ricerca di questo significato per noi è quella che viene chiamata l' “interpretazione esistenziale” di Bultmann il cui risvolto negativo è la “demitizzazione”. → Anche nella posizione di Bultmann i due termini della formula pasquale “Gesù è il Cristo” sono contrapposti: diversamente dai teologi liberali, però la discontinuità non è a favore del primo (Gesù), bensì del secondo (Cristo), ritenendo il primo (la storia di Gesù di N.) come irrilevante per noi. Il rischio si ripresenta oggi allorquando alcuni studiosi attuali danno grande importanza ai vangeli gnostici i quali trasportano la figura di Gesù dal piano storico a quello del mito. 2) La seconda tappa o ‘New Quest’ o ‘Seconda Ricerca’ (1953-1985): continuità critica tra il Gesù della storia e il Cristo della fede. Sì a Gesù il Cristo. È la posizione dei postbultmanniani I discepoli di Bultmann (E. Käsemann e G. Bornkamm) non accettarono le posizioni così radicali del loro maestro e cercarono di ristabilire il rapporto tra il Gesù della storia e il Cristo della fede. Nella celebre conferenza tenuta a Marburg nel 1953, intitolata “Il problema del Gesù storico”, Käsemann affermò: “La storia di Gesù è costitutiva per la fede, poiché il Signore terreno e il Signore innalzato sono identici. Non possiamo eliminare l’identità del Signore innalzato con il Signore terreno, senza cadere nel docetismo e senza privarci della possibilità di distinguere chiaramente la fede pasquale della comunità dal mito”. Può essere, afferma Käsemann, che Gesù non abbia mai affermato apertamente di essere il Messia, ma ciò non toglie che il suo modo di agire e di parlare, il suo atteggiamento verso i profeti e le istituzioni costituiscano una cristologia implicita che il kerygma poi ha resa esplicita. Ossia: la storia di Gesù non è la vicenda di uno qualunque, ma è gravida di cristologia. Bornkamm, a sua volta, rifiuta di rinchiudersi nel kerygma: “La presentazione di Gesù da parte del primo cristianesimo è colma fino all'orlo di storia” (Gesù di Nazareth, del 1960). Ma nel recupero dell’importanza anche teologica del Gesù storico, per non cadere nel mito e per ricordare l’extra nos della salvezza, la ‘Seconda Ricerca’ accentua, fino ad esasperarlo, il criterio di dissomiglianza (dall’ambiente giudaico) di Gesù, per farne risaltare la singolarità. → Ritornando alla consueta formula di fede “Gesù è il Cristo”, possiamo dire, sintetizzando: mentre la teologia liberale aveva assolutizzato il primo termine (Gesù) e quella bultmanniana il secondo (Cristo), i postbultmanniani vogliono recuperare il pieno valore di ambedue i termini e della verbo che li unisce. 3 Vogliono cioè operare un ritorno al Gesù della storia a partire dal Cristo della fede pasquale. Tra i due termini c'è continuità (fedeltà) e discontinuità (nel senso che si riconosce l’apporto della comunità che è di es-egesi, non di in-egesi e si coglie nettamente che Gesù è stato riconosciuto Figlio di Dio ben prima di Nicea (cf. L.W. Hurtado, Come Gesù divenne Dio. La problematica storica della venerazione più antica di Gesù, Paideia, 2010). Una pregevole opera, figlia della ‘Seconda Ricerca’ è quella di R. Fabris, Gesù di Nazareth. Storia e interpretazione, Cittadella 1983. 3) La terza tappa o ‘Terza Ricerca’ o ‘Third Quest’ (1985 - giorni nostri) Da alcuni anni si parla della ‘Terza Ricerca’ (TR) o ‘Third Quest’ (Wright). Questo nuovo modello o paradigma nella ricerca del Gesù storico si è sviluppato soprattutto negli Stati Uniti. L’opera che ne segna l’inizio è quella di E.P. Sanders, Gesù e il giudaismo (1985). Non è facile presentare e valutare questa TR, sia per la grande varietà degli autori e dei loro indirizzi (anche se non tutte le opere odierne sul Gesù storico possono rientrare nella TR), sia perché si è in corso d’opera. Riprendo sostanzialmente le idee (non lo schema) del maggior conoscitore della TR in ambito italiano, e non solo, G. Segalla – due le sue principali opere sul tema: 1) Sulle tracce di Gesù. La ‘Terza’ ricerca, Cittadella 2006; 2) La ricerca del Gesù storico, Queriniana, 2010 e ne presento acquisizioni, limiti, prospettive. a) Quanto alle acquisizioni, due sono le più innovative: 1) Il recupero della ‘ebraicità’ di Gesù. Questo elemento è in polemica nei confronti della precedente ‘Seconda Ricerca’, che evidenziava la discontinuità tra Gesù e il giudaismo, enfatizzando il criterio di dissomiglianza che, applicato radicalmente, fa di Gesù uno schizofrenico, perché