Augusto Ajovalasit Analisi sperimentale delle tensioni con la FOTOMECCANICA Fotoelasticità, moiré, olografia speckle, correlazione immagini Seconda edizione Copyright © MMIX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–2453–9 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: giugno 2006 II edizione: aprile 2009 INDICE PRESENTAZIONE PARTE 1 – FOTOELASTICITÀ 1. INTRODUZIONE 1.1 I metodi della Meccanica Sperimentale 1.1.1 Definizioni 1.2 Presentazione della fotoelasticità 1.2.1 Sviluppo storico della fotoelasticità 1.2.2 La fotoelasticità bidimensionale 2. L’EFFETTO FOTOELASTICO 3. LA LUCE POLARIZZATA 3.1. I vari tipi di luce polarizzata 3.1.1 Luce polarizzata piana 3.1.2 Luce polarizzata circolarmente 3.1.3 Luce polarizzata ellitticamente 3.2 Intensità luminosa della luce polarizzata 3.3 Il calcolo matriciale di Jones 3.3.1 Il polarizzatore piano 3.3.2 Il modello fotoelastico 3.3.3 Il ritardatore ottico 4. OTTICA DEL POLARISCOPIO 4.1 Il polariscopio piano ad assi incrociati 4.2 Il polariscopio piano ad assi paralleli 4.3 I polariscopi circolari 4.3.1 Il polariscopio circolare a campo scuro 4.3.2 Il polariscopio circolare a campo chiaro 4.3.3 Polariscopi circolari equivalenti 4.4 Riassunto sull’uso dei polariscopi piani e circolari 4.5 Uso della luce bianca in fotoelasticità 4.5.1 Distribuzione spettrale 5. I METODI DI COMPENSAZIONE 5.1 Generalità sulla determinazione del ritardo generico 5.2 Compensazione goniometrica di Tardy 5.2.1 Procedura pratica di compensazione di Tardy 5.3 Compensazione goniometrica di Sénarmont 5.4 I compensatori 5.4.1 Procedura pratica di compensazione in luce bianca 5.5 Il segno della tensione tangente al contorno: uso del compensatore e prova del chiodo 5.5.1 Uso del compensatore 5.5.2 Prova del chiodo 6. IL RILIEVO MANUALE DEI DATI FOTOELASTICI 6.1 Il rilievo manuale delle isocromatiche VII 1.1 1.1 1.1 1.1 1.2 1.3 1.5 1.9 1.10 1.10 1.11 1.11 1.13 1.14 1.16 1.17 1.19 1.21 1.21 1.23 1.25 1.25 1.26 1.27 1.28 1.28 1.29 1.33 1.33 1.35 1.33 1.35 1.36 1.37 1.37 1.37 1.37 1.39 1.39 II A. Ajovalasit – Fotomeccanica 6.1.1 Effetto delle tensioni iniziali sulle isocromatiche 6.2 La taratura dei materiali fotoelastici 6.2.1 NOTA – La dispersione della birifrangenza 6.2.2 La taratura a trazione 6.2.3 La taratura a flessione 6.2.4 La taratura mediante disco compresso 6.3 Il rilievo manuale delle isocline 6.3.1 Proprietà delle isocline 6.3.2 Classificazione dei punti isotropi in base all’andamento delle isocline 7. LA FOTOELASTICITÀ DIGITALE 7.1 Generalità sul rilievo automatico dei dati fotoelastici 7.2. Il sistema di acquisizione 7.3. La fotoelasticità RGB 7.3.1 Uso di più lunghezze d’onda 7.3.2 La fotoelasticità RGB (in luce bianca) 7.4 La fotoelasticità a variazione di fase 7.4.1.Determinazione del solo parametro dell’isoclina 7.4.2. Determinazione del solo ritardo δ 7.4.3.Determinazione del parametro dell’isoclina e del ritardo δ 7.5 Il metodo della trasformata di Fourier 7.5.1. Il metodo della trasformata di Fourier senza frange di riferimento 7.5.2. Il metodo della trasformata di Fourier con frange di riferimento 8. L’ELABORAZIONE DEI RISULTATI FOTOELASTICI 8.1 L’elaborazione delle isocline: le isostatiche 8.1.1 Andamento delle isostatiche in corrispondenza dei punti isotropi 8.1.2 Equazioni di equilibrio di Lamé-Maxwell 8.2 L’interpretazione delle isocromatiche 9. LA SEPARAZIONE DELLE TENSIONI 9.1 Metodi basati sulle equazioni di equilibrio di Lamé-Maxwell 9.2 Metodi basati sulle equazioni di equilibrio in coordinate cartesiane 9.3 Metodi