LA SICILIA GIOVEDÌ 24 GENNAIO 2013 ggi Cultura .21 SCAFFALE/1 SCAFFALE/2 Martin Lutero, fuori dagli stereotipi L’Eldorado si tinge di barbarie Nel volume Martin Lutero (Cantagalli), Angela Pellicciari, nota per i lavori storiografici sempre ben documentati e mai conformisti, traccia un ritratto non convenzionale del grande riformatore religioso, uno dei principali protagonisti delle vicende dell’Europa moderna. Non convenzionale non significa fantasioso, ma attento alla verità anche quando questa si scontra con alcune certezze diventate in realtà dei luoghi comuni. A questo proposito, la Pellicciari ricorda, per esempio, l’atteggiamento profondamente ostile che Lutero manifestò nei confronti degli Ebrei, da lui definiti «cani sanguinari ed assassini di tutti i cristiani», e nei riguardi dei contadini, che si ribellarono alle prepotenze dei signori tedeschi e che egli considerò alla stregua di cani arrabbiati da sopprimere senza pietà. Anche l’avversione e l’odio che Luterò provò per il Papa e la Chiesa di Roma sono ricondotti dalla Pellicciari entro l’alveo di una passionalità e di una irrazionalità non sempre adeguatamente motivate. Ciò non significa che l’autrice non conosca e non descriva i gravi difetti presenti nella Chiesa rinascimentale, che scandalizzarono il monaco agostiniano spingendolo alla ribellione. Del pari, nel libro si sottolinea la genialità di Lutero che traduce la Bibbia in tedesco, diventando il padre della lingua germanica. Alla Pellicciari va il merito di aver delineato un’immagine completa e attendibile dell’iniziatore del protestantesimo. Un viaggio come un dolore. E se non sempre si è preparati al viaggio, figuriamoci agli orrori del viaggio. E figuriamoci se tenere gli occhi aperti davanti a quegli orrori è necessario. Ma alla fine degli anni Sessanta, attraverso lo studio rigoroso dei documenti conservati al British Museum, il Nobel V. S. Naipaul lo intraprende quel viaggio che lo sprofonda in un orrore al quale non era preparato ma lo spinge anche a scrivere. A parlare di un Eldorado che si tinge di barbarie, si riempie di schiavitù, di massacri, di torture. E siamo dentro «La perdita dell’Eldorado» (appena mandato in libreria da Adelphi). Siamo dentro Trinidad, gravida «dell’assenza della storia», un’isola servita agli spagnoli solo come base per la corsa all’oro nella giungla sudamericana delle piantagioni di canna da zucchero e, visitandola scopriamo col protagonista dolorante ciò che gli europei «civilizzatori» in una sinistra quotidianità hanno fatto e rifatto, e tocchiamo con mano l’epopea della conquista che si fa catastrofe. Ma pochi come Naipaul sanno diagnosticare e curare una malattia tipicamente coloniale come la perdita della memoria. Il libro vale tutto il dolore del viaggio. SILVIA DI PAOLA MAURIZIO SCHOEPFLIN I 190 ANNI DELL’ ISTITUZIONE Domani a Catania la celebrazione con la presentazione del volume sull’Etna di Wolfgang Sartorius SERGIO SCIACCA ’Accademia Gioenia di Catania compie 190 anni e li festeggerà solennemente domani nell’aula magna del Siculorum Gymnasium, con la relazione del suo Presidente Angelo Messina (ordinario di Patologia Generale della nostra università), con la lectio magistralis del prof. Francesco Priolo (ordinario di Fisica della Materia nel nostro ateneo, oltre che socio dell’Accademia) sul tema delle Nanoscienze per l’informazione, la comunicazione e l’energia: un settore di studio in rapidissima evoluzione che coinvolge molti aspetti della vita attuale. Basterebbe questo contributo per segnalare l’accademia catanese tra le istituzioni di punta del panorama internazionale, ma essa, nel corso di quasi due secoli di lavoro e studio, ha offerto esempio fiattiuvo di contributo allo sviluppo civile osservando tutto lo sviluppo umano sotto l’ottica della razionalità, con la finalità di promuovere l’utile per tutti. Ecco allora che tra i nuovi soci di questa gloriosa istituzione sono stati accolti l’arcivescovo mons. Salvatore Gristina, il matematico prof. Giorgio Talenti, il genetista Antonio De Flora, il nostro direttore dott. Mario Ciancio Sanfilippo e l’ingegnere Domenico Reina che hanno concretamente realizzato la stampa del volume sull’Etna dello scienziato tedesco barone Wolfgang Sartorius (1809-1876) di cui finora non era disponibile una traduzione nella nostra lingua (firmata dai germanisti della nostra università coordinati dal prof. Giuseppe Dolei con il contributo scientifico del prof. Renato Cristofolini). Si comprende che il simbolo dell’accademia (una civetta sormontante la Signa di Sofìa, «la scienza») e il suo motto «Saggia e non chiacchierona» (Prudens magis quam loquax) corrisponde a un programma che considera la scienza come mezzo per migliorare le condizioni umane e non solo per teorizzare astrattamente. E’ stato sempre così e ripercorrere la storia dell’Accademia equivale ad osservare le ragioni della fioritura economia e culturale e i motivi del decadimento determinato dalla disaffezione al dialogo con le varie scienze. L MB ET TI N I M Le forme di parentela come cuore di una società Lo scienziato tedesco Wolfgang Sartorius e il suo libro «Der Aetna» ora tradotto in italiano ANDREA BISICCHIA M Accademia Gioenia ponte tra scienza umanesimo e civiltà Quando l’accademia fu ideata, nel 1823, si vivevano giornate angosciose nel regno delle due Sicilie. C’erano state insurrezioni i cui strascichi dolorosi sarebbe continuati per decenni e l’unica strada esperibile appariva proprio la diffusione degli studi e della cultura. Si comprese allora che la scienza può costituire un collante per la vita civile. I naturalisti strinsero collegamenti con quelli di tutta Europa, gli scambi furono proficui giungendo non solo a descrivere quello che accade nelle profondità della crosta terrestre, ma anche a definire la meccanica delle eruzioni creando quella carta geologica dell’Etna che già allora fu esemplare. I nostri scienziati furono accolti nelle capitali della cultura europea e scienziati esteri sono venuti a studiare da noi, realizzando quelle Nazioni Unite della cultura di cui ancora possiamo andare fieri. Abbiamo avuto matematici di grande prestigio, le cui pubblicazioni, pur note a pochi restano esemplari. Gli Accademici hanno creato una biblioteca di 45mila volumi (scientifici) talmente vasta che per la sua efficiente gestione è stato significativo l’apporto della Facoltà di Lettere di Catania, e del prof. Enrico Iachello che ne è stato illuminato preside. Gli atti degli Accademici sono fonte di informazioni e orientamenti preziosi per gli istituti scientifici di tutto il mondo, e possono indirizzare il cammino delle nuove generazioni verso concrete realizzazioni. Non casualmente si sta determinando una sinergia con l’ufficio scolastico provinciale, nella persona del suo dirigente dott. Raffaele Zanoli allo scopo di promuovere la cultura scientifica nel nostro comprensorio. I nostri scienziati sono impegnati a migliorare anche il livello della cultura media. E qui il cerchio si chiude. Più saggezza e meno chiacchere. Tutti sappiamo come oggi invece prevalgano queste a scapito di quella. Dunque le nuove generazioni dovrebbero guardare a questa nobile accademia gioenia come indicazione di un cammino e tutta la cittadinanza dovrebbe considerarla come una risorsa fondamentale. Da qualche hanno la sede dell’Accademia è nel palazzo della famiglia Gioeni con un ritorno anche logistico alle tradizioni di Catania. Dunque il lavoro della