lo esilia dal suo ambiente di origine o addirittura ad esso lo contrappone, mentre invece Gesù di Nazareth, in quanto uomo della storia, deve essere visto all’interno del giudaismo del suo tempo2. Non più Gesù e il giudaismo, ma Gesù nel giudaismo, assai complesso, o nei giudaismi (Neusner) del suo tempo. Il vere iudaicus di Gesù viene visto come concreta espressione del suo essere vere homo. Di qui la necessità di un riassetto dei criteri di autenticità storica: al primo posto quello della coerenza/continuità, non quello della diversità. Questa ricollocazione di Gesù nel suo contesto ebraico ha però prodotto il rischio opposto, ossia, quello di appiattire Gesù sul giudaismo del tempo, eliminandone la singolarità/originalità. La conseguenza è una perdita della discontinuità (novità) tra Gesù e i suoi contemporanei e la difficoltà di spiegare la croce (semplice equivoco o incidente). 2) Il dialogo interdisciplinare. Sotto il profilo epistemologico si favorisce il dialogo con le altre scienze, in particolare con la sociologia, l’archeologia, la papirologia, le scienze sociali, la letteratura. Il metodo storico critico viene così integrato da altri metodi (analisi narrativa, retorica…). C’è poi tutto l’ampio discorso relativo alle nuove scoperte e pubblicazioni: Nag Hammadi (1945), Qumran (1947), quelle provenienti dagli scavi e ritrovamenti archeologici. Si assiste inoltre ad un rinnovato esame critico delle testimonianze extracanoniche (G. Flavio, Tacito, Svetonio, il Talmud, i vangeli apocrifi) che pongono il problema di un loro corretto utilizzo (discernimento). C’è chi arriva a sopravvalutare i vangeli apocrifi – soprattutto gli gnostici – rispetto a quelli canonici. Ma ciò significa – sostiene J.P. Meier – allargare il nostro spettro di fonti da quelle già in sé difficili (vangeli) a quelle non credibili (apocrifi). Bisogna invece riconoscere che gli apocrifi hanno un grande valore per la conoscenza dell’ambiente giudaico del I-II sec., del cristianesimo antico e, in particolare, dello gnosticismo. La maggiore conoscenza del(i) giudaismo(i) prima del 70 è di grande aiuto per superare certi stereotipi tipici della ‘Seconda Ricerca’ (ritratto dei farisei, contrasto tra la religione giudaica delle opere e quella della grazia e dell’amore predicata da Gesù…). Sempre riguardo agli apocrifi ci si deve chiedere: perché la chiesa non si è riconosciuta in essi, ma nei quattro ‘nostri’ vangeli? Che operazione ha compiuto? È la questione del canone dei libri ispirati. b) Quanto ai limiti dei risultati della TR, due sono i più problematici: 1) La frammentarietà. Risulta quanto mai difficile ricondurre ad unità i diversi approcci, i differenti apporti, i nuovi dati, i molteplici punti di vista…, anche perché la ricerca del Gesù storico non conosce 2 Sul ‘re-inserimento’ di Gesù nel suo ambiente vitale gli sudi si moltiplicano: cf. ad es. L’ebraicità di Gesù, a cura di J.H. Charlesworth, Claudiana, Torino 2002. In ambito ebraico vanno ricordati tre nomi: l’iniziatore moderno J. Klausner, poi D. Flusser e G. Vermes con la sua trilogia: Gesù l’ebreo, Gesù e il mondo del giudaismo, La religione di Gesù l’ebreo. 4 più oggi confini geografici (globalizzazione). Simile pluralismo, praticamente incontrollabile, comporta come conseguenza negativa che si moltiplicano le rappresentazioni parziali di Gesù, talora in contrasto fra di loro. Inoltre la minuziosità degli studi porta a scegliere, selezionare, analizzare e ripulire i singoli aspetti della vicenda di Gesù, ma stenta molto ad offrire una sintesi unitaria e coerente (tanti tasselli dispersi, ma senza il mosaico). Ma questo limite contiene un risvolto positivo: ne guadagna la plausibilità della storia di Gesù, che rimane sempre oltre, al di là di tutti i risultati delle nostre ricerche. La varietà delle ricostruzioni storiche può anche esprimere la ricchezza inesauribile e la superiorità assoluta della persona storica di Gesù (Gesù reale), aldilà di quello che di lui può raggiungere ogni serio storico (Gesù degli storici). Il Gesù reale è sempre trascendente rispetto alla ricerca storica e mai pienamente raggiungibile. Questo ci ricorda il limite delle nostre ricostruzioni storiche: sono sempre provvisorie e soggette a cambiamento. Per cui quando autori come Crossan o altri del Jesus Seminar pretendono di proporre una verità assoluta (il loro Gesù reale) cui deve sottoporsi la fede attuale, evidentemente si pongono più sul piano della ‘Prima Ricerca’ che non su quello della TR. 2) La difficoltà del passaggio da una concezione positivistica (i fatti separati dalle opinioni) ad una ermeneutica della storia (i fatti sono sempre interpretati/filtrati) – cf. quanto detto la scorsa settimana da De Marchi – per cui spesso è esclusa la fede dall’interpretazione delle fonti. E questo in forza dell’equivoco di fondo che tende a persistere: pensare che la fede sia qualcosa di successivo e giustapposto alla verità storica dell’ebreo Gesù. È questo l’aspetto metodologico più delicato della TR, che si riscontra, applicato con modalità diverse – che esigono valutazioni differenti – nei singoli autori. Facciamo un esempio, quello di J.P. Meier. Quattro sono i suoi volumi finora pubblicati dalla Queriniana, con il titolo Un ebreo marginale e il sottotitolo Ripensare il Gesù storico, in comune. La sua scelta metodologica è bene espressa dal ricorso alla storia fantastica di un “conclave non-papale”: l’autore immagina un cattolico, un protestante, un giudeo, un agnostico… e un musulmano, tutti storici onesti e competenti dei movimenti religiosi del I sec., rinchiusi nella biblioteca della Harvard Divinity School dalla quale possono uscire solo dopo aver elaborato un documento comune (“formula di concordia” non confessionale). “Una tale affermazione consensuale limitata, che non pretende di essere sostitutiva della fede, è – scrive Meier – il modesto scopo della presente opera” (Un ebreo marginale, I, p. 8). “I lettori cattolici di questo libro – scrive Meier – non dovrebbero turbarsi per la mia scelta di una netta distinzione tra ciò che su Gesù conosco mediante la ricerca e la ragione e ciò che sostengo per fede”. Di qui anche “l’omissione di una trattazione della risurrezione non perché la si neghi, ma semplicemente perché la definizione restrittiva di Gesù storico che intendo usare [“il Gesù che è possibile ‘recuperare’ ed esaminare usando gli strumenti scientifici della moderna ricerca storica”] non ci permette di procedere in fatti che possono essere affermati solo per fede” (ivi, pp. 14.31.22). c) Quanto alle prospettive, due sono le più auspicabili e promettenti: 1) Necessità di pervenire ad un approccio olistico o ad una ermeneutica integrale: il progetto di una ricostruzione della figura e del ministero del Gesù storico deve superare l'analisi minuta del materiale di tradizione, disgiunto dal suo contesto, per orientarsi ad una visione globale, ad una figura storica coerente di Gesù, non solo coerente nella correlazione storica (tra il suo ministero e la sua morte oppure tra la sua vicenda e il sorgere della comunità cristiana), come lo intende Sanders, ma anche nella consistenza personale come l'hanno percepita i primi suoi discepoli e i primi cristiani. Il metodo storico-critico, coadiuvato dai nuovi dati e dai metodi nuovi, è necessario ma non sufficiente, perché non unifica i molteplici tasselli. Simile approccio integrale comporta, teoricamente, tre momenti: 1) epochè, cioè sospensione, per quanto possibile, di ogni ‘pregiudizio’; 2) empatia con l’ambiente in cui sono avvenuti i fatti; 3) visione eidetica, ossia considerazione del fenomeno nel suo insieme. 2) Distinzione metodologica fra storia e teologia sì, non però separazione nè tanto meno opposizione; semmai critica reciproca fra storici e teologi. La motivazione ultima sta nel fatto che nella persona storica di Gesù sono compresenti (senza divisione, senza confusione: fecondità ed attualità della formula cristologica di Calcedonia!) sia la storia che la fede. Portiamo un esempio concreto: il succitato conclave non-papale può convenire su questa affermazione contenuta nel Credo Nicenocostantinopolitano: Gesù “fu crocifisso sotto Ponzio Pilato e morì”. Si tratta infatti di una sobria esposizione di un fatto storico che trova conferma in G. Flavio e Tacito e che non abbisogna, per essere accettata, di un ricorso alla fede. Se però si aggiunge, come fa il suddetto Credo, che Gesù “per noi uomini e per la nostra salvezza […] fu crocifisso per noi”, allora è chiaro che simili interpretazioni 5 non sono passibili, in linea di principio, di indagine e di verifica empirica da parte di qualunque osservatore onesto, credente o non credente che sia. Essa non è dunque un’affermazione che rientri nel campo di indagine dei ricercatori del Gesù storico nella loro qualità di storici. Però, perché dei tre che morirono crocifissi sul Calvario e della migliaia nel I