lettura spirituale del libro dell`Esodo

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“Condotti per mano da Dio…”
Guida al libro dell’Esodo
Introduzione
Come si sviluppa il racconto dell’Esodo? È la narrazione che illustra in che modo Dio stabilisca il
suo regno fra gli uomini. Come primo atto, conduce fuori dalla schiavitù un popolo oppresso,
costretto a vivere in condizioni disumane. Per fare questo, combatte contro le divinità oppressive
dell’Egitto, che sostengono il dominio tirannico di Faraone. La lotta si intensifica nel dispiegamento
dei dieci segni o piaghe, fino al segno culminante del passaggio del mare. Tutta la vicenda
dimostra come soltanto Dio regni ed attesta che il suo regno crea libertà.
Il popolo, ormai liberato, s’inoltra nel deserto per raggiungere la terra promessa. In questo vicenda,
sperimenta come Dio rimanga sempre un liberatore e un protettore. Israele viene soccorso nei suoi
bisogni primari e difeso dal nemico che intende annientarlo. In questo modo impara a fidarsi di Dio
e la traversata del deserto si tramuta in una scuola di apprendimento del servizio divino.
Giunto alle falde del Sinai, il popolo viandante riceve il dono massimo, quello dell’Alleanza, fondata
sull’osservanza della Legge. Dio, che può esigere la fiducia di Israele per ciò che si è rivelato,
chiede l’obbedienza alla sua volontà. Egli solo deve regnare perché Egli solo esercita un dominio
liberatore. Lo strumento del suo regno sarà l’obbedienza alla Legge, una legislazione che si
propone di creare rettitudine e solidarietà tra gli uomini. Osservando la legge, il popolo conoscerà
che l’evento della liberazione si perpetua nel tempo, in ogni epoca.
Oltre alla Legge, viene posto un altro segno del regno di Dio: il santuario. Esso è un segno della
sua vicinanza; attorno ad esso, si radunerà l’assemblea per celebrare la sovranità del Signore, per
riascoltare la sua Parola e sperimentare il suo aiuto.
L’edificazione del santuario viene interrotta dal peccato compiuto dall’intero popolo il quale, per
quanto sta in lui, non esita ad incrinare il patto, appena stipulato. Proprio questo fatto drammatico
diventa l’occasione per scoprire il volto più sorprendente del Signore. Egli non abbandona il suo
popolo, ma lo perdona e sebbene venga affermato con forza che il peccato non possa accordarsi
con la santità di Dio, Egli continua a restare insieme con i trasgressori. Il santuario, infine, viene
edificato e Dio assicura la sua presenza in esso ma è un santuario mobile. Il Signore è in
cammino, accompagna il popolo lungo il deserto ma soprattutto lungo la storia, in un viaggio in cui
la libertà deve essere sempre riconquistata e riaffermata.
Israele in Egitto
Il capitolo presenta la triste condizione in cui versa il popolo d'Israele in Egitto. Dopo il periodo lieto
vissuto quando Giuseppe governava, ora la situazione è assai deteriorata. L'Egitto sente come
una minaccia la presenza di un popolo straniero nel suo territorio, una paura immotivata. A questo
punto, gli ebrei, temuti come potenziali nemici, vengono costretti ai lavori forzati. Si cerca perfino di
annientarli, regolandone le nascite in modo violento. Sospetti ingiusti, sopraffazioni, paure dense di
rancore da sempre sono in agguato ovunque e deturpano le civiltà che si susseguono.
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Così è tornato a prevalere il caos e il dominio della tenebra. È necessaria, allora. una nuova
creazione. Dio però sembra assente, dimentico dei discendenti dei patriarchi, ai quali aveva
promesso che avrebbero potuto contare su una numerosa discendenza in una terra prospera. In
realtà Dio è già in azione, pur senza mostrarsi in modo palese. Lo rivela il fatto stesso della
fecondità del suo popolo, che dimostra l'avverarsi di una delle promesse fatte ad Abramo. In
silenzio il Signore agisce nelle coscienze degli uomini retti. Sue collaboratrici sono sopratutto delle
donne, le persone considerate insignificanti nella cultura del tempo. S’avvia il conflitto tra Dio e gli
dèi dell’Egitto, tra Dio e Faraone. In ogni tenebra, s’accende un filo di luce e di speranza.
Una nuova creazione
Questi sono i nomi... ricorda “queste sono le generazioni”, l'espressione biblica che apre una
genealogia (Gen 2,4; 5,1; 6,9; 10,1). Anche ora si apre una genealogia, assistiamo, cioè all'origine
di un nuovo popolo, il popolo di Dio. Si conclude una storia di famiglia (quella dei Patriarchi),
narrata in precedenza nel libro della Genesi, e inizia quella di un’intera nazione. L'Esodo racconta
la genesi del popolo del Signore. L’enumerazione di tutte le dodici tribù attesta che Israele, nella
sua interezza, è partecipe del dono della liberazione; si tratta di un rilievo teologico più che storico.
La narrazione si pone come un paradigma di fede per ogni israelita, anzi per ogni uomo (settanta è
il numero dei popoli, cf. Gen 10), poiché Dio vuole liberare ogni uomo che vive nel disagio.
I verbi prolificare (v.7), brulicare rinviano al linguaggio usato nel racconto della creazione (Gen
1,20-22.24): ora, infatti, ne avviene una nuova, quella di un popolo. La circostanza rievoca le
promesse ai patriarchi: Dio, che ha già mantenuto la promessa della fecondità (Gen 15,5), ora
s'accinge a portare a compimento quella della terra (Gen 13,15).
Capitolo 1 [1]Questi sono i nomi dei figli d'Israele entrati in Egitto con Giacobbe e arrivati ognuno
con la sua famiglia: [2]Ruben, Simeone, Levi e Giuda, [3]Issacar, Zàbulon e Beniamino, [4]Dan e
Nèftali, Gad e Aser. [5]Tutte le persone nate da Giacobbe erano settanta, Giuseppe si trovava gia in
Egitto. [6]Giuseppe poi morì e così tutti i suoi fratelli e tutta quella generazione. [7]I figli d'Israele
prolificarono e crebbero, divennero numerosi e molto potenti e il paese ne fu ripieno.
Gli Israeliti non appartengono all'Egitto: sono entrati e vi potranno uscire. Ogni israelita deve
sentirsi amato dal Signore come lo furono quelli che uscirono dalla schiavitù e applicare a sé, ciò
che Egli ha compiuto per la folla: «Sono io quel servo, Signore, al quale hai spezzato le catene»
(Salmo 116, 7).
La solidarietà di Dio, però, raggiunge tutti gli uomini e la vicenda d’Israele manifesta l’unico amore
divino che opera in modo discreto in ogni vicenda umana di liberazione. Lo attesta un passo del
profeta Amos: «Non sono io che ho fatto uscire Israele dal paese d’Egitto, i Filistei da Caftor e gli
Aramei da Kir?» (Am 9,7).
La missione di Gesù viene presentata nel Vangelo come un nuovo esodo e Gesù come un nuovo
Mosè. Istituendo i Dodici (Cf. Mc 3,14 Ap 21,14), in modo analogo al numero dei capitribù
d'Israele, intende rifondare il popolo di Dio per compiere con esso un nuovo e definitivo cammino
di liberazione: «Gesù Cristo ha dato se stesso per i nostri peccati al fine di strapparci da questo
mondo malvagio, secondo la volontà di Dio e Padre nostro» (Gal 1,4; cf Es 6,6 (LXX)). San Paolo
considererà un dono personale la redenzione operata da Gesù per tutti (Gal 2,20).
Il passo c’invita a cogliere l'azione amorevole di Dio nella nostra vita: Egli agisce, in via normale,
concedendo i beni normali dell’esistenza, senza uscire dal suo silenzio. Ama manifestarsi e, nello
stesso tempo, nascondersi nei suoi doni innumerevoli. La fede ci dovrebbe renderci capaci di
cogliere i doni innumerevoli disseminati da Dio nella nostra vita, in qualsiasi situazione. Un
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esempio lo possiamo scorgere nel dono del cibo: «Non ha cessato di dar prova di sé beneficando,
concedendovi dal cielo piogge per stagioni ricche di frutti e dandovi cibo in abbondanza per la
letizia dei vostri cuori» (At 14,17).
L’oppressione
Quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva oltre misura: la continua
proliferazione del popolo, segno della grazia di Dio operante nel segreto, denuncia il fallimento del
progetto di Faraone. Ben lontano dalla politica sapiente attuata da Giuseppe, pensa che lo
straniero non sia un aiuto ma una minaccia. Inoltre confida in una sapienza profana che vuole
sostituirsi a Dio (facciamoci astuti...) ma l'astuzia è ben diversa dalla sapienza (Sal 33,10-11).
[8]Allora sorse sull'Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. [9]E disse al suo
popolo: “Ecco che il popolo dei figli d'Israele è più numeroso e più forte di noi. [10]Prendiamo
provvedimenti nei suoi riguardi per impedire che aumenti, altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai
nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese”. [11]Allora vennero imposti loro dei
sovrintendenti ai lavori forzati per opprimerli con i loro gravami, e così costruirono per il faraone le
città-deposito, cioè Pitom e Ramses. [12]Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si
moltiplicava e cresceva oltre misura; si cominciò a sentire come un incubo la presenza dei figli
d'Israele. [13]Per questo gli Egiziani fecero lavorare i figli d'Israele trattandoli duramente. [14]Resero
loro amara la vita costringendoli a fabbricare mattoni di argilla e con ogni sorta di lavoro nei campi: e
a tutti questi lavori li obbligarono con durezza.
La politica di Faraone ricorda quella che condurrà Salomone (1 Re 9,15-22). L'oppressione, però,
fu condannata all'interno del popolo di Dio. Non bisogna che israeliti facoltosi e potenti diventino
come altri faraoni nei confronti dei loro fratelli (Es 22,20-26; Isaia 5,7-9; Am 4,10).
L’obiezione delle levatrici
La provvidenza di Dio si manifesta nell'azione onesta e solidale delle levatrici; esse portano due
nomi che significano bellezza e splendore, perché difendono la vita degli uomini deboli e
minacciati. Sono un esempio dei pagani che, seguendo i dettami della loro coscienza «sono legge
a se stessi» (Rm 2,14; Cf. At 28,2).
[15]Poi il re d'Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l'altra Pua:
[16]“Quando assistete al parto delle donne ebree, osservate quando il neonato è ancora tra le due
sponde del sedile per il parto: se è un maschio, lo farete morire; se è una femmina, potrà vivere”.
[17]Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d'Egitto e lasciarono
vivere i bambini. [18]Il re d'Egitto chiamò le levatrici e disse loro: “Perché avete fatto questo e avete
lasciato vivere i bambini?”. [19]Le levatrici risposero al faraone: “Le donne ebree non sono come le
egiziane: sono piene di vitalità: prima che arrivi presso di loro la levatrice, hanno gia partorito!”.
[20]Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. [21]E poiché le levatrici
avevano temuto Dio, egli diede loro una numerosa famiglia. [22]Allora il faraone diede quest'ordine a
tutto il suo popolo: “Ogni figlio maschio che nascerà agli Ebrei, lo getterete nel Nilo, ma lascerete
vivere ogni figlia”.
Le levatrici attuano una disobbedienza civile e, a sua volta, ogni credente deve diversificarsi dallo
stile iniquo ed opporsi, nel limite del possibile, alle azioni malvagie che deturpano la convivenza
(Cf. 1 Pt 4,3-4).
Papa Francesco parlando ai medici cattolici:
«Da molte parti, la qualità della vita è legata prevalentemente alle possibilità economiche, al
“benessere”, alla bellezza e al godimento della vita fisica, dimenticando altre dimensioni più
profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza. In realtà, alla luce della fede e della retta
ragione, la vita umana è sempre sacra e sempre “di qualità”... Il pensiero dominante propone a volte
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una “falsa compassione”: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di
dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un
diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne
presumibilmente altre”.
Papa Francesco poi chiarisce il vero senso della compassione e prevede anche che il cristiano
possa avvalersi dell'obiezione di coscienza:
La compassione evangelica invece è quella che accompagna nel momento del bisogno, cioè quella
del Buon Samaritano, che “vede”, “ha compassione”, si avvicina e offre aiuto concreto (cfr Lc 10,33).
... La fedeltà al Vangelo della vita e al rispetto di essa come dono di Dio, a volte richiede scelte
coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di
coscienza. E a tante conseguenze sociali che tale fedeltà comporta» (dal discorso all’Associazione
medici cattolici italiani, 15 Novembre 1914).
Prima che cominci un atto di liberazione che mostri in modo palese il suo agire, Dio diventa il
soccorritore del popolo in modo discreto ma concreto ed efficace. L’intento del re d’Egitto mostra le
prime falle. Mentre ancora perdura una situazione di peccato, Dio non è né assente, né
indifferente.
La figura di Mosè
Mosè nascosto nella cesta
Faraone permette che le donne fossero lasciate in vita, perché non godevano di alcuna
considerazione ma proprio le donne, salvando il neonato, prescelto da Dio, sia pure in modo
inconsapevole, fanno fallire il suo progetto. Mosè, che appartiene alla tribù sacerdotale di Levi,
quella santa per eccellenza, presenta su di sé la bellezza che l'uomo possiede agli occhi di Dio. Il
cestello è chiamato teba (arca), come quella che salvò Noè, poiché assistiamo ad una nuova
vittoria sul caos, come quello del diluvio, ed ora esso è rappresentato dalla situazione di assenza
di solidarietà e di violenza.
Capitolo 2 [1]Un uomo della famiglia di Levi andò a prendere in moglie una figlia di Levi. [2]La donna
concepì e partorì un figlio; vide che era bello e lo tenne nascosto per tre mesi. [3]Ma non potendo
tenerlo nascosto più oltre, prese un cestello di papiro, lo spalmò di bitume e di pece, vi mise dentro il
bambino e lo depose fra i giunchi sulla riva del Nilo. [4]La sorella del bambino si pose ad osservare
da lontano che cosa gli sarebbe accaduto. [5]Ora la figlia del faraone scese al Nilo per fare il bagno,
mentre le sue ancelle passeggiavano lungo la sponda del Nilo. Essa vide il cestello fra i giunchi e
mandò la sua schiava a prenderlo. [6]L'aprì e vide il bambino: ecco, era un fanciullino che piangeva.
Ne ebbe compassione e disse: “E' un bambino degli Ebrei”.
Nello sguardo delle donne verso al bambino, s'intravede quello di Dio stesso: «Tu sei prezioso ai
miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo» (Is 43,4).
La figlia di Faraone salva il profeta
La storia di Mosè prefigura quella dell'intero popolo: egli entra nel mondo della morte ma,
attraversandolo, conosce il mondo della vita. È colui che è stato tratto dalle acque e colui che tirerà
fuori dall'acqua. Il tutto viene riferito a cause seconde, ma l’azione segreta di Dio è determinante.
[7]La sorella del bambino disse allora alla figlia del faraone: “Devo andarti a chiamare una nutrice tra
le donne ebree, perché allatti per te il bambino?”. [8]“Và”, le disse la figlia del faraone. La fanciulla
andò a chiamare la madre del bambino. [9]La figlia del faraone le disse: “Porta con te questo
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bambino e allattalo per me; io ti darò un salario”. La donna prese il bambino e lo allattò. [10]Quando
il bambino fu cresciuto, lo condusse alla figlia del faraone. Egli divenne un figlio per lei ed ella lo
chiamò Mosè, dicendo: “Io l'ho salvato dalle acque!”.
Un caso analogo si verifica in Gesù il quale, sfuggendo alla cattura di Erode, anticipa l'esito
vittorioso della sua Pasqua (Mt 2,11-23). Inoltre l’evangelista Matteo pone delle fori somiglianze tra
la vicenda di Gesù e quella dell’antico condottiero. Nel periodo della sua nascita avviene una
strage di bambini, proprio come nel caso di Mosè (Cf. Mt 2,16-18); Gesù vi sfugge per volontà di
Dio, come capita al profeta. Il ritorno di Gesù, dall'esilio in Egitto, viene narrato riferendo le stesse
parole che richiedono il ritorno di Mosè (Mt 2,20; Es 4,19). La venuta di Gesù, come un tempo
quella di Mosè, è stata una ferma contestazione dei poteri opprimenti i quali non sono furono in
grado di tacitarla e ridurla al nulla. La Parola di Dio non può essere incatenata! (Cf. 2 Tm 2,9).
La fuga
Mosè cresce in senso fisico ma anche e spirituale: desidera incontrare i fratelli ebrei, condividere le
necessità dei santi... (Rm 13,13). Vive secondo un profondo ideale di giustizia ma lo applica male,
usando una violenza istintiva. Non è forse simile ai sedicenti liberatori che, non operando in
seguito ad un incarico divino, non conseguono alcun risultato?
[11]In quei giorni, Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i lavori pesanti da cui erano
oppressi. Vide un Egiziano che colpiva un Ebreo, uno dei suoi fratelli. [12]Voltatosi attorno e visto
che non c'era nessuno, colpì a morte l'Egiziano e lo seppellì nella sabbia
Mosè ha cominciato una maturazione significativa che prevede, comunque, altre tappe, tra slanci
di generosità e esitazioni: «Divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone,
preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere momentaneamente del
peccato. Egli stimava ricchezza maggiore dei tesori d'Egitto l'essere disprezzato per Cristo; aveva
infatti lo sguardo fisso alla ricompensa» (Eb 11, 24-26).
. [13]Il giorno dopo, uscì di nuovo e, vedendo due Ebrei che stavano rissando, disse a quello che
aveva torto: “Perché percuoti il tuo fratello?”. [14]Quegli rispose: “Chi ti ha costituito capo e giudice
su di noi? Pensi forse di uccidermi, come hai ucciso l'Egiziano?”. Allora Mosè ebbe paura e pensò:
“Certamente la cosa si è risaputa”. [15]Poi il faraone sentì parlare di questo fatto e cercò di mettere a
morte Mosè. Allora Mosè si allontanò dal faraone e si stabilì nel paese di Madian e sedette presso un
pozzo.
Uno schiavo ebreo ne percuote un altro. Non c’è soltanto l’oppressione dello stato sui deboli, ma
anche quella dei poveri tra loro poiché una situazione misera rende difficile il mantenimento di
rapporti fraterni. Mosè non ha alcuna autorità sugli ebrei; anzi non ha più identità: non è più
né egiziano né ebreo. Dio chiamandolo gli assegnerà un compito, un'identità e un valore. L'identità
morale è più importante di quella fisica.
Gesù saprà inserirsi in una condizione di maledizione introducendo in essa la benedizione, col
sacrificio di se stesso (Gal 3,13). Si muove in sintonia con Lui chi non si lascia vincere dal male,
ma vince il male con il bene (Rm 13,21). Il vero bene nasce sempre da Dio e noi possiamo
soltanto collaborare con Lui (Cf. At 5,34-39).
Intraprendere una missione presuppone l’acquisizione della maturità spirituale: «Bisogna prima di
tutto acquisire l’impassibilità, ossia la libertà interiore, e solo dopo, se la circostanza lo richiede,
comandare agli altri. Quando si è abitualmente liberi da ogni passione, allora si amministrano le
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cose in modo da non venire condannati e da non ricevere danno» (Pietro Damasceno, Argomento
del libro,Filocalia 3, p. 178).
In Madian
Il racconto evidenziata la provvidenza di Dio nella vita di quest'uomo, che ora sembra perso in se
stesso. Aiutando le donne, Mosé si dimostra un uomo sensibile alla giustizia e tutto dedito al
servizio della persona debole. Nelle vicende della sua peregrinazione, egli rivive le vicissitudini dei
patriarchi (gli eventi presso i pozzi) e, come loro, è straniero e pellegrino. Giacobbe aveva dovuto
fuggire l'ira del fratello Esaù, ma, nonostante avesse commesso delle colpe, fu scelto e aiutato da
Dio (Gen 28,10-15). Il testo mette in risalto il fatto che Mosè acquista una nuova famiglia in
Madian.
[16]Ora il sacerdote di Madian aveva sette figlie. Esse vennero ad attingere acqua per riempire gli
abbeveratoi e far bere il gregge del padre. [17]Ma arrivarono alcuni pastori e le scacciarono. Allora
Mosè si levò a difenderle e fece bere il loro bestiame. [18]Tornate dal loro padre Reuel, questi disse
loro: “Perché oggi avete fatto ritorno così in fretta?”. [19]Risposero: “Un Egiziano ci ha liberate dalle
mani dei pastori; è stato lui che ha attinto per noi e ha dato da bere al gregge”. [20]Quegli disse alle
figlie: “Dov'è? Perché avete lasciato là quell'uomo? Chiamatelo a mangiare il nostro cibo!”. [21]Così
Mosè accettò di abitare con quell'uomo, che gli diede in moglie la propria figlia Zippora. [22]Ella gli
partorì un figlio ed egli lo chiamò Gherson, perché diceva: “Sono un emigrato in terra straniera!”.
La tradizione ebraica assimila Mosè agli antichi patriarchi: «Quando arrivò a Madian, si fermò
proprio a quel pozzo e lì rivisse la medesima esperienza di Isacco e Giacobbe: al pari di loro egli vi
trovò la sua consorte. Rebecca fu scelta da Eliezer quale moglie per Isacco mentre era indaffarata
ad attingere acqua per quello straniero. Giacobbe vide Rachele per la prima volta mentre era
intenta ad abbeverare le pecore, e giusto lì Mosè conobbe la sua futura moglie Sefora» (L.
Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV, Adelphi Edizioni, Milano 2003, p. 55)
Il grido degli schiavi
Compare Dio, il protagonista finora nascosto, e dichiara la sua profonda solidarietà verso il popolo
sofferente. Israele non invoca ma si lamenta.
[23]Nel lungo corso di quegli anni, il re d'Egitto morì. Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù,
alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. [24]Allora Dio ascoltò il loro
lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe. [25]Dio guardò la condizione degli
Israeliti e se ne prese pensiero.
«Il sentimento religioso dei figli d’Israele era a quell’epoca tale da non far sperare in alcun
sostegno divino… A causa della loro malvagità la mano del Faraone infierì vieppiù, finché Dio non
ebbe pena di loro e mandò Mosè a riscattarli dalla schiavitù d’Egitto» (L. Ginzberg, Le leggende
degli ebrei, IV… p. 49).
Il lamento del povero, in ogni caso, vale come preghiera presso Dio. Un esempio: Dio ascolta il
pianto d’un bambino, il figlio di Agar, che sembra destinato a morte sicura. «Tutta l'acqua dell'otre
era venuta a mancare. Allora Agar depose il fanciullo sotto un cespuglio e andò a sedersi di fronte,
perché diceva: «Non voglio veder morire il fanciullo!». Quando gli si fu seduta di fronte, egli alzò la
voce e pianse. Ma Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo» (Gen
21,15-17).
Il dolore dell'umile diventa un'accusa per chi lo tormenta: «Le lacrime della vedova non scendono
forse sulle sue guance e il suo grido non si alza contro chi gliele fa versare? Chi la soccorre è
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accolto con benevolenza, la sua preghiera arriva fino alle nubi. La preghiera del povero attraversa
le nubi né si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e
abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità. Il Signore certo non tarderà né si mostrerà
paziente verso di loro, finché non abbia spezzato le reni agli spietati e si sia vendicato delle
nazioni, finché non abbia estirpato la moltitudine dei violenti e frantumato lo scettro degli ingiusti»
(Sir 35,18-23). Al contrario, gli uomini apprezzano i ricchi e i potenti mentre mostrano disprezzo
verso gli umili: «Per il superbo l’umiltà è obbrobrio, così per il ricco è obbrobrio il povero. Se il ricco
vacilla, è sostenuto dagli amici, ma l’umile che cade è respinto dagli amici. Il ricco che sbaglia ha
molti difensori; se dice sciocchezze, lo scusano. Se sbaglia l’umile, lo si rimprovera; anche se dice
cose sagge, non ci si bada. Parla il ricco, tutti tacciono e portano alle stelle il suo discorso. Parla il
povero e dicono: Chi è costui?; se inciampa, l’aiutano a cadere» (Sir 13,21-24).
