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„Benedite, opere tutte del Signore, il Signore” - Per una spiritualità del creato
Karl Golser 1
1) Fondamenti biblici
È espressione di grande intuito teologico se la Liturgia delle Ore propone per le Lodi della
Domenica nella prima e terza settimana il celebre Cantico dei tre giovani nella fornace,
riportato nel terzo capitolo del libro di Daniele (Dan 3,57-88). Dopo la benedizione diretta al
Dio dei nostri padri la cui gloria splende nel tempio e in tutta la creazione, si invitano tutte le
sue opere a glorificare il Signore; si inizia dagli angeli, si passa dai cieli alle acque, ai monti,
si indugia sulle diverse situazioni atmosferiche, si considerano il mondo minerale e quello
vegetale, poi tutti gli animali selvaggi e domestici, per finire a tutti i figli dell’uomo: tutto
l’universo è invitato a lodare ed esaltare il Signore nei secoli.
Non bisogna dimenticare che il contesto di questa lode è la situazione drammatica nella quale
si sono trovati questi tre giovani, che hanno voluto rimanere fedeli alla fede del proprio
popolo. Sono stati buttati nella fornace ardente, ma da questo estremo pericolo di morte sono
stati salvati per intervento dell’angelo del Signore, e così prorompono nell’inno a Dio
Creatore che è stato il loro Salvatore.
L’esegesi più recente evidenzia infatti che il “Sitz im Leben“ più originario del riferimento
alla creazione è la domanda che sorge di fronte al male, quando la vita del popolo e del
singolo fedele è minacciata. Viene ribadito che si può avere fiducia nell’ordine fondamentale
dell’universo, perché esso è fondato in un Dio buono e misericordioso. C’è appunto un
rapporto, finora un po’ trascurato, tra i racconti della creazione e la narrazione del diluvio
universale nel libro della Genesi. Mentre Gen 1 legittima quello che è e quello che deve essere
(“Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”, Gen 1,31), Gen 6-9
delegittima quello che non deve essere, cioè il ritorno al caos a causa del peccato degli
uomini. Dio però, proprio di fronte alle conseguenze negative del peccato che minacciano la
vita stessa, riafferma la sua fedeltà e misericordia, pone nell’arcobaleno il segno della pace,
dell’alleanza fra Dio e la terra, e proclama solennemente: “Quando radunerò le nubi sulla terra
e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza tra me e voi e tra ogni essere che vive in
ogni carne e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne” (Gen 9,1415). Nel capitolo precedente - Gen 8,22 - Dio garantirà anche la stabilità dell’ordine sulla
terra: “Finché durerà la terra, seme e messe, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte
non cesseranno”.
Il riferimento a questo Dio Creatore e garante della vita costituisce appunto il fondamento nei
giorni più cupi della storia del popolo d’Israele ed anche della storia personale. Così proprio il
profeta Deutero-Isaia, che scrive al tempo dell’esilio d’Israele, epoca in cui l’esistenza stessa
del popolo è messa in pericolo, annunziando al popolo la sua meravigliosa liberazione non
può fare altro che richiamare la grandezza di Dio Creatore (cfr. Is 40,12-27). Un’analoga
argomentazione si ritrova nella sciagura personale. Giobbe, nella cui vita sono entrate le forze
caotiche del dolore e la cui fede è messa a dura prova, quando vuole chiamare Dio in giudizio,
viene confrontato nella risposta di Jahvé (cap. 38-41) proprio con il mirabile ordine della
creazione.
Se passiamo ora al Nuovo Testamento, bisogna ribadire che tutti i suoi scritti presuppongono
la fede in Dio Creatore e Redentore come era stata sviluppata nell’Antico Testamento.
Per Gesù l’elemento centrale è l’annuncio della venuta del Regno di Dio. In Gesù stesso, nella
sua predicazione, nelle sue guarigioni, ma anche nella sua passione, morte e risurrezione si
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Docente di teologia morale presso lo Studio Teologico Accademico di Bressanone (BZ) e membro del gruppo
di lavoro „responsabilità per il creato” presso la Conferenza Episcopale Italiana.
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realizza in maniera definitiva l’opera di Dio Creatore e Redentore. Gesù è venuto per fare un
richiamo all’ordine stabilito da Dio “in principio”. Così in riferimento al matrimonio Gesù
richiama Gen 1 e Gen 2, e non richiama soltanto, ma toglie anche la durezza del cuore causata
dal peccato, rendendo così gli uomini capaci di realizzare che sono stati creati per amore e
all’amore. Le guarigioni poi, ma anche la remissione dei peccati, sono segni che il regno di
Dio è venuto, che tutto viene riportato alla bontà originaria della creazione. La predicazione di
Gesù, infine, è intrisa di tanti motivi sapienziali e spesso fa riferimento a diversi elementi
creati, per es. nelle parabole: ai semi, alle vigne, ai fiori, agli uccelli, ai pesci, ecc.
La riflessione postpasquale di Paolo apre infine alla convinzione che la creazione è fatta in
vista di Gesù Cristo. Già nella prima lettera ai Corinzi è espresso questo nesso, quando in 1
Cor 8,6 si parla prima di “Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui”, e subito
dopo viene aggiunto: “e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e
noi esistiamo per lui”. Ora, le due facce della stessa medaglia, cioè dell’unica opera di Dio, la
creazione e la redenzione, acquistano un nuovo profilo cristologico e soteriologico. Tutto è
stato creato in vista di Gesù Cristo, il quale ci ha redenti tramite la sua croce. La lettera ai
Romani, che nel primo capitolo parla della possibilità di conoscere Dio attraverso la sua
creazione (cfr. Rom 1,18-32), nel capitolo ottavo introduce infine tutto il creato nella storia
salvifica operata per gli uomini, e gli assegna la meta nella partecipazione alla gloria di Cristo
risorto. Anche la lettera ai Colossesi nel suo inno del primo capitolo riassume bene la finalità
cristologica di tutto il creato, che poi viene inserito nell’opera della redenzione: “Tutte le cose
sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte
sussistono in lui.” (Col 1,15-20).
Analoghi riferimenti alla realtà che tutto è stato fatto per mezzo del Verbo di Dio si trovano
anche nel prologo al vangelo di S. Giovanni (Giov 1,2) e nella lettera agli Ebrei (Ebr 1,2).
Infine l’Apocalisse di Giovanni negli ultimi due capitoli parla dei nuovi cieli e della nuova
terra (Ap 21,1), dove le forze caotiche della morte e del peccato sono vinte definitivamente:
“Non vi sarà più maledizione” (Ap 22,3).
L’approccio biblico al tema della creazione è, dunque, quello della lode di Dio Creatore e
Salvatore, dello stupore anche per le sue grandi opere meravigliose nei diversi aspetti
dell’universo e della vita di ogni essere (cfr. in particolar modo anche i Salmi, per es. Sal 8,
19, 104, 139). La Bibbia non conosce l’approccio moderno incentrato troppo sulla causalità
che discute se l’origine e lo sviluppo dell’universo siano dovuti al caso o se dietro a tutto ci
sia un disegno provvidenziale, ma parte dalla relazione di fede in Dio Creatore e si chiede
quale scopo abbia avuto Dio con la creazione e la redenzione. L’unica risposta, ripetuta in
tanti modi, è la seguente: perché Dio è misericordioso, perché è amore e perché ha voluto che
ogni cosa possa partecipare al suo amore, alla pienezza della sua vita.
L’amore vero e proprio presuppone un essere dotato di ragione; ma anche gli altri esseri creati
sono riferiti all’amore; contraccambiano a loro modo e con la propria esistenza l’amore che li
ha creati; sono per la gloria e la lode di Dio. Da ciò si vede anche che il concetto stesso di
creazione è un concetto di relazione. Dire che Dio ha creato tutti gli esseri, vuol dire che Dio
con ciò stesso è entrato in relazione con loro e che le creature a loro volta sono riferite a Dio
Creatore.
2) La riflessione teologica
Con ciò siamo entrati già nella riflessione teologica sulla creazione, la quale ribadisce due
concetti: la “creatio ex nihilo” e la “creatio continua”.
Il concetto che Dio ha creato tutto dal nulla afferma la assoluta sovranità e libertà di Dio. Dio
non è obbligato a creare qualcosa; il mondo non può essere un’emanazione di Dio. Ogni
panteismo, cioè divinizzazione del mondo, come oggi di nuovo propagata da qualche
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esponente del movimento dei “Verdi” e soprattutto anche dalla cosiddetta “New Age”, è
chiaramente da escludere. Bisogna affermare l’assoluta trascendenza di Dio.
Ma questo Dio non è un Dio solitario, in sé autosufficiente. Il passaggio da un Dio solitario
alla creazione di un mondo risulta difficile, perché il motivo non potrebbe consistere in un
bisogno che così renderebbe Dio in qualche modo dipendente dal mondo e intaccherebbe la
sua assoluta trascendenza. Come già detto però, il Dio rivelato nella Sacra Scrittura è un Dio
che è amore (cfr. 1 Giov 4,8), che è comunione di amore e di vita fra il Padre e il Figlio e lo
Spirito Santo. Proprio perché nel Dio Trino esiste un eterno dialogo in cui il Padre si dona al
Figlio e Padre e Figlio trovano la comunione nello Spirito Santo, questo amore ha voluto
donarsi creando un mondo diverso da Dio, ma anche chiamato all’amore, alla partecipazione
alla vita di Dio stesso. Il Padre della Chiesa Sant’Ireneo di Lione lo afferma in maniera
suggestiva quando dice che è Dio Padre, attraverso “le proprie due mani” (il Figlio e lo Spirito
Santo) a creare liberamente e per amore l’universo materiale (Adversus haereses V, 18,4).
Il Santo Padre Giovanni Paolo II, di venerata memoria, in un discorso all’Udienza Generale
del 2 agosto 2000 ha evidenziato la dimensione spirituale di questo rapporto con il Dio Trino
Creatore: “Possiamo chiederci come si possa sviluppare, nell’esperienza cristiana, la
contemplazione della Trinità attraverso la creazione, scorgendovi non solo genericamente il
riflesso dell’unico Dio, ma anche l’orma delle singole Persone divine. Se è vero infatti che "il
Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono tre principi della creazione, ma un solo principio"
(Concilio di Firenze: DS 1331), è anche vero tuttavia che "ogni Persona divina compie
l’operazione comune secondo la sua personale proprietà" (CCC 258). Quando allora
contempliamo ammirati l’universo nella sua grandezza e bellezza, dobbiamo lodare l’intera
Trinità, ma in modo speciale il nostro pensiero va al Padre da cui tutto scaturisce, come
pienezza sorgiva dell’essere stesso. Se poi ci soffermiamo sull’ordine che regge il cosmo e
ammiriamo la sapienza con cui il Padre l’ha creato dotandolo di leggi che ne regolano
l’esistenza, è spontaneo per noi risalire al Figlio eterno, che la Scrittura ci presenta come
Parola (cfr. Gv 1,1-3) e Sapienza divina (cfr. 1Cor 1,24.30). Nel mirabile canto che la
Sapienza intona nel libro dei Proverbi, essa appare "costituita fin dall’eternità, fin dal
principio" (Pr 8,24). La Sapienza è presente al momento della creazione "come architetto",
pronta a porre le sue delizie "tra i figli dell’uomo" (cfr. Pr 8, 30-31). Sotto questi aspetti la
tradizione cristiana ha visto in essa il volto di Cristo, "immagine del Dio invisibile, generato
prima di ogni creatura. …. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui" (Col 1,15-17; cfr. Gv 1,3). Alla luce della
fede cristiana, la creazione poi evoca in modo particolare lo Spirito Santo nel dinamismo che
contraddistingue i rapporti tra le cose, all’interno del macrocosmo e del microcosmo, e che si
manifesta soprattutto là dove nasce e si sviluppa la vita. ... Ogni forma di vita, di animazione,
di amore, rinvia in ultima analisi a quello Spirito di cui la Genesi dice che "aleggiava sulle
acque" (Gen 1,2) all’alba della creazione e nel quale i cristiani, alla luce del Nuovo
Testamento, riconoscono un riferimento alla Terza Persona della Santissima Trinità.”
La dimensione trinitaria ha così spiegato anche l’immanenza di Dio, della sua gloria, in tutto
il creato. Al riguardo la teologia più recente sottolinea soprattutto il concetto della “creatio
continua”. Non è possibile concepire la creazione soltanto come l’inizio di tutto, per cui ci
vuole un Dio come prima causa, mentre per il resto Dio può essere assente perché il tutto
procede ora secondo cause naturali. Questa sarebbe una concezione deistica, tipica
dell’Illuminismo, e di una visione delle scienze naturali che ruotano attorno al paradigma
della causalità. No, la tradizione filosofico-teologica ha sempre ribadito il carattere
contingente di ogni cosa creata sempre bisognosa di essere sostenuta nel suo essere (cfr. Att
17,24-28). Quindi l’azione creativa di Dio continua, anche se mediata attraverso cause
secondarie. Dio nella creazione ha assunto una relazione con ogni cosa da lui creata, e questa
relazione prosegue conferendo anche ad ogni creatura una propria valenza.
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Questa presenza continua di Dio nel mondo da lui creato, questa sua immanenza può essere
chiamata anche sacramentale. Il concetto cristiano di sacramento, secondo il quale attraverso
segni visibili agisce Dio stesso, è analogico. Abbiamo la presenza totale di Dio
nell’incarnazione del Cristo, che è l’Emanuele, il Dio con noi, quindi è il sacramento
originario. Abbiamo la Chiesa come sacramento originario, “segno e strumento dell’intima
unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1), abbiamo i sette sacramenti,
abbiamo tante altre presenze di Dio, per esempio nella sua parola, in ogni comunione di
persone unite nel suo nome, in ogni atto di amore, ma anche in ogni creatura sua.
Uno dei segni della presenza divina più pregnanti è il sacramento dell’Eucaristia, dove si attua
una mirabile unione fra il creato e Dio, anzi la trasformazione del creato in Dio. Prendiamo,
infatti, pane e vino, il frutto della terra e del lavoro umano, che per opera dello Spirito Santo
viene trasformato nel corpo e nel sangue di Cristo. Abbiamo nell’Eucaristia una triplice
dimensione perché essa è in primo luogo dono di Dio a noi; poi è assunzione sia del mondo
nel suo insieme, sia della natura come anche della cultura, frutto del lavoro umano; ed infine
essa ha una dimensione escatologica, perché in essa annunciamo la morte e la risurrezione del
Signore finché egli venga, ed anche perché crediamo che un giorno tutto il corpo di Cristo, la
Chiesa ed il cosmo che ora geme, verrà assunto nella gloria del Cristo risorto.
Infine la teologia della creazione evidenzia anche la dimensione escatologica, perché il
destino della creazione non si risolve in questa terra, ma trova il suo compimento nel “nuovo
cielo” e nella “nuova terra” in quanto l’intera creazione, che sta soffrendo le doglie del parto,
sospira nell’attesa di essere finalmente accolta nella gloria dei figli di Dio, nella
partecipazione al Cristo risorto.
3) Le conseguenze per l’uomo: spiritualità ed impegno responsabile per il creato
Spostando ora lo sguardo da Dio creatore e redentore all’uomo creato e redento affinché renda
gloria a Dio e trovi la sua beatitudine nella partecipazione alla vita divina, troviamo l’umanità
di oggi in piena crisi in merito al proprio atteggiamento verso il mondo creato. E’ innegabile,
infatti, lo sfruttamento della terra operato dalle ultime generazioni con il conseguente degrado
ecologico che mina la sopravvivenza della vita stessa nel mondo. La radice di ciò sta in un
atteggiamento sbagliato dell’uomo verso la natura. Mentre il primario approccio verso la
natura, come universo creato, dovrebbe essere quello dello stupore per le sue meraviglie, della
lode al Creatore, mentre gli esseri umani dovrebbero in primo luogo sentirsi inseriti in un
cosmo mirabilmente ordinato che permette la vita di tutti, nella storia umana e soprattutto nel
pensiero occidentale questo rapporto si è sbilanciato: l’uomo si è collocato al centro del creato
ed ha visto la natura soltanto come risorsa da sfruttare, come riserva da espropriare per i
propri scopi di dominio e di possesso.
Da un originario inserimento degli esseri umani in un mondo unitario, anche da una
concezione unitaria della Bibbia che considera gli uomini come esseri in sé intimamente uniti
(i termini di corpo, anima e spirito non denotano entità separate, ma sempre lo stesso uomo
considerato prevalentemente sotto uno o l’altro aspetto, e visto sempre in rapporto al Dio
datore della vita), si è passati ad una concezione dualistica, sempre più accentuata nello
sviluppo del pensiero moderno. Con Francis Bacon il sapere umano, che prima serviva per
l'orientamento dell'uomo, è visto come capacità di dominio; fu lui a coniare l'espressione: "Il
sapere è potere". Potere con lo scopo esplicito di conseguire la vittoria sulla natura. Con René
Descartes l'interesse del filosofo si sposta verso il soggetto umano; il mondo separato dal
soggetto è definito attraverso la proprietà geometrica dell'estensione e viene così consegnato
all'intervento manipolatorio dell'uomo. Allo stesso tempo Galileo Galilei applica
sistematicamente il calcolo matematico alla tecnica; egli stesso costruisce degli strumenti e fa
dell'esperimento la prova di verità, la verifica delle ipotesi formulate dalle scienze naturali.
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Le nuove scienze naturali si collegano ad una nuova concezione dell'economia che ora è
orientata alla massimizzazione del profitto. Ciò porta anche a un cambiamento sociale; il
cittadino borghese attraverso il successo economico può innalzarsi sulla scala sociale. E’ in
questo contesto che vanno vedute la filosofia illuminista, la rivoluzione francese come
rivoluzione borghese, e l'idea del progresso assurto quasi a sinonimo di bene morale. Nel
pensiero socialista, poi, da Karl Marx ad Ernst Bloch questo progresso diventa rivoluzione. La
verità consiste ora nel cambiamento stesso; l’uomo diventa il creatore di un mondo e di una
società a propria immagine o a immagine delle sue idee spesso totalitarie.
Oggi è più che palese dove abbia portato questa concezione antropologica; e c’è da temere il
peggio se si continua in questo modo, sotto la spinta della moderna economia capitalista e con
le nuove possibilità offerte dalla scienza. L’umanità è in grado di distruggere se stessa. Per
questo il defunto Santo Padre Giovanni Paolo II nel suo memorabile discorso all’Udienza
generale del 17 gennaio 2001 ha invitato a una “conversione ecologica”. Occorre quindi un
cambiamento profondo di consapevolezza, una modifica dell’atteggiamento fondamentale
dell’uomo, non solo verso la natura in quanto mondo esterno, ma in ultima analisi verso se
stesso, perché l’uomo stesso è collegato in modo molto profondo alle condizioni naturali della
sua vita; egli ha sempre formato e persino creato il suo ambiente socio-culturale e ne ha fatto
cultura. L’uomo, quindi, deve cambiare se stesso, il proprio stile di vita e la propria scala di
valori.
L’uomo moderno deve imparare di nuovo ad aprire gli occhi davanti alle meraviglie della
vita, della vita umana in particolare, per riconoscere dietro a questo stupendo e immenso
miracolo anche il suo Autore, per lodarlo e ringraziarlo (cfr. per es. Sal 8). Abbiamo qui le
virtù dell’approccio interessato e rispettoso, della capacità di ammirazione, della lode e del
ringraziamento.
Molto importante é anche l’atteggiamento della “cura”, riscoperta di nuovo dalle scienze della
vita. Il mondo e la vita sono affidati alla nostra cura e custodia (cfr. Gen 2,15) e sappiamo
anche quanto siano vulnerabili nei loro equilibri. La cura si differenzia molto da un approccio
strumentale, che si chiede in primo luogo, quale profitto trarre dalla terra e dalle sue risorse;
essa richiede invece un rapporto quasi da soggetto a soggetto. L’altro non è a mia
disposizione, ma mi interpella, ha quasi un volto nel quale ultimamente si può intravedere il
Creatore.
Se si considera tutto questo, non si può che mettere il dito sulla piaga più profonda, cioè il
difetto antropologico del pensiero moderno che gira attorno al soggetto umano isolato,
dimenticando l’ordine riferito a Dio Creatore e Redentore e a tutto l’universo creato. Mi piace
qui citare a questo riguardo sia la tradizione orientale nella voce della Chiesa ortodossa russa,
sia la nostra tradizione nella voce dell’attuale Santo Padre Benedetto XVI:
La Chiesa ortodossa russa nel suo grande documento “I fondamenti della concezione sociale”
del luglio 2000, dopo aver ribadito che uno dei principi basilari della posizione della Chiesa in
merito ai problemi ecologici è il principio dell’unità e integrità del mondo creato da Dio, si
esprime così: “I problemi ecologici hanno sostanzialmente un carattere antropologico,
essendo generati dall’uomo e non dalla natura. Pertanto, le risposte a molti problemi posti
dalla crisi ambientale vanno cercate nel cuore dell’uomo, e non nella sfera dell’economia,
della biologia, della tecnologia o della politica…. I rapporti tra antropologia ed ecologia si
manifestano con particolare chiarezza ai nostri giorni, mentre il mondo sta sperimentando
contemporaneamente due crisi: la crisi spirituale e la crisi ecologica. … In un uomo che
agisce non guidato dallo Spirito, la potenza tecnologica, di solito, suscita speranze utopistiche
nelle possibilità illimitate dell’intelletto umano e nella forza del progresso. È impensabile
superare completamente la crisi ecologica in una situazione di crisi spirituale. … La base
antropogenica dei problemi ecologici dimostra che noi tendiamo a cambiare il mondo che ci
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circonda in conformità con il nostro mondo interiore, e proprio per questo la trasformazione
della natura deve partire da una trasformazione dell’anima. Secondo il pensiero di Massimo il
Confessore, l’uomo potrà trasformare tutta la terra in un paradiso solo quando egli avrà
portato il paradiso in se stesso.”(il testo si trova in “Il Regno Documenti” 1/2001 –
Supplemento a pag. 36).
Il Santo Padre attuale, Benedetto XVI, in una collezione di omelie tenute a suo tempo quando
era arcivescovo di Monaco in Baviera, ha espresso lo stesso concetto con le seguenti parole:
“Se l’uomo si perde e non riesce più ad accettare se stesso come creatura di Dio, anche il resto
del creato non può prosperare. Al contrario: l’uomo deve essere in sintonia con il proprio
essere; soltanto così può essere in armonia con il creato ed il creato con lui. Ed a ciò l’uomo
riesce soltanto, se è anche in armonia con il Creatore, il quale ha voluto la natura e noi stessi.
Il rispetto per l’uomo e il rispetto per la natura vanno di pari passo, ed ambedue possono
svilupparsi nella giusta misura soltanto se rispettiamo nell’uomo e nella natura il Creatore e la
sua creazione. Soltanto partendo da Lui e ritornando a Lui si può ritrovare l’equilibrio perso.”
(traduzione mia dall’originale: Joseph Kardinal Ratzinger, Suchen was droben ist, Ed. Herder,
Freiburg 1985, p.118/119)
In questo contesto l’allora cardinale Ratzinger ha fatto riferimento a San Francesco il quale,
come racconta Tommaso da Celano nella “Vita seconda”, aveva ordinato all’ortolano di
lasciare incolti i confini dell’orto, “affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei
fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato” (Vita seconda, c. 165) ed aveva
concluso il suo celebre “Cantico delle creature” con l’invito: “Laudate e benedicite mi
Signore e rengratiate e serviteli cum grande humilitate”. Il servizio umile a tutto il creato
compete all’uomo, tratto dall’humus, dalla “polvere del suolo”; è un servizio per il bene
dell’universo che tiene in considerazione tutti gli ordini, in particolar modo anche la
limitatezza delle risorse, che sa usare con moderazione e condivisione con i fratelli, pensando
anche alle generazioni future, affinché tutto torni alla lode del Creatore, in attesa degli ultimi
tempi quando tutto il creato sarà trasformato nel corpo glorioso del Cristo risorto.