basati sull’equazione di compatibilità 9.3.1 La determinazione della somma delle tensioni ai contorni 9.3.2 La soluzione numerica dell’equazione di Laplace 9.4 Metodi basati sulla legge di Hooke 9.5 Il metodo dell’incidenza obliqua 10. IL TRASFERIMENTO DEI RISULTATI DAL MODELLO AL PROTOTIPO 10.1 Strutture elastiche 10.1.1 Le condizioni di similitudine 10.1.2 Le formule di trasferimento 10.2 Strutture elastiche lineari 10.3 – Influenza del coefficiente di Poisson nel caso piano 11. LA FOTOELASTICITÀ TRIDIMENSIONALE 11.1 L’effetto fotoelastico nel caso tridimensionale 11.2 Il metodo del congelamento delle tensioni 11.3 Analisi del modello tridimensionale congelato 12. I RIVESTIMENTI FOTOELASTICI 12.1 Le deformazioni e le tensioni 12.2 L’effetto fotoelastico nel rivestimento 1.39 1.39 1.40 1.41 1.41 1.42 1.42 1.43 1.44 1.45 1.45 1.45 1.47 1.47 1.48 1.50 1.50 1.52 1.53 1.54 1.54 1.55 1.57 1.57 1.59 1.59 1.60 1.61 1.61 1.62 1.63 1.63 1.64 1.64 1.64 1.65 1.65 1.66 1.67 1.67 1.68 1.69 1.70 1.71 1.72 1.73 1.73 1.73 Indice III 12.2.1 Esame al polariscopio circolare: le isocromatiche 12.2.2 Esame al polariscopio piano ad assi incrociati: le isocline 12.3 La determinazione delle tensioni nella struttura 12..3.1 Materiali isotropi 12.3.2 Materiali compositi 12.4Scelta dello spessore del rivestimento 12.4.1 Il gradiente di deformazione nello spessore 12.4.2 Influenza dei coefficienti di Poisson 12.5 Effetto rinforzante del rivestimento 12.5.1Coefficiente correttivo per stato piano di tensione 12.5.2 coefficiente correttivo per piastre inflesse 12.6 Le tecniche sperimentali (cenni) 12.6.1 L’applicazione del rivestimento 12.6.2 Il rilievo dei dati fotoelastici 13. I MATERIALI FOTOELASTICI 14. BIBLIOGRAFIA 1.73 1.74 1.74 1.75 1.75 1.76 1.76 1.77 1.78 1.79 1.79 1.80 1.80 1.80 1.81 1.83 PARTE 2 – METODI MOIRÉ 1. INTRODUZIONE 1.1 Tipo di informazione sperimentale 1.2 Sviluppo storico 2. L'EFFETTO MOIRÉ GEOMETRICO 2.1 Le griglie 2.2 Frange moiré nel caso di griglie allineate aventi lo stesso passo 2.3 Frange moiré nel caso di griglie allineate aventi passi differenti 2.3.1 Deformazioni lagrangiane ed euleriane 2.3.2 Riconoscimento del segno della deformazione 2.4 Frange moiré nel caso di griglie inclinate aventi passi uguali 2.5 Frange moiré nel caso di griglie inclinate aventi passi differenti 2.6 Frange moiré nel caso di deformazione non omogenea 3. LA DETERMINAZIONE DELLE DEFORMAZIONI 4. TECNICHE MOIRÉ 4.1. Le tecniche di mismatch 4.1.1 Mismatch di passo 4.1.2 Mismatch di rotazione 4.2. La determinazione delle frange di ordine frazionario 4.3. La moltiplicazione delle frange moiré 5. LA NUMERAZIONE DELLE FRANGE MOIRÉ 5.1 Numerazione assoluta 5.2 Numerazione relativa 5.3 Determinazione del segno della derivata 5.3.1 Mismatch di passo 5.3.2 Mismatch di rotazione 5.3.3 Traslazione della griglia di riferimento 6. RIPRODUZIONE E SOVRAPPOSIZIONE DELLE GRIGLIE 6.1 Riproduzione delle griglie 6.2 Sovrapposizione delle griglie 6.2.1 Visibilità delle frange moiré 7. MOIRÉ PER LASTRE INFLESSE 2.1 2.1 2.2 2.5 2.5 2.6 2.6 2.8 2.9 2.10 2.11 2.12 2.13 2.14 2.14 2.14 2.16 2.16 2.17 2.18 2.18 2.18 2.19 2.19 2.20 2.20 2.20 2.20 2.20 2.22 2.25 IV A. Ajovalasit – Fotomeccanica 8. MOIRÉ OMBRA 8.1. Illuminazione ed osservazione in luce parallela 8.2 Illuminazione ed osservazione in luce puntiforme 9. INTERFEROMETRIA MOIRÈ 9.1 Generalità 9.2 Interferometria moiré: spiegazione elementare 9.3 Richiami di ottica riguardanti l’interferometria moiré 9.3.1 Interferenza 9.3.2 Griglie di diffrazione 9.4 Interferometria moiré: spiegazione più rigorosa 9.5 Sensibilità 9.6 Tecniche sperimentali 9.6.1 La griglia del modello 9.6.2 – Disposizioni sperimentali 10. CONSIDERAZIONI FINALI 10.1 Campi tensionali esaminabili 10.2 Materiali esaminabili 10.3 Altre caratteristiche 11 APPENDICE - Espressioni generali delle deformazioni 12. BIBLIOGRAFIA 2.26 2.27 2.28 2.29 2.29 2.29 2.30 2.30 2.32 2.34 2.36 2.36 2.36 2.37 2.38 2.38 2.38 2.38 2.39 2.40 PARTE 3 – OLOGRAFIA 1. INTRODUZIONE 1.1 Sviluppo storico 2. PRINCIPI FISICI DELL’OLOGRAFIA 2.1 Fotografia 2.2 Olografia 2.2.1 Registrazione dell’ologramma 2.2.2 Ricostruzione dell’ologramma 3. LE EQUAZIONI DELL’OLOGRAFIA 3.1 Registrazione dell’ologramma 3.2 Ricostruzione dell’ologramma 3.2.1 Inversione delle immagini 4. DISPOSIZIONI SPERIMENTALI 4.1 Schemi dei banchi per olografia 5. CARATTERISTICHE DEI COMPONENTI 5.1 Generalità 5.2 Le sorgenti per olografia 5.2.1 L’intensità luminosa 5.3 I ricevitori per olografia 5.3.1 La risoluzione del ricevitore 5.3.2 La linearità del ricevitore 5.4 Lenti e filtri spaziali 5.5 Specchi e semispecchi 5.6 Il banco per olografia: requisiti di stabilità meccanica 6. L'INTERFEROMETRIA OLOGRAFICA 6.1 Interferometria olografica ad esposizione singola 6.1.1 Analisi quantitativa 6.2 Interferometria olografica ad esposizione doppia 3.1 3.1 3.1 3.2 3.3 3.4 3.4 3.4 3.4 3.5 3.7 3.7 3.7 3.8 3.8 3.8 3.10 3.10 3.10 3.11 3.13 3.14 3.14 3.15 3.15 3.16 3.17 Indice 6.2.1 Analisi quantitativa 6.3 Interferometria olografica a media temporale 6.3.1 Numerazione delle frange 6.3.2 Luminosità delle frange chiare 6.4 Riassunto 7. DETERMINAZIONE DEGLI SPOSTAMENTI 7.l – Relazione ritardo – spostamento 7.2 Relazione vettoriale 7.3 Determinazione degli spostamenti nel caso piano 7.3.1 Numerazione assoluta delle frange 7.3.2 Numerazione relativa delle frange 7.3.3 Determinazione indipendente delle componenti dello spostamento 7.3.4 Considerazioni sulla sensibilità 7.4 Determinazione degli spostamenti nel caso tridimensionale 7.4.1 Numerazione assoluta delle frange 7.4.2 Numerazione relativa delle frange 8. APPENDICE A: OLOGRAFIA DIGITALE 8.1 Caratteristiche del ricevitore (CCD) 8.2 Interferometria olografica digitale 8.3 Caratteristiche dell’olografica digitale 9. APPENDICE B: OLOGRAFIA IN LUCE BIANCA 9.1 – Ologramma di Denisyuk 9.1.1 Principio 9.1.2 Realizzazione dell’ologramma di volume 9.1.3 Impiego in interferometria 9.2 – Ologramma arcobaleno 10. BIBLIOGRAFIA V 3.18 3.19 3.19 3.20 3.21 3.22 3.22 3.23 3.24 3.25 3.25 3.25 3.26 3.26 3.27 3.28 3.28 3.29 3.29 3.30 3.30 3.31 3.31 3.31 3.31 3.31 3.34 PARTE 4 – METODI SPECKLE 1. INTRODUZIONE 1.1 Tipo di informazione sperimentale 1.2 Caratteristiche 2. L’EFFETTO SPECKLE 2.1 Lo speckle oggettivo 2.2 Lo speckle soggettivo 2.3 Effetto degli spostamenti sullo speckle: basi della metrologia speckle 2.3.1 Introduzione al metodo basato sulla correlazione di immagini speckle (DSC) 2.3.2 Introduzione all’interferometria speckle 3. INTERFEROMETRIA SPECKLE 3.1 Misura della componente di spostamento fuori del piano –1° metodo 3.1.1 Relazione tra ritardo e spostamento 3.2 Misura della componente di spostamento fuori del piano –2° metodo 3.2.1 Relazione tra ritardo e spostamento 4.114 3.3 Misura della componente di spostamento nel piano 4 INTERFEROMETRIA SPECKLE TIPO SHEARING 4.1 Relazione tra ritardo e derivate degli spostamenti 4.2 Determinazione delle rotazioni 4.3 Determinazione delle deformazioni 4.1 4.1 4.2 4.3 4.3 4.4 4.6 4.6 4.7 4.7 4.7 4.9 4.10 4.11 4.13 4.14 4.14 4.15 VI A. Ajovalasit – Fotomeccanica 5. INTERFEROMETRIA