Chiamata e invio di Mosè
Mosè presso il roveto
Mosè scorge un fenomeno insolito: un roveto arde vivacemente senza consumarsi. Che cosa sta
accadendo? Qual è il significato di questo incendio? Il fuoco, che appare come luce, forza, calore,
energia, è un simbolo ottimo di Dio che è immanente e trascendente. Il Signore, tuttavia, non
rimane un’entità astratta ma si rivela come un interlocutore dell’uomo.
Capitolo 3 [1]Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e
condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. [2]L'angelo del Signore gli
apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel
fuoco, ma quel roveto non si consumava.
Il roveto è segno di umiltà e abbassamento. La tradizione ebraica ha percepito il valore simbolico
del roveto: «L’immanenza divina racchiusa nei suoi miseri rami evocava l’idea che il Signore
soffriva insieme a Israele, e infine grazie ad esso Mosè capì che in natura nulla, nemmeno
l’arbusto più insignificante, può esistere senza la presenza della Scekinah (abitazione di Dio)» (L.
Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV… p. 66). Nel cristianesimo appare come un segno dell’umiltà
della incarnazione. «Il Fuoco rispendeva dal roveto, lo Splendore da una vergine, la Luce da
Maria; era quella Luce che avrebbe detto: “Io sono la luce del mondo, quella che illumina ogni
uomo” (Gv 1,19)» (Bruno di Segni, Commento all’Esodo, PL 164. 237 B)
Il fuoco è segno di salvezza e di giudizio ma qui appare come strumento di salvezza. Geremia
avverte la sua vocazione come presenza di un fuoco incontenibile. «Mi dicevo: “Non penserò più a
lui, non parlerò più nel suo nome!”. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle
mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9). I discepoli ad Emmaus avvertono
la parola del Risorto come un calore interiore: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli
conversava con noi lungo la via…» (At 24,32). A Pentecoste lo Spirito si rende manifesto come
fiamma: «Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro,
e tutti furono colmi di Spirito Santo» (At 2,3-4). Gli angeli e gli uomini diventa creature di fuoco:
«Egli fa i suoi ministri come fiamma di fuoco» (Eb 1,7).
Nella tradizione spirituale il fuoco indica la purificazione interiore ma anche il processo di
deificazione. Presento due testimonianze significative: «Brucia i miei piaceri, brucia i miei pensieri
(cuore sta per pensieri, e reni per piaceri) in modo che non pensi nulla di male e non provi piacere
in alcun male. Con che cosa brucerai le mie viscere? Con il fuoco della tua parola. E con che cosa
brucerai il mio cuore? Con il calore del tuo spirito» (Agostino, Esposizioni sui Salmi, 25,7).
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«Il desiderio di Dio è anche di donarsi completamente a noi. Accade lo stesso quando il fuoco
vuole attirare il legno verso di sé e introdursi in esso: all'inizio trova che il legno è dissimile da sé, e
per questo ci vuole del tempo. Prima rende il legno caldo e bruciante, e questo fuma e scricchiola,
perché è differente dal fuoco. Poi, più il legno arde, più diviene calmo e tranquillo; più è simile al
fuoco e più si acquieta, fino a divenire in se stesso completamente fuoco» (M. Eckhart, Sermoni,
11, 3, p. 164).
La chiamata
Dio chiama per nome Mosè, per due volte. La duplice menzione del nome indica il carattere
personale della chiamata: nella solitudine del luogo, Qualcuno conosce già questo pastore mentre
egli è ignaro di tutto. Ora subito risponde con prontezza ma quando Dio gli preciserà le modalità
della sua missione, diventerà confuso ed esitante. Accettando di togliersi i sandali, riconosce la
santità divina e la sua inadeguatezza. Coprendosi il volto si mostra conscio della grandezza divina
o forse è preso da eccessivo timore (Cf. Es 33,18-23).
[3]Mosè pensò: “Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non
brucia?”. [4]Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse:
“Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”. [5]Riprese: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il
luogo sul quale tu stai è una terra santa!”. [6]E disse: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il
Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso
Dio.
La vicinanza con Dio esige purificazione ma Dio incoraggia la persona che chiama, la perdona e la
rende adeguata al suo compito; il Signore «chiama le sue pecore, ciascuna per nome» (Gv 10,3).
Vediamo altri esempi di chiamata per nome; Il Risorto chiama la Maddalena a conversione: «Gesù
le disse: Maria!. Ella si voltò e gli disse in ebraico: Rabbunì…» (Gv 2016). In seguito chiama Saulo:
«All’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva:
“Saulo, Saulo…”» (At 9,3-4).
Nella Scrittura ritorna spesso il contrasto tra senso dell’indegnità da parte dell’uomo e l'accoglienza
da parte di Dio. In seguito all’apparizione divina, Isaia avverte un grande bisogno di purificazione:
«“Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono… eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti”. Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone
ardente che aveva preso con le molle dall'altare. Egli mi toccò la bocca e mi disse: “Ecco, questo
ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato”» (Is 6,4-7).
Pietro si sente indegno ma viene accettato da Gesù: «Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle
ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”… Gesù disse a
Simone: “Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini”» (Lc 5,8.10).
La spiritualità ha valorizzato anche il gesto di togliersi i calzari: «Mosè fu impedito di avvicinarsi al
roveto finché non si fosse liberato dei calzari. Allora come mai tu, che vuoi vedere Dio, e diventare
suo interlocutore, non ti liberi da ogni pensiero contaminato da passioni?» (Evagrio Pontico, La
preghiera, 4, pp. 73-74).
Solidarietà di Dio
Dio si mostra solidale e coinvolto con la sofferenza del suo popolo, fino a provare i suoi sentimenti.
Il Signore deve scendere perché Israele possa salire. La terra che verrà donata è bella, come il
creato uscito dalle mani di Dio, e spaziosa, ossia adeguata ad accogliere il grande numero degli
israeliti. Mosè è un prototipo dei profeti; riceve un mandato che può svolgere soltanto grazie
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all’azione di Dio. Egli deve prendere coscienza del significato del suo salvamento da bambino.
Scopre meglio Dio e se stesso.
[7]Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa
dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. [8]Sono sceso per liberarlo dalla mano
dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove
scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo,
il Gebuseo. [9]Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto
l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. [10]Ora và! Io ti mando dal faraone. Fà uscire
dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!”.
Dio si mostra molto attento alla preghiera di chi condivide i suoi sentimenti di misericordia: «…
Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi”» (Is 58,9).
Soltanto chi ha condiviso il vero sentire divino, si offre spontaneamente a Lui e si fa inviare in
missione: “Eccomi, manda me” (Is 6,8).
Il Signore cerca sempre di creare luoghi abitabili e vivibili e dove compare un modo di vivere più
umano, li riappare il suo Regno. La nuova terra può essere un’esistenza quotidiana serena perché
fondata sulla libera condivisione dei beni. «La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva
un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni
cosa era fra loro comune… Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano
campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai
piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno» (At 4,32-35).
Gesù ottiene la salvezza per altri, usando nei loro confronti la stessa solidarietà compassionevole
propria di Dio. «Gesù vide un uomo chiamato Matteo, che sedeva al banco delle imposte e gli
disse:Seguimi. Lo vide non tanto con la vista del corpo quanto con lo sguardo della
commiserazione interiore; lo stesso con cui guardò anche Pietro che lo rinnegava, perché
riconoscesse e piangesse il suo peccato. Con lo stesso sguardo aveva osservato il suo popolo per
strapparlo dalla schiavitù d'Egitto da cui era oppresso, quando disse a Mosè: Ho osservato
l'afflizione del mio popolo, ho udito i suoi gemiti e sono disceso a liberarlo. Vide Matteo ed ebbe
compassione di lui perché era dedito solo agli affari di questa terra. Lo vide seduto al banco delle
imposte con la mente avida di guadagni terreni (Mt 9,9)» (Beda, Omelie sul Vangelo, I, 21, p. 224).
Prima obiezione di Mosé
Nonostante il primo impulso positivo, Mosè si mostra dapprima esitante e poi contrario alla
missione. Il chiamato non si trasforma in un eroe. Teme di essere inadeguato al compito che
riceve e le difficoltà oggettive della missione; dovrebbe spostare l’attenzione dall’analisi del proprio
io e delle sue limitate possibilità, alla efficacia del progetto di Dio.
Le obiezioni di Mosè sono anche una riflessione sulla missione profetica. Alla prima difficoltà
espressa dall'inviato (Chi sono io?), Dio risponde anticipando la rivelazione del suo Nome: sarò
con te. Solo questa presenza è una vera garanzia di riuscita. Viene annunciato anche lo scopo
ultimo della liberazione: il servizio di Dio.
[11]Mosè disse a Dio: “Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?”.
[12]Rispose: “Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il
popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte”.
Per qualsiasi inviato, il vero punto di forza sta nell’accompagnamento del Signore. La promessa
fatta A Mosè si verificherà anche per l’apostolo Paolo. «Dopo avere prima sofferto e subìto oltraggi
a Filippi, come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziarvi il vangelo di
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Dio in mezzo a molte lotte» (1 Ts 2,2). «Una notte in visione il Signore disse a Paolo: «Non aver
paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del
male, perché io ho un popolo numeroso in questa città». Così Paolo si fermò un anno e mezzo,
insegnando fra loro la parola di Dio» (At 18,9-11).
Rivelazione del Nome
Il profeta teme di essere contestato nella sua autorità dai fratelli ebrei, come gli era capitato prima
della sua fuga dall’Egitto. Per garantirlo e farlo uscire dalla sua esitazione, Dio gli rivela il suo
Nome. La rivelazione del Nome di Dio, in continuità con ciò che hanno vissuto i Padri, fa sapere
che Egli è Colui che accompagnerà il popolo lungo tutta la storia. Nel linguaggio biblico essere
equivale ad agire. Il nome di Dio (sarò sempre con voi) è carico di speranza.
[13]Mosè disse a Dio: “Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a
voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?”. [14]Dio disse a Mosè: “Io sono
colui che sono!”. Poi disse: “Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi”. [15]Dio aggiunse a
Mosè: “Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di
Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò
ricordato di generazione in generazione.
«Ai figli d’Israele dirai che Io sono colui che era, è e sempre sarà. Io sono colui che è con loro nella
schiavitù attuale. E Colui che sarà con loro nella schiavitù futura» (L. Ginzberg, Le leggende degli
ebrei, IV… p. 80). (Cf Os 1,9 dove la sua assenza salvifica rappresenta una negazione del suo
Nome).
Questa formula verrà ripresa molte volte dalla Scrittura in molteplici variazioni. «Io sono il primo e
l’ultimo; fuori di me non vi sono dèi. Chi è come?» (Is 44,6). In questo caso il nome indica la
superiorità di Dio. Ma questa però viene messa, liberamente, a servizio degli umili della terra: «Io il
Signore, sono il primo e io stesso sono con gli ultimi» (Is 41,4).
La dichiarazione inoltre presenta un carattere misterioso ma Dio non vuole essere evasivo; vuole
piuttosto garantire la sua indisponibilità e la sua libertà: Egli è veramente libero di essere quello
che vuole essere.
Infine questo Nome verrà ripreso e impersonato da Gesù in maniera completa e definitiva. Egli
sarà l’Io sono per tutti gli uomini d’ogni epoca (Cf Gv 8,24.28.58; 13,19). Il Vangelo di Giovanni non
si limita soltanto a riportare questa dichiarazione assoluta, ma precisa sette forme specifiche nelle
quali Dio si manifesta nella persona di Gesù: “Io sono il pane della vita” (6,35.51); “la luce del
mondo” (8,12; 9,5); “la porta” (10,7.9); “il buon pastore” (10,11.14); “la risurrezione e la vita”
(11,25); “La via, la verità e la vita” (14,6); “la vite” (15,1.5). Grazie a questa modalità del donarsi di
Dio in Cristo, noi, per mezzo della fede, partecipiamo alla vita stessa di Dio.
L’esitazione di Mosè
Non mi crederanno
Mosè oppone varie obiezioni, alle quali Dio risponde, però, con paziente benevolenza. In primo
luogo, teme di non essere creduto dai suoi fratelli in schiavitù. Com'è possibile che gli schiavi ebrei
del re d'Egitto possano credere davvero che il Signore intenda aiutarli? Dio prende sul serio
l'obiezione del suo interlocutore e, per rassicurare Mosè, gli dona la capacità di compiere alcuni
prodigi: trasforma un bastone in un serpente e guarisce una mano coperta di lebbra. Qual è il
significato di questi due segni prodigiosi? Dio si mostra a Mosè come Colui al quale tutte le forze
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della natura sono sottomesse, comprese quelle negative. La trasformazione del bastone non è un
fatto magico (infatti Mosè fugge), ma una conseguenza dell’obbedienza del profeta. La mano è
anche simbolo dell’azione intelligente dell’uomo al quale, ora, Dio conferisce la sua forza.
Capitolo 4 [1]Mosè rispose: “Ecco, non mi crederanno, non ascolteranno la mia voce, ma diranno:
Non ti è apparso il Signore!”. [2]Il Signore gli disse: “Che hai in mano?”. Rispose: “Un bastone”.
[3]Riprese: “Gettalo a terra!”. Lo gettò a terra e il bastone diventò un serpente, davanti al quale Mosè
si mise a fuggire. [4]Il Signore disse a Mosè: “Stendi la mano e prendilo per la coda!”. Stese la mano,
lo prese e diventò di nuovo un bastone nella sua mano. [5]“Questo perché credano che ti è apparso
il Signore, il Dio dei loro padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. [6]Il Signore gli
disse ancora: “Introduci la mano nel seno!”. Egli si mise in seno la mano e poi la ritirò: ecco la sua
mano era diventata lebbrosa, bianca come la neve. [7]Egli disse: “Rimetti la mano nel seno!”. Rimise
in seno la mano e la tirò fuori: ecco era tornata come il resto della sua carne. [8]“Dunque se non ti
credono e non ascoltano la voce del primo segno, crederanno alla voce del secondo! [9]Se non
credono neppure a questi due segni e non ascolteranno la tua voce, allora prenderai acqua del Nilo e
la verserai sulla terra asciutta: l'acqua che avrai presa dal Nilo diventerà sangue sulla terra asciutta”.
Dio detiene una forza irresistibile che pone, però, a servizio di un progetto d'amore. L'onnipotenza
divina non è puro spettacolo, non è una minaccia. Dio non la esercita per imporsi in modo
arbitrario ma per soccorrere l'uomo (Cf. Mc 4,41).
Non sono un parlatore
Mosè ricorda a Dio di non essere un buon parlatore. Il compito profetico, però, non è fondato su
una trasmissione estetica del messaggio, come si sviluppa nell'arte oratoria, quanto piuttosto sulla
forza creatrice della parola stessa. Ad ostacolare la missione non è la pesantezza della parola, ma
caso mai quella del cuore. Il primo a convertirsi è sempre lo stesso inviato.
[10]Mosè disse al Signore: “Mio Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono mai stato
prima e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e
di lingua”. [11]Il Signore gli disse: “Chi ha dato una bocca all'uomo o chi lo rende muto o sordo,
veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? [12]Ora và! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò
quello che dovrai dire”.
Il profeta verificherà che la Parola di Dio attua ciò che si ripromette. «Come infatti la pioggia e la
neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e
fatta germogliare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata» (Is 55,1011).
Il rifiuto
Mosè, pur usando parole garbate e rispettose in apparenza, in realtà rifiuta l’incarico. Dio gli resiste
con determinazione e, per indurlo ad accettare la missione, gli promette la collaborazione del
fratello Aronne. Questa persona non è soltanto un sostegno ma un aiuto amicale. Il bastone, poi,
non è un elemento magico, ma un segno della potenza della Parola divina e dell'energia della
fede. La collaborazione tra Mosè e Aronne suggerisce quella tra sacerdote e profeta.
[13]Mosè disse: “Perdonami, Signore mio, manda chi vuoi mandare!”. [14]Allora la collera del
Signore si accese contro Mosè e gli disse: “Non vi è forse il tuo fratello Aronne, il levita? Io so che lui
sa parlar bene. Anzi sta venendoti incontro. Ti vedrà e gioirà in cuor suo. [15]Tu gli parlerai e
metterai sulla sua bocca le parole da dire e io sarò con te e con lui mentre parlate e vi suggerirò
quello che dovrete fare. [16]Parlerà lui al popolo per te: allora egli sarà per te come bocca e tu farai
per lui le veci di Dio. [17]Terrai in mano questo bastone, con il quale tu compirai i prodigi”.
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Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire: ogni profeta è considerato come la
bocca di Dio.
Un altro esempio di rifiuto all'incarico del Signore è rappresentato dal profeta Giona (Gn 1,3). Altri
inviati sono corretti e sostenuti da Dio (Ger 15,19-21; 1 Re 19,4-8; Gn 3; 2 Cor 12,8-9; At 18,9).
Nessuno subito appare adeguato ma deve essere formato dal Signore nelllo sviluppo della
missione, a seconda delle circostanze.
Il fatto che Aronne affianchi Mosè, dimostra che, per discernere con chiarezza il volere di Dio su di
noi, abbiamo bisogno dell'aiuto di altri fratelli. È un suggerimento che attingiamo da Giovanni della
Croce: «Stupisce ciò che accadde a Mosè. Dio gli aveva comandato in molti modi e gli aveva
confermato con segni di andare a liberare i figli d’Israele. Ciò nonostante egli era così esitante, che
Dio si adirò: non aveva ancora conseguito la fede solida, necessaria in quel caso, finché il Signore
non lo incoraggiò ricordandogli il fratello. L'anima umile, infatti, non osa trattare da sola con Dio, e
si sente sicura solo quando si lascia guidare e consigliare da un suo simile. Dio vuole così, perché
egli si mostra presente laddove si uniscono le anime per cercare la verità e in questa li rassicura»
(Giovanni della Croce, 2 Salita al Carmelo, 22, 10-11, p. 276).
La partenza
Il popolo schiavo si trova in pericolo di morte. Mosè torna a rivederlo ma questa volta a motivo di
un incarico ricevuto da Dio e non per un impulso spontaneo, per solidarietà naturale. Non stiamo
assistendo ad un progetto umano ma divino.
Come primogenito, Israele possiede una relazione familiare ed unica con Dio; il primogenito
appartiene a Dio e nessuno può impossessarsene. Gli egiziani trascureranno questo apetto e così,
già da ora, viene minacciata loro, come eventualità, la morte dei loro primogeniti, un fatto doloroso
che avverrà effettivamente durante la notte pasquale di liberazione (Cf. Es 12,29-34).
[18]Mosè partì, tornò da Ietro suo suocero e gli disse: “Lascia che io parta e torni dai miei fratelli che
sono in Egitto, per vedere se sono ancora vivi!”. Ietro disse a Mosè: “Và pure in pace!”. [19]Il Signore
disse a Mosè in Madian: “Và, torna in Egitto, perché sono morti quanti insidiavano la tua vita!”.
[20]Mosè prese la moglie e i figli, li fece salire sull'asino e tornò nel paese di Egitto. Mosè prese in
mano anche il bastone di Dio.
Il Signore disse a Mosè: “Và, torna in Egitto…”. La solidarietà di Dio dovrebbe stupire sempre. La
premura mostrata verso questi poveri prepara quella più grande che si attuerà per tutta l'umanità,
anch'essa in condizione miserevole, nell’incarnazione del Figlio suo, Gesù: «Quale stupore mi
invade! Fra gli uomini, quasi tutti rigettano con disgusto i deboli, i poveri: un re non ne sopporta la
vista, i grandi li schivano, i ricchi li guardano dall'alto in basso; nessuno invidia la loro compagnia;
ma Dio al cui servizio stanno innumerevoli potenze, si è fatto padre, amico, fratello di questi reietti.
Anzi ha voluto prendere carne per divenire nostro simile in tutto, eccetto che nel peccato, e
renderci partecipi della sua gloria e del suo regno» (Simone il nuovo teologo, Catechesi II, SC 96,
p. 249s).
Salviano, un prete di Marsiglia (405-451 c.) ritiene che nella Chiesa, tutti i credenti ma soprattutto i
suoi ministri, imitando la decisione di Mosè, debbano diventare alleati naturali dei dei poveri e dehli
uomini che subiscono violenza. «Chi dà una mano agli oppressi e a coloro che patiscono, se
persino i sacerdoti del Signore non si oppongono alla violenza? La maggior parte di loro, infatti, o
tengono la bocca chiusa oppure, anche se parlano, è come se non parlassero. Non si azzardano,
a dire il vero, a proclamare pubblicamente la verità, per il fatto che le orecchie di quei disonesti non
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sono capaci di sopportarla, ma la odiano e la maledicono» (Salviano di Marsiglia, Il governo di Dio,
V, 5,19-5,20, p. 151).
La buona notizia in Egitto
L’incontro tra Mosé ed Aronne avviene al monte di Dio, là dove il profeta aveva avuto l’esperienza
del roveto ed era stato chiamato e, in questo modo, il fratello diventa partecipe della sua missione.
Il popolo, non appena viene conoscere la bella notizia della prossima liberazione, sembra
rispondere a Dio in modo egregio: ascolta, crede e manifesta il suo sentimento con una
prostrazione, umile e riconoscente.
[27]Il Signore disse ad Aronne: “Và incontro a Mosè nel deserto!”. Andò e lo incontrò al monte di Dio
e lo baciò. [28]Mosè riferì ad Aronne tutte le parole con le quali il Signore lo aveva inviato e tutti i
segni con i quali l'aveva accreditato. [29]Mosè e Aronne andarono e adunarono tutti gli anziani degli
Israeliti. [30]Aronne parlò al popolo, riferendo tutte le parole che il Signore aveva dette a Mosè, e
compì i segni davanti agli occhi del popolo. [31]Allora il popolo credette. Essi intesero che il Signore
aveva visitato gli Israeliti e che aveva visto la loro afflizione; si inginocchiarono e si prostrarono.
Il popolo, ora, diventa un modello esemplare di ascoltodella Parola. Agiranno così anche gli
abitanti di Tessalonica nell'accogliere il messaggio di Paolo: «Proprio per questo anche noi
ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione,
l'avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera
in voi che credete» (1 Ts 2,23).
Come mai l’annuncio di Mosè si mostra così efficace? Egli parla per grazia e non per abilità
personale. «Vi è molta differenza tra chi parla per grazia e chi parla per sapienza umana. Ci sono
molti uomini eloquenti che, pur avendo detto molte cose nella chiese e raccolto vasta
approvazione, non risvegliano tra gli ascoltatori alcuna compunzione del cuore né progresso nella
fede. Se ne vanno dopo averne ricavato soltanto un certo piacere e diletto con le orecchie. Al
contrario, uomini di non grande eloquenza convertono molti con parole semplici»
(Origene, Commento alla lettera ai Romani, IX, II).
Mosè e Aronne si recano da Faraone
Faraone rifiuta
I due fratelli si recano da Faraone per chiedere il permesso di far uscire il popolo dall'Egitto,
evidenziando lo scopo ultimo dell’evento di liberazione, progettato da Dio: gli uomini
riconosceranno la sua grandezza di Dio e questo riconoscimento si tramuterà in servizio a Lui.
Israele passerà, quindi, dalla schiavitù opprimente ad un servizio libero e sempre liberante. Il re
incarna l’opposizione al Signore attuata da parte di chi si crede un dio. Il servizio religioso viene
considerato alienante da chi considera come valido lo sforzo produttivo.
[1]Dopo, Mosè e Aronne vennero dal Faraone e gli annunziarono: “Dice il Signore, il Dio d'Israele:
Lascia partire il mio popolo perché mi celebri una festa nel deserto!”. [2]Il faraone rispose: “Chi è il
Signore, perché io debba ascoltare la sua voce per lasciar partire Israele? Non conosco il Signore e
neppure lascerò partire Israele!”. [3]Ripresero: “Il Dio degli Ebrei si è presentato a noi. Ci sia dunque
concesso di partire per un viaggio di tre giorni nel deserto e celebrare un sacrificio al Signore, nostro
Dio, perché non ci colpisca di peste o di spada!”. [4]Il re di Egitto disse loro: “Perché, Mosè e
Aronne, distogliete il popolo dai suoi lavori? Tornate ai vostri lavori!”. [5]Il faraone aggiunse: “Ecco,
ora sono numerosi più del popolo del paese, voi li vorreste far cessare dai lavori forzati!”.
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Il re ricorda, suo malgrado, l'estrema negatività dell'alterigia, soprattutto nei confronti con Dio.