secolo in Palestina, ricordare solo la morte di Gesù? Questa domanda se la deve porre anche lo storico, non solo il teologo. La storia, fondata su documenti testimoniali, non può non essere aperta alla fede e quindi alla teologia, per quanto sia di sua pertinenza non la fede stessa, ma semmai la testimonianza storica di fede. Non dunque una storia senza la fede, né una fede emancipata dalla storia! Infatti la storia vede in Gesù un ebreo singolare, il più singolare mai esistito, che ha avuto la pretesa di impersonare il regno di Dio e rappresentare Dio stesso; la fede vede in lui il Messia crocifisso, il Figlio di Dio, il Signore e il Salvatore del mondo. La fede cristologica non fa che esplicitare e comprendere appieno quanto la conoscenza storica di Gesù afferma (la sua singolarità), ma non riesce a spiegare. Pertanto la separazione metodologica fra storia e teologia nelle fonti evangeliche, praticata da Meier, contiene l’esigenza legittima di evitare ogni fideismo e una teologia che pretenda di imporsi sulla storia, non rispettando lo statuto del metodo storico-critico, ma bisogna evitare l’idea che lo storico possa collocarsi in un terreno neutro, autonomo e autosufficiente, irraggiungibile dalla critica teologica. Una piccola provocazione: perché mai ritenere che un fatto quanto più è impregnato di teologia tanto meno è attendibile dal punto di vista storico, diventando un theologumeno? Con questa scelta metodologica che distingue, senza separare, storia e fede, entriamo nella seconda fase, recentissima (anni 2003-2004) della TR che qualcuno chiama anche ‘Quarta Ricerca’, dove si auspica, tra l’altro, una “visione bifocale” di Gesù, includente non più solo la tradizione sinottica, come avvenuto finora, ma anche l’apporto giovanneo. E qui possiamo citare Dunn, noto studioso anglicano, fra i migliori neotestamentaristi esistenti, che ha in programma una storia delle origini cristiane in tre volumi. Finora è uscito il primo volume (Gli albori del cristianesimo) in tre tomi, il cui comune sottotitolo, La memoria di Gesù, rinvia alla tesi di fondo dell’autore: “Il solo obiettivo realistico di qualsiasi ‘ricerca sul Gesù storico’ è il Gesù ricordato” e tramandato dalla/nella fede dei suoi discepoli. Una considerazione merita una questione sulla quale purtroppo si riflette molto poco o nulla e i cui risvolti pastorali sono enormi (non è un’esagerazione!) ed è il fatto che le ricerche sul Gesù storico non sono più riservate, in questi ultimi anni, agli ambiti accademici, ma sono letteralmente date in pasto al grande pubblico, grazie ai New Media. Con un’ulteriore precisazione: se la ‘Prima Ricerca’ era confinata praticamente nell’ambiente illuminista e liberale tedesco e la ‘seconda ricerca’, iniziata in Germania, si aprì alla cultura anglo-americana, la TR è nata invece proprio in Nordamerica, dove l’organizzazione della ricerca presso le università ha raggiunto un livello di produzione di studi in questo nostro settore che supera ogni altra scuola al mondo, tedesca compresa. E le linee di pensiero di queste università, ormai per lo più ‘laiche’ e ‘aconfessionali’, propongono spesso una revisione delle fonti storiche della fede cristiana, mettendo radicalmente in discussione ‘fondamento’ e ‘fondatore’ (addirittura la sua esistenza). Spesso poi potenti lobby anticattoliche, mediante operazioni mediatiche, mettono in rete simili ‘tesi’ (dopo la Maddalena ormai ‘spremuta’ a dovere è venuta l’ora del Vangelo di Giuda, il cui contenuto non ha nessun valore per la questione del Gesù storico in generale e per la ricostruzione storica delle ultime ore di Gesù in particolare), col risultato che il grande pubblico, che non legge certo i tomi di Meier, ma consulta internet, si abbevera a queste fonti. “I professori di religione e chi opera per l’educazione alla fede tra le giovani generazioni ben conoscono quanto ormai i giovani ritengano internet l’unica fonte di informazione immediata e, insieme, infinita”3, nonché infallibile. Bibliografia G. BARBAGLIO, Gesù ebreo di Galilea. Indagine storica, EDB 2002 A. P.UIG I., TÀRRECH, Gesù. La risposta agli enigmi, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2007 G. JOSSA, Il cristianesimo ha tradito Gesù?, Carocci, Roma 2008. 3 S. Barbaglia, «Gesù storico e origini del cristianesimo nella galassia internet. La sfida al modello tradizionale della ricerca storica, Appendice al libro di G. Segalla, La ricerca del Gesù storico, 219-237. 6