SPECKLE A VARIAZIONE DI FASE 5.1 Il metodo a variazione di fase in generale 5.2 Applicazione del metodo a variazione di fase all’interferometria speckle 5.5 Disposizioni sperimentali 6.CONSIDERAZIONI SULL’INTERFEROMETRIA SPECKLE 7. BIBLIOGRAFIA 4.15 4.16 4.16 4.19 4.19 4.20 PARTE 5 – METODI A CORRELAZIONE DI IMMAGINI DIGITALI 1. INTRODUZIONE 2. IL METODO DIC/2D 2.1 Principio del metodo 2.2 Meccanica del continuo 2.2.1 Spostamenti 2.2.2 Deformazioni 2.3 Correlazione delle immagini (2D) 2.3.1 Il calcolo della funzione di correlazione 3. TECNICHE SPERIMENTALI 3.1 Preparazione della superficie da analizzare 3.2 L’acquisizione delle immagini 3.3 Prestazioni dei sistemi DIC 4. CORRELAZIONE DELLE IMMAGINI IN 3D (cenni) 4.1 Caratteristiche del sistema di acquisizione delle immagini 4.1.1 La taratura delle telecamere 4.2 La determinazione del forma di un corpo 4.3 Determinazione del campo degli spostamenti 4.4 Ulteriori considerazioni sulla correlazione in 3D 4.4.1 Determinazione della forma 4.4.2 Determinazione del campo degli spostamenti 5. APPENDICI 5.1 Appendice A - Espressioni generali delle deformazioni 5.2 Appendice B - Correlazione tra sub-immagini 6. BIBLIOGRAFIA 5.1 5.1 5.1 5.3 5.3 5.5 5.6 5.9 5.11 5.11 5.13 5.12 5.14 5.15 5.16 5.16 5.17 5.18 5.18 5.18 5.20 5.20 5.21 5.22 PARTE 6 - APPENDICI 1. APPENDICE A – PROSPETTIVE DELLA FOTOMECCANICA 1.1 Evoluzione della scala di misura: dal macro al micro e al nano 1.2 Bibliografia 2. APPENDICE B – LA FOTOMECCANICA DIGITALE 2.1 Introduzione 2.2 Il metodo a variazione di fase 2.2.1 Uso di tre acquisizioni 2.2.2 Uso di tre acquisizioni 2..3 Il metodo della trasformata di Fourier 2.4 Bibliografia 6.1 6.1 6.2 6.2 6.2 6.2 6.3 6.4 6.4 6.4 PARTE 7: INDICE ANALITICO 7.1 VII PRESENTAZIONE I metodi della Meccanica Sperimentale consentono l'analisi dello stato di deformazione e di tensione nei componenti e nelle strutture. I principali metodi della meccanica sperimentale impiegati nell’analisi sperimentale delle tensioni sono: • l'estensimetria mediante estensimetri elettrici a resistenza (ER), • la fotomeccanica, • i metodi basati sull'effetto termoelastico, • i metodi basati sulla diffrazione dei raggi X, • altri metodi (metodo del reticolo, caustiche, vernici fragili, sensori a fibra ottica, acustoelasticità, etc.). Questo volume tratta i metodi della Fotomeccanica che, insieme agli Estensimetri elettrici a resistenza, costituiscono il nucleo principale del corso di Analisi sperimentale delle tensioni, che svolgo presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Palermo dall’anno accademico 1969-1970. Questa II edizione differisce dalla precedente del 2006 per alcuni aggiornamenti riguardanti essenzialmente l’olografia digitale, i metodi a correlazione di immagini e le appendici concernenti le prospettive della fotomeccanica e la fotomeccanica digitale. Il volume è particolarmente indirizzato agli studenti dei corsi di laurea e di laurea specialistica/magistrale, con un impegno di 3-5 crediti formativi universitari in dipendenza dell’approfondimento dei temi trattati e dell’attività di laboratorio. Esso può risultare utili anche a coloro che operano nel campo della ricerca, del collaudo e del controllo in esercizio di materiali, componenti e strutture e a coloro che intendono conseguire la certificazione, ai livelli 2 e 3, in Estensimetria quale Personale esperto nei controlli con estensimetri elettrici a resistenza. Palermo, marzo 2009 *** A. Ajovalasit – Fotomeccanica VIII I METODI DELLA FOTOMECCANICA La Fotomeccanica è l’insieme dei metodi ottici di Analisi sperimentale delle tensioni. Essa comprende: 1. la fotoelasticità, 2. i metodi del moiré (geometrico ed interferometrico), 3. l’olografia (interferometria olografica), 4. i metodi speckle (fotografia speckle e interferometria speckle), 5. i metodi a correlazione di immagini digitali (DIC = Digital Image Correlation). Alla Fotomeccanica appartengono altresì altri metodi di uso più ristretto quali il metodo del reticolo e il metodo delle caustiche. La tabella 1 mostra una cronologia sintetica riguardante i metodi della fotomeccanica con l’indicazione di alcuni Precursori e Pionieri delle varie tecniche. Tabella 1 - Cronologia dei metodi della fotomeccanica ANNO 1900 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020 TECNICHE PRECURSORI e PIONIERI Fotoelasticità Brewster (1815), Mesnager (1901), Filon (1902), Coker (1910), Hetényi (1938), Drucker e Mindlin (1940), Manzella (1942) Metodi del moiré geometrico Lord Rayleigh (1874), A. Righi (1887) Tolenaar (1945), Dantu (1954) Morse, Durelli e Sciammarella (1961), Theocaris (1969), Pirodda (1969), Durelli e Parks (1970) Olografia Gabor (1948) Leith e Upatnieks (1961) Metodi speckle Archbold, Burch, Ennos & Taylor (1969), Butters & Leendertz (1971) Interferometria moiré Lord Rayleigh (1874), A. Righi (1887) Post (≈1985) Metodo a correlazione di Peters e Ranson (1981), Sutton immagini digitali Fotomeccanica digitale:i metodi Per la fotoelasticità: Muller e Saackel (1979), Seguchi, di acquisizione ed elaborazione tomita e Watanabe (1979), Voloshin. e Burger (1983), automatica delle immagini nella Sanford e Iyengar (1885), Hecker e Morche (1986) fotomeccanica Micro/Nano fotomeccanica Han e Post (1992), Dally e Read (1993) Vendroux e Knauss [per le tecniche DIC, (1998)] ? La tabella 2 mostra sinteticamente le caratteristiche dei vari metodi della fotomeccanica con riferimento ai seguenti aspetti: tipo di informazione sperimentale, campi tensionali esaminabili, complessità delle apparecchiature, materiali esaminabili, risoluzione. Per confronto sono riportate le caratteristiche relative agli estensimetri elettrici a resistenza. IX Presentazione Tabella 1.2 - Caratteristiche dei metodi della Fotomeccanica [per confronto si riportano quelle degli estensimetri (ER)] Infor mazio ne speri men tale Campo tensio nale Metodo ⇒ Caratteristiche⇓ Spostamenti nel piano: u, v Spostamenti fuori dal piano: w Rotazioni: φ x, φy Deformazione: ε Diff. tens. princ. (def principali) Somma tens. princ.(def. princ.) Isocline Isostatiche Bidimensionale Tridimensionale (interno) Tridimensionale (superficie) Elastico Plastico Metodo a campo intero Altre carat teri stiche Complessità apparecchiature Materiale: Preparazione e limitazioni Risoluzione indicativa in μm/m per ε (in μm per u,v, w) Fotoel. Moire Ologr. Speckle DIC *** G,I,O *** O,P ***, R ** *** Sf, Si *** Si ***, Ssi *** *** ER *** (DIC/3D) *** *** *** (1) *** *** (2) *** *** Ft *** Ft,Rb *** ** Rb SI II Birifr. Fp,Ft 5 Fotoel. *** ** (4) *** (6) *** *** *** *** *** *** ** (3) *** *** *** *** ** *** ** *** (DIC/3D) ** *** *** *** SI SI SI (Si) SI NO I/II (G, P) IV(I) III/I(O) Finitura specul. (R) (0,5)I,O (20) G (100) P Moire III III I I I I II I (0,5) (0,5)Si (5)Sf Ologr. Speckle 200 (20) (7) DIC 1 ER Simboli: *** adatto, ** poco adatto o adatto con limitazioni, grado di complessità: crescente da I a IV Simboli DIC (Digital Image Correlation): DIC/3D metodo a correlazione di immagini (tridimensionale). Simboli: fotoelasticita': Fp = fotoelasticità piana, Ft = fotoelasticità tridimensionale, Rb= rivestimenti birifrangenti.. Simboli moiré: G= geometrico piano, I = Interferometrico, O = Olografico, P = Ombra (o Proiezione), R = riflessione. Simboli speckle: Sf = fotografia speckle, Si = interferometria speckle; Ssi = interferometria speckle tipo "shearing". NOTE: (1) materiali trasparenti soggetti a stato piano di tensione; (2) mediante elaborazione diretta della isocline; (3) tecnica degli estensimetri inglobati; (4) mediante griglia annegata in materiale trasparente; (5) in congiunzione con la tecnica di rimozione degli strati; (6) nel caso del moiré piano la griglia si applica su di una superficie piana del componente da studiare; (7) valori indicativi di alcuni sistemi commerciali relativi alla tecnica DIC (2008), per gli spostamenti la risoluzione, espressa di solito in pixel, è dell’ordine di 0,02 pixel. X A. Ajovalasit – Fotomeccanica A parte la fotoelasticità, la cui informazione sperimentale è direttamente legata alla differenza delle deformazioni/tensioni principali, gli altri metodi sono sensibili al campo degli spostamenti (moiré, interferometria olografica, speckle) o delle rotazioni (moiré per lastre inflesse, interferometria speckle tipo shearing), mentre i metodi basati sulla correlazione delle immagini (DIC) consentono di determinare contestualmente il campo degli spostamenti e delle deformazioni. I metodi basati sulla determinazione diretta degli spostamenti richiedono un’operazione di derivazione numerica per il calcolo della deformazione. Le tecniche che forniscono le componenti degli spostamenti e delle rotazioni differiscono principalmente: • per la complessità delle apparecchiature, • per la preparazione della superficie da analizzare, • per la risoluzione. La complessità delle apparecchiature è in ordine crescente la seguente: • bassa per le tecniche DIC, che richiedono solo l’impiego di una o due telecamere rispettivamente per la DIC/2D (bidimensionale) e 3D (tridimensionale) e in genere nessuna apparecchiatura particolare per la preparazione della superficie, tali tecniche richiedono però un software adeguato (generalmente di costo elevato) per la correlazione delle immagini; • media per i metodi del moiré geometrico e ombra che, in aggiunta alla telecamera richiedono la disponibilità di griglie di opportuna frequenza; • elevata per i metodi interferometrici (interferometria olografica e speckle) che richiedono, in aggiunta ad un opportuno banco ottico, un laser; • ancora più elevata per l’interferometria moiré che richiede, in aggiunta a quanto necessario per i metodi interferometrici, anche la riproduzione ed il trasferimento di griglie di fase ad elevata frequenza. La preparazione della superficie è di difficoltà: • nulla o minima per il moiré ombra, l’olografia e i metodi speckle che al più richiedono la semplice verniciatura (bianca della superficie) • intermedia per i metodi DIC che richiedono una distribuzione random di zone nere su fondo bianco (ottenibile per esempio con una doppia verniciatura) • elevata, ad eccezione del moiré ombra, per i metodi moiré dove in genere è richiesto il trasferimento di una griglia sulla superficie del corpo da analizzare. La risoluzione è molto variabile, essa infatti è dell’ordine di: • 0.5 μm per l’interferometria sia moiré, sia olografica, sia speckle; • 20 μm per il moiré geometrico e per la tecnica DIC (dell’ordine di 0,02 pixel); • 100 μm per il moiré ombra. La tabella serve per una scelta preliminare del metodo da utilizzare in funzione della specifica applicazione. Il volume fornisce le caratteristiche specifiche delle varie tecniche per una scelta definitiva. Esso è suddiviso nelle seguenti 6 parti con numerazione e bibliografia proprie: PARTE 1 – Fotoelasticità PARTE 2 – Metodi del moiré PARTE 3 – Olografia PARTE 4 – Metodi speckle PARTE 5 – Metodi a correlazione di immagini digitali PARTE 6 – Appendici: A – Prospettive della fotomeccanica, B – Fotomeccanica digitale Fotoelasticità: 1. Introduzione 1.1 PARTE 1 - FOTOELASTICITÀ 1. INTRODUZIONE 1.1 I metodi della fotomeccanica Questo volume riguarda, come già detto, i seguenti metodi della Fotomeccanica: PARTE 1 – Fotoelasticità, PARTE 2 – Metodi del moiré, PARTE 3 – Olografia, PARTE 4 – Metodi speckle, PARTE 5 – Metodi a correlazione di immagini digitali. Una bibliografia essenziale sulla Fotomeccanica è riportata nei riferimenti [1.1-1.9]. In particolare una breve rassegna dei principali metodi della fotomeccanica è riportata nel riferimento [1.8]. Per la bibliografia specifica si rimanda a quella riportata alla fine di ciascuna delle parti in cui è diviso il volume. 1.1.1 Definizioni Nel seguito si riportano alcune definizioni di uso comune in Fotomeccanica ed in altri metodi di Analisi sperimentale delle tensioni: Isobara Isoclina Isocromatica Isoentatica Isopaca Isostatica Isostrofica Isoterma Isotetica luogo dei punti in cui è costante il valore di una tensione luogo dei punti in cui è costante l’orientamento delle tensioni principali luogo dei punti in cui è costante la differenza delle tensioni principali luogo degli estremi delle fratture (metodo delle vernici fragili) luogo dei punti in cui è costante la somma delle tensioni principali traiettoria di una tensione principale luogo dei punti in cui è costante una componente della rotazione luogo dei punti a temperatura costante luogo dei punti in cui è costante una componente di spostamento 1.2 Presentazione della fotoelasticità La fotoelasticità si basa sul fenomeno noto come birifrangenza accidentale meccanica cioè sulla dipendenza degli indici di rifrazione di taluni materiali trasparenti non cristallini dallo stato di tensione. Tale fenomeno noto dal 1816 (Brewster) ha trovato applicazione pratica a partire dal 1900 (Mesnager). La fotoelasticità è un metodo ottico a campo intero che si basa sulla determinazione delle isocline (luogo dei punti nei quali è costante l'orientamento delle tensioni principali) e delle isocromatiche (luogo dei punti nei quali è costante la differenza delle tensioni principali). Le tecniche principali sono: • la fotoelasticità piana o bidimensionale (a trasmissione) adatta all’analisi degli stati piani di tensione in campo elastico lineare impiegando modelli piani in materiale birifrangente; • la fotoelasticità tridimensionale (a trasmissione) che consente, con la tecnica del congelamento delle tensioni, l’analisi di corpi tridimensionali in campo elastico lineare impiegando modelli birifrangenti; • la tecnica dei rivestimenti birifrangenti (a riflessione) adatta all’analisi dello stato di tensione alla superficie di componenti in materiale qualsiasi (acciaio, alluminio, etc.). In aggiunta ai libri di analisi sperimentale delle tensioni riportati nei riferimenti generali, esistono numerosi opere dedicate esclusivamente alla fotoelasticità: dai classici trattati di Coker e Filon /1.2.1/ e di Frocht /1.2.2/ alle altre opere /1.2.3-1.2.16/. 1.2 A. Ajovalasit – Fotomeccanica: parte 1 1.2.1 Sviluppo storico della fotoelasticità Dopo la scoperta della birifrangenza accidentale meccanica da parte di Sