Kenan Gürsoy
crescere aspirando
all’unità
Dialoghi sul sufismo
e sulla filosofia
a cura di
Levent Bayraktar
Fulya Bayraktar
Traduzione di Elettra Ercolino
Armando
editore
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Sommario
Prefazione alla traduzione italiana di Elettra Ercolino13
Da parte dell’alunno 15
Presentazione 15
Affidando alla penna
Per cominciare a parlare
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19
Capitolo primo
La crisi del mondo moderno: il distacco metafisico 23
Capitolo secondo
L’essere esistente-non esistente 38
Capitolo terzo
Essere testimoni
47
Capitolo quarto
Oltre il sociale
55
Capitolo quinto
All’interno dell’aspirazione pura
60
Capitolo sesto
Essere sulla via: filosofia e tradizione sufica
67
Capitolo settimo
Unificare le vie
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Capitolo ottavo
La saggezza della lingua
La lingua della saggezza
100
Capitolo nono
Essere nella filosofia, formarsi con la filosofia
112
Capitolo decimo
Prendere coscienza del divenire
Trasformarsi 119
Capitolo undicesimo
La costruzione della personalità
La rinascita della civiltà 135
Capitolo dodicesimo
Essere una persona di riferimento
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Prefazione alla traduzione italiana
a cura di Elettra Ercolino
Crescere aspirando all’unità: trovare un titolo idoneo alla traduzione
italiana è stata la prima delle innumerevoli difficoltà scaturite dalla presenza di un linguaggio peculiare legato all’ambito religioso sufico, spesso
ricorrente all’interno del saggio. Nonostante gli inconvenienti di tipo tecnico, le differenze e le distanze culturali che si rilevano nel testo non presentano, di fatto, un ostacolo alla comprensione della portata dei dialoghi che,
seguendo il metodo socratico, arrivano a trattare temi comuni sia al mondo
occidentale sia alla tradizione cristiana. In un momento storico in cui l’intero Islam è demonizzato per colpa di una ristretta cerchia di estremisti dagli
atteggiamenti intolleranti e aggressivi, i quali, piegati a logiche politicoeconomiche, spingono l’Occidente a individuare nel musulmano il nemico
e a temerlo, diventa sempre più importante porre attenzione all’altro volto,
quello illuminato del sufismo, incline al dialogo, in cui l’Amore emerge in
opposizione all’odio e alla violenza. Si tratta di un aspetto della religione
islamica che porta alla conciliazione e alla ricomposizione, un terreno su
cui impiantare un dialogo interreligioso, un ambiente in cui l’aspirazione
a fondersi con l’altro nel nome di Dio oltrepassa qualsiasi bandiera, razza
o credo. In questo senso la stretta vicinanza con il cristianesimo si avverte
in maniera ancor più forte e non si basa solo sul semplice aspetto monoteistico ma va ben oltre, individuando la necessità di seguire le orme di Dio e
di imitare il suo esempio. Ma qual è la portata di una simile affermazione?
Quali sono le azioni concrete che bisogna compiere? In sintesi, l’azione cui
si è chiamati è una sola: Amare. In virtù di essa, tutte le immagini tremende di morte e di odio si dissolvono. Di fronte all’aspirazione mistica che
conduce verso l’Amato, ogni altro aspetto diviene secondario: le divisioni
scompaiono, tutto si unisce nel Suo nome, regna la pace e si vive in armonia
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con l’intero creato. Questo è il messaggio del sufismo, del cristianesimo e
di tante altre realtà religiose e filosofiche che seguono percorsi simili.
Leggendo i dialoghi tra il maestro e i suoi discepoli, ci si rende conto
di quanto i problemi proposti e affrontati in questo volume siano comuni
a ogni civiltà e i modi di trattarli, pur seguendo tradizioni diverse, trovino,
di fatto, un unico denominatore: perseguire il medesimo scopo. Sarebbe
un’aberrazione pensare che il mondo intero si debba muovere battendo gli
stessi cammini e rinunciare al proprio percorso storico-culturale a favore
di quello che politicamente trova maggiore affermazione. è sano invece
non rinnegare le proprie origini ma, muovendosi autonomamente attraverso percorsi più consoni alla propria civiltà, giungere agli stessi traguardi
che ogni essere umano dovrebbe perseguire: la comprensione dell’altro,
l’identificazione con l’altro, il rispetto per l’altro e per il creato, il sentirsi
parte di un’Unità.
Avvertenze
Data la peculiarità di alcuni termini legati alla tradizione sufica, in determinati casi si è preferito mantenere il vocabolo turco e porre in nota una
descrizione del significato. Inoltre, laddove il testo sottintende concetti o
citazioni, che sono note al pubblico turco ma non trovano uguale riscontro
in quello italiano, è stato necessario aggiungere dettagli e offrire maggiori
spiegazioni per permettere una fruizione completa da parte del lettore.