«L’arroganza abbassa. Essa ha prostrato il Faraone: non conosco il Signore, disse. Al contrario di
lui, Abramo disse: Sono terra e cenere e s’innalzò sempre di più. Dio non detesta nulla come
l’alterigia» (Giovanni Crisostomo, Omelie sul vangelo di Matteo/3, 65, 6, p. 61).
I ribelli sono puniti
La sorpresa provocata dall'iniziativa dei due inviati di Dio dimostra come la religione autentica,
fermento di liberazione e di umanizzazione, diventa pericolosa per chi detiene il potere al servizio
di sé, a vantaggio di qualcuno, a danno di tutti gli altri.
[6]In quel giorno il faraone diede questi ordini ai sorveglianti del popolo e ai suoi scribi: “[7]Non
darete più la paglia al popolo per fabbricare i mattoni come facevate prima. Si procureranno da sé la
paglia. [8]Però voi dovete esigere il numero di mattoni che facevano prima, senza ridurlo. Perché
sono fannulloni; per questo protestano: Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al nostro Dio! [9]Pesi
dunque il lavoro su questi uomini e vi si trovino impegnati; non diano retta a parole false!”. [10]I
sorveglianti del popolo e gli scribi uscirono e parlarono al popolo: “Ha ordinato il faraone: Io non vi
dò più paglia. [11]Voi stessi andate a procurarvela dove ne troverete, ma non diminuisca il vostro
lavoro”.
I cristiani possino sperimentare una durezza analoga a quella del Faraone da parte del potere
costituito ma anche da parte anche del diavolo: «Faraone aggravò i lavori e disse loro: Siete dei
pigri, dei fannulloni! Similmente anche il diavolo, quando vede che Dio accenna ad avere pietà di
un uomo e ad alleviargli le passioni, con la sua parola o per mezzo di qualche suo servo, allora
anch’egli sferra attacchi più violenti. La forza dei fedeli consiste in questo: se cadono, non devono
scoraggiarsi, ma riprendersi di nuovo» (Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali, 146, pp. 200201).
Crisi del popolo
Il potere, qualora venga contestato, spesso diventa ancora più arrogante. Faraone non mostra
alcuna ragionevolezza; si rivela sempre più come un uomo dal cuore duro che rifugge ogni
sentimento di verità e di compassione.
Gli scribi degli ebrei mostrano di aver perduto ogni prospettiva di fede. Dall'entusiasmo iniziale,
precipitano nella sfiducia. La sofferenza li porta a rinchiudersi in se stessi. Mosè ed Aronne si
trovano soli a sostenere il progetto divino.
[12]Il popolo si disperse in tutto il paese d'Egitto a raccattare stoppie da usare come paglia. [13]Ma i
sorveglianti li sollecitavano dicendo: “Porterete a termine il vostro lavoro; ogni giorno il quantitativo
giornaliero, come quando vi era la paglia”. [14]Bastonarono gli scribi degli Israeliti, quelli che i
sorveglianti del faraone avevano costituiti loro capi, dicendo: “Perché non avete portato a termine
anche ieri e oggi, come prima, il vostro numero di mattoni?”. [15]Allora gli scribi degli Israeliti
vennero dal faraone a reclamare, dicendo: “Perché tratti così i tuoi servi? [16]Paglia non vien data ai
tuoi servi, ma i mattoni - ci si dice - fateli! Ed ecco i tuoi servi sono bastonati e la colpa è del tuo
popolo!”. [17]Rispose: “Fannulloni siete, fannulloni! Per questo dite: Vogliamo partire, dobbiamo
sacrificare al Signore. [18]Ora andate, lavorate! Non vi sarà data paglia, ma voi darete lo stesso
numero di mattoni”. [19]Gli scribi degli Israeliti si videro ridotti a mal partito, quando fu loro detto:
“Non diminuirete affatto il numero giornaliero dei mattoni”. [20]Quando, uscendo dalla presenza del
faraone, incontrarono Mosè e Aronne che stavano ad aspettarli, [21]dissero loro: “Il Signore proceda
contro di voi e giudichi; perché ci avete resi odiosi agli occhi del faraone e agli occhi dei suoi
ministri, mettendo loro in mano la spada per ucciderci!”.
«Dal momento in cui Mosè e Aronne incominciano a parlare a Faraone, il popolo di Dio è colpito.
Dal momento in cui la Parola di Dio è stata introdotta nella tua anima, necessariamente viene
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suscitato dentro di te il combattimento delle virtù contro i vizi. Prima che venisse la Parola che
accusa, i vizi dimoravano in pace dentro di te ma quando la Parola di Dio ha incominciato a fare il
giudizio di ciascuno, allora sorge un grande turbamento. Quando mai l'ingiustizia può andare
d'accordo con la giustizia, l'impudicizia con la sobrietà, la verità con la menzogna?»
(Origene, Omelie sull’Esodo, III,3, p. 76).
Preghiera di Mosè
Mosè, visto il cattivo esito dell'ambasceria presso Faraone, cade nello smarrimento e nello
scoraggiamento. Tuttavia non perde la fiducia e la fede in Dio. Lo attesta il fatto che si rivolga a Lui
e lo consideri un valido interlocutore. Pregando Mosè non falsifica la situazione e neppure
maschera i suoi veri sentimenti. Formula una preghiera sincera che promana dai veri sentimenti
del cuore. Nella preghiera si apre ad accogliere la risposta di Dio il quale non fa altro che
consolidarlo nella missione che gli ha affidato.
[22]Allora Mosè si rivolse al Signore e disse: “Mio Signore, perché hai maltrattato questo popolo?
Perché dunque mi hai inviato? [23]Da quando sono venuto dal faraone per parlargli in tuo nome, egli
ha fatto del male a questo popolo e tu non hai per nulla liberato il tuo popolo!”.
«Sion ha detto: Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato. Si dimentica forse una
donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste
donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,14-16).
«Resistiamo a Faraone conservando la fiducia in Dio. Preghiamo il Signore di stabilire i nostri piedi
sulla roccia, affinché non ci accada quello che dice lo stesso profeta: Per poco non hanno vacillato
i miei piedi, e per poco non sono scivolati i miei passi (Sal 73,2). Stiamo dunque davanti a
Faraone,cioè resistiamogli nella lotta, come dice anche l'apostolo Pietro: Resistetegli forti nella
fede (1 Pt 5,9). Se staremo con fortezza ne conseguirà anche quello che Paolo chiede per i
discepoli dicendo: Dio stritolerà presto Satana sotto i vostri piedi (Rm 16,20). Quanto più noi
staremo con perseveranza e fortezza, tanto più Faraone sarà debole e impotente; ma se noi
incominceremo a essere o deboli o dubbiosi, egli diventerà più forte e saldo contro di noi»
(Origene, Omelie sull’Esodo, III,3, p. 77).
Lo scontro vittorioso con Faraone
Sguardo al futuro
Le vicende dell’Esodo sono in primo luogo una rivelazione di Dio. Gli uomini stanno per assistere
ad una manifestazione dell’identità del Signore: il Santo, il Fedele, il Soccorritore compassionevole
ed efficace.
Tutti gli eventi che accadranno, anziché annullare l’opera divina, mostreranno ancora di più la sua
grandezza. La contemplazione e il ricordo delle grandi opere del Signore, inducono il credente
all’ammirazione di Dio che si esprime poi nella lode, nei cantici e nell’abbandono fiducioso in Lui
(Cf Sir 17,7-8).
Capitolo 7 [1]Il Signore disse a Mosè: “Vedi, io ti ho posto a far le veci di Dio per il faraone: Aronne,
tuo fratello, sarà il tuo profeta. [2]Tu gli dirai quanto io ti ordinerò: Aronne, tuo fratello, parlerà al
faraone perché lasci partire gli Israeliti dal suo paese. [3]Ma io indurirò il cuore del faraone e
moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nel paese d'Egitto. [4]Il faraone non vi ascolterà e io porrò
la mano contro l'Egitto e farò così uscire dal paese d'Egitto le mie schiere, il mio popolo degli
Israeliti, con l'intervento di grandi castighi [giudizi]. [5]Allora gli Egiziani sapranno che io sono il
Signore, quando stenderò la mano contro l'Egitto e farò uscire di mezzo a loro gli Israeliti!”. [6]Mosè
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e Aronne eseguirono quanto il Signore aveva loro comandato; operarono esattamente così. [7]Mosè
aveva ottant'anni e Aronne ottantatrè, quando parlarono al faraone.
Il bastone e i serpenti
Il prodigio del bastone introduce il racconto dei segni; legittima gli inviati di Dio e assicura
sull’efficacia della Parola divina: Vedi, io ti ho posto a far le veci di Dio per il faraone. Il bastone che
Mosè getterà davanti a Faraone, diventerà un serpente.
[8]Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: [9]“Quando il faraone vi chiederà: Fate un prodigio a vostro
sostegno! tu dirai ad Aronne: Prendi il bastone e gettalo davanti al faraone e diventerà un serpente!”.
[10]Mosè e Aronne vennero dunque dal faraone ed eseguirono quanto il Signore aveva loro
comandato: Aronne gettò il bastone davanti al faraone e davanti ai suoi servi ed esso divenne un
serpente. [11]Allora il faraone convocò i sapienti e gli incantatori, e anche i maghi dell'Egitto, con le
loro magie, operarono la stessa cosa. [12]Gettarono ciascuno il suo bastone e i bastoni divennero
serpenti. Ma il bastone di Aronne inghiottì i loro bastoni. [13]Però il cuore del faraone si ostinò e non
diede loro ascolto, secondo quanto aveva predetto il Signore.
Il termine usato per parlare di questo animale non è nahas ma tannin (v.9). Tannin (rettili)
personificano le forze del caos primordiale, babilonese (Ger 51,34-36) ed egiziano (Ez 29,3; 32,2).
«”Mi ha divorata, mi ha consumata Nabucodònosor, re di Babilonia, mi ha inghiottita come fa il
coccodrillo, ha riempito il suo ventre… Il mio strazio e la mia sventura ricadano su Babilonia!” dice
la popolazione di Sion, “il mio sangue sugli abitanti della Caldea!” dice Gerusalemme. Perciò così
parla il Signore: “Ecco io difendo la tua causa, compio la tua vendetta”» (Ger 51,34-36). Il prodigio
prefigura, allora, la vittoria del Signore sul male. Il faraone, a motivo della sua ostinazione, assume
la figura simbolica del peccato. Questa simbologia ritorna nell’Apocalisse (12,4).
I nove grandi segni
Dobbiamo leggere questo testo non come un resoconto storico (anche se esso rinvia ad eventi
realmente avvenuti), ma come una catechesi indirizzata al popolo di Dio. Mettiamoci nei panni di
un giovane discepolo che, leggendo questi testi, impara ad elaborare dei contenuti fondamentali
della sua fede (Cf 13,8-9). Il lungo passo espone la pedagogia di Dio nei confronti di Faraone e di
tutti gli Egiziani. Egli vuole liberare Israele dai suoi oppressori. Nonostante la loro ostinata
opposizione, alla fine sono costretti a farlo, in seguito una serie di interventi pedagogici sempre più
severi. Le nove sventure descritte non sono chiamate punizioni o flagelli ma segni, che non sono
innocui ma dolorosi. Soltanto il decimo evento, ossia la morte dei figli primogeniti, è
chiamata colpo (mortale) (Es 11,1) ed ha un esito irreparabile. Faraone dovrebbe trarre da questi
eventi anormali un insegnamento che preserverebbe lui e la sua gente da altre sofferenze più
gravi.
Che cosa apprendere da questi fatti? Dio è venuto in soccorso del suo popolo con grande energia.
Israele non si è costituito da sé come popolo ma per atto di grazia di Dio. Inoltre in quel momento
Israele era una popolazione oppressa. Formandolo come popolo non solo il Signore dimostra la
sua benevolenza verso questa nazione ma attesta la sua predilezione per i poveri. Il racconto non
presenta toni vendicativi o catastrofici. I fatti riproducono dei fenomeni naturali intensificati. L'Egitto
conosce l'arrossamento delle acque, la proliferazione di rane, zanzare, e tafani; conosce
pestilenze mortali che colpiscono il bestiame o ulcere che tormentano gli uomini; viene colpito da
grandinate rovinose o devastato dal passaggio delle cavallette. La serie si chiude con una
sventura più misteriosa: l'addensarsi di tenebre terrificanti.
Come mai degli eventi naturali, di per sé normali, dovrebbero essere compresi come segni, ossia
come segnali della volontà liberatrice di Dio a favore degli oppressi e a danno degli aguzzini? In
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parte a motivo della loro intensità eccezionale (9,24) ma questo resterebbe insufficiente.
S'aggiungono altri particolari. Mosè li previene, prevede e anticipa il loro inizio e la loro fine; anzi è
lui stesso a provocarli e a stabilirne la durata e la conclusione. Dipendono dall'azione di Dio della
quale il profeta è a servizio. Inoltre gran parte di queste calamità colpiscono soltanto gli egiziani
mentre risparmiano gli ebrei.
Nonostante l'accumularsi di eventi negativi, Dio sembra voler evitare di colpire duramente. Si
comincia con fatti più sopportabili (rane, zanzare, tafani). Seguono eventi che colpiscono in modo
più sensibile: la moria del bestiame o una grandinata pesantissima danneggiano in modo più
consistente il patrimonio. Neppure delle ulcere fastidiose che provocano un certo dolore fisico
fanno riflettere. Le ultime sventure sono le più disastrose: il passaggio di cavallette distruttrici e la
caduta misteriosa di una tenebra avvolgente. Dio agisce con gradualità. Si mostra paziente e ogni
volta spera di evitare il peggio. Di fronte al prolungarsi della sofferenza degli oppressi, Egli sceglie
di colpire gli oppressori. Lo fa sperando di convincerli perché gli uni e gli altri sono suoi figli.
Dio si lascia irridere da Faraone. Di continuo questi dichiara un falso pentimento, annuncia un
cambiamento di decisione che non s'avvera mai. Ogni volta Mosè intercede; e, grazie alla sua
invocazione il flagello cessa, ma Faraone non recede. Crede di poter prendersi gioco Dio e di
abusare all'infinito della sua pazienza. Questo stile messo in atto dal Signore attesta la sua bontà.
Per uno strano equivoco, il racconto delle piaghe d'Egitto viene colto come una pagina che
descrive l'inesorabile giustizia di Dio. In primo luogo è una pagina che manifesta la sua
moderazione, la sua premura verso qualsiasi uomo. Certo, la bontà di Dio non è inettitudine né
compromissione con il male. Non è la stessa cosa essere oppressi o essere degli oppressori.
Questi ultimi devono essere messi alle strette e costretti a rinunciare alla loro attività. Tutte queste
osservazioni mettono in risalto la misericordia divina che si esprime in una fine pedagogia verso
Israele ma anche verso tutti gli altri popoli (Cf. Sap 11,17-12,2). Questo è un primo insegnamento
che un discepolo ebreo può attingere: Dio punisce controvoglia perché ama ogni vivente.
La storia rivela anche la grandezza di Dio. Egli è realmente Signore della sua creazione e della
storia. Tale grandezza viene evidenziata in contrapposizione agli idoli: «In quella notte io passerò
per il paese d'Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto, uomo o bestia; così farò giustizia
di tutti gli dei dell'Egitto. Io sono il Signore!» (12,12). Il racconto dei segni in Egitto è un manifesto
contro l’idolatria (9,14; Cf Sap 14,22-31). Da una parte stanno Faraone e i suoi déi che sembrano
potentissimi, dall’altra c’è il Dio degli Ebrei che sembra impotente. La verità dei fatti mostra che è
vero il contrario.
Prima serie
I primi tre segni (acqua imputridita, rane e zanzare) rispondo alla domanda che soggiace a tutta la
vicenda dell’Esodo: Chi è il Signore? (Cf. Es 5,2; 7,5 e 17; 8,6.18-19). Compaiono i maghi, che
incarnano una religione asservita al potere e alla cultura dominanti. Sembra aver successo (primo
e secondo segno), ma alla fine fallisce (terzo segno) ed è costretta a riconoscere il potere di Dio
(Es 8,15). Troviamo enunciata anche l'efficacia dell'intercessione. Molto sorprendente è il versetto
che rivela come Dio abbia operato secondo la parola di Mosé (8,9. 27), vale a dire: Dio obbedisce
a chi obbedisce a Lui. Esiste una profonda sintonia tra il Signore e il suo profeta. La preghiera è
forza attiva in grado di modificare il corso degli eventi.
1. Cambiamento dell'acqua
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[17]Dice il Signore: Da questo fatto saprai che io sono il Signore; ecco, con il bastone che ho in
mano io batto un colpo sulle acque che sono nel Nilo: esse si muteranno in sangue. [18]I pesci che
sono nel Nilo moriranno e il Nilo ne diventerà fetido, così che gli Egiziani non potranno più bere le
acque del Nilo!”. [19]Il Signore disse a Mosè: “Comanda ad Aronne: Prendi il tuo bastone e stendi la
mano sulle acque degli Egiziani, sui loro fiumi, canali, stagni, e su tutte le loro raccolte di acqua;
diventino sangue, e ci sia sangue in tutto il paese d'Egitto, perfino nei recipienti di legno e di pietra!”.
[20]Mosè e Aronne eseguirono quanto aveva ordinato il Signore: Aronne alzò il bastone e percosse
le acque che erano nel Nilo sotto gli occhi del faraone e dei suoi servi. Tutte le acque che erano nel
Nilo si mutarono in sangue. [22]Ma i maghi dell'Egitto, con le loro magie, operarono la stessa cosa. Il
cuore del faraone si ostinò e non diede loro ascolto, secondo quanto aveva predetto il Signore. [23]Il
faraone voltò le spalle e rientrò nella sua casa e non tenne conto neppure di questo fatto.
Il fatto prodigioso si realizza grazie all’obbedienza degli inviati (v.20). Il libro della Sapienza
interpreta questo segno come una punizione per l’uccisione dei neonati; è il sangue degli innocenti
a far arrossare il Nilo e renderlo putrido (Sap 11,7).
Nell’Apocalisse si ritrova un evento simile ma in questo caso è il sangue dei martiri che trasforma
l’acqua in sangue: «Il terzo versò la sua coppa nei fiumi e nelle sorgenti delle acque, e diventarono
sangue. Allora udii l'angelo delle acque che diceva: "Sei giusto, tu che sei e che eri, tu, il Santo,
poiché così hai giudicato. Essi hanno versato il sangue di santi e di profeti, tu hai dato loro sangue
da bere: ne sono ben degni!". Udii una voce che veniva dall'altare e diceva: "Sì, Signore, Dio
onnipotente; veri e giusti sono i tuoi giudizi!"» (Ap 16,4-7).
2. Le rane
Capitolo 8 [1]Il Signore disse a Mosè: “Comanda ad Aronne: Stendi la mano con il tuo bastone sui
fiumi, sui canali e sugli stagni e fà uscire le rane sul paese d'Egitto!”. [2]Aronne stese la mano sulle
acque d'Egitto e le rane uscirono e coprirono il paese d'Egitto. [3]Ma i maghi, con le loro magie,
operarono la stessa cosa e fecero uscire le rane sul paese d'Egitto. [4]Il faraone fece chiamare Mosè
e Aronne e disse: “Pregate il Signore, perché allontani le rane da me e dal mio popolo; io lascerò
andare il popolo, perché possa sacrificare al Signore!”. [5]Mosè disse al faraone: “Fammi l'onore di
comandarmi per quando io devo pregare in favore tuo e dei tuoi ministri e del tuo popolo, per
liberare dalle rane te e le tue case, in modo che ne rimangano soltanto nel Nilo”. [6]Rispose: “Per
domani”. Riprese: “Secondo la tua parola! Perché tu sappia che non esiste nessuno pari al Signore,
nostro Dio, [7]le rane si ritireranno da te e dalle tue case, dai tuoi servitori e dal tuo popolo: ne
rimarranno soltanto nel Nilo”. [8]Mosè e Aronne si allontanarono dal faraone e Mosè supplicò il
Signore riguardo alle rane, che aveva mandate contro il faraone. [9]Il Signore operò secondo la
parola di Mosè e le rane morirono nelle case, nei cortili e nei campi.
«Il Signore conosce la guerra, e al pari dei re in carne ed ossa affronta il nemico con diversi
stratagemmi. Così avvenne anche quando si trattò di attaccare l?egitto con dieci piaghe» (L.
Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV, p.100)
3. Le zanzare
[12]Quindi il Signore disse a Mosè: “Comanda ad Aronne: Stendi il tuo bastone, percuoti la polvere
della terra: essa si muterà in zanzare in tutto il paese d'Egitto”. [13]Così fecero: Aronne stese la
mano con il suo bastone, colpì la polvere della terra e infierirono le zanzare sugli uomini e sulle
bestie; tutta la polvere del paese si era mutata in zanzare in tutto l'Egitto. [14]I maghi fecero la stessa
cosa con le loro magie, per produrre zanzare, ma non riuscirono e le zanzare infierivano sugli uomini
e sulle bestie. [15]Allora i maghi dissero al faraone: “E' il dito di Dio!”. Ma il cuore del faraone si
ostinò e non diede ascolto, secondo quanto aveva predetto il Signore.
Al termine di questa successione d’eventi, è facile scoprire in essi l’azione di Dio ma Faraone non
si pente. Gli uomini resistono sia ai segni positivi, come alle minacce (cf. Mt 11,16-19). Questo
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fatto si ripete sempre. Siamo incapaci di ricavare un insegnamento dagli eventi negativi che
provochiamo. Lo attesta anche il libro dell’Apocalisse: «Il resto dell'umanità che non perì a causa
dei flagelli [che furono comminati], non rinunziò alle opere delle sue mani; non cessò di prestar
culto ai demòni e agli idoli; non rinunziò nemmeno agli omicidi, né alle stregonerie, né alla
fornicazione, né alle ruberie» (Ap 9,20-21).
Seconda serie
La seconda serie di segni mette in evidenza come il Signore faccia distinzione tra Israele e l'Egitto
(Es 8,18; 9,6), tra oppressi ed oppressori, dimostrando così la sua presenza attiva nella storia.
Inoltre, il quarto e il quinto segno vogliono essere anche una accusa al culto egiziano degli animali.
I maghi che già avevano fallito al terzo segno, vengono colpiti dalle ulcere (sesto segno).
4. I mosconi
[16]Poi il Signore disse a Mosè: “Alzati di buon mattino e presentati al faraone quando andrà alle
acque; gli riferirai: Dice il Signore: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire! [17]Se tu
non lasci partire il mio popolo, ecco manderò su di te, sui tuoi ministri, sul tuo popolo e sulle tue
case i mosconi. [18]Ma in quel giorno io eccettuerò il paese di Gosen, dove dimora il mio popolo, in
modo che là non vi siano mosconi, perché tu sappia che io, il Signore, sono in mezzo al paese!
[19]Così farò distinzione tra il mio popolo e il tuo popolo”. [20]Così fece il Signore: [24]Allora il
faraone replicò: “Vi lascerò partire e potrete sacrificare al Signore nel deserto. Ma non andate troppo
lontano e pregate per me”. [25]Rispose Mosè: “Ecco, uscirò dalla tua presenza e pregherò il Signore;
domani i mosconi si ritireranno dal faraone, dai suoi ministri e dal suo popolo. Però il faraone cessi
di burlarsi di noi, non lasciando partire il popolo, perché possa sacrificare al Signore!”. [26]Mosè si
allontanò dal faraone e pregò il Signore. [27]Il Signore agì secondo la parola di Mosè e allontanò i
mosconi dal faraone, dai suoi ministri e dal suo popolo: non ne restò neppure uno. [28]Ma il faraone
si ostinò anche questa volta e non lasciò partire il popolo.
«A differenza dell’uomo, che quando medita di fare del male a un nemico sta in agguato in attesa
del momento buono per coglierlo di sorpresa, Dio si premura di avvertire, e così fece
pubblicamente con il Faraone e gli egiziani ogni volta che s’accinse a mandare una piaga» (L.
Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV, p.105).
5. Mortalità del bestiame
Capitolo 9 [1]Allora il Signore si rivolse a Mosè: “Và a riferire al faraone: Dice il Signore, il Dio degli
Ebrei: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire! [2]Se tu rifiuti di lasciarlo partire e lo
trattieni ancora, [3]ecco la mano del Signore viene sopra il tuo bestiame che è nella campagna, sopra
i cavalli, gli asini, i cammelli, sopra gli armenti e le greggi, con una peste assai grave! [4]Ma il
Signore farà distinzione tra il bestiame di Israele e quello degli Egiziani, così che niente muoia di
quanto appartiene agli Israeliti”…
6. Le ulcere
[8]Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: “Procuratevi una manciata di fuliggine di fornace: Mosè la
getterà in aria sotto gli occhi del faraone. [9]Essa diventerà un pulviscolo diffuso su tutto il paese
d'Egitto e produrrà, sugli uomini e sulle bestie, un'ulcera con pustole, in tutto il paese d'Egitto”.
[10]Presero dunque fuliggine di fornace, si posero alla presenza del faraone, Mosè la gettò in aria ed
essa produsse ulcere pustolose, con eruzioni su uomini e bestie. [11]I maghi non poterono stare alla
presenza di Mosè a causa delle ulcere che li avevano colpiti come tutti gli Egiziani. [12]Ma il Signore
rese ostinato il cuore del faraone, il quale non diede loro ascolto, come il Signore aveva predetto a
Mosè.
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«Poiché il Faraone s’era ostinato nella sua durezza di cuore, e davanti a ciascuna delle prime
cinque piaghe si era rifiutato di rinunciare ai suoi malvagi, propositi, Dio lo punì in modo che non
potesse mai più ravvedersi» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV, p.111)
Il libro della Sapienza interviene a condannare la zoolatria dell’Egitto: «Venerano gli animali più
ripugnanti, che per stupidità, al paragone, risultan peggiori degli altri. Non sono tanto belli da
invogliarsene, come capita per l'aspetto di altri animali, e non hanno avuto la lode e la benedizione
di Dio. Per questo furon giustamente puniti con esseri simili
e tormentati da numerose bestiole»
(Sap 15,18-19,1).
Terza serie
La sfida giunge al culmine. Alcuni egiziani che riconoscono la presenza di Dio (Es 9,20-21) e,
almeno in apparenza, lo stesso faraone si riconosce colpevole (Es 9,27; 10,16). In realtà, questi
cerca ancora compromessi e alla fine rimane ostinato ed inflessibile (Es 10,10). Gli ultimi due
segni sono perciò particolarmente significativi: l'invasione delle cavallette, che nei profeti (Gl 1-2) è
un segno per descrivere l'intervento divino nel giorno del Signore. La calata delle tenebre segna la
definitiva sconfitta della potenza egiziana, incarnata da Ra, il Dio Sole.
7. La grandine
[13]Poi il Signore disse a Mosè: “Alzati di buon mattino, presentati al faraone e annunziagli: Dice il
Signore, il Dio degli Ebrei: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire! [14]Perché questa
volta io mando tutti i miei flagelli contro di te, contro i tuoi ministri e contro il tuo popolo, perché tu
sappia che nessuno è come me su tutta la terra. [15]Se fin da principio io avessi steso la mano per
colpire te e il tuo popolo con la peste, tu saresti ormai cancellato dalla terra; [16]invece ti ho lasciato
vivere, per dimostrarti la mia potenza e per manifestare il mio nome in tutta la terra. [17]Ancora ti
opponi al mio popolo e non lo lasci partire! [18]Ecco, io faccio cadere domani a questa stessa ora
una grandine violentissima come non c'era mai stata in Egitto dal giorno della sua fondazione fino ad
oggi. [19]Manda dunque fin d'ora a mettere al riparo il tuo bestiame e quanto hai in campagna. Su
tutti gli uomini e su tutti gli animali che si trovano in campagna e che non saranno ricondotti in casa,
scenderà la grandine ed essi moriranno”. [20]Chi tra i ministri del faraone temeva il Signore fece
ricoverare nella casa i suoi schiavi e il suo bestiame; [21]chi invece non diede retta alla parola del
Signore lasciò schiavi e bestiame in campagna.
8. Le cavallette
Capitolo 10 [1]Allora il Signore disse a Mosè: “Và dal faraone, perché io ho reso irremovibile il suo
cuore e il cuore dei suoi ministri, per operare questi miei prodigi in mezzo a loro [2]e perché tu possa
raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio e di tuo nipote come io ho trattato gli Egiziani e i
segni che ho compiuti in mezzo a loro e così saprete che io sono il Signore!”. [3]Mosè e Aronne
entrarono dal faraone e gli dissero: “Dice il Signore, il Dio degli Ebrei: Fino a quando rifiuterai di
piegarti davanti a me? Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire. [4]Se tu rifiuti di lasciar
partire il mio popolo, ecco io manderò da domani le cavallette sul tuo territorio. [5]Esse copriranno il
paese, così da non potersi più vedere il suolo: divoreranno ciò che è rimasto, che vi è stato lasciato
dalla grandine, e divoreranno ogni albero che germoglia nella vostra campagna. [6]Riempiranno le
tue case, le case di tutti i tuoi ministri e le case di tutti gli Egiziani, cosa che non videro i tuoi padri,
né i padri dei tuoi padri, da quando furono su questo suolo fino ad oggi!”. Poi voltarono le spalle e
uscirono dalla presenza del faraone. [7]I ministri del faraone gli dissero: “Fino a quando costui
resterà tra noi come una trappola? Lascia partire questa gente perché serva il Signore suo Dio! Non
sai ancora che l'Egitto va in rovina?”.
9. Le tenebre
[21]Poi il Signore disse a Mosè: “Stendi la mano verso il cielo: verranno tenebre sul paese di Egitto,
tali che si potranno palpare!”. [22]Mosè stese la mano verso il cielo: vennero dense tenebre su tutto
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il paese d'Egitto, per tre giorni. [23]Non si vedevano più l'un l'altro e per tre giorni nessuno si potè
muovere dal suo posto. Ma per tutti gli Israeliti vi era luce là dove abitavano.
L’autore del libro della Sapienza, riflettendo sul segno delle tenebre, parla del suo significato
interiore: «Gli iniqui credendo di dominare il popolo santo, incatenati nelle tenebre e prigionieri di
una lunga notte, chiusi nelle case, giacevano esclusi dalla provvidenza eterna. Credendo di restar
nascosti con i loro peccati segreti, furono dispersi, colpiti da spavento terribile e tutti agitati da
fantasmi. …Fallivano i ritrovati della magia, e la loro baldanzosa pretesa di sapienza.
Promettevano di cacciare timori e inquietudini dall'anima malata, e cadevano malati per uno
spavento ridicolo. …La malvagità condannata dalla propria testimonianza è qualcosa di vile e
oppressa dalla coscienza presume sempre il peggio. Il timore infatti non è altro che rinunzia agli
aiuti della ragione; quanto meno nell'intimo ci si aspetta da essi, tanto più grave si stima
l'ignoranza della causa che produce il tormento. … Tutto il mondo era illuminato di luce splendente
ed ognuno era dedito ai suoi lavori senza impedimento. Soltanto su di essi si stendeva una notte
profonda, immagine della tenebra che li avrebbe avvolti; ma erano a se stessi più gravosi della
tenebra.
Per i tuoi santi risplendeva una luce vivissima; essi invece, sentendone le voci, senza vederne
l'aspetto, li proclamavan beati, chè non avevan come loro sofferto ed erano loro grati perché, offesi
per primi, non facevano loro del male e imploravano perdono d'essere stati loro nemici. Invece
delle tenebre desti loro una colonna di fuoco, come guida in un viaggio sconosciuto e come un
sole innocuo per il glorioso emigrare. Eran degni di essere privati della luce e di essere imprigionati
nelle tenebre quelli che avevano tenuto chiusi in carcere i tuoi figli, per mezzo dei quali la luce
incorruttibile della legge doveva esser concessa al mondo (Sap 17, 2-18,4).
Gli eventi di Pasqua
Annuncio della morte dei primogeniti
Il vero liberatore è Dio che infligge un colpo che diventa definitivo. L’oppressore, dopo un lungo
indugio, viene punito da Dio in modo totale ed inesorabile. Per ora il fatto è soltanto preannunciato
e se ne racconterà l’esecuzione in seguito (Es 12,29-34). L’evento doloroso costringe Faraone a
cedere. La Pasqua di liberazione è accompagnata da questo giudizio contro gli iniqui.
Capitolo 11 [4]Mosè riferì: “Dice il Signore: Verso la metà della notte io uscirò attraverso l'Egitto:
[5]morirà ogni primogenito nel paese di Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al
primogenito della schiava che sta dietro la mola, e ogni primogenito del bestiame. [6]Un grande grido
si alzerà in tutto il paese di Egitto, quale non vi fu mai e quale non si ripeterà mai più. [7]Ma contro
tutti gli Israeliti neppure un cane punterà la lingua, né contro uomini, né contro bestie, perché
sappiate che il Signore fa distinzione tra l'Egitto e Israele. [8]Tutti questi tuoi servi scenderanno a me
e si prostreranno davanti a me, dicendo: Esci tu e tutto il popolo che ti segue! Dopo, io uscirò!”.
Mosè acceso di collera, si allontanò dal faraone.
Dio è padrone degli eventi, giudice certo e sicuro. Il Signore ha pazientato a lungo, ha atteso la
conversione del Faraone e degli egiziani, ma tutto si è dimostrato vano. I bambini, come sempre,
vengono travolti dall’iniziativa degli adulti. Una distinzione netta tra colpevoli ed innocenti è
possibile soltanto alla conclusione della storia, al giudizio definitivo di Dio. Allora ognuno verrà
giudicato secondo le sue opere: l’oppresso o l’innocente verrà risarcito in modo pieno.
Il salmo (78,50-51) ci fa sapere che la morte dei primogeniti avvenne per una pestilenza. L’autore
del libro della Sapienza considera la loro uccisione come una punizione per la strage dei bambini
ebrei e come un mezzo pedagogico affinché gli egiziani riconoscessero la santità d’Israele:
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«Poiché essi avevano deciso di uccidere i neonati dei santi, per castigo eliminasti una moltitudine
di loro figli. Quelli rimasti increduli a tutto per via delle loro magie, alla morte dei primogeniti
confessarono che questo popolo è figlio di Dio» (Sap 18,5.13). Soprattutto Israele si attesta come il
figlio primogenito di Dio (Es 4,23). Questo atto di salvezza, accompagnato da un strage così vasta,
lascia l’amaro in bocca. È necessario un affidamento alla sapienza di Dio, senza ricriminare (Sap
12,12-13).
Nella redenzione operata da Gesù, non avviene alcun sterminio ma piuttosto Egli sacrifica se
stesso in espiazione del peccato dei suo fratelli. «Là fu una notte di vendetta, qui un giorno di
riscatto. Tutte quelle cose prefiguravano la vera salvezza dell’uomo rinchiuso nella tenebra»
(Pseudo-Macario,Spirito e fuoco. Omelie spirituali (II) 47,9, Qiqajon, Magnano 2008, p. 399).
Dio è capace di cambiare il cuore degli Egiziani (v. 3). «Gli Israeliti avevano lavorato per tanti anni
senza ricevere mercede; non era forse giusto, secondo Dio e secondo gli uomini, che alla fine
fosse loro data? Quando liberò il suo popolo, Dio non fece alcuna ingiustizia nel fargli prendere ciò
di cui era stato depredato» (Epifanio, L’ancora della fede, Città Nuova, Roma 1979, p. 213).
L'istituzione della pasqua e degli azzimi
Circa l'origine della festa di Pasqua, l'accordo tra gli studiosi è maggiore. Viene fissata in un'epoca
nomadica o comunque pre-esodica. Ne fanno fede alcuni indizi del testo biblico. L'ordine di Mosè
di immolare la Pasqua è dato senza alcuna spiegazione; ciò lascia supporre che fosse una
celebrazione già conosciuta. Era una festa di primavera, una festa di famiglia. Il pane si faceva,
senza grande cura, con la farina impastata con l'acqua e posta su una piastra calda. Non si usava
lievito perché non c'era tempo per la lievitazione della pasta. Il sale era sostituito dalle erbe amare
che, oltre a costituire il contorno servivano per aromatizzare il pasto. Anche gli indumenti sono
tipicamente pastorali: i sandali ai piedi, la veste succinta con una cintura ai fianchi per appendervi
oggetti vari, bastone in mano per la guida del gregge. «Di particolare importanza era il rito del
sangue cosparso sugli stipiti delle porte (all'inizio, sui sostegni della tenda). Esso svolgeva, alla
vigilia della transumanza, una grande funzioneapotropaica: allontanava, cioè, dal gregge le
potenze malefiche che potevano insidiare il cammino... per questo i nomadi solevano aspergere
l'ingresso della tenda con il sangue della vittima» (G. Dell’Orto, L’origine della Pasqua, in Il Libro
dell’Esodo, Edizioni Messaggero, Padova 2012, pp. 104-106).
Quanto alla data, la celebrazione avveniva al 14/15 Nisan, e dunque al plenilunio del primo mese,
con la massima chiarezza lunare e per l’importanza che la luna ha nei costumi nomadici come
regolatrice di tutta la vita.
I vari riti
L’Agnello
Capitolo [1]Il Signore disse a Mosè e ad Aronne nel paese d'Egitto: [2]“Questo mese sarà per
voi l'inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno. [3]Parlate a tutta la comunità di
Israele e dite: Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello
per casa. [5]Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra
le pecore o tra le capre [6]e lo serberete fino al quattordici di questo mese: allora tutta
l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. [7]Preso un pò del suo sangue,
lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare. [8]In
quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe
amare. [11]Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in
mano; lo mangerete in fretta. E' la pasqua del Signore!
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[12]In quella notte io passerò per il paese d'Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese
d'Egitto, uomo o bestia; così farò giustizia di tutti gli dei dell'Egitto. Io sono il Signore! [13]Il
sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò
oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio, quando io colpirò il paese d'Egitto. [14]Questo
giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in
generazione, lo celebrerete come un rito perenne.
Abbiamo visto l'origine storica della festa di Pasqua. Vediamo ora il suo significato nell'ambito
cristiano.
Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. «Mosè chiamò
primo mese e inizio dell'anno la solennità di questo tempo [pasquale]. Il primo mese non è dunque
gennaio in cui tutto muore, ma il tempo di Pasqua in cui tutto riprende vita. L'erba dei prati risorge
come da morte, i fiori compaiono sugli alberi. Non fa alcuna meraviglia che in questo tempo il
mondo venga rimesso a nuovo, se lo stesso genere umano oggi viene innovato. Sono
innumerevoli i popoli che, oggi, in tutto il mondo, sbarazzata la decrepitezza del peccato, risorgono
a novità di vita per l'acqua del battesimo» (Cromazio d’Aquileia, Catechesi al popolo, 17, 3, Città
Nuova, Roma 1979, p. 127).
«È proprio nel clima temperato della primavera che Dio ha fondato il mondo. Pertanto il Figlio di
Dio, con la propria risurrezione, fa risorgere il mondo atterrato nello stesso giorno in cui egli prima
l’aveva creato dal nulla, perché venisse restaurato in Cristo tutto ciò che è nei cieli e in terra: da lui,
per mezzo di lui e in lui sono tutte le cose, a lui la gloria nei secoli (Rm 1,36)» (Gaudenzio di
Brescia,Sermoni, 1,1, Città Nuova, Roma 1976, p. 34).
Il vostro agnello sia senza difetto… «Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come
l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il
sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato gia
prima della fondazione del mondo, ma si è manifestato negli ultimi tempi per voi. E voi per opera
sua credete in Dio, che l'ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria e così la vostra fede e la vostra
speranza sono fisse in Dio (1 Pt 1,18-21).
«Tu guarda il vero Agnello, l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo e di’ che come nostra
Pasqua è stato immolato il Cristo (1 Cor 5,7). Quello di cui ora parliamo sono le carni del Verbo di
Dio; se parliamo cose perfette, robuste, forti, vi diamo da mangiare le carni del Verbo di Dio»
(Origene, Omelie sui Numeri, XXIII, 6, Città Nuova, Roma !988, p. 319).
Gli Azzimi
La festa degli azzimi, dal punto di vista storico, era una celebrazione agricola d’origine Cananea;
veniva celebrata in primavera con la raccolta delle prime messi. In seguito anch’essa fu unita alla
celebrazione pasquale (Dt 16,1-18; Lv 23,5-8).
[17]Osservate gli azzimi, perché in questo stesso giorno io ho fatto uscire le vostre schiere dal paese
d'Egitto; osserverete questo giorno di generazione in generazione come rito perenne. [18]Nel primo
mese, il giorno quattordici del mese, alla sera, voi mangerete azzimi fino al ventuno del mese, alla
sera. [19]Per sette giorni non si troverà lievito nelle vostre case, perché chiunque mangerà del
lievito, sarà eliminato dalla comunità di Israele, forestiero o nativo del paese. [20]Non mangerete
nulla di lievitato; in tutte le vostre dimore mangerete azzimi”.
San Paolo, alludendo alla consuetudine degli azzimi, ne trae un’applicazione per la vita cristiana:
«Non sapete che un pò di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per
essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!
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Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma
con azzimi di sincerità e di verità» (1 Cor 5,6-8).
Memoriale
[24]Voi osserverete questo comando come un rito fissato per te e per i tuoi figli per sempre.
[25]Quando poi sarete entrati nel paese che il Signore vi darà, come ha promesso, osserverete
questo rito. [26]Allora i vostri figli vi chiederanno: Che significa questo atto di culto? [27]Voi direte
loro: E' il sacrificio della pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto,
quando colpì l'Egitto e salvò le nostre case”. Il popolo si inginocchiò e si prostrò. [28]Poi gli Israeliti
se ne andarono ed eseguirono ciò che il Signore aveva ordinato a Mosè e ad Aronne; in tal modo
essi fecero.
Che cosa significa memoriale? Perché viene considerato così importante. Certamente in primo
luogo significa ricordare. Ora richiamare alla memoria le grandi opere di Dio e meditare su di esse
ha come effetto quello di rinsaldare la relazione tra l'uomo e dio. Tuttavia il memoriale esprime
qualcosa di più. Esso estende nel presente, grazie al culto, gli effetti dell'evento evocato nel
passato. Il valore e l'efficacia del memoriale dipendono in primo luogo da Dio. L'aspetto decisivo è
che sia Lui a ricordare. Questo significa che ogni suo intervento di grazia non è rivolto in modo
esclusivo ai primi destinatari ma, attraverso il culto, il Signore raggiunge tutti gli uomini, di ogni
generazione, comunicando a loro lo stesso amore e la medesima liberazione, in contesti storici
diversificati. L'intervento storico rimane unico ma, per quanto riguarda l'intenzione di Dio e i suoi
effetti, interessa anche tutte le altre generazioni che ricordano ciò che Egli ha operato nella fede e
nella lode (Cf Dt 5,2-3). Quando Gesù dice fate questo in memoria di me, ossia della mia opera di
salvezza, vuole estendere nel tempo, a vantaggio di tutti, l'evento di salvezza realizzato nel corso
della sua vita terrena. Il compito di far ricordare, nel Nuovo Testamento, è assunto dallo Spirito
Santo. Noi ricordiamo Gesù grazie a questa memoria di Dio. Nell'eterno presente di Cristo tutte le
antiche promesse vengono riprese e attuate. Nel suo oggi, tutte le grandi opere della storia della
salvezza diventano attuali. (Cf. F. Giuntoli,Memoria, in Temi teologici della Bibbia, San Paolo,
Milano 2010, pp. 830-836)
Il colpo mortale: la morte dei primogeniti
[29]A mezzanotte il Signore percosse ogni primogenito nel paese d'Egitto, dal primogenito del
faraone che siede sul trono fino al primogenito del prigioniero nel carcere sotterraneo, e tutti i
primogeniti del bestiame. [30]Si alzò il faraone nella notte e con lui i suoi ministri e tutti gli Egiziani;
un grande grido scoppiò in Egitto, perché non c'era casa dove non ci fosse un morto! [31]Il faraone
convocò Mosè e Aronne nella notte e disse: “Alzatevi e abbandonate il mio popolo, voi e gli Israeliti!
Andate a servire il Signore come avete detto. [32]Prendete anche il vostro bestiame e le vostre
greggi, come avete detto, e partite! Benedite anche me!”. [33]Gli Egiziani fecero pressione sul
popolo, affrettandosi a mandarli via dal paese, perché dicevano: “Stiamo per morire tutti!”. [34]Il
popolo portò con sé la pasta prima che fosse lievitata, recando sulle spalle le madie avvolte nei
mantelli. [35]Gli Israeliti eseguirono l'ordine di Mosè e si fecero dare dagli Egiziani oggetti d'argento
e d'oro e vesti. [36]Il Signore fece sì che il popolo trovasse favore agli occhi degli Egiziani, i quali
annuirono alle loro richieste. Così essi spogliarono gli Egiziani.
La Sapienza non parla di un angelo ma fa intervenire la stessa Parola divina: «Mentre un profondo
silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal
cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio,
portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile» (Sap 18,14-15).
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Così essi spogliarono gli Egiziani. La tradizione cristiana vede nella spoliazione degli Egiziani un
significato metaforico: bisogna servirsi della sapienza elaborata dagli uomini, usandola per scopi
diversi per i quali è stata pensata: «Noi dobbiamo fuggire dall’Egitto, cioè dal mondo violento e
tenebroso. Tuttavia, se scorgiamo in esso qualcosa di valido, di utile e di retto, questo bene deve
essere stimato, catturato e conservato. Molte volte anche gli amanti di questo mondo conoscono
bene gli studi letterari, vivono con rettitudine e sono esperti in molte scienze. Dai filosofi noi
abbiamo attinto molte concezioni che meritavano apprezzamento e dovevano essere onorate.
Catturare questi elementi genuini, conservali in nostro possesso come un patrimonio, è come
impossessarsi dei beni degli egiziani. Agire così, però, non è commettere alcuna colpa» (Bruno di
Segni, Commento all’Esodo, PL 164. 239 A).
Partenza di Israele
[37]Gli Israeliti partirono da Ramses alla volta di Succot, in numero di seicentomila uomini capaci di
camminare, senza contare i bambini. [38]Inoltre una grande massa di gente promiscua partì con loro
e insieme greggi e armenti in gran numero. [39]Fecero cuocere la pasta che avevano portata
dall'Egitto in forma di focacce azzime, perché non era lievitata: erano infatti stati scacciati dall'Egitto
e non avevano potuto indugiare; neppure si erano procurati provviste per il viaggio. [40]Il tempo
durante il quale gli Israeliti abitarono in Egitto fu di quattrocentotrent'anni. [41]Al termine dei
quattrocentotrent'anni, proprio in quel giorno, tutte le schiere del Signore uscirono dal paese
d'Egitto. [42]Notte di veglia fu questa per il Signore per farli uscire dal paese d'Egitto. Questa sarà
una notte di veglia in onore del Signore per tutti gli Israeliti, di generazione in generazione.
I primogeniti e gli azzimi
Capitolo 13 [1]Il Signore disse a Mosè: [2]“Consacrami ogni primogenito, il primo parto di ogni
madre tra gli Israeliti - di uomini o di animali -: esso appartiene a me”.
Fin dall'epoca antica i primogeniti israeliti godevano di alcuni privilegi. Ricevevano il doppio
dell'eredità, in modo che il patrimonio non venisse disperso. La legge promulgata in un secondo
tempo, rese stabile il diritto di primogenitura (Cf. Dt 21,15-17). Il primogenito doveva essere
consacrato a Dio perché a Lui, Signore della creazione, si doveva offrire il meglio di quanto nasce
sulla terra. Inoltre il motivo della consacrazione a Dio fu vincolato al ricordo che il Signore si era
preso cura del suo popolo, che era da lui considerato come il suo primogenito. L'evangelista Luca
(2,7) applica il titolo a Gesù. Egli intendeva dire: non soltanto Maria non aveva avuto altri figli prima
di lui ma che Gesù godeva del privilegio della consacrazione a Dio. Egli fu presentato al Signore
nel tempio dai suoi genitori (Lc 1,22). Gesù però non ottenne il riscatto come accadde ad Isacco,
ma si consegnè realmente a Dio, immolandosi per noi (Cf Eb 9,5).