Gioenia va considerato con attenzione, il libro appena pubblicato va fatto conoscere nelle scuole, il metodo di lavoro degli scienziati va proposto a tutti gli studenti. Autobiografia La Tamaro e Trieste La nascita in una notte di tempesta nel dicembre 1957 a Trieste, la paura della bora, il mistero della scrittura che è anche «perdita della salute e straordinario sacrificio». Susanna Tamaro si guarda da fuori ed entra dentro se stessa nel suo nuovo atteso libro «Ogni angelo è tremendo» uscito ieri per Bompiani con una prima tiratura di 150 mila copie. La scelta della casa editrice non è casuale, perchè è stata proprio Elisabetta Sgarbi a far risvegliare nella scrittrice tanti ricordi ed emozioni chiedendole una testimonianza su Trieste e il vento. È nata così un’autobiografia, che forse la Tamaro non avrebbe mai pensato di scrivere, in cui come in un romanzo di formazione l’autrice del bestseller da oltre 15 milioni di copie vendute nel mondo «Và dove ti porta il cuore», si mostra in tutta la sua realtà. Dall’ingresso nel mondo al fascino che esercitano su di lei i neonati, che come Atlante reggono «pagine e pagine di storie», all’infanzia solitaria, asociale, con due genitori per nulla in armonia, all’insonnia riempita di domande al fratello più grande. A far da filo conduttore alla storia è il vento, quella bora dalle tante voci che per questo faceva paura alla scrittrice. IL SAGGIO DI MATHIEU E VANIER CON PREFAZIONE DEL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI Un’avventura al servizio dei più fragili LAURA NAPOLI athieu, educatrice specializzata, fonda nel 1963 l’Ufficio cristiano per le persone handicappate e dal 1984 al 1989 è membro del pontificio Consiglio per i laici. Vanier scrittore, filosofo e teologo, nel 1964 a Trosly in Francia dà vita alla comunità dell’Arca con il frate domenicano Thomas Philippe. Il pregio di questo volume («Mai più soli. L’avventura di Fede e Luce» di Marie-Hélène Mathieu e Jean Vanier con Prefazione di Carlo Maria Card. Martini, Jaca Book, 2012, 22,00 euro) è quello di schiudere una porta sull’ umanità più fragile, quella misteriosamente ferita e sensibilmente emarginata: i bambini diversamente abili nella psiche. Il libro, raccontando la storia dell’Arca e dell’associazione Fede e Luce, riporta negli anni ’60-’70, quando la società balbettava orrori per definire e collocare i “deficien- M JEAN VANIER aurizio Bettini è un filologo classico, ma anche uno studioso di antropologia, nel suo ultimo libro: «Affari di famiglia», Il Mulino, alterna l’uso delle due discipline, per indagare i legami di parentela nella letteratura e nella cultura antica, da quella greca a quella romana, da quella cinese a quella africana, consapevole del fatto che la disciplina antropologica non può essere praticata fuori dalla filologia. Di questo ci dà ampia dimostrazione, soprattutto, nella prima parte, quando addentrandosi nello studio delle varie forme di parentela, ne costruisce le basi terminologiche, dalle quali occorre partire per raggiungere il cuore di una società, per rintracciarne i comportamenti e gli atteggiamenti, anche perché il codice di parentela equivale al codice di gruppo che è fatto di vite che si avvicendano, si sommano, si incrociano. Le fonti alle quali Bettini fa riferimento, sono: «La città di Dio» di Agostino, le «Histoiriae» di Erodoto, la «Biblioteca» di Diodoro, gli «Annales» di Tacito, solo per citarne alcune. La prima parte del libro, quella costruita sulla terminologia, mostra un carattere storico linguistico, perché, attraverso l’uso di termini ben definiti, si può entrare nel contesto sociale e religioso. Vi si parla della parentela e delle affinità, delle interdizioni matrimoniali, dello «ius osculi», ovvero del bacio parentale che veniva dato dai maschi alle donne che non potevano essere sposate, della figura del cugino che non poteva accedere al matrimonio perché sarebbe stato causa di incesto. Bettini rammenta come, a questa regola, siano sfuggiti tre casi esemplari conclusasi tragicamente, quelli dei matrimoni progettati tra Lavinia e Turno (cugino, perché figlio della sorella della madre), traOrazia, con uno dei Curiazi, uccisa per mano del fratello, tra Tarquinio Prisco, Tarquinio il superbo, che avrebbero dovuto sposare le cugine figlie di Servio Tullio. Le leggi romane venivano ignorate in Cina o in India dove sposare un cugino, secondo Frazer, era da considerare un baratto, una necessità economica, insomma una vera e propria struttura di relazione. Nella seconda parte, l’autore va in cerca di temi parentali nella letteratura latina, riportando brani tratti da opere di Virgilio, Seneca, Ovidio, nelle quali il tema assume dei connotati artistici, ricordando come i testi possano mutare a secondo dell’uso che se ne fa, essendo soggetti allo stesso processo metamorfico a cui fu sottoposto Alfeo nel mito di Aretusa. Esiste, quindi, uno scarto tra testo e fonte da addebitare proprio all’uso che se ne fa. Nella terza parte, Bettini tenta una comparazione con la letteratura greca antica, soffermandosi sul concetto di ethèios che, a suo avviso, continua alcune connotazioni interessanti nella pragmatica linguistica. Non poteva mancare il rapporto di parentela di Antigone col proprio fratello che Bettini analizza in tutte le sfumature compresa quella, secondo la quale, Antigone giustifica il suo gesto affermando che un marito e un figlio possono essere sempre rimpiazzati, cosa impossibile per un fratello, specie se i genitori sono morti. ti”. In Svizzera e in Belgio l’imbarazzo per gli “handicappati” psichici si risolveva costruendo costosi istituti; in altre parti si faceva ricorso “agli asili per alienati o a certi reparti degli ospedali psichiatrici, noti come ripostigli”. Avere dei figli “da internare” era una vergogna di famiglia perché persino la Chiesa spesso alzava le spalle di fronte a questa solitudine senza soccorso da parte delle istituzioni. Alla fine degli anni ’60, quando la Chiesa non aveva ancora approfondito una catechesi specializzata per i disabili mentali, i soggetti affetti da demenza venivano frequentemente esclusi dai pellegrinaggi a Lourdes perché non avrebbero “capito niente” di ciò che si viveva in quel luogo sacro e avrebbero“turbato”gli altri pellegrini. Accade però che quando il cuore umano viene scosso irrimediabilmente, si sveglia fino a trovare la forza di intervenire fuori, nella Storia: “Fede e Luce”nacque alla fine degli anni ’60 con l’obiettivo di organizzare pel- legrinaggi per minorati mentali e per i loro genitori spesso in preda alla disperazione. L’associazione si sviluppò con grande rapidità fino a divenire un movimento che oggi è presente in ottantuno Paesi con oltre cinquantamila membri per servire i più fragili. Fede e Luce, con la sua organizzazione e i suoi volontari, fece capire che i minorati mentali, in particolare i bambini, avevano immancabilmente bisogno non di sedativi, ma di “un ambiente caloroso e amorevole, dove qualcuno li aiutasse a fare ciò di cui erano capaci e, soprattutto, a scoprire la loro incomparabile capacità di amare ed essere amati”. L’epilogo del testo sfiora il tema della diagnosi prenatale; soprattutto dice una parola definitiva sulla Bellezza poiché, alla fine della lettura, sembra quasi di averli visti tutti, questi disabili: stilizzati come fili di finissimo cristallo e a volte per questo destinati a rompersi facilmente, eppure intoccabili perché “prediletti dell’amore di Dio”.