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Da parte dell’alunno
Presentazione
Il presente libro è costituito da una serie di dialoghi che abbiamo avuto
con il nostro professore Kenan Gürsoy.
Quando abbiamo pensato di trasformare in libro i dialoghi intercorsi
all’Ambasciata di Turchia presso la Santa Sede, nei cinque giorni in cui
siamo stati ospiti a Roma, ci siamo sforzati di dare ai capitoli dei titoli che
fossero idonei a esprimere i concetti principali e che fossero condivisibili
con i lettori. Anche il titolo del libro è stato oggetto di profonde discussioni, importanti tanto quanto i dialoghi svoltisi durante i cinque giorni del
soggiorno romano. Inizialmente avevamo pensato a Filosofia Turkuaz1, per
indicare che le idee contenute nell’opera sono del colore della nostra cultura
e che, di conseguenza, rispecchiano una filosofia che ci appartiene. Volendo
dare, però, più peso a una riflessione di tipo universale, volta a unire più che
a dividere, abbiamo pensato di soffermarci sulle parole poter diventare uno,
conoscere come uno. Questa riflessione, che si basa sul principio dell’unificazione, implica anche la trasformazione in essere etico ossia il dotarsi
di una moralità. Seguendo questa prospettiva, quindi, abbiamo ipotizzato
d’intitolare il libro formarsi con la filosofia. Successivamente, abbiamo realizzato, però, che in questi dialoghi non solo ci formiamo ma, come dice
il nostro professore, entriamo nell’amore che dovrebbe essere considerato
come il mistero di tutta la creazione a partire dal quale l’intero universo è
stato concepito. Nel formare e nel formarsi, pertanto, l’ambiente di conver1 Turkuaz indica il color “turchese” che assume anche un valore simbolico all’interno
della cultura turca.
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sazione assume la forma di “dialogo” e di “discorso filosofico amoroso”.
Per questo motivo, abbiamo nuovamente cambiato idea, proponendo “discorsi filosofici amorosi”. Alla fine, però, si è scelto d’intitolare il volume
con la frase di chiusura dell’ultimo dialogo: crescere aspirando all’unità.
L’opera, che nei suoi dodici capitoli affronta problemi contemporanei,
tratta delle angosce dell’individuo in quanto soggetto, delle sue crisi spirituali, culturali e intellettuali, le cui soluzioni possono essere rintracciate
all’interno delle tradizioni di pensiero. Partendo da questa prospettiva, ci
si è posti come obiettivo l’elaborazione di un linguaggio che parta da una
rilettura filosofica di concetti che si pensa appartengano esclusivamente
all’ambiente sufico. Nel perseguire questo scopo, è stato di grande aiuto
l’approccio concettuale proprio della tradizione sufica e della filosofia, oltre alle peculiarità dell’essere etico e umano che si sviluppano in situazioni
dialogiche. Partendo dalla conclusione che l’angoscia dell’uomo moderno è
legata alla crisi intellettuale e la crisi intellettuale è legata all’angoscia, sono
stati affrontati molti problemi come: la persona come testimone, la distanza,
il mistero di questa distanza, il senso di una distanza creatrice, essere una
persona di riferimento, la trascendenza dei veri significati dei valori e la
coscienza. Oltrepassando i limiti di una coscienza esclusivamente mentale
e approdando a una coscienza esistenziale dell’uomo stesso, si giunge, infine, a un significato umano, che conduce non soltanto all’essere corporale
e sociale dell’uomo ma anche alla sua idea di personalità in quanto essere
di valore che, avendo tale punto di partenza, perviene al concetto di civiltà.
Queste conversazioni incentrate sulla filosofia umana e sulla filosofia
dei valori della morale, ovviamente, non possono esaurirsi in questo libro.
L’opera consiste in dialoghi estemporanei, non in domande e risposte scritte: una forma ben nota ai lettori che s’interessano di filosofia, poiché in uso
sin dai tempi di Socrate. è il continuo di una tradizione filosofica che forma
formandosi non solo con i concetti ma anche con il proprio metodo e si
può anche considerare come un trasferimento della tradizione dei dialoghi,
tipicamente sufica, in ambito intellettuale.
Non è stato possibile registrare tutte le conversazioni avvenute a Roma
durante il nostro soggiorno. Questo libro è quanto siamo riusciti a riportare:
contiene una piccola parte dei pensieri e delle proposte concettuali di Kenan Gürsoy. La nostra speranza è poter far diventare questo piccolo passo
un inizio e poter trascrivere i tanti concetti discussi, e ancora non discussi,
in altri libri. Pertanto, la voglia di registrare tutte le sue lezioni e le sue con16
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versazioni, che abbiamo avuto sin dal primo giorno in cui siamo diventati
suoi alunni, oggi è divenuta per noi una necessità intellettuale. Crediamo
che una persona simile, che incarna una concezione etica e civile, sia un
contributo alla nostra vita intellettuale.
In questi tempi in cui affiora spesso il problema della crisi culturale
che sta attraversando il mondo, l’elemento su cui abbiamo provato maggiormente ad attirare l’attenzione in quest’opera è “l’uomo”, il concetto
di “civiltà” che egli potrebbe avere creato, la vocazione alla “coscienza”:
tutti argomenti che offrono spunti di riflessione per contrastare questa
crisi. Partendo da questi presupposti, si suggerisce ai pensatori odierni
di trattare, ancor più di prima, il concetto di civiltà, poiché è necessario
porre maggiore attenzione all’“uomo” e al suo “valore” intrinseco, dal
momento che il mondo è rimasto in una palude di relativismo, multiformità, comparativismo e decadenza. Domina la convinzione che i valori
siano cangianti, che presso diverse società, in diversi tempi e in diverse
circostanze i valori possano cambiare. Rispetto a tale convinzione Kenan
Gürsoy è del parere che: anche se risultano delle diversità nel modo di
comportarsi, non si dovrebbe ignorare il fatto che esistano valori fondamentali o universali e che ci siano delle persone che possono esistere e
che rappresentano questi valori.
Il problema di fondo è la crisi che vive l’uomo odierno, che non è legata
a carenze nel settore economico e tecnico, bensì alla crisi in ambito umano
ossia morale. Specialmente in questi ultimi due secoli, malgrado sia aumentata a dismisura la conoscenza umana dell’universo tangibile rispetto
alle epoche precedenti, non si è ottenuto lo stesso successo a livello di conoscenza di se stessi, dello stare insieme con un’altra persona e dell’avere
e condividere i valori umani universali.
Il pensiero filosofico di Kenan Gürsoy mira ad avere una visione trascendente ed esaustiva, una visione “antropocentrica” da cui partire, una visione
che studia la realtà umana in tutte le sue dimensioni e che, in ultima analisi,
riesce a dare una valutazione completa, chiarendo l’essenza etica e metafisica.
Le radici di quest’approccio etico e metafisico sono costruite sull’idea
d’“unità”, riassumibile in “sapere uno, vedere uno e amare uno”, che contiene, dunque, un atteggiamento etico, estetico e metafisico. Pertanto una
tale unione si vede come l’apertura dell’ontico nel campo epistemico e
finalmente etico. Unire indica una morale d’amore: una possibilità di avanzamento nell’“Amicizia” e nell’“Amore”. Mentre si compie l’atto d’unire,
si va verso il raggiungimento della completezza dell’uomo. Ma “essere
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uno” non vuol dire rinchiudersi in se stessi: essere uno apre la persona
all’unità. La strada dell’essere uno passa attraverso lo stare insieme. Essere
insieme è un incamminarsi verso l’essenza dell’unione senza toccare la
specificità delle diversità: unione significa unire delle differenze.
Anche Kenan Gürsoy nel creare dei legami tra la riflessione filosofica e
la trasmissione sufica si è basato su un’idea d’“unità” simile a questa. Per
fa sì che l’unione tra la filosofia e la tradizione sufica diventi una disciplina
che viva e faccia vivere questa profondità, l’unione deve essere prolifica e
illuminante. Per essere prolifica e illuminante sia per la filosofia sia per la
tradizione sufica, l’unione deve scaturire da quest’ultime, diventando una
disciplina che vive e fa vivere questa profondità e che allo stesso momento
mette in pratica la tradizione sufica rielaborata tramite la coscienza filosofica.
Nel cercare di unire le necessità della tradizione e della modernità, Kenan Gürsoy, basandosi sempre sul concetto d’“Unità”, affronta le problematiche filosofiche, partendo da valori attuali e riagganciandosi alla storia
mondiale della riflessione, in particolare alla nostra tradizione sapienziale
e ai modi di utilizzare la filosofia odierna come continuazione di una tradizione. Infatti, mentre si segue un linguaggio o una tradizione, contemporaneamente si crea anche una “connessione” con essi, di cui è importante
mantenere la “continuità”. In realtà noi conosciamo questa tradizione che
cerca di legare il passato con il futuro e creare un uomo del futuro con le
radici piantate nel passato, però vediamo con Kenan Gürsoy la traslazione
di questa tradizione sufica su un piano filosofico.
Ringraziamo il nostro maestro Kenan Gürsoy non solo per questi dialoghi ma per aver arricchito la nostra vita.
Fulya Bayraktar, Levent Bayraktar
Ankara, giugno 2013
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Affidando alla penna
Per cominciare a parlare
Probabilmente una delle più grandi soddisfazioni per un uomo che cerca di dedicarsi alla filosofia con tutta l’anima, è quella di poter conversare con i propri ex-studenti diventati, nel frattempo, uomini di cultura e
di scienza, perché non sarebbe soltanto un’esplorazione di concetti o una
ricerca di sistemi, ma diventerebbe, secondo la nostra tradizione sufica, una
“costruzione” cooperativa.
La costruzione sotto forma di dialogo filosofico può portare alla determinazione di sfumature e all’esplorazione dei principali ambiti d’investigazione; nella “conversazione”, però, si raggiunge una “crescita unificatrice”
e una “contemplazione cooperativa”1 in cui il pensiero si approfondisce.
Probabilmente, il fatto che la conversazione sufica si muova in un “clima
dialogico”, porta come conseguenza l’instaurazione di un’“armonia” con il
“significato” di una personalità che distingue se stessa tramite uno specchio
tenuto in mano da altri.
Ecco le conversazioni che ho intrattenuto con i miei “studenti del cuore” Fulya Avcı Bayraktar e Levent Bayraktar, che hanno risvegliato in me
il gusto per simili conversazioni profonde, poiché non si tratta solo di esprimere a parole concetti e problemi ma anche di operare a livello verbale
delle trasposizioni esistenziali e intellettuali intime. Non avrei immaginato che queste “trasposizioni verbali” sarebbero state “affidate alla penna”,
come invece è accaduto per queste conversazioni, che sono state registrate
e trasformate in libro.
1
In turco birlikte oluş e birlikte seyir.
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La persona, innanzitutto, è un essere consapevole ossia un essere cosciente. Ogni fenomeno che vive e con cui diventa un tutt’uno vivendolo, e
ogni evento che assimila con il proprio sforzo in nome del mondo dei valori, lo rinnova e lo riproduce a sua volta, trasferendolo a livello di pensiero e
di azione. Il mistero sta nel fatto che la coscienza è in grado di prendere le
“distanze” da tutto, persino da se stessa. E appunto questa distanza va presa
perché ci possano essere il significato e il valore.
Naturalmente la “distanza” non va intesa come “disconnessione”. Se
questo dovesse succedere, il mondo di significati e di valori che vorrei fondare, stabilendo pace e coscienza insieme a tutta l’umanità, crollerebbe interamente. Questo è valido anche per la lingua che mi permette, nella mia
vita di essere umano, di esprimere i miei valori culturali, le tradizioni del
pensiero e me stesso.
Fra i metodi filosofici contemporanei, tra i quali emerge soprattutto
quello diffuso dalla fenomenologia di “mettere tra parentesi”, vi è l’operazione di “prendere le distanze” da una persona vivente e da una coscienza che percepisce, “sospendendo” per un breve periodo il mondo dei fatti
esteriori. Questo, però, non significa ignorare l’ambiente storico in cui ci
si trova, le attitudini concrete individuali e sociali esistenti e i fatti. Queste
distanze che si prendono, sono un’importante opportunità per una nuova
coesistenza, una nuova percezione di quelli in grado di apportare un significato, un valore e un’interpretazione del tutto nuovi. Anzi, formano in noi
una coscienza etica che porta, in qualche modo, ad assumersi la responsabilità dell’universo e dell’umanità. Tali distanze di coscienza risultano molto
fertili per quanto riguarda la realizzazione dell’essere un tutt’uno con la
vita e con gli altri.
La filosofia, da un certo punto di vista, incarna questa distanza. Se noi
vogliamo, al giorno d’oggi, ottenere una coscienza filosofica di orientamento
universale, in grado di abbracciare le differenze interne ed esterne, tramite
i valori principali che abbiamo acquistato nel nostro mondo civile, dobbiamo poter prendere queste distanze, senza però diventare estranei a noi stessi. Questa è la via per percepire di nuovo noi stessi attraverso lo specchio
del tempo che viviamo e del mondo che a ogni istante continua a evolversi.
Inoltre è un’opportunità per occupare un posto nella storia come “soggetto”,
rinnovandoci grazie a una continua comunicazione con i diversi da noi. Certamente questo fatto assume una grande importanza, per la condotta culturale
in generale, ma anche per le nostre esistenze individuali che si trovano immerse all’interno della suddetta cultura, con espansioni interiori e universali.
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Allora perché non considerare “la riflessione sufica” che si rifà al pensiero base, al nostro credo e alla nostra arte, come un approccio filosofico
e scoprirne di nuovo oggi il valore? Forse non sarebbe solo un arricchimento filosofico ma si creerebbe anche un’armonia tra stile sufico e
filosofia.
Questo sforzo, inoltre, porterebbe a percepire il “valore universale”
e a prendere in mano, usando il linguaggio filosofico moderno, il “messaggio etico” che si trova riflesso nelle nostre tradizioni, che sono proprie
dell’Islam.
***
E adesso arriviamo alla domanda fondamentale: di cosa abbiamo discusso in questi nostri dialoghi? Qual era l’argomento principe per noi?
Non solo in queste conversazioni ma in generale, quando s’inizia una
considerazione filosofica, il tema fondamentale è per molti, come anche lo
è stato per noi, “l’essere umano”.
Sì, questo è il tema principale. In un certo senso l’orientamento verso
il “significato fondamentale” è la percezione di noi stessi e della nostra
forza, il rendere manifesto con rispetto il nostro divenire individuale dal
punto di vista unico, che è il senso e il valore del nostro mondo, lo sforzarsi di essere un “universo-uomo”, partendo sempre dalla propria esistenza, creando un terreno di “sapienza-conoscenza” in armonia con tutto
il creato: così s’immagina un viaggio verso l’“Uno” e l’“Unità”. Inoltre,
rimanendo sempre consapevoli del nostro essere distinti, dobbiamo essere
coscienti di costituire una delle componenti attive di un tutto e sforzarci di
assumercene la responsabilità.
Da un certo punto di vista, un tentativo del genere rende necessario
intraprendere, come affermerebbero le nostre antiche tradizioni spirituali,
una “strada” che ha come obiettivo il tevhit2 e che rende i suoi viaggiatori
muvahhit3. L’obiettivo da raggiungere, in breve, è “unificare” e “essere unificati”, avendo la coscienza dell’“Unità”.
Se vogliamo essere più chiari, lo scopo è la ricerca del “vero significato”
e dell’“essere un tutt’uno” che sta alla base di tutto, senza dare una forma
unica alle cose, senza considerare assurdi i piccoli particolari, prestando
2
La nozione di “Unità” nell’Islam che, nella tradizione sufica, diventa generale.
“Colui che unifica”, ossia colui che è sulla strada dell’unificazione intesa come “Unità
divina”.
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attenzione e dando importanza a tutto ciò che è stato creato in tutti i suoi
aspetti e apprezzando, infine, ogni persona con il suo bagaglio culturale,
senza chiedere chi sia e da dove venga.
Per questo tipo di ricerca è necessario, naturalmente, quell’orientamento libero e universale che il pensiero filosofico fornisce, in quanto si pone
il problema della “domanda” e del “concetto”, lasciando spazio alla preoccupazione per la “coerenza” e il “vincolo”, pretesi dalla “ragione”, e alla
ricerca della “realtà” e della “verità”. Però non è importante solo “sapere”,
ma la “sapienza” e la “coscienza” devono creare un’opportunità di “divenire esistenziale” a un “essere che è soggetto”.
Questa “esistenza” consiste nel rivendicare per noi stessi, in maniera
consapevole e con valori sempre nuovi, la vita che ci è stata concessa. È il
compiere un’azione giusta nel nome del bello e del buono. È il partecipare
a una costruzione comune, il trasformarsi per poter scoprire il tesoro nascosto in noi stessi, il fondare con ardore e desiderio rapporti di amicizia
con tutto il creato.
***
Ringrazio infinitamente la Prof.ssa Fulya Avcı Bayraktar e il Prof. Levent Bayraktar per aver raccolto in un libro i dialoghi che abbiamo avuto
nell’estate del 2011, in occasione di una loro visita a Roma durante il mio
mandato come ambasciatore presso la Santa Sede. Sono grato, inoltre, del
loro impegno e del fatto che mi considerino sempre loro maestro e per la
loro profonda amicizia di cui godo in ogni occasione. Mi rendo conto che
essere professore va oltre il tenere una lezione e avere uno scambio di opinioni, significa percorrere la strada insieme ai propri studenti, poter essere
con loro all’interno di una situazione unica e totale.
Prof. Dr. Kenan Gürsoy
Ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede
Giugno 2013, Roma
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Capitolo primo
La crisi del mondo moderno: il distacco metafisico
«Siamo distaccati dalla contemplazione
dell’essere primordiale: chi si rende conto
di questa piaga insanabile, afferma che lo
sradicamento per l’uomo è una lesione
profonda e per il mondo una triste
e infinita condizione di orfanilità».
Yahya Kemal
Kenan Gürsoy: Prego amici, ditemi quali sono le tematiche e i relativi
interrogativi, così diamo inzio al dialogo.
Fulya Bayraktar: È possibile approfondire meglio, anche da un punto
di vista filosofico, molti concetti tramite una percezione più profonda che
la tradizione sufica ci offre. Come si può rielaborare tale consapevolezza?
Kenan Gürsoy: Si parla sempre dell’arte di vivere, di unirsi consapevolmente nel divenire, di creare una “personalità” che si forma in piena
coscienza. Naturalmente diciamo che il divenire esistenziale e la sapienza
dovrebbero essere un tutt’uno, ma un concetto che mi sta particolarmente a
cuore, lo sapete bene, è quello di “distanza”.
Analizzando il concetto di “distanza” in relazione alla consapevolezza
in un qualsiasi ambito, si avverte l’ulteriore bisogno di essere consapevoli
di ciò che sappiamo. Per poter stabilire noi stessi ciò che sappiamo, abbiamo bisogno di prendere delle distanze da quanto ci è noto. Addirittura, per
poterci rivalutare in maniera consapevole, dobbiamo prendere le distanze
da noi stessi.
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Una delle qualità più care che Dio ci ha conferito a livello epistemico, inteso come divenire esistenziale, è l’“essere a distanza”. Si tratta di
una distanza di coscienza, di percezione: bisogna uscire fuori per osservare dall’esterno. Sul cammino della via della saggezza, com’è importante
unirsi e formarsi con la sapienza, altrettanto lo è creare questa distanza e
conoscere e formarsi all’interno di essa: anche se può sembrare una contraddizione, è però una condizione necessaria ai fini dell’“attaccamento”,
inteso come creazione di un’unione. C’è bisogno di una distanza a priori
per poter realizzare successivamente la pienezza. Pur se appare paradossale, la logica seguita è quella di una prima fase di separazione cui segue
una di attaccamento.
Fulya Bayraktar: Partendo dalla “divergenza” si riflette sul­l’“ide­
nticità”1.
Kenan Gürsoy: Sì, partendo dalla “divergenza” si riflette sull’“identicità”, ed è possibile rendersene conto solo in uno stato di separazione. Si
tratta di un’operazione iniziale importante nel processo di riconoscimento
e di acquisizione della consapevolezza. Approfondendo quest’argomento,
anche a livello spirituale, si nota, ad esempio, che la tradizione sufica affronta i concetti di divenire un essere nostalgico e di essere estraneo. Se
fossimo uniti a Lui, non avremmo bisogno di riconoscerLo e di avere la
coscienza della Sua esistenza e della Sua verità, perché saremmo in “Lui”.
Ora, invece, ne siamo separati e in questo stato ci percepiamo a distanza,
diventando pian piano esseri d’amore che anelano a Lui e che ne sentono
nostalgia. Diventare un “essere d’amore” significa desiderare ardentemente. Se ci fossimo trovati in uno stato di completa unione, non avremmo
potuto vivere e capire il significato di “essere d’amore”, di essere “anelanti”, “volitivi”, “ferventi”.
Ripetendo con insistenza l’hadith2 «ero un tesoro nascosto, ho desiderato con amore essere riconosciuto» e interpretandolo, risulta evidente
che il significato sotteso è la distanza da Dio. Ma se l’Essere Assoluto ha
espresso il concetto di “desiderare amorevolmente di essere riconosciuto” e addirittura lo comanda in quanto “scopo della creazione”, allora
1
2
Principio logico d’identità e di contraddizione.
Breve aneddoto sulla vita del profeta Maometto.
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l’uomo che risponde potrà comprendere il suo vero essere e capire dove
si trovi la Vera Patria solamente tramite tale “distanza”, senza la quale,
questo non sarebbe possibile.
Torniamo indietro e analizziamo da un punto di vista filosofico l’argomento della conoscenza, del riconoscere i concetti e del percepire la vita.
La consapevolezza su cui ci si è soffermati a lungo, è decisamente quella
all’interno della distanza ma, per essere veramente consapevoli, bisogna
avere l’abilità di continuare a essere gli stessi nella diversità.
Pur se apparentemente contraddittorio, è un mistero insito nella condizione di essere uomo. Come c’è bisogno della distanza per sapere ed essere
consapevoli e consci, così c’è bisogno di essere distanti per attaccarsi, volere, desiderare e percepire amorevolmente qualcosa: per questo si definisce
l’uomo un essere nostalgico.
Nemmeno gli intellettuali sono estranei a questo concetto: anche se non
lo percepiscono con profondità metafisica, però parlano sempre di una distanza simile ma a livello mentale. Purtroppo, l’approccio intellettuale dei
“tempi moderni” non prevede all’interno del concetto di distanza l’“essere
attaccati”, l’“essere impegnati”.
Levent Bayraktar: In questo consiste la libertà dell’uomo.
Kenan Gürsoy: Sì, però anche la libertà è distanza, è saper prendere
le distanze. Ma, come tu hai notato, l’errore consiste nel definire libertà la
mancanza di attaccamento.
Quando si valuta e si critica la concezione attuale di sapere, se ne parla
senza tener conto del “divenire esistenziale”, dell’imparare senza che ci
siano degli effetti sullo spirito, sul divenire esistenziale stesso, sulla coscienza morale. Conoscere i concetti e valutare gli avvenimenti avviene
sempre nella distanza. Qui, però, si parla non di mancanza di distanza ma
di unione, d’impegno, di voler ritornare a tale concetto.
A causa della mancata concezione di apprendere nella “distanza”,
dell’“essere un tutt’uno con la cosa da cui si è distaccati”, gli intellettuali moderni non sono nemmeno a distanza da quel che ci circonda, dai
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concetti, dalla realtà, dalla Verità, dalla Divina Verità: la tragicità risiede
nell’essere distaccati da essi. La distanza non si può definire distacco.
Levent Bayraktar: In quest’ottica è possibile affermare, allora, che l’idea di “essere gettati” è un modello di pensiero derivato non dalla distanza
ma dal distacco?
Ricordiamo, ad esempio, cosa dice Sartre: “L’uomo è un essere gettato
in questo mondo”.
Kenan Gürsoy: È possibile affermarlo ma non bisogna ridursi solo
a questo. Si noterà come l’idea e la sensazione di essere gettati, dovute a
quanto detto finora, tende all’“assurdità”.
Fulya Bayraktar: Maestro, non c’è un “attaccamento” che percepiamo
nella “distanza” ma che manca nel “distacco”?
Kenan Gürsoy: Molto bene, c’è un attaccamento nella distanza, c’è un
impegno. Quando, ad esempio, si parla dell’oggetto della conoscenza, di
cui voi siete soggetto, in qualche modo vi trovate anche a essere interlocutori dell’oggetto stesso che state conoscendo.
Fulya Bayraktar: Ciò è più comprensibile quando ci si trova nello
stato di “nostalgia”. Essere fisicamente lontani da uno sconosciuto con
il quale non si ha alcun legame, non tocca particolarmente, perché, appunto, si è distaccati: non c’è alcuna relazione con la sua esistenza. Se
però si tratta di un “attaccamento”, proprio lo spazio tra noi e la persona
cui siamo attaccati, ci fa percepire la distanza, diventando così esseri
nostalgici.
Kenan Gürsoy: È in quel momento che quella persona assume un significato, un valore, un’importanza per voi e in relazione a voi. Si tratta
esattamente di avere una “relazione”, un “attaccamento”, un “impegno”.
Non esiste una visione univoca della distanza. Nel pensiero moderno
questo concetto è molto importante e utile, soprattutto per poter identificare
e descrivere la consapevolezza. Il problema, però, è come la nostra epoca
valuti questa distanza. Spesso i fatti, gli avvenimenti, le persone, le situazioni e tutto ciò con cui si ha una relazione non sono percepiti a distanza
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ma con distacco, perdendo così il controllo della realtà. La crisi del mondo
moderno, quindi, non è dovuta alla distanza ma al “distacco”.
L’oggetto della nostra ricerca è l’“attaccamento a distanza”, il divenire
esistenziale rispetto a quello cui si è attaccati, che comporta anche una riflessione sull’attaccamento alla vita attraverso la conoscenza e la percezione di oggetti e fenomeni. Si potrebbe parlare, in effetti, di una conoscenza
diversa della natura.
Levent Bayraktar: Lo scopo non è più dominare: la natura cessa di
essere un campo su cui avere il predominio.
Kenan Gürsoy: Si tratta di una situazione ancor più drammatica.
Cerchiamo, però, di muoverci nell’ambito di una conoscenza in cui si è
impegnati nei significati e nei valori e non di una conoscenza nella distanza
intesa come distacco. Se non si crea il “distacco”, la distanza e la conoscenza che si svilupperanno, ci permetteranno di analizzare la natura o, in
generale, il creato con uno sguardo non puramente fotografico.
Allora, ad esempio, si amerà la natura e ci si sentirà parte di essa, arrivando addirittura a capire che è parte integrante del nostro essere: saremo
interlocutori, istaurando una relazione esistenziale. Ci si unirà alla natura per
intervenire su di essa e formare una pienezza. Una tale relazione si creerà
non solo per conoscersi ma per partecipare insieme al divenire esistenziale.
La conoscenza della natura contribuirà al nostro divenire esistenziale ed essa
continuerà a divenire insieme a noi, rendendoci parte della volontà creatrice.
Si avrà, pertanto, il rispetto e la venerazione della creazione e, allo stesso tempo, un’unione concreta con Lui nell’amore e una partecipazione alla
volontà universale in forma di consenso e di adorazione.
Levent Bayraktar: è un modo per non estraniarsi più né da se stessi
né dalla natura e per non spingere neanchea la natura a estraniarsi da noi,
eliminando l’oppressione etica vicendevole.
Kenan Gürsoy: Sapendo che opprimere è ingiusto, bisogna prendere le
precauzioni per non opprimere. Per questo la distanza non deve divenire un
distacco. C’è bisogno della distanza, però c’è anche bisogno che essa sia
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una possibilità per creare un attaccamento. Si pensi la stessa cosa in funzione di quello che si percepisce ma anche in funzione degli avvenimenti
umani che si stanno testimoniando.
Evitiamo di colpevolizzare gli altri: cose simili, a volte, possono accadere a chiunque. Quello che si vede in televisione, ad esempio le immagini delle persone affamate in Africa, spesso si guardano come fossero
sceneggiati o scene di un film. Questo non è distanziarsi ma distaccarsi.
C’è una relazione tra noi e la persona africana che fa sì che noi siamo noi e
lei la persona africana. Bisogna considerare la persona affamata attraverso
la nostra responsabilità. Gli eventi storici e sociali non sono immagini da
fotografare con cui riempire album da riporre sulle mensole, sono invece
degli avvenimenti di cui siamo parte e in cui siamo già coinvolti. È importante apprendere il significato di “essere lì” come se veramente ci fossimo.
Sono situazioni che riguardano l’intera umanità di cui tutti facciamo parte.
Fulya Bayraktar: L’idea di essere parte dell’“umanità” mi ha fatto venire
in mente questo verso di Ḥāfeẓ-e Shīrāzī 3: «Ogni persona è un organo degli altri (come un corpo unico), perché sono stati tutti creati da un’unica sostanza».
Levent Bayraktar: In altre parole siamo tutti membri della stessa famiglia e tutti gli avvenimenti di cui siamo spettatori, accadono alla nostra
famiglia.
Kenan Gürsoy: Benissimo, si può fare riferimento all’immagine della
famiglia, perché all’interno di essa ognuno ha un impegno nei confronti
dell’altro.
Si potrebbe percepire questo mondo, l’umanità, come se si trattasse di
una famiglia integrata di cui ci si sente parte. Pertanto, “l’idea spirituale”
di questa famiglia inglobante, colta nel suo senso universale, corrisponde
all’umanità e le sue particelle più piccole “siamo noi in quanto persone”.
In riferimento all’esempio precedente, è necessario dire qualcosa in più
oltre “la persona affamata che si trova lì sono io”. Infatti, si potrebbe tollerare
oppure perdonare la propria fame, però se ci si rende conto che la persona
3 Ḥāfeẓ-e
Shīrāzī, mistico e poeta persiano del XIV secolo.
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affamata è sotto la nostra responsabilità, poiché fa parte della nostra famiglia,
la percezione e il modo di vivere l’evento assume una diversa dimensione. Il
rimedio al distacco passa attraverso questo tipo di considerazione.
Ora passiamo ad affrontare i temi della distanza come indifferenza e
della distanza come attaccamento con un esempio difficile da mettere in
pratica. La tranquillità che prova un medico nell’operare un paziente non è
uguale a quella che proverebbe se dovesse operare il proprio figlio, la propria moglie o i propri genitori, poiché il trovarsi di fronte a esseri verso cui
egli nutre delle preoccupazioni, muterebbe la natura dell’evento: l’avere
sul tavolo operatorio una parte di sé, non è il solito intervento di routine.
Persino un’operazione sulla propria gamba o sul proprio braccio lo renderebbe meno inquieto rispetto a un intervento su un familiare, che comporta,
invece, forti palpitazioni.
È chiaro quel che voglio dire? Esiste una relazione che impegna, una
condizione di “essere famiglia”, di “appartenenza”. Se la consapevolezza
moderna trasforma questa distanza in un “distacco” che si può definire indifferenza, significa che ci si sottrae all’“essere una famiglia” e al “creare
una relazione di legami”. Certo, il coinvolgimento del medico nel suo mestiere e le responsabilità etiche che esso comporta non gli permetteranno
mai di essere indifferente. Ma la profondità esistenziale che il concetto di
famiglia trasmette è d’importanza primaria e forse, quello che è stato definito impegno professionale ed etico, si basa su questo principio.
Lo stesso deve accadere in ogni relazione con la natura o con tutto il
creato.
La “distanza” di cui abbiamo parlato finora, io la definisco distanza
crea­tiva, perché è come se tutto fosse una sua conseguenza. È grazie al
mistero della distanza, se la creazione permette di comprendere la sua essenza attraverso di essa, se si possono testimoniare le sue meraviglie solo
in questo modo. La distanza, però, non deve essere un distacco.
Non si può perdonare l’indifferenza dell’intelletto moderno di fronte
agli eventi e all’umanità: l’indifferenza a volte diventa anche deridente,
sminuente, se non addirittura nemica, perché percepisce il diverso e se ne
distacca.
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