Il passaggio del mare
Assistiamo ora all'evento culminante della liberazione dall'Egitto, il passaggio attraverso il Mar
Rosso. Il testo biblico non vuole consegnarci tanto la cronaca degli avvenimenti ma il loro
significato più profondo. Per opera di Dio, il popolo in fuga viene sottratto alla presa ultima di
Faraone. Ora diventa libero in modo certo e definitivo. Non potrà più accadere che qualcuno lo
riporti indietro, alla condizione precedente. Soltanto il popolo rischia di divenire nemico a se stesso
ed avere nostalgia del passato dal quale desiderava staccarsi. Il passato si è dissolto, il futuro è
aperto. Bisognerà dare forma, con consapevolezza, alla libertà ottenuta in modo gratuito.
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Verso il mare
Il Signore, volendo proteggere il popolo in fuga, ne traccia il progetto del viaggio verso la terra
promessa. Sapendo che esso è debole nella fede, impedisce che venga a trovarsi in difficoltà tali
da soccombere sotto il loro peso. Potrebbe scegliere di tornare indietro, rinunciando alla libertà. La
traslazione delle ossa di Giuseppe, attesta che il periodo storico precedente, che ha avuto i
patriarchi come protagonisti, ormai si chiude ma tutto il popolo dovrà condividerne le gesta
significative della loro fede.
Cap. 13 [17]Quando il faraone lasciò partire il popolo, Dio non lo condusse per la strada del paese
dei Filistei, benché fosse più corta, perché Dio pensava: “Altrimenti il popolo, vedendo imminente la
guerra, potrebbe pentirsi e tornare in Egitto”. [18]Dio guidò il popolo per la strada del deserto verso il
Mare Rosso. Gli Israeliti, ben armati uscivano dal paese d'Egitto. [19]Mosè prese con sé le ossa di
Giuseppe, perché questi aveva fatto giurare solennemente gli Israeliti: “Dio, certo, verrà a visitarvi;
voi allora vi porterete via le mie ossa”.
[20]Partirono da Succot e si accamparono a Etam, sul limite del deserto. [21]Il Signore marciava alla
loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una
colonna di fuoco per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e notte. [22]Di giorno la
colonna di nube non si ritirava mai dalla vista del popolo, né la colonna di fuoco durante la notte.
Dio non permette che il popolo venga tentato oltre le sue forze (1 Cor 10,13) ma questo non
significa che esso non dovrà passare attraverso delle prove che gli consentirà di maturare. Egli lo
guida con premura (Sal 121,3-8; Sal 91,14-16). Con la stessa premura protegge nel deserto la sua
Chiesa ( Ap 12,6.14)
Diversità di progetti
Il re d’Egitto è già pentito della decisione che ha preso. Il passo presenta dapprima la prospettiva
di Dio (1-4) e poi quella del Faraone (5-9). Tutto è previsto da Dio, anche il ripensamento del re, e
tutto coopererà alla sua glorificazione. Israele non è in trappola, come può sembrare, perché si
trova nelle mani di Dio e si è lasciato guidare da Lui.
Capitolo 14 [1]Il Signore disse a Mosè: [2]“Comanda agli Israeliti che tornino indietro e si accampino
davanti a Pi-Achirot, tra Migdol e il mare, davanti a Baal-Zefon; di fronte ad esso vi accamperete
presso il mare. [3]Il faraone penserà degli Israeliti: Vanno errando per il paese; il deserto li ha
bloccati! [4]Io renderò ostinato il cuore del faraone ed egli li inseguirà; io dimostrerò la mia gloria
contro il faraone e tutto il suo esercito, così gli Egiziani sapranno che io sono il Signore!”. Essi
fecero in tal modo.
[5]Quando fu riferito al re d'Egitto che il popolo era fuggito, il cuore del faraone e dei suoi ministri si
rivolse contro il popolo. Dissero: “Che abbiamo fatto, lasciando partire Israele, così che più non ci
serva!”. [6]Attaccò allora il cocchio e prese con sé i suoi soldati. [7]Prese poi seicento carri scelti e
tutti i carri di Egitto con i combattenti sopra ciascuno di essi. [8]Il Signore rese ostinato il cuore del
faraone, re di Egitto, il quale inseguì gli Israeliti mentre gli Israeliti uscivano a mano alzata. [9]Gli
Egiziani li inseguirono e li raggiunsero, mentre essi stavano accampati presso il mare: tutti i cavalli e
i carri del faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito si trovarono presso Pi-Achirot, davanti a BaalZefon.
Faraone, ritenendo che gli ebrei emigrati si siano cacciati da sé in una trappola mortale, privi
dell'aiuto di Dio, si precipita ad inseguirli per ricondurli in schiavitù. Vede nelle persone soltanto
un’occasione di profitto, senza provare nessuna misericordia verso i suoi simili. È privo di umanità.
Misconosce anche l'opera di Dio, sebbene talora sembrava che fosse disponibile a riconoscerla.
Dio che conosce bene i pensieri del sovrano d’Egitto, gli porge l’occasione per giungere o alla
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conversione (piuttosto improbabile) o al culmine dell’impudenza, così da eliminarlo per sempre. Il
peccato di Faraone deve giungere al suo culmine e la sua ostinazione è così forte da meritare una
riprovazione definitiva (cf. la condanna di re Erode At 12,21-23).
Il grido d’incredulità
Gli Ebrei, vedendo avvicinarsi l'esercito nemico, sono invasi dal terrore e si pentono di aver
lasciato l'Egitto, proprio come Faraone s'era pentito di non averli trattenuti a forza. Entrambi
convengono in una mentalità priva di fede. Oppressori ed oppressi criticano entrambi lo stesso
evento di salvezza, i primi per egoismo, i secondi per servilismo e incapacità a credere. Gli
Israeliti, considerandosi in un pericolo mortale, gridano al Signore e se la prendono con Mosè in
toni molto aspri. Vedono davanti a sé soltanto la morte e non pensano che sia possibile un’altra
prospettiva migliore. L’esperienza vissuta in Egitto, ossia il superamento di pericoli con l’aiuto
divino, non li ha persuasi.
Mosè non si lascia scoraggiare. Non replica loro in modo risentito, non li abbandona a se stessi.
Egli vede un’altra conclusione che era rimasta preclusa alla mente del popolo: Dio combatterà per
voi.
[10]Quando il faraone fu vicino, gli Israeliti alzarono gli occhi: ecco, gli Egiziani muovevano il campo
dietro di loro! Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore. [11]Poi dissero a Mosè:
“Forse perché non c'erano sepolcri in Egitto ci hai portati a morire nel deserto? Che hai fatto,
portandoci fuori dall'Egitto? [12]Non ti dicevamo in Egitto: Lasciaci stare e serviremo gli Egiziani,
perché è meglio per noi servire l'Egitto che morire nel deserto?”. [13]Mosè rispose: “Non abbiate
paura! Siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera per voi; perché gli Egiziani che voi
oggi vedete, non li rivedrete mai più! [14]Il Signore combatterà per voi, e voi starete tranquilli”.
Il salmista, parlando a nome di tutti, riconosce la grave mancanza di fede: «Abbiamo peccato
come i nostri padri, abbiamo fatto il male, siamo stati empi. I nostri padri in Egitto non compresero i
tuoi prodigi, non ricordarono tanti tuoi benefici e si ribellarono presso il mare, presso il mar Rosso.
Ma Dio li salvò per il suo nome, per manifestare la sua potenza» (Sal 107,6-8). Gli israeliti
contestano Dio senza aver l’ardire di farlo in modo diretto. Rifiutare l’inviato di Dio, tuttavia, è come
rifiutare Lui stesso. Egli non si manifesta mai come splendore accecante ma si mostra nella
piccolezza dei suoi mediatori. Il popolo rifiuta di seguire un messaggero per nulla appariscente.
L’invito a stare tranquilli è, invece, una grande espressione di fede. Isaia ripeterà lo stesso invito in
un'altra situazione storica difficile per gli ebrei: «Poiché dice il Signore Dio, il Santo di Israele:
Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza,
nell'abbandono confidente sta la vostra
forza» (Is 30,15).
La tradizione ebraica commenta così l’esortazione di Mosè: «Il popolo era combattuto, si
formarono diversi partiti. Il primo propugnava di gettarsi tutti in mare e lì trovare la morte, il
secondo caldeggiava il ritorno in Egitto, un terzo sosteneva di andare allo scontro col nemico,
mentre un quarto riteneva opportuno spaventare gli egiziani producendo un insopportabile
frastuono. Ai primi Mosè ripetè: «Non temete. Siate fermi e vedrete la liberazione del Signore»; ai
secondi disse: «Come avete veduto oggi gli egiziani, non li vedrete più in perpetuo»; ai terzi
garantì: «II Signore combatterà per voi » e ai quarti disse infine: «State pure in pace». «Che cosa
dovremmo dunque fare?» lo incalzarono questi ultimi, e Mosè rispose: «Benedite, esaltate, lodate,
adorate e glorificate l'Eterno! ». Così invece della spada, i figli d'Israele usarono la bocca, che
valse loro più d'ogni strumento bellico: il Signore ascoltò infatti la loro preghiera - che invero
aspettava» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV…, pp. 143-144).
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Miracolo del mare
Il Signore ordina al profeta che il popolo riprende la marcia, e quest'ultimo riceve l’invito a muoversi
verso il mare, quando non esiste ancora alcun guado. Il dono di Dio consiste nel creare una strada
percorribile là dove la situazione è bloccata; è ridare la possibilità di una vita piena, quando tutte le
nostre risorse sono finite.
Capitolo 14 [15]Il Signore disse a Mosè: “Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere
il cammino. [16]Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti
entrino nel mare all'asciutto. [17]Ecco io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro
di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri.
[18]Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone, i
suoi carri e i suoi cavalieri”.
Perché gridi verso di me? In che cosa consiste il grido di Mosè visto che non è stato detto che
avesse alzato la voce? Forse personifica il grido del popolo? C’è un Mosè che crede e sostiene la
massa e un altro più pauroso ed tendente anch’egli alla sfiducia? In noi c’è la voce della debolezza
umana che grida e la voce dello Spirito che ci innalza alle altezze divine. La tradizione ebraica
chiarifica quale poteva essere l’invocazione di Mosè: «Sovrano del mondo! Mi sento come un
pastore tanto imprudente che ha condotto il gregge sul ciglio di un precipizio e ora non sa più
come riportarlo a valle. Sai bene, o Signore, che siamo di fronte a difficoltà insormontabili, fuori
della portata delle umane possibilità: solo Tu puoi procurarci la salvezza da questa armata che ha
lasciato l'Egitto su tuo ordine. In Te solo confidiamo, disperando d'ogni altra risorsa: se una via di
scampo esiste, sarai Tu ad aprirla per noi» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV…, p.144).
«La vera preghiera non sta nella voce della bocca, ma nei pensieri del cuore. Non sono le nostre
parole, ma i nostri desideri, che fanno salire le voci, più potenti nell'intimo delle orecchie di Dio. Se
con la bocca chiediamo la vita eterna, ma con il cuore non la desideriamo, il nostro gridare è un
tacere. Se invece la desideriamo di cuore, anche se la bocca tace il nostro silenzio è un grido.
Ecco, nel deserto, il popolo strepita mentre Mosè tace. Il suo silenzio, tuttavia, si fa sentire
all'orecchio della bontà di Dio, che gli dice: Perché gridi verso di me? C'è dunque dentro di noi, nel
desiderio, un grido segreto, che non giunge alle orecchie dell'uomo e tuttavia riempie l'udito del
Creatore» (Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, IV, XXII, 43). «Come i santi gridano a
Dio senza emettere voce. L'Apostolo insegna che Dio ha posto lo Spirito del Figlio suo nei nostri
cuori che grida: Abba, padre!, e aggiunge: Lo stesso Spirito intercede per noi con gemiti
inenarrabili. E ancora: Colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito. Così, per
l’intercessione dello Spirito Santo, si sente presso Dio il silenzioso grido dei santi»
(Origene, Omelie sull’Esodo, V,4, pp. 105-106).
Una strategia bellica
Il Signore sembra pianificare una strategia bellica e sa dirigere con sapienza, di volta in volta, le
mosse a favore del suo popolo. L’angelo, dalla testa della colonna, si sposta indietro e così Dio si
rivela non soltanto come la guida ma anche come la protezione del popolo. Il vento e la divisione
della massa d’acqua ricorda i fatti che danno inizio alla prima creazione (Gn 1,2); il vento è anche
l’elemento che abbassa le acque del diluvio (Gn 8,1). Siamo di fronte ad una nuova creazione
emergente dal caos, non della natura, ma della storia.
[19]L'angelo di Dio, che precedeva l'accampamento d'Israele, cambiò posto e passò indietro. Anche
la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro. [20]Venne così a trovarsi tra
l'accampamento degli Egiziani e quello d'Israele. Ora la nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli
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altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte.
[21]Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte, risospinse il mare con un
forte vento d'oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. [22]Gli Israeliti entrarono nel mare
asciutto, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra. [23]Gli Egiziani li
inseguirono con tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri, entrando dietro di loro in
mezzo al mare.
Nella riflessione ebraica il passaggio del mare rievoca la prima creazione e lo considera così una
nuova creazione: «Il Signore disse ancora a Mosè: “Non hai letto l’inizio della Scrittura, dove
dico: Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un sol luogo e appaia l’asciutto? Fin d’allora
ho stabilito che le acque si sarebbero divise di fronte a Israele”» (L. Ginzberg, Le leggende degli
ebrei, IV…, p. 146).
Dio ci aiuta a superare le impossibilità della vita. In questo evento l’estrema difficoltà è data dalla
impercorribilità della massa d'acqua; in altre circostanze a rendere impossibile la vita sono il
deserto o il fuoco (Is 41,17; 43,2-3).
Il senso cristiano del passaggio del mare
Gesù appare agli apostoli e si rivela a loro come l’Io sono (Cf. Gv 6,16-22). Invita Pietro a
camminare sulle acque del lago (cf. Mt 14,29). In un'altra circostanza, dopo la Pasqua, l'apostolo
Pietro, prigioniero del re Erode, passa indenne attraverso il picchetto delle guardie (At 12,10). San
Paolo parla di aver ripreso vita, proprio nel momento in cui si trovava in una situazione estrema (2
Cor 1,8-11).
La risurrezione di Gesù è stata un passaggio al livello più sublime.
La nostra partecipazione alla Pasqua del Signore inizia con il battesimo e in questo sacramento
avviene per noi il primo passaggio del mare (1 Cor 10,2). Gli autori spirituali cristiani propongono di
scoprire la relazione tra il passaggio del mare e il Battesimo: «Chi rappresenta il Faraone con tutto
il suo esercito se non il diavolo con tutta la schiera dei demoni? Gli ebrei, invece, non raffigurano
forse il popolo cristiano? Che cosa significa l’acqua del Mar Rosso se non il Battesimo? Gli
Egiziani inseguono gli ebrei evi trovano la morte, Così pure i vizi e gli spiriti maligni, continuando
ad inseguire i cristiani fino al momento del battesimo, perdute le loro forze, periscono e vengono
meno» (Bruno di Segni, Commento all’Esodo, PL 164.264 D).
Soprattutto al termine della nostra vita, rivivremo il passaggio dell’Esodo. La seconda lettera di
Pietro parla della morte come di un ingresso nel regno di Cristo; la morte poi è abbandonare la
tenda di un peregrinare terreno. «Cercate di render sempre più sicura la vostra vocazione e la
vostra elezione. Se farete questo non inciamperete mai. Così infatti vi sarà ampiamente aperto
l'ingresso (eisodos) nel regno eterno del Signore nostro» (2 Pt 1,10-11). «Io credo giusto, finché
sono in questa tenda del corpo, di tenervi desti con le mie esortazioni, sapendo che presto dovrò
lasciare questa mia tenda... E procurerò che anche dopo la mia partenza (exodon) voi abbiate a
ricordarvi di queste cose» (2 Pt 1,13-15).
«Vidi pure come un mare di cristallo misto a fuoco e coloro che avevano vinto la bestia e la sua
immagine e il numero del suo nome, stavano ritti sul mare di cristallo. Accompagnando il canto con
le arpe divine, cantavano il cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell'Agnello» (Ap 15,2-3).
La fase culminante
Nel momento del passaggio, s’accende anche una battaglia. A Dio, che è un forte guerriero, basta
gettare un semplice sguardo per sbaragliare un intero esercito. Al mattino, sorge di nuovo la vita,
la sconfitta del caos, della morte e della tenebra. La salvezza è un atto concreto e completo,
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un’anticipazione del giudizio definitivo di Dio su tutto il male della storia. Allora Israele perviene alla
fede in Dio.
[24]Ma alla veglia del mattino il Signore dalla colonna di fuoco e di nube gettò uno sguardo sul
campo degli Egiziani e lo mise in rotta. [25]Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano
a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: “Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per
loro contro gli Egiziani!”. [26]Il Signore disse a Mosè: “Stendi la mano sul mare: le acque si riversino
sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri”. [27]Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del
mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il
Signore li travolse così in mezzo al mare. [28]Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri
di tutto l'esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure
uno. [29]Invece gli Israeliti avevano camminato sull'asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano
per loro una muraglia a destra e a sinistra. [30]In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli
Egiziani e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; [31]Israele vide la mano potente con la
quale il Signore aveva agito contro l'Egitto e il popolo temette il Signore e credette in lui e nel suo
servo Mosè.
Il Signore è l’unico a combattere e a vincere. «Fu per loro un salvatore in tutte le angosce. Non un
inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione egli li ha riscattati; li ha
sollevati e portati su di sé, in tutti i giorni del passato» (Is 63,8-14). La battaglia presso il mare è come
un prototipo di altri interventi salvifici nei quali è soltanto Dio a combattere (cf. 2 Cr 20,1-30).
Egli compie sempre di nuovo le medesime meraviglie a favore del giusto. «Se contro di me si
accampa un esercito, il mio cuore non teme; se contro di me divampa la battaglia, anche allora ho
fiducia» (Sal 27,3). Il re Davide vede nel salvamento da un pericolo mortale, nel corso di una
battaglia, un rinnovarsi del passaggio del mare:
«Mi circondavano flutti di morte, mi travolgevano torrenti impetuosi; gia mi avvolgevano i lacci degli
inferi, gia mi stringevano agguati mortali. Nel mio affanno invocai il Signore, nell'angoscia gridai al
mio Dio: al suo orecchio pervenne il mio grido. Il Signore tuonò dal cielo, l'Altissimo fece udire la sua
voce… Scagliò saette e li disperse, fulminò con folgori e li sconfisse. Allora apparve il fondo del
mare, si scoprirono le fondamenta del mondo, per la tua minaccia, Signore, per lo spirare del tuo
furore. Stese la mano dall'alto e mi prese, mi sollevò dalle grandi acque, mi liberò da nemici potenti,
da coloro che mi odiavano ed eran più forti di me. Mi assalirono nel giorno di sventura, ma il Signore
fu mio sostegno; mi portò al largo, mi liberò perché mi vuol bene» (Sal 18, 5-7.15-20).
Nemici di Dio sono gli uomini corrotti e corruttori:
«Il Signore sa liberare i pii dalla prova e serbare gli empi per il castigo nel giorno del giudizio.
Costoro, come animali irragionevoli nati per natura a essere presi e distrutti, saranno distrutti nella
loro corruzione, subendo il castigo come salario dell'iniquità. Essi stimano felicità il piacere d'un
giorno; sono tutta sporcizia e vergogna; si dilettano dei loro inganni mentre fan festa con voi… Con
discorsi gonfiati e vani adescano mediante le licenziose passioni della carne coloro che si erano
appena allontanati da quelli che vivono nell'errore. Promettono loro libertà, ma essi stessi sono
schiavi della corruzione. Perché uno è schiavo di ciò che l'ha vinto» (2 Pt 2,9-19).
Agire in modo iniquo è incorrere nel giudizio di Dio.
Il Cantico di Mosè
La necessità della lode
Il Signore Dio viene celebrato come il Prode in guerra, il Pastore che conduce il popolo prima
attraverso il mare d’acqua e poi attraverso quel mare rappresentato dai popoli ostili, il Contadino
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che pianta Israele nella terra, il Costruttore del tempio là dove, mediante il culto, l’esperienza della
liberazione diventa un evento permanente.
Capitolo 15 [1]Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero: “Voglio cantare
in onore del Signore:
perché ha mirabilmente trionfato,
ha gettato in mare
cavallo e cavaliere. [2]Mia
forza e mio canto è il Signore,
egli mi ha salvato.
E' il mio Dio e lo voglio lodare,
è il Dio di mio
padre
e lo voglio esaltare! [3]Il Signore è prode in guerra,
si chiama Signore. [11]Chi è come te fra gli
dei, Signore?
Chi è come te,
maestoso in santità,
tremendo nelle imprese,
operatore di prodigi?
[12]Stendesti la destra:
la terra li inghiottì.
Nasce la necessità del canto: «Voglio ricordare i benefici del Signore, le glorie del Signore, quanto
egli ha fatto per noi. Egli è grande in bontà per la casa di Israele. Egli ci trattò secondo il suo
amore,secondo la grandezza della sua misericordia» (Is 63,7.11-14). L'agire di Dio è splendido e
maestoso (Sal 111,3). Le opere del Signore sono grandi e coloro che le amano le ricercano, le
fanno riecheggiare nella loro mente e nel loro cuore (Sal 111,2; Lc 2,19). Possiamo affermare di
aver compreso l'agire di Dio quando diventa oggetto di meditazione ma soprattutto di lode nel
nostro intimo. I santi diventano un flauto suonato dal soffio dello Spirito di Dio: «Il soffio che
attraversa il flauto emette un suono, così lo Spirito santo attraverso gli uomini spirituali innalza inni
e prega Dio in un cuore puro. Gloria a Colui che ha liberato l'anima dalla schiavitù del faraone e
che ha fatto di essa il suo trono, la sua dimora, il suo tempio, la sua sposa immacolata e l'ha fatta
entrare nel regno della vita eterna mentre essa si trova ancora in questo mondo» (PseudoMacario, Spirito e fuoco, 47,14, p. 402).
Una traversata molto lunga
Il Cantico riprende i temi già esposti nel racconto della traversata. Compare, però, un elemento
nuovo significativo. L'attraversamento del pericolo non termina non appena sia stata raggiunta
l'altra sponda del mare ma prosegue nel passare attraverso le popolazioni ostili già presenti nella
terra di Canaan (15,14-16). Questo particolare ci mostra come l'esperienza dell'Esodo possa
essere rivissuta in circostanze storiche diverse. Inoltre il cammino dell'uscita dall'Egitto ha come
traguardo l'arrivo del popolo al monte del Signore dove sorge il tempio (15,13.17).
[13]Guidasti con il tuo favore
questo popolo che hai riscattato,
lo conducesti con forza
alla tua
santa dimora.[14]Hanno udito i popoli e tremano;
dolore incolse gli abitanti della Filistea. [15]Gia si
spaventano i capi di Edom,
i potenti di Moab li prende il timore;
tremano tutti gli abitanti di
Canaan.[16]Piombano sopra di loro
la paura e il terrore;
per la potenza del tuo braccio
restano
immobili come pietra,
finché sia passato il tuo popolo, Signore,
finché sia passato questo tuo
popolo
che ti sei acquistato. [17]Lo fai entrare e lo pianti
sul monte della tua eredità,
luogo che per
tua sede,
Signore, hai preparato,
santuario che le tue mani,
Signore, hanno fondato. [18]Il Signore
regna in eterno e per sempre!”.
Israele deve stringersi attorno al Signore presente nel suo tempio. Mediante l'esperienza del culto,
l'evento della liberazione può essere rinnovato in continuità e quindi porsi come un
autenticomemoriale. Grazie al culto Dio può esercitare di continuo la sua sovranità sul suo popolo
e renderlo libero da tutto ciò che l'opprime (Cf. Sal 29,1-11).
L’evento del mare è un segno e una piccola anticipazione della redenzione futura: «Mosè disse al
popolo: “Ora avete visto tutti i segni, i prodigi e le opere della glori che il Signore benedetto ha
prodotto per voi, ma ben più Egli farà nel tempo a venire. In futuro non ci saranno più né il dolore
né l’inimicizia, né Satana né l’Angelo della morte, né tormenti né oppressione e nemmeno l’istinto
malvagio”» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV…, p. 160-161).
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Le tappe verso il monte Sinai
Israele è libero da Faraone ma non è ancora libero da se stesso. Non può esserlo finché non si
dedica e non si consegna interamente a Dio. Egli è il re che vuole creare la libertà di quanti
s'affidano a Lui. Bisogna, allora, imparare a credere. «Il Signore minacciò il mar Rosso e fu
disseccato, li condusse tra i flutti come per un deserto; li salvò dalla mano di chi li odiava, li riscattò
dalla mano del nemico. Allora credettero alle sue parole e cantarono la sua lode. Ma presto
dimenticarono le sue opere, non ebbero fiducia nel suo disegno» (Sal 107,9-13). Il percorso nel
deserto verso la terra è visto come un progetto educativo per imparare ad avere fiducia nel
disegno divino, senza dimenticare le sue opere: «Riconosci in cuor tuo che, come un uomo
corregge il figlio, così il Signore tuo Dio, corregge te» (Dt 8,5). L'insegnamento dei cinque episodi,
dal passaggio del mare al Sinai – Mara, la manna, Massa, Amalek, incontro con Ietro – può essere
riassunto da questo messaggio del salmo 81: «Se il mio popolo mi ascoltasse, se Israele
camminasse per le mie vie! Subito piegherei i suoi nemici... lo nutrirei con fiore di frumento, lo
sazierei con miele di roccia» (vv.14-17).
Israele viene educato a comportarsi come dovrebbe fare da popolo di Dio: fidarsi di lui sempre,
anche nelle circostanze difficili, attendere tutto da Lui, vivere un'obbedienza radicale a Lui, in
gioiosa fiducia. Se Israele accettasse di farsi guidare da Dio, in modo tale da appartenere a Lui, la
grazia sperimentata nell'uscita dall'Egitto, diventerebbe permanente. Si pensa già da ora a quando
sarà giunto nella terra e lo si allena a ricevere il dono della Legge.
Dio si manifesta come guaritore, nutritore e protettore. Il suo dono massimo consiste nella sua
Legge. La sua Parola è dono che guarisce, nutre e protegge. Chi si fida di Dio, lo ascolta e gli
obbedisce.
L’acqua di Mara
I viandanti usciti dall’Egitto, dopo aver camminato a lungo all’interno del deserto, trovano soltanto
dell’acqua non potabile. Sperimentano così una sventura già accaduta agli Egiziani quando non
avevano potuto bere l'acqua del Nilo perché era imputridita. Ora però la grazia di Dio cambia
l'amarezza in dolcezza. Segue una proposta da parte del Signore: se vi fiderete di me e mi
obbedirete, conoscerete la guarigione; io cambio l'amarezza in dolcezza. La grazia ottenuta a
Mara continua nell'obbedienza e, quasi a garanzia di questa promessa, viene donato, in seguito, il
godimento dell'oasi di Elim.
Cap. 15 [22]Mosè fece levare l'accampamento di Israele dal Mare Rosso ed essi avanzarono verso il
deserto di Sur. Camminarono tre giorni nel deserto e non trovarono acqua. [23]Arrivarono a Mara, ma
non potevano bere le acque di Mara, perché erano amare. Per questo erano state chiamate Mara.
[24]Allora il popolo mormorò contro Mosè: “Che berremo?”. [25]Egli invocò il Signore, il quale gli
indicò un legno. Lo gettò nell'acqua e l'acqua divenne dolce. In quel luogo il Signore impose al
popolo una legge e un diritto; in quel luogo lo mise alla prova. [26]Disse: “Se tu ascolterai la voce del
Signore tuo Dio e farai ciò che è retto ai suoi occhi, se tu presterai orecchio ai suoi ordini e
osserverai tutte le sue leggi, io non t'infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitte agli Egiziani,
perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!”. [27]Poi arrivarono a Elim, dove sono dodici
sorgenti di acqua e settanta palme. Qui si accamparono presso l'acqua.
Il Signore è un perenne guaritore e risanatore (Ger 3,22; 33,6). «Io li guarirò dalla loro infedeltà, li
amerò profondamente, perché la mia ira si è allontanata da loro» (Os 14,4); «Ho visto le sue vie,
ma voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. E ai suoi afflitti io pongo sulle labbra: Pace,
pace ai lontani e ai vicini –dice il Signore – e io li guarirò» (Is 57,18-19); «Curerò la tua ferita e ti
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guarirò dalle tue piaghe, poiché ti chiamano la ripudiata, o Sion, quella che nessuno ricerca» (Ger
30,17).
Gesù, a sua volta afferma: chi prende su di me il giogo che gli impongo, sentirà sollievo: «Prendete
il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la
vostra vita» (Mt 11,29).
Il cambiamento dell’amarezza in dolcezza è stato sperimentato anche da molti cristiani. Un
esempio lo troviamo nella vicenda di san Paolo Le-Bao-Tinh, incarcerato per la fede: «Voglio farvi
conoscere le tribolazioni nelle quali quotidianamente sono immerso, perché infiammati dal divino
amore, innalziate con me le vostre lodi a Dio... Questo carcere è davvero un’immagine dell’inferno
eterno... Dio, che liberò i tre giovani dalla fornace ardente, mi è sempre vicino; e ha liberato anche
me da queste tribolazioni, trasformandole in dolcezza: eterna è la sua misericordia. In mezzo a
questi tormenti, che di solito piegano e spezzano gli altri, per la grazia di Dio sono pieno di gioia e
letizia, perché non sono solo, ma Cristo è con me» (Dall’epistolario di san Paolo Le-Bao-Tinh agli
alunni del Seminario di Ke-Vinh nel 1843 in Launay A., Le clergé tonkinois et ses prêtres martyrs,
MEP, Paris 1925, pp. 80-83).
Il dono della manna
La fame
Dopo aver provato la sete, i viandanti nel deserto sperimentano anche la fame e subito protestano
in modo vivace. La mormorazione non è soltanto un generico malcontento ma una manifestazione
di vera mancanza di fede. Quegli uomini totalmente precluso il loro futuro e, tendono a
preoccuparsi in modo eccessivo del cibo e della loro situazione economica, come siamo propensi
a fare tutti. Gli uomini, pur di garantirsi il futuro, giungono a compiere perfino azioni inique.
Capitolo 16 [1]Levarono l'accampamento da Elim e tutta la comunità degli Israeliti arrivò al deserto di
Sin, che si trova tra Elim e il Sinai, il quindici del secondo mese dopo la loro uscita dal paese
d'Egitto. [2]Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. [3]Gli
Israeliti dissero loro: “Fossimo morti per mano del Signore nel paese d'Egitto, quando eravamo
seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatti uscire in questo
deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine”.
Una leggenda ebraica mette bene a fuoco quale doveva essere il sentimento del popolo in quel
momento: «Dicevano gli ebrei: “Siamo emigrati per smania di libertà e ora siamo schiavi dei
bisogni più elementari, e non siamo divenuti - come ci era stato promesso da Mosè - i più beati,
ma piuttosto i più disgraziati fra gli uomini. Dopo averci inculcato sublimi aspettative e riempito le
orecchie di vane speranze, ora il nostro capo ci tortura con la penuria, negandoci persino il cibo
necessario. Ha ingannato questa moltitudine con l'illusione di una meta nuova, per condurci da un
luogo familiare e abitabile in un altro desolato, e ora per mandarci sottoterra, l’ultimo traguardo
della vita”» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV…, p. 166). Questo testo ricorda che spesso
gli uomini, pur di garantirsi il benessere o la sicurezza economica, rinunciano alla libertà e
alla dignità. Anzi i poteri forti approfittano spesso di questo bisogno, per tenere soggiogate le
persone e per sfruttarle.
L’autore della lettera agli Ebrei esorta i fedeli a non lascirsi dominare dall’angoscia per la povertà e
a guardarsi dall’avarizia: «La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che
avete, perché Dio stesso ha detto: Non ti lascerò e non ti abbandonerò. Così possiamo dire con
fiducia: il Signore è il mio aiuto, non avrò paura. Che cosa può farmi l'uomo?» (Eb 13,3).
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La promessa del cibo
Alle mormorazioni, Dio non risponde con il risentimento ma donando un segno ancora più chiaro
della sua provvidenza. Non solo offre cibo, ma un dono ancora più grande, che consiste
nell'allenamento alla fiducia in Lui. Israele crede di aver fede in Dio perché non mormora
direttamente contro di Lui e se la prende con i suoi inviati. Mosé smaschera quest'illusione:
rifiutare gli inviati di Dio, è un modo di rifiutare Lui stesso.
[4]Allora il Signore disse a Mosè: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà
a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se
cammina secondo la mia legge o no. [5]Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che
dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che raccoglieranno ogni altro giorno”. [6]Mosè e
Aronne dissero a tutti gli Israeliti: “Questa sera saprete che il Signore vi ha fatti uscire dal paese
d'Egitto; [7]domani mattina vedrete la Gloria del Signore; poiché egli ha inteso le vostre
mormorazioni contro di lui. Noi infatti che cosa siamo, perché mormoriate contro di noi?”. [8]Mosè
disse: “Quando il Signore vi darà alla sera la carne da mangiare e alla mattina il pane a sazietà, sarà
perché il Signore ha inteso le mormorazioni, con le quali mormorate contro di lui. Noi infatti che cosa
siamo? Non contro di noi vanno le vostre mormorazioni, ma contro il Signore”.
«Malgrado tutte queste lamentele rivolte contro di lui, Mosè era indignato non tanto dalle parole
quanto dalla fiacchezza degli uomini di cui era guida: dopo tutte le cose straordinarie che avevano
già visto, infatti, essi avrebbero dovuto confidare serenamente in lui, che aveva dato prova
tangibile della propria affidabilità a dispetto dei fenomeni naturali. Considerando d'altra parte le loro
difficoltà, Mosè non poté fare a meno di perdonarli, perché in fondo la massa è sempre
arrendevole e si lascia influenzare dalle impressioni del momento, è incline a dimenticare il
passato e guardare con ansia verso il futuro» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV…, p. 167).
Per i pellegrini del deserto era difficile pensare che Dio li accompagnasse giorno dopo giorno,
mostrando attenzione per le loro necessità. È la nostra fatica di sempre. È più facile credere
all’esistenza di Dio che alla sua provvidenza. È arduo credere che il Signore ci accompagni con
amore, sempre. Difficile credere che Dio ci educhi attraverso le istituzioni che Egli stesso ha
stabilito, come la Chiesa e i suoi ministri, perché vediamo che non presentano un carattere
assoluto. Eppure il progetto concreto al quale Egli vuole che ci sottomettiamo docilmente, è il suo
alimento più nutriente.
Rinnovo della promessa
Dio perdona la mancanza di fiducia e accoglie le mormorazioni come se fossero state delle
suppliche.
[9]Mosè disse ad Aronne: “Dà questo comando a tutta la comunità degli Israeliti: Avvicinatevi alla
presenza del Signore, perché egli ha inteso le vostre mormorazioni!”. [10]Ora mentre Aronne parlava
a tutta la comunità degli Israeliti, essi si voltarono verso il deserto: ed ecco la Gloria del Signore
apparve nella nube. [11]Il Signore disse a Mosè: [12]“Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla
loro così: Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il
Signore vostro Dio”.
«Dio perdonò l’indegno comportamento di Israele, e invece di manifestare la propria collera perché
il popolo aveva mormorato in luogo di implorare la sua grazia si prodigò in soccorso dei suoi figli,
annunciando a Mosè: “Essi agiscono secondo la loro indole, Io secondo la Mia: non più tardi di
domani la manna scenderà dal cielo”. Come ricompensa della disponibilità di Abramo, il quale
quando s'era trattato di sacrificare suo figlio Isacco aveva risposto subito: “Eccomi” (Gn 22,1), Dio
promise la manna ai suoi discendenti con una analoga formula: “Ecco” (Es 16,4), allo stesso
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modo, durante la peregrinazione nel deserto, ripagò la stirpe del patriarca in cambio di ciò che
aveva fatto per gli angeli andati a visitarlo. Come Abramo s'era precipitato a procurare il pane, così
l'Eterno fece piovere il pane dal cielo» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV…, p. 167-168).
Saprete che Io sono il Signore… L’uomo non deve limitarsi a godere del dono, ma deve scoprire
l’enorme valore del Donatore. Il popolo che sperimenta come Dio lo alimenti a livello materiale,
deve fidarsi del nutritore e capire che Egli può e vuole nutrire anche delle dimensioni della persona
che l'uomo tende a svalutare ma che, invece sono essenziali. La comunione con Dio e
l'obbedienza a Lui sono per l'uomo un nutrimento essenziale. «L'uomo non vive soltanto di pane,
ma l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8,3).
La pedagogia del Signore
Il dono della manna non consiste soltanto in un'elargizione materiale ma in una rivelazione che Dio
fa di sé. Egli è Colui che provvede, pazienta e perdona. Israele dovrebbe avvicinarsi a Lui con tutto
il cuore, con piena disponibilità. In realtà il seguito del racconto mostrerà che è vero il contrario. Il
popolo persiste nella sfiducia e nella mancanza di riconoscenza. Approfitta dei doni del Signore ma
lo misconosce. Dio non può dare stesso come nutrimento come vorrebbe fare: «Io sono il Signore
tuo Dio che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto. Apri la tua bocca, la voglio riempire» (Sal 81,11).
[13]Ora alla sera le quaglie salirono e coprirono l'accampamento; al mattino vi era uno strato di
rugiada intorno all'accampamento. [14]Poi lo strato di rugiada svanì ed ecco sulla superficie del
deserto vi era una cosa minuta e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. [15]Gli Israeliti la
videro e si dissero l'un l'altro: “Man hu: che cos'è?”, perché non sapevano che cosa fosse. Mosè
disse loro: “E' il pane che il Signore vi ha dato in cibo. [16]Ecco che cosa comanda il Signore:
Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne, un omer a testa, secondo il numero delle persone
con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli della propria tenda”. [17]Così fecero gli Israeliti. Ne
raccolsero chi molto chi poco. [18]Si misurò con l'omer: colui che ne aveva preso di più, non ne
aveva di troppo, colui che ne aveva preso di meno non ne mancava: avevano raccolto secondo
quanto ciascuno poteva mangiarne. [19]Poi Mosè disse loro: “Nessuno ne faccia avanzare fino al
mattino”. [20]Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne conservarono fino al mattino; ma vi si
generarono vermi e imputridì. Mosè si irritò contro di loro. [21]Essi dunque ne raccoglievano ogni
mattina secondo quanto ciascuno mangiava; quando il sole cominciava a scaldare, si scioglieva.
Il fatto che il popolo non conosca affatto la manna, dimostra che essa non è un risultato della loro
fatica né un ritrovato della loro intraprendenza, ma un dono totale da parte di Dio il quale, «in tutto
ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che gia
opera in noi» (Ef 3,20).
La sorpresa della scoperta della manna si ripete quando una persona coglie l’immenso valore delle
realtà dello Spirito: «L'animo percepisce la manna celeste quando, elevato mediante la voce della
compunzione, rimane stupito di fronte a un nuovo aspetto del ristoro interiore. Ripieno di divina
dolcezza, con ragione si chiede: Che è questo? Quando questa voce rompe il nostro torpore, a un
tratto cambia il ritmo della vecchia vita, e così l'animo guidato dallo Spirito santo desidera le cose
del cielo che disprezzava e disprezza quelle della terra che desiderava» (Gregorio
Magno, Commento morale a Giobbe, V, VII, 42).
La raccolta viene regolata da norme precise. Dal momento che deve essere anche un esercizio
pedagogico, Mosé chiede di evitare l’ingordigia e l’accaparramento. La prima va contro il principio
della condivisione e della solidarietà, mentre il secondo è un atto di sfiducia nei confronti della
provvidenza di Dio. Israele deve invocare e attendere il cibo da Dio ogni giorno. «L’aver bisogno
ogni giorno di Dio per la propria sussistenza serviva a tener viva la fede» (L. Ginzberg, Le
leggende degli ebrei, IV…, p. 168). Gesù, nel corso della sua itineranza missionaria, abitua i
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discepoli a questa fiducia nel Padre suggerendo loro di chiedere a Dio il cibo nella misura di ogni
giorno.
La raccolta nel Sabato
Un altro esercizio previsto dalla pedagogia divina riguarda l’abitudine all’osservanza del Sabato. La
manna non scende il giorno di Sabato per insegnare al popolo l’osservanza del riposo dal lavoro e
dell’attenzione al culto.
[22]Nel sesto giorno essi raccolsero il doppio di quel pane, due omer a testa. Allora tutti i principi
della comunità vennero ad informare Mosè. [23]E disse loro: “E' appunto ciò che ha detto il Signore:
Domani è sabato, riposo assoluto consacrato al Signore. Ciò che avete da cuocere, cuocetelo; ciò
che avete da bollire, bollitelo; quanto avanza, tenetelo in serbo fino a domani mattina”. [24]Essi lo
misero in serbo fino al mattino, come aveva ordinato Mosè, e non imputridì, né vi si trovarono vermi.
[25]Disse Mosè: “Mangiatelo oggi, perché è sabato in onore del Signore: oggi non lo troverete nella
campagna. [26]Sei giorni lo raccoglierete, ma il settimo giorno è sabato: non ve ne sarà”. [27]Nel
settimo giorno alcuni del popolo uscirono per raccoglierne, ma non ne trovarono. [28]Disse allora il
Signore a Mosè: “Fino a quando rifiuterete di osservare i miei ordini e le mie leggi? [29]Vedete che il
Signore vi ha dato il sabato! Per questo egli vi dà al sesto giorno il pane per due giorni. Restate
ciascuno al proprio posto! Nel settimo giorno nessuno esca dal luogo dove si trova”. [30]Il popolo
dunque riposò nel settimo giorno.
Il memoriale dell’evento
Emerge l’attenzione di preservare la memoria degli eventi vissuti poiché riguardano gli uomini e le
situazioni di sempre. In un contesto mutato, l'essenza di tutti questi avvenimenti deve essere
rivissuta.
[31]La casa d'Israele la chiamò manna. Era simile al seme del coriandolo e bianca; aveva il sapore di
una focaccia con miele. [32]Mosè disse: “Questo ha ordinato il Signore: Riempitene un omer e
conservatelo per i vostri discendenti, perché vedano il pane che vi ho dato da mangiare nel deserto,
quando vi ho fatti uscire dal paese d'Egitto”. [33]Mosè disse quindi ad Aronne: “Prendi un'urna e
mettici un omer completo di manna; deponila davanti al Signore e conservala per i vostri
discendenti”. [34]Secondo quanto il Signore aveva ordinato a Mosè, Aronne la depose per
conservarla davanti alla Testimonianza. [35]Gli Israeliti mangiarono la manna per quarant'anni, fino
al loro arrivo in una terra abitata, mangiarono cioè la manna finché furono arrivati ai confini del
paese di Canaan. [36]L'omer è la decima parte di un efa.
Il libro della Sapienza traccia questa riflessione conclusiva alla vicenda della manna. «Sfamasti il
tuo popolo con un cibo degli angeli, dal cielo offristi loro un pane già pronto senza fatica, capace di
procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto. Questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza
verso i tuoi figli; esso si adattava al gusto di chi l'inghiottiva e si trasformava in ciò che ognuno
desiderava» (Sap 16,20). La manna non è il risultato della fatica dell’uomo ma un dono del tutto
gratuito; essa rivela l’attenzione particolare del Signore ai bisogni di ogni persona. Il Signore cerca
sempre di adattarsi alla nostra capacità di comprensione.
«La creazione infatti a te suo creatore obbedendo, si irrigidisce per punire gli ingiusti, ma
s'addolcisce a favore di quanti confidano in te. Per questo anche allora, adattandosi a tutto, serviva
alla tua liberalità che tutti alimenta, secondo il desiderio di chi era nel bisogno, perché i tuoi figli,
che ami, o Signore, capissero che non le diverse specie di frutti nutrono l'uomo, ma la tua parola
conserva coloro che credono in te» (Sap 16,26). Il mondo non è soltanto natura, un meccanismo
autonomo ed autosufficiente, ma creazione. In altre parole, Dio può intervenire in essa e grazie ad
essa, senza stravolgerla, per attuare i suoi disegni d’amore.
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Nel nuovo Testamento troviamo una successiva estensione del significato della manna. Gesù si
offre come il vero pane disceso dal cielo: «Rispose loro Gesù: “In verità, in verità vi dico: non Mosè
vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui
che discende dal cielo e dà la vita al mondo”» (Gv 6,32-33). «Io sono il pane della vita. I vostri
padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo,
perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo
pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,48-51).
La manna assume la funzione di essere un’immagine della gioia completa ed eterna nel mondo
celeste: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò la manna
nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce
all'infuori di chi la riceve» (Ap 2,17).
L'acqua dalla roccia
Il cammino prosegue attraverso il deserto verso Refidim. Dio non conduce sempre verso delle oasi
ma fa sperimentare situazioni di difficoltà, a scopo educativo. Ora manca di nuovo l'acqua. Il
popolo protesta contro Mosè e indirettamente anche contro Dio; in realtà sta mettendo alla
prova Dio. Che significa? È obbligarlo ad intervenire, alimentare dubbi dulla sua fedeltà, stabilirgli
delle scadenze. Agire così è commette il peccato più grave. Per la terza volta, la liberazione non
viene più considerata un dono ma una trappola omicida (Cf 14,11-12; 16,3).
Dio, pur garantendo l’incolumità di Mosè in una situazione per lui rischiosa (Cf Nm 14,10), lo
spinge a testimoniare la sua fede davanti al popolo. Il prodigio avviene sull’Oreb, il luogo della
manifestazione di Dio, là dove Dio ha attestato la sua solidarietà solerte e dove disseterà il popolo
con la sua Legge. Il termine Massa richiama la parola ebraica mettere alla prova e Meriba, il
termine contesa.
Capitolo 17 [1]Tutta la comunità degli Israeliti levò l'accampamento dal deserto di Sin, secondo
l'ordine che il Signore dava di tappa in tappa, e si accampò a Refidim. Ma non c'era acqua da bere
per il popolo. [2]Il popolo protestò contro Mosè: “Dateci acqua da bere!”. Mosè disse loro: “Perché
protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?”. [3]In quel luogo dunque il popolo soffriva
la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: “Perché ci hai fatti uscire
dall'Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?”. [4]Allora Mosè invocò l'aiuto
del Signore, dicendo: “Che farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!”. [5]Il
Signore disse a Mosè: “Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani di Israele. Prendi in
mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e và! [6]Ecco, io starò davanti a te sulla roccia,
sull'Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà”. Mosè così fece sotto gli occhi
degli anziani d'Israele. [7]Si chiamò quel luogo Massa e Meriba, a causa della protesta degli Israeliti e
perché misero alla prova il Signore, dicendo: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?”.
L’episodio evidenzia una grave possibilità che è quella di perdere la fede in Dio, contestando lo
stesso significato del suo Nome.
Giuditta si mostra, invece, una vera credente proprio perché rifiuta di mettere alla prova Dio; ella
rimprovera gli Anziani di Betulia di osare il contrario: «Certo, voi volete mettere alla prova il Signore
onnipotente, ma non ci capirete niente, né ora né mai. Se non siete capaci di scorgere il fondo del
cuore dell'uomo né di afferrare i pensieri della sua mente, come potrete scrutare il Signore, che ha
fatto tutte queste cose, e conoscere i suoi pensieri o comprendere i suoi disegni? No, fratelli, non
vogliate irritare il Signore nostro Dio. Se non vorrà aiutarci in questi cinque giorni, egli ha pieno
potere di difenderci nei giorni che vuole o anche di farci distruggere da parte dei nostri nemici. E
voi non pretendete di impegnare i piani del Signore Dio nostro, perché Dio non è come un uomo
che gli si possan fare minacce e pressioni come ad uno degli uomini» (Gdt 8,13-16).
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Nella rilettura cristiana, Beda vede nella manna e nell’acqua gli aiuti spirituali di Dio: «Noi,
passando attraverso gli affanni della vita presente come in un deserto arido, aspettiamo l'ingresso
nella patria celeste. In questo deserto, se i doni del nostro Redentore non ci rinforzano, corriamo il
pericolo di venir meno a causa della fame e della sete dello spirito. Egli infatti è la manna che ci
ristora con il cibo celeste, perché non veniamo meno durante il cammino di questo mondo; egli è la
pietra che c’inebria con i doni dello Spirito, che trafitta dal legno della croce ha fatto scorrere dal
suo fianco per noi l'acqua della vita» (Beda il Venerabile, Omelie sul Vangelo, I, 6, p. 183).
La battaglia contro Amalek
Sul monte, davanti a Israele, Mosè testimonia la sua fede nella presenza attiva del Signore. La sua
fermezza per la quale continua a tenere le mani alzate nonostante la fatica, sta a significare in
primo luogo la costanza della sua fede e della ricerca di Dio. Il credente deve dare primaria
importanza alle sue convinzioni di fede. L’episodio viene, poi, tramandato in un libro e così, dagli
eventi vissuti, si passa agli eventi trasmessi in uno scritto, perché siano rivissuti in altre
circostanze.
[8]Allora Amalek venne a combattere contro Israele a Refidim. [9]Mosè disse a Giosuè: “Scegli per
noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalek. Domani io starò ritto sulla cima del colle con in
mano il bastone di Dio”. [10]Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro
Amalek, mentre Mosè, Aronne, e Cur salirono sulla cima del colle. [11]Quando Mosè alzava le mani,
Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek. [12]Poiché Mosè sentiva
pesare le mani dalla stanchezza, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi sedette,
mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l'altro dall'altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani
rimasero ferme fino al tramonto del sole. [13]Giosuè sconfisse Amalek e il suo popolo passandoli poi
a fil di spada. [14]Allora il Signore disse a Mosè: “Scrivi questo per ricordo nel libro e mettilo negli
orecchi di Giosuè: io cancellerò del tutto la memoria di Amalek sotto il cielo!”. [15]Allora Mosè
costruì un altare, lo chiamò “Il Signore è il mio vessillo” [16]e disse: “Una mano s'è levata sul trono
del Signore: vi sarà guerra del Signore contro Amalek di generazione in generazione!”.
Secondo la tradizione ebraica, Mosè alzava le mani per invitare tutto il popolo a pregare con lui:
«Mosè alzò le braccia al cielo come segnale per tutto il popolo perché seguisse il suo esempio e
confidasse in Dio. Finché teneva le mani levate e tutti pregavano insieme a lui, l’esercito era
vittorioso… Quando Israele è angustiato Dio condivide la sua pena, e la gioia del popolo è anche
quella dell’Eterno» (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, IV…, p. 183. 185).
Amalek rappresenta la forza negativa che si oppone al regno di Dio e che solo Lui è in grado di
annientare. Gli amaleciti minacciano la stessa esistenza di Israele, come prima il faraone. La loro
progressiva eliminazione, significa per Israele la vittoria sul male e la garanzia della presenza
costante e benefica del Signore (Cf. M. Priotto, Esodo, Paoline, Milano 2014, p. 327). La parola
scritta, posta negli orecchi di Giosuè, lo remde il primo uditore e il primo ascoltatore della Parola.
Egli rappresenta così ogni futuro lettore e ascoltatore della Parola, al quale il Mosè scriba, e dopo
di lui ogni futuro ministro della Parola, affida all'orecchio del cuore lo scritto sacro (Cf. M.
Priotto, Esodo…, p. 328).
Come possiamo imitare ora, nella Chiesa, la fermezza di Mosè e la lotta di Giosuè?
L’evangelizzazione si attua all’interno di gravi lotte. «Dopo avere prima sofferto e subìto oltraggi a
Filippi, come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziarvi il vangelo di Dio
in mezzo a molte lotte» (1 Ts 2,2). «Comportatevi da cittadini degni del vangelo… sappia che state
saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del vangelo, senza lasciarvi intimidire
in nulla dagli avversari. Questo è per loro un presagio di perdizione, per voi invece di salvezza, e
ciò da parte di Dio; perché a voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo; ma anche
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di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e che ora sentite dire
che io sostengo» (Fil 1,27-30).
Gli evangelizzatori vivono la preghiera d’intercessione come una vera lotta: «Vi saluta Epafra,
servo di Cristo Gesù, che è dei vostri, il quale non cessa di lottare per voi nelle sue preghiere,
perché siate saldi, perfetti e aderenti a tutti i voleri di Dio. Gli rendo testimonianza che si impegna a
fondo per voi, come per quelli di Laodicèa e di Geràpoli» (Col 4, 12-13).
«Non trascuriamo di rinnovarci nello spirito ogni giorno. La sconfitta che ci può capitare nel
pensiero, nella parola o nell'azione non diventi occasione di pigrizia. Tutte le volte che subiamo
una sconfitta, ritorniamo in noi stessi attraverso il timore dei giudizi di Dio, disarmando le passioni
con tutte le nostre forze» (Teodoro Studita, Nelle prove la fiducia, 115, pp. 484-485).
Il cristiano vince i nemici con la mansuetudine, lasciando agire Cristo: «Finché saremo agnelli,
vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se
diventeremo lupi, saremo sconfitti, perché saremo privi dell'aiuto del pastore. Egli non pasce lupi,
ma agnelli. Per questo se ne andrà e ti lascerà solo, perché gli impedisci di manifestare la sua
potenza. È necessario che avvenga così, poiché questo vi rende più gloriosi e manifesta la mia
potenza. La stessa cosa diceva a Paolo: “Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si manifesti
pienamente nella debolezza” (2 Cor 12, 9). Cristo conosce meglio di ogni altro la natura delle cose.
Sa bene che la violenza non si arrende alla violenza, ma alla mansuetudine» (Giovanni
Crisostomo, Omelie sul vangelo di Matteo, 33, 1. 2 PG 57, 389-390).
Ietro e Mosè
L’incontro
Capitolo 18 [1]Ietro, sacerdote di Madian, suocero di Mosè, venne a sapere quanto Dio aveva operato
per Mosè e per Israele, suo popolo, come il Signore aveva fatto uscire Israele dall'Egitto. [2]Allora
Ietro prese con sé Zippora, moglie di Mosè, che prima egli aveva rimandata, [3]e insieme i due figli di
lei, uno dei quali si chiamava Gherson, perché egli aveva detto: “Sono un emigrato in terra
straniera”, [4]e l'altro si chiamava Eliezer, perché “Il Dio di mio padre è venuto in mio aiuto e mi ha
liberato dalla spada del faraone”. [5]Ietro dunque, suocero di Mosè, con i figli e la moglie di lui venne
da Mosè nel deserto, dove era accampato, presso la montagna di Dio. [6]Egli fece dire a Mosè: “Sono
io, Ietro, tuo suocero, che vengo da te con tua moglie e i suoi due figli!”. [7]Mosè andò incontro al
suocero, si prostrò davanti a lui e lo baciò; poi si informarono l'uno della salute dell'altro ed
entrarono sotto la tenda. [8]Mosè raccontò al suocero quanto il Signore aveva fatto al faraone e agli
Egiziani per Israele, tutte le difficoltà loro capitate durante il viaggio, dalle quali il Signore li aveva
liberati. [9]Ietro gioì di tutti i benefici che il Signore aveva fatti a Israele, quando lo aveva liberato
dalla mano degli Egiziani. [10]Disse Ietro: “Benedetto sia il Signore, che vi ha liberati dalla mano
degli Egiziani e dalla mano del faraone: egli ha strappato questo popolo dalla mano dell'Egitto!
[11]Ora io so che il Signore è più grande di tutti gli dei, poiché egli ha operato contro gli Egiziani con
quelle stesse cose di cui essi si vantavano”. [12]Poi Ietro, suocero di Mosè, offrì un olocausto e
sacrifici a Dio. Vennero Aronne e tutti gli anziani d'Israele e fecero un banchetto con il suocero di
Mosè davanti a Dio.
Mosè incontra la famiglia. Spicca la figura del suocero, che era madianita e un discendente di
Abramo. Al racconto della liberazione, esposta da Mosè, egli esprime sentimenti di riconoscenza a
Dio e di fede sulla sua trascendenza su tutte le divinità e questo fatto manifesta come la fede in
Dio possa diffondersi in tutti i popoli.
Istituzione dei giudici
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[13]Il giorno dopo Mosè sedette a render giustizia al popolo e il popolo si trattenne presso Mosè dalla
mattina fino alla sera. [14]Allora Ietro, visto quanto faceva per il popolo, gli disse: “Che cos'è questo
che fai per il popolo? Perché siedi tu solo, mentre il popolo sta presso di te dalla mattina alla sera?”.
[15]Mosè rispose al suocero: “Perché il popolo viene da me per consultare Dio. [16]Quando hanno
qualche questione, vengono da me e io giudico le vertenze tra l'uno e l'altro e faccio conoscere i
decreti di Dio e le sue leggi”. [17]Il suocero di Mosè gli disse: “Non va bene quello che fai! [18]Finirai
per soccombere, tu e il popolo che è con te, perché il compito è troppo pesante per te; tu non puoi
attendervi da solo. [19]Ora ascoltami: ti voglio dare un consiglio e Dio sia con te! Tu stà davanti a Dio
in nome del popolo e presenta le questioni a Dio. [20]A loro spiegherai i decreti e le leggi; indicherai
loro la via per la quale devono camminare e le opere che devono compiere. [21]Invece sceglierai tra
tutto il popolo uomini integri che temono Dio, uomini retti che odiano la venalità e li costituirai sopra
di loro come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. [22]Essi
dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza; quando vi sarà una questione importante, la
sottoporranno a te, mentre essi giudicheranno ogni affare minore. Così ti alleggerirai il peso ed essi
lo porteranno con te. [23]Se tu fai questa cosa e se Dio te la comanda, potrai resistere e anche
questo popolo arriverà in pace alla sua mèta”. [24]Mosè ascoltò la voce del suocero e fece quanto gli
aveva suggerito. [25]Mosè dunque scelse uomini capaci in tutto Israele e li costituì alla testa del
popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine. [26]Essi
giudicavano il popolo in ogni circostanza: quando avevano affari difficili li sottoponevano a Mosè,
ma giudicavano essi stessi tutti gli affari minori. [27]Poi Mosè congedò il suocero, il quale tornò al
suo paese.
Mosè viene presentato come mediatore tra Dio e il popolo, come guida spirituale che indica la via
da percorrere. Il redattore del libro insiste, quindi, sul fatto che l’amministrazione della giustizia,
attuata da molte figure istituzionali, deve sempre svolgersi nello spirito della Legge che costituisce
il dono per una liberazione permanente.
Il dono della Legge
La promessa dell’Alleanza
Israele arriva al monte Sinai e stipula con Dio un'alleanza proposta da lui. Siamo al momento
culminante della vicenda dell'Esodo e della storia del popolo ebreo. D'ora in avanti Israele diventa
il popolo di Dio, per una libera decisione divina e non per i propri meriti. e per sempre. Lo diventa
per sempre perché i doni e la chiamata sono irrevocabili (Cf Rm 11,9). Tutti gli altri uomini per
ottenere la salvezza dovranno innestarsi in questa radice santa, tramite l'adesione a Cristo (Rm
11,17).
[1]Al terzo mese dall'uscita degli Israeliti dal paese di Egitto, proprio in quel giorno, essi arrivarono al
deserto del Sinai. [2]Levato l'accampamento da Refidim, arrivarono al deserto del Sinai, dove si
accamparono; Israele si accampò davanti al monte
Israele raggiunge il Sinai al terzo mese (rilevanza del numero tre), proprio in quel giorno. Oggi
giorno della storia del popolo accadrà ciò che avviene in questo giorno speciale. L'Alleanza viene
sempre riproposta.
Mosè sale al monte sul quale era stato chiamato nella speranza d'incontrare ancora una volta il
Dio che lo aveva inviato ed Questi lo chiama e lo fa salire ancora una volta. Noi possiamo cercare
Dio perché Egli ha già fatto udire il suo invito dentro di noi.
[3]Mosè salì verso Dio e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: “Questo dirai alla casa di Giacobbe
e annuncerai agli Israeliti: [4]Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e come ho sollevato
voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me.
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Ora il Signore propone al popolo la sua Allenza. Per Israele è un dono sorprendente e
estremamente vantaggioso. Ogni patto richiede l'adesione libera dei contraenti. Per convincere il
popolo ad aderire, Dio si è dimostrato ad esso come del tutto affidabile. Prima di proporre, Egli ha
voluto farsi conoscere per quello che è. Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e come
ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. La religione biblica non comincia dallo
sforzo etico dell'uomo e neppure dalla sua ricerca di Dio, magari faticosa, tale da impegnare mente
ed opere. La fede comincia dalla constatazione di essere stati preceduti nell'amore. L'aspetto più
rilevante sta nel fatto che Dio ci ami, in modo incondizionato, più di quanto qualsiasi uomo possa
amare se stesso. La dichiarazione divina attesta poi che il popolo non era stato chiamato dalla
schiavitù alla terra della libertà. L'Esodo non è soltanto un evento sociale, non si riduce al riscatto
di un gruppo di schiavi. Tale movimento ha un significato religioso: il popolo è stato chiamato fino a
Dio, per entrare e conoscere la sua amicizia.
[5]Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà
tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! [6]Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione
santa. Queste parole dirai agli Israeliti”. [7]Mosè andò, convocò gli anziani del popolo e riferì loro
tutte queste parole, come gli aveva ordinato il Signore. [8]Tutto il popolo rispose insieme e disse:
“Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!”. Mosè tornò dal Signore e riferì le parole del popolo.
Dopo queste precisazioni molto importanti, segue la proposta. Prima viene precisata la condizione
e poi i vantaggi. Sono tre: proprietà particolare, regno di sacerdoti, nazione santa. La proprietà
particolare corrisponde al tesoro e ai beni personali (segullà: 1 Cr 29,3; Qo 2,8), ossia a quanto
una persona considera di più caro e prezioso. Gli israeliti saranno sacerdoti in quanto avranno la
dignità e il privilegio di vivere in relazione con Dio, soprattutto nel culto. Infine saranno una nazione
santa, che si distingue dalle altre per la sua consacrazione a Dio. Alla proposta del Signore, così
invitante, il popolo risponde esprimendo un consenso unanime. (Lo stesso farà in Esodo 24,3,
consentendo alle clausole proposte in modo dettagliato).
Queste forme di fede saranno ripresi anche nel Nuovo Testamento. Maria, la madre di Gesù, come
se incarnasse in se stessa, la disposizione migliore espressa dal popolo, chiederà ai servi (che
raffigurano i discepoli di Gesù): «Qualsiasi cosa vi chieda, fatela!». L'invito è fondamentale per la
fede biblica. Quando si è conosciuto Dio e si è riconosciuto che Egli è affidabile (fedele), quando si
è accolta la sua proposta, diventa decisivo il rimanere obbedienti a Lui, con spirito di fiducia, non
certo per sottomissione di convenienza o di paura. Inoltre san Pietro applica all'assembra dei
battezzati le caratteristiche attribuite un tempo all'antico popolo di Dio: «Voi siete la stirpe eletta, il
sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere
meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo
eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora
invece avete ottenuto misericordiam (1 Pt 2,9-10). La stessa convinzione viene espressa
dall'autore dell'Apocalisse (Ap. 1,5-6; 5,9-10).
Le prescrizioni successive, quali la purificazione e il divieto di entrare nella sfera del sacro,
propongono le convinzioni e le consuetudini degli antichi, in ogni cultura. Il sacro era visto come
qualcosa che era dotato di una forza attiva di grande intensità. Per questo non era possibile
affrontarlo ed era, invece, alquanto pericoloso il farlo. Non si tratta di norme etiche ma di
disposizioni di carattere sacrale. Infatti anche gli animali devono sottostarvi.
Più interessante per noi è il contrasto tra vicinanza e distanza (Cf 24,1-2). Dio vuole comunicarsi
ma l'avvicinamento a lui è problematico. Lo stesso era accaduto a Mosè nel fatto del roveto ma il
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profeta, dopo aver ricevuto l'invito ad avvicinarsi, aveva dovuto togliersi i calzari e coprirsi il volto.
Tutto questo ricorda che l'essere invitati all'amicizia con Dio è un privilegio non meritato. Mentre
godiamo della familiarità con Dio, dobbiamo conservare un profondo rispetto. Dio si dona a noi ma
non diventa nostro. Al popolo viene inculcato un sentimento di timore. Questo non deve venir
meno neppure nella vita cristiana benché si debba superare, invece, il senso di paura.
La lettera agli Ebrei fa risaltare che il popolo cristiano passa dal timore alla confidenza: «Voi infatti
non vi siete accostati a un luogo tangibile e a un fuoco ardente, né a oscurità, tenebra e tempesta,
né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano che Dio non
rivolgesse più a loro la parola; non potevano infatti sopportare l'intimazione: Se anche una bestia
tocca il monte sia lapidata. Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente,
alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei
primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al
Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell'aspersione dalla voce più eloquente di quello di
Abele» (Eb 12,18-24).
La stipulazione dell’Alleanza
Accettazione
Prosegue il processo di stipula dell'Alleanza. Dopo aver incontrato Dio con i rappresentanti
d'Israele, Mosè interpella il popolo e chiede se sono disposti ad aderire al patto. Gli israeliti non
possono condizionare Dio circa il contenuto dei comandamenti ma non sono forzati all'accordo che
rimane una proposta libera.
[1]Aveva detto a Mosè: “Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e insieme settanta anziani
d'Israele; voi vi prostrerete da lontano, [2]poi Mosè avanzerà solo verso il Signore, ma gli altri non si
avvicineranno e il popolo non salirà con lui”. [3]Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del
Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose insieme e disse: “Tutti i comandi che ha dati il
Signore, noi li eseguiremo!”.
Avviene ora il passaggio dalle parole proclamate dal profeta, alle parole scritte. Ascoltando lo
scritto sacro, le future generazioni ascolteranno Dio stesso.
Il rito dell’aspersione
Segue un rito che equivale alla stipula ufficiale che equivale alla nostra firma in calce ad un
contratto. L'atto di culto prevede l'offerta di sacrifici sopra un altare, composto da dodici stele, a
simbolo delle dodici tribù e dall'aspersione del sangue. Questo viene sparso dapprima sull'altare,
che rappresenta Dio, e poi sull'assemblea. Prima di essere asperso dal sangue il popolo conferma
la sua libera adesione e attesta che quanto è stato scritto corrisponde alle parole che erano state
pronunciate. Non è chiaro il significato preciso dell'aspersione ma il contesto lascia intendere che
si crea una relazione tra Dio e il popolo. Non è soltanto un rito di purificazione e neppure un
giuramento. Il sangue richiama la vita ed ora viene stabilita una comunione di vita tra Dio e Israele.
[4]Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del
monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele. [5]Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire
olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. [6]Mosè prese la
metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra metà sull'altare. [7]Quindi prese il libro
dell'alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: “Quanto il Signore ha ordinato, noi lo
faremo e lo eseguiremo!”. [8]Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: “Ecco il
sangue dell'alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!”.
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Al rito della stipulazione, segue una visione e un pasto al quale possono partecipare soltanto
alcuni privilegiati. Non si tratta di un altro rito ma di una conclusione solenne di quello precedente.
Il banchetto segnala che tra Israele e Dio vige ormai un'amicizia.
[9]Poi Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani di Israele. [10]Essi videro il Dio
d'Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffiro, simile in purezza al cielo
stesso. [11]Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e tuttavia
mangiarono e bevvero.
Gesù, al termine della sua vita, consumando la cena pasquale con i discepoli, annuncia che Dio
attua la promessa della nuova Alleanza, che è stipulata grazie alla sua morte, o meglio, al
versamento del suo sangue sulla croce (Mt 26,27-28; 1 Cor 11,25). La sua obbedienza totale ci
ottiene il perdono delle colpe e la possibilità di ristabilire una relazione riconciliata con Dio, animati
ormai dalla mozione in noi dello Spirito.
La nuova alleanza sarebbe stata stipulata proprio per cambiare il cuore dell'uomo, renderlo capace
di obbedire (Ger 31,31; Ez 36,26). Noi possiamo aderire a Dio e proporci un'obbedienza vera
contando sulla forza dello Spirito, frutto della redenzione operata da Gesù (Rm 8,2-4).
Le prescrizioni
Il decalogo (le “dieci parole”) sono un compendio della proposta dell’Alleanza. Le prime
prescrizioni riguardano l’amore verso Dio (vv.1-11) e le altre l’amore verso il prossimo (v.12-17).
L’amore verso Dio
All’inizio Dio, il Legislatore, si presenta e conferma di voler restare il Liberatore, il Soccorritore
compassionevole e leale. La fede non si fonda sulla fiducia dell’essere amati. L’impegno morale
viene dopo. La Legge è un dono offerto da Dio che intende donare la liberà, per un atto d’amore
gratuito.
[1]Dio allora pronunciò tutte queste parole: [2]“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal
paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù..
Stabilito questo fondamento della fede, vengono fatti conoscere tutti i comandamenti, come
applicazione. Il primo comando proibisce l’idolatria; il secondo l’utilizzo del Nome di Dio per scopi
iniqui. Il terzo, al positivo, il rispetto del Sabato.
…[3]non avrai altri dei di fronte a me. [4]Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel
cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. [5]Non ti prostrerai
davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la
colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, [6]ma che
dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi.
[7]Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi
pronuncia il suo nome invano.
[8]Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: [9]sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro;
[10]ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né
tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che
dimora presso di te. [11]Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in
essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha
dichiarato sacro.
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Venerare Dio diventa un vantaggio per l’uomo: egli non deve, adorando qualche creatura, finire col
collocarsi al di sotto di sé. Inoltre nessuno diventa oggetto di sfruttamento o di oppressione da
parte di altri in seguito ad un uso abominevole del nome divino, come avviene nella magia o in
certe ideologie politiche. Infine tutti hanno diritto del riposo e di non essere considerati come
strumenti della produzione o di profitto. Obbedendo a Dio, l’uomo realizza un rispetto profondo del
fratello.
L’amore verso il prossimo
La seconda parte del decalogo riguarda in modo diretto la relazione con il prossimo, che deve
essere corretta e solidale.
[12]Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore,
tuo Dio.[13]Non uccidere. [14]Non commettere adulterio. [15]Non rubare.[16]Non pronunciare falsa
testimonianza contro il tuo prossimo. [17]Non desiderare la casa del tuo prossimo.Non desiderare la
moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né
alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”.
La Legge si riassume nell’amore: «Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un
amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti il precetto: Non
commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento,
si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male
al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore» (Rm 13,8-10). «Parlate e agite come
persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza
misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel
giudizio» (Gc 2,12-13).
Cristo ha vissuto la sua esistenza senza commettere peccato; Egli è stato l’uomo dedito
interamente a Dio e ai fratelli. Mediante la presenza in noi del suo Spirito, Egli può riprodurre se
stesso in noi. Da soli non siamo in grado di osservare la Legge (Cf. Rm 8).
L’Alleanza infranta e rinnovata
Il vitello d’oro
L'alleanza viene subito infranta. Il peccato è molto grave e Israele rischia di decadere in modo
definitivo dal suo privilegio di alleato di Dio. Tutto nasce dal fatto che il popolo rifiuta la guida di
Mosè e vuole crearsi l'immagine di un dio che cammini davanti a loro. Ritorna la stessa
preoccupazione che aveva già fatto capolino altre volte. Il popolo ha bisogno di una rassicurazione
continua e quando, invece, predomina una situazione d'incertezza, viene meno nella fede.
[7]Allora il Signore disse a Mosè: “Và, scendi, perché il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese
d'Egitto, si è pervertito. [8]Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Si
son fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno
detto: Ecco il tuo Dio, Israele; colui che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto”.
Aronne non intendeva introdurre l'idolatria - Il vitello probabilmente era pensato come un trono sul
quale la divinità sedeva - ma trasgredisce comunque il comandamento che impone di non costruire
immagini della divinità. Rischia così di incrementare il bisogno del popolo di avere un dio che sia la
semplice proiezione dei propri bisogni. Il Dio, l'Io sono, libero e trascendente, viene sostituito da
una divinità che è a misura dell'uomo. È il primo scivolamento verso l'idolatria. Dal
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misconoscimento di Dio, deriva una perdita d'umanità che si manifesta nel darsi alla gozzoviglia,
utilizzando l’altro per il proprio piacere.
Prima intercessione di Mosé
I fatti dimostrano che il popolo è incapace di vivere una vita di fedeltà, con nobiltà d’animo. La
situazione potrebbe essere irreparabile, se nessuno si prendesse la responsabilità e non si
accollasse il compito di porre rimedio. Mosè si offre a questo compito gravoso.
Nella preghiera, sviluppa due ragionamenti: se Dio si adira in modo irrimediabile, e annienta il
popolo, danneggia anche se stesso, poiché si mostrerebbe incapace di salvare. Invece di prestare
attenzione ai peccati del popolo, dovrebbe ricordare i meriti di santità dei suoi capostipiti, i
patriarchi.
[9]Il Signore disse inoltre a Mosè: “Ho osservato questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura
cervice. [10]Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una
grande nazione”.[11]Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: “Perché, Signore, divamperà la
tua ira contro il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande forza e con mano
potente? [12]Perché dovranno dire gli Egiziani: Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le
montagne e farli sparire dalla terra? Desisti dall'ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare
del male al tuo popolo. [13]Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato
per te stesso e hai detto: Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto questo
paese, di cui ho parlato, lo darò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre”.[14]Il Signore
abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo.
Mosè ricorre alla mediazione di persone gradite a Dio come lo erano i Patriarchi Abramo, Isacco e
Giacobbe. Noi confidiamo nella mediazione di Gesù: «Se Mosè pregando, riuscì a piegare il
Signore, non riuscirà Gesù a placare il Padre, quando egli il suo Unigenito prega per noi?» (Cirillo
di Gerusalemme, Le Catechesi, 2,10, p. 55). «Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi,
che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?» (Rm 8,34).
Nella tradizione cristiana è molto importante la preghiera d’intercessione a favore dei fratelli:
«Credo che ci siano alcune persone capaci d’implorare Dio per miriadi di uomini poiché il Signore
farà la loro volontà. Le loro preghiere salgono a lui come folgori risplendenti» (Barsanufio e
Giovanni di Gaza, Epistolario, 187, pp. 228-229). «Pregate gli uni per gli altri per essere guariti.
Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza» (Gc 5,16). «Se uno vede il proprio fratello
commettere un peccato…, preghi e Dio gli darà la vita» (1 Gv 5,16).
«Dio si dimostrò più grande dell'enormità del peccato di tutto un popolo; non cessò di essere
misericordioso di fronte a tanta [ingratitudine]. Gli uomini rinnegarono Dio, ma Dio non rinnegò se
stesso» (Cirillo di Gerusalemme, Le Catechesi, 2,10, p. 55). «La remissione dei peccati non è data
per un merito [acquisito dagli uomini] ma per una volontà di spontanea condiscendenza [propria di
Dio], che dalle ricchezze della bontà divina trabocca nel dono della compassione» (Ilario di
Poitiers,Commento ai Salmi/1, 66, 2, p. 381).
Punizione del popolo
Lo sdegno di Mosè non è uno sfogo d’ira incomposta ma la reazione normale che il giusto deve
provare nel verificare lo sprofondamento nel male. Condivide la valutazione stessa del Signore.
Egli compie dei gesti che servono a scuotere il popolo (come la rottura delle tavole) e a ristabilire la
giustizia. Bere i residui del vitello bruciato è un modo per riconoscersi responsabili del fatto
avvenuto e sottoporsi al giudizio di Dio. Soltanto Lui può valutare la colpevolezza e sottoporre alla
correzione necessaria.
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[15]Mosè ritornò e scese dalla montagna con in mano le due tavole della Testimonianza, tavole
scritte sui due lati, da una parte e dall'altra. [16]Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura
di Dio, scolpita sulle tavole. [19]Quando si fu avvicinato all'accampamento, vide il vitello e le danze.
Allora si accese l'ira di Mosè: egli scagliò dalle mani le tavole e le spezzò ai piedi della montagna.
[20]Poi afferrò il vitello che quelli avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino a ridurlo in
polvere, ne sparse la polvere nell'acqua e la fece trangugiare agli Israeliti. [21]Mosè disse ad Aronne:
“Che ti ha fatto questo popolo, perché tu l'abbia gravato di un peccato così grande?”. [22]Aronne
rispose: “Non si accenda l'ira del mio signore; tu stesso sai che questo popolo è inclinato al male.
[23]Mi dissero: Facci un dio, che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l'uomo che ci ha fatti
uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa sia capitato. [24]Allora io dissi: Chi ha dell'oro?
Essi se lo sono tolto, me lo hanno dato; io l'ho gettato nel fuoco e ne è uscito questo vitello”.
La strage compiuta dai leviti (vv. 25-29) è un clamoroso esempio dello zelo per Dio del quale ci
sono numerosi esempi nella storia ma è un comportamento che verrà proibito da Gesù in modo
totale (Lc 9,54). Lo zelo è giusto e opportuno ma deve essere usato in modo pacifico.
Seconda intercessione di Mosè
Mosè, dopo aver ristabilito la situazione, cerca il perdono presso Dio. La sua intercessione rivela
che egli ha raggiunto una maturazione spirituale di grande profondità perché vuole identificarsi con
il popolo peccatore. Grazie alla sua fedeltà e generosità, diventa uno strumento attraverso il quale
Dio può continuare una storia di salvezza. Tuttavia ciò che è accaduto non è un fatto occasionale.
Si è manifestata la durezza di cuore d’Israele e quindi il fatto potrà ripetersi. Dio, per correggere le
deviazioni, dovrà intervenire ancora e in modo più pesante.
[30]Il giorno dopo Mosè disse al popolo: “Voi avete commesso un grande peccato; ora salirò verso il
Signore: forse otterrò il perdono della vostra colpa”. [31]Mosè ritornò dal Signore e disse: “Questo
popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d'oro. [32]Ma ora, se tu perdonassi il
loro peccato... E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto!”. [33]Il Signore disse a Mosè: “Io
cancellerò dal mio libro colui che ha peccato contro di me. [34]Ora và, conduci il popolo là dove io ti
ho detto. Ecco il mio angelo ti precederà; ma nel giorno della mia visita li punirò per il loro peccato”.
[35]Il Signore percosse il popolo, perché aveva fatto il vitello fabbricato da Aronne.
Nella preghiera, Mosè esprime una solidarietà con la sua gente di grande intensità, di carattere
eroico. San Paolo coltiva sentimenti simili nei confronti d’Israele. Entrambi vivono un sentimento
proprio del Cristo: «Osserva la grandezza di cuore dell'apostolo: Ho una grande tristezza e il mio
cuore, ha un continuo dolore egli dice. E sia, addolorati per la perdita dei tuoi fratelli: forse potrai
farlo fino al punto da desiderare di diventare anatema da Cristo? E come salverai gli altri, se tu
stesso ti perdi? Non è così, egli dice: ma io ho imparato dal mio Maestro e Signore che chi vuole
salvare la sua anima, la perde; e chi l'avrà persa, la troverà (Mt 16,25). Perché stupirsi, quindi, se
l'apostolo vuole diventare anatema per i suoi fratelli? Sa che Cristo, che era nella forma di Dio, si è
spogliato di essa e ha preso la forma di servo, ed è diventato maledizione per noi (Gal 3,13). Dal
momento che il Signore si è fatto maledizione per i servi, il servo diventa anatema per i fratelli? Ma
io penso che questo sia ciò che anche Mosè diceva a Dio, dopo che il popolo aveva peccato: “Se
perdoni loro il peccato, perdona: altrimenti cancellami dal libro della vita che hai scritto” (Es 32,32).
Vuoi che Paolo sembri inferiore a Mosè? Costui chiede di essere cancellato dal libro della vita per i
suoi fratelli, Paolo non deve desiderare di essere anatema per i suoi fratelli?» (Orig., CLR/2 p. 5).
Amicizia incrinata
Il Signore non intende procedere più con il popolo con una presenza personale ma lo guida
mediante un angelo. Egli perdona, ma l’amicizia con il suo popolo ha subito un’incrinatura
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irreparabile. Nulla è più come prima. Gli israeliti si tolgono gli ornamenti per evitare di crearsi
ancora una volta qualche idolo.
Dio non può ammettere Israele nella comunione più profonda e vera con sé perché è troppo
grande l’abisso di santità tra lui e il popolo. La tenda, in cui Dio abita, è piantata fuori
dall’accampamento, distante dalle altre tende. Il popolo può avvicinarsi ad essa ma soltanto Mosè
vi entra. Questi vive un rapporto di comunione profonda con Dio, e così si manifesta come il più
grande dei profeti.
Cap. 33 [1]Il Signore parlò a Mosè: “Su, esci di qui tu e il popolo che hai fatto uscire dal paese
d'Egitto, verso la terra che ho promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo:
Alla tua discendenza la darò. [2]Manderò davanti a te un angelo e scaccerò il Cananeo, l'Amorreo,
l'Hittita, il Perizzita, l'Eveo e il Gebuseo. [3]Và pure verso la terra dove scorre latte e miele... Ma io
non verrò in mezzo a te, per non doverti sterminare lungo il cammino, perché tu sei un popolo di
dura cervice”.[4]Il popolo udì questa triste notizia e tutti fecero lutto: nessuno più indossò i suoi
ornamenti.[5]Il Signore disse a Mosè: “Riferisci agli Israeliti: Voi siete un popolo di dura cervice; se
per un momento io venissi in mezzo a te, io ti sterminerei. Ora togliti i tuoi ornamenti e poi saprò che
cosa dovrò farti”.[6]Gli Israeliti si spogliarono dei loro ornamenti dal monte Oreb in poi.
[7]Mosè a ogni tappa prendeva la tenda e la piantava fuori dell'accampamento, ad una certa distanza
dall'accampamento, e l'aveva chiamata tenda del convegno; appunto a questa tenda del convegno,
posta fuori dell'accampamento, si recava chiunque volesse consultare il Signore.[8]Quando Mosè
usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava in piedi, stando ciascuno all'ingresso della sua
tenda: guardavano passare Mosè, finché fosse entrato nella tenda. [9]Quando Mosè entrava nella
tenda, scendeva la colonna di nube e restava all'ingresso della tenda. Allora il Signore parlava con
Mosè. [10]Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava all'ingresso della tenda e tutti si
alzavano e si prostravano ciascuno all'ingresso della propria tenda. [11]Così il Signore parlava con
Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con un altro. Poi questi tornava nell'accampamento,
mentre il suo inserviente, il giovane Giosuè figlio di Nun, non si allontanava dall'interno della tenda.
Quando fu costruito il tempio, si osservarono norme analoghe di separazione e differenziazione.
La morte di Cristo, al contrario, apre a tutti la possibilità di entrare nella comunione con Dio Padre.
Egli ritorna presso il Padre come nostro intercessore: «Cristo, venuto come sommo sacerdote di
beni futuri, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò una volta per sempre
nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna… Cristo non è entrato in un santuario fatto
da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in
nostro favore. Ora, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio
di se stesso» (Eb 9,11-12.24).
Terza intercessione
Dopo la vicenda del vitello, Dio sembra non considerare più Israele come suo popolo ma lo tratta
come fosse soltanto il popolo di Mosè. Al contrario, il profeta lo costringe a riprenderlo come suo.
Gli chiede di continuare ad accompagnarlo, in una stretta vicinanza, nell’ultimo tratto del cammino
verso la terra promessa. Infine gli esprime il desiderio di godere di una comunione ancora più
profonda con Lui.
[12]Mosè disse al Signore: “Vedi, tu mi ordini: Fa salire questo popolo, ma non mi hai indicato chi
manderai con me; eppure hai detto: Ti ho conosciuto per nome, anzi hai trovato grazia ai miei occhi.
[13]Ora, se davvero ho trovato grazia ai tuoi occhi, indicami la tua via, così che io ti conosca, e trovi
grazia ai tuoi occhi; considera che questa gente è il tuo popolo”.[14]Rispose: “Io camminerò con voi
e ti darò riposo”. [15]Riprese: “Se tu non camminerai con noi, non farci salire di qui. [16]Come si
saprà dunque che ho trovato grazia ai tuoi occhi, io e il tuo popolo, se non nel fatto che tu cammini
con noi? Così saremo distinti, io e il tuo popolo, da tutti i popoli che sono sulla terra”. [17]Disse il
Signore a Mosè: “Anche quanto hai detto io farò, perché hai trovato grazia ai miei occhi e ti ho
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conosciuto per nome”. [18]Gli disse: “Mostrami la tua Gloria!”. [19]Rispose: “Farò passare davanti a
te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far
grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia”. [20]Soggiunse: “Ma tu non potrai vedere il
mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo”. [21]Aggiunse il Signore: “Ecco un
luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: [22]quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità
della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. [23]Poi toglierò la mano e vedrai le mie
spalle, ma il mio volto non lo si può vedere”.
Crisologo
Il rinnovo dell’Alleanza
L’Alleanza viene confermata, il testo è inciso su nuove tavole e il Signore promette di compiere
altre meraviglie nel futuro. Egli rivela se stesso a Mosè in cinque aggettivi: compassionevole,
clemente, paziente, misericordioso, fedele. Il popolo lo avrebbe già dovuto capire in seguito agli
avvenimenti vissuti. A questo Dio così buono, Mosè ha il coraggio di chiedere il perdono per
Israele e la riammissione nella sua amicizia.
Cap 34. [1]Poi il Signore disse a Mosè: “Taglia due tavole di pietra come le prime. Io scriverò su
queste tavole le parole che erano sulle tavole di prima, che hai spezzate.[4]Mosè tagliò due tavole di
pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva
comandato, con le due tavole di pietra in mano.
[5]Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. [6]Il
Signore passò davanti a lui proclamando: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento
all'ira e ricco di grazia e di fedeltà, [7]che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la
colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei
figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione”. [8]Mosè si curvò in fretta fino a terra
e si prostrò. [9]Disse: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mio Signore, che il Signore cammini in
mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fà di
noi la tua eredità”. [10]Il Signore disse: “Ecco io stabilisco un'alleanza: in presenza di tutto il tuo
popolo io farò meraviglie, quali non furono mai compiute in nessun paese e in nessuna nazione:
tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l'opera del Signore, perché terribile è quanto io sto per
fare con te.
L’Alleanza, imperniata sull’osservanza della Legge, non sarà mai rispettata nella sua integrità. Gli
uomini, in base alle loro forze, sono incapaci di vivere all’altezza della proposta di Dio. La
predicazione di Geremia attesta la disponibilità di Dio a stipulare un nuovo patto, in base al quale i
suoi comandi non vengono più incisi su tavole di pietra ma nel cuore stesso degli uomini (Ger
31,31). Ad inciderle è la forza dello Spirito di Dio (Ez 36,26-27) capace di ricreare l’uomo. Soltanto
Gesù è l’uomo fedele a Dio, di cui il Padre si compiace (Mc 1,11; Rm 8,3-4). Grazie alla sua morte,
Dio Padre attua la nuova Alleanza, prevista dai profeti (Eb 8,6-13). Perdona le nostre colpe e ci
comunica il suo Spirito (Gv 20,22-23). Il cristiano, allora, può finalmente produrre i frutti dello
Spirito, sviluppando un continuo impegno di conversione (Gal 5,22).
Trasfigurazione di Mosè
Mosè, parlando con Dio, si trasfigura nel volto. Del resto si era già reso simile a Dio quando aveva
interceduto per il popolo e si era mostrato pronto a condividerne la sorte. La luminosità di Mosè
contribuisce a ribadirne la sua autorità quale mediatore tra Dio e Israele.
[29]Quando Mosè scese dal monte Sinai - le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani
di Mosè mentre egli scendeva dal monte - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata
raggiante, poiché aveva conversato con lui. [30]Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle
del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui. [31]Mosè allora li chiamò e Aronne, con
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tutti i capi della comunità, andò da lui. Mosè parlò a loro. [32]Si avvicinarono dopo di loro tutti gli
Israeliti ed egli ingiunse loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul monte Sinai. [33]Quando Mosè
ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso. [34]Quando entrava davanti al Signore per
parlare con lui, Mosè si toglieva il velo, fin quando fosse uscito. Una volta uscito, riferiva agli Israeliti
ciò che gli era stato ordinato. [35]Gli Israeliti, guardando in faccia Mosè, vedevano che la pelle del
suo viso era raggiante. Poi egli si rimetteva il velo sul viso, fin quando fosse di nuovo entrato a
parlare con lui.
Gesù, a sua volta, vive un’esperienza di trasfigurazione. Apparirà luminoso ai discepoli. I discepoli
vedono, in una forma particolare, dal carattere eccezionale, la luminosità normale di Gesù (Cf. Mc
9,2-3). Egli da sempre è luce, da sempre riverbera lo splendore del Padre quale irradiazione della
sua gloria (Eb 1,3.) La sua luminosità è la sua carità, la disponibilità a dare se stesso a Dio a
vantaggio dei suoi fratelli. Senza amore, non può esservi alcuna luminosità. Tutto questo prepara
la grande illuminazione della sua Pasqua. Quando donerà tutto se stesso e la sua vita per gli
uomini e mostrerà così di essere animato da un amore sorprendente, divino, potrà essere
glorificato, non soltanto nelle vesti, ma in tutta la sua persona.
Secondo san Paolo, ogni cristiano possiede in sé la luce del Signore e questa può aumentare in
modo sempre più evidente, purché, lasciandosi illuminare dallo Spirito, viva la carità stessa di
Cristo:«Noi tutti, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in
quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore» (1 Cor
1,17-18).
Costruzione della dimora e ripresa del viaggio
Il culto di Israele
L’edificazione della dimora
La proposta di costruire la dimora era stata fatta in precedenza, prima dell’episodio del vitello (Es
25,1-31,18), ma questo fatto, che implicava un’incrinatura dell’Alleanza, aveva impedito il
proseguimento di questo intento. Il progetto viene ripreso soltanto dopo che Mosè ha ottenuto il
perdono da parte di Dio (35-39).
Dio istituisce il sacerdozio, non solo quello di Aronne, ma anche quello dei suoi figli, in modo di
assicurare la perennità di questa istituzione. La dimora diventerà un giorno un tempio. Il tempio
ricorderà che Israele sta pellegrinando con Dio verso la terra, che verrà persa e riacquistata, ma
soprattutto verso i beni messianici.
Capitolo 40 [1]Il Signore parlò a Mosè e gli disse: [2]“Il primo giorno del primo mese erigerai la
Dimora, la tenda del convegno. [3]Dentro vi collocherai l'arca della Testimonianza, davanti all'arca
tenderai il velo. [4]Vi introdurrai la tavola e disporrai su di essa ciò che vi deve essere disposto;
introdurrai anche il candelabro e vi preparerai sopra le sue lampade. [5]Metterai l'altare d'oro per i
profumi davanti all'arca della Testimonianza e metterai infine la cortina all'ingresso della tenda.
[6]Poi metterai l'altare degli olocausti di fronte all'ingresso della Dimora, della tenda del convegno.
[7]Metterai la conca fra la tenda del convegno e l'altare e vi porrai l'acqua. [8]Disporrai il recinto
tutt'attorno e metterai la cortina alla porta del recinto. [9]Poi prenderai l'olio dell'unzione e ungerai
con esso la Dimora e quanto vi sarà dentro e la consacrerai con tutti i suoi arredi; così diventerà
cosa santa. [12]Poi farai avvicinare Aronne e i suoi figli all'ingresso della tenda del convegno e li
laverai con acqua. [13]Farai indossare ad Aronne le vesti sacre, lo ungerai, lo consacrerai e così egli
eserciterà il mio sacerdozio. [14]Farai avvicinare anche i suoi figli e farai loro indossare le tuniche.
[15]Li ungerai, come il loro padre, e così eserciteranno il mio sacerdozio; in tal modo la loro unzione
conferirà loro un sacerdozio perenne, per le loro generazioni”.
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[16]Mosè fece in tutto secondo quanto il Signore gli aveva ordinato. Così fece: [17]nel secondo
anno, nel primo giorno del primo mese fu eretta la Dimora. [18]Mosè eresse la Dimora: pose le sue
basi, dispose le assi, vi fissò le traverse e rizzò le colonne; [19]poi stese la tenda sopra la Dimora e
sopra ancora mise la copertura della tenda, come il Signore gli aveva ordinato.
In seguito il popolo stesso viene presentato come un santuario in cui si rende presente il Signore
stesso: «In quei giorni - dice il Signore - non si parlerà più dell’arca dell’alleanza del Signore;
nessuno ci penserà né se ne ricorderà; essa non sarà rimpianta né rifatta. In quel tempo
chiameranno Gerusalemme trono del Signore; tutti i popoli vi si raduneranno nel nome del Signore
e non seguiranno più la caparbietà del loro cuore malvagio (Ger 3,16-17)».
Nella spiritualità cristiana la costruzione della dimora appare come un’anticipazione
dell’edificazione della Chiesa e l’Arca acquista un valore di prefigurazione: «Che cosa significa se
non la costruzione della Chiesa in seguito alla venuta di Cristo? Ogni ornamento della Chiesa
viene formato a partire dal tempo di grazia del nostro Redentore. Per mezzo della voce potente del
Vangelo, si manifesta lo splendore della nuova Gerusalemme, che discende dal cielo, come sposa
del Re celeste» (Rabano Mauro, Commentaria in Exodum, XXIV PL CVIII 245 B). Il cristiano è la
vera nuova arca: «Abbia nell'intimo del suo cuore anche l'altare dell'incenso, affinché anch'egli
dica: Siamo il buon odore di Cristo; abbia l'arca dell'alleanza, con le tavole della legge, per
meditare nella legge di Dio giorno e notte e la sua memoria diventi arca e biblioteca dei libri di Dio,
poiché anche il profeta dice beati quelli che si ricordano dei suoi comandamenti per compierli.
Nell'anima sia anche riposta l'urna della manna: l'intelligenza sottile e dolce della parola di Dio; vi
sia in lei anche la verga di Aronne: la dottrina sacerdotale e la severità fiorente della disciplina; e al
di sopra di ogni gloria vi sia in lei l'ornamento pontificale» (Origene, Omelie sull’Esodo, IX,4, p.
180). «La sposa di Cristo è come l'Arca dell'Alleanza, rivestita d'oro entro e fuori, custode della
legge di Dio. Essa non contiene altro che le tavole della Legge; tu pure non accogliere alcun
pensiero profano. Su questo propiziatorio, come su d'un Cherubino, Dio vuoi porre il suo trono. Il
Signore ti considera tutta sua. Gesù, entrato nel Tempio, butta fuori tutto ciò che ne è estraneo.
Dio è geloso; non soffre che la casa del Padre si trasformi in caverna di briganti» (Girolamo,
Lettera a Eustochio XXIII, 24).
Il Signore prende possesso del santuario
[34]Allora la nube coprì la tenda del convegno e la Gloria del Signore riempì la Dimora. [35]Mosè non
potè entrare nella tenda del convegno, perché la nube dimorava su di essa e la Gloria del Signore
riempiva la Dimora.
«Nell'Esodo si dice che la gloria di Dio aveva riempito la tenda, e con ciò viene indicato che vi era
la presenza stessa di Dio. È indicata la gloria del Figlio che è splendore della gloria e per la
partecipazione a lui si dice che tutte le creature la possiedono. In riferimento a quanti partecipano
alla risurrezione, sta scritto: Una stella differisce dall'altra per gloria. Chi ricerca questa gloria,
onore e incorruttibilità, consegue la vita eterna per la perseveranza nelle opere buone»
(Origene, Commento alla lettera ai Romani, II,V).
La nube guida gli Israeliti
Riprende un viaggio che ha un termine ma che, nello stesso tempo, non ha una metà definitiva.
Israele raggiungerà la terra, per poi perderla al tempo dell’esilio e ancora riprenderla. Il cammino
verso la terra è insicuro ma ancoa più arduo è il cammino verso la libertà.
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[36]Ad ogni tappa, quando la nube s'innalzava e lasciava la Dimora, gli Israeliti levavano
l'accampamento. [37]Se la nube non si innalzava, essi non partivano, finché non si fosse innalzata.
[38]Perché la nube del Signore durante il giorno rimaneva sulla Dimora e durante la notte vi era in
essa un fuoco, visibile a tutta la casa d'Israele, per tutto il tempo del loro viaggio.
Il Signore cammina nel mondo, presente in modo invisibile negli evangelizzatori: «Dio, per mezzo
dei suoi predicatori, cammina localmente nelle diverse parti del mondo…venendo a noi con la
grazia, si nasconde nelle anime dei suoi predicatori. Quando Paolo, avvinto in catene, si recava a
Roma per occupare il mondo, Dio camminava nascosto nel suo cuore come sotto una tenda,
poiché essendo nascosto non poteva essere visto e, rivelato mediante la parola della
predicazione, completava, senza sosta, ciò aveva iniziato» (Gregorio Magno, Commento morale a
Giobbe, V, XXVII, 19).
padre Vincenzo Bonato, monaco camaldolese
A.M.D.G., novembre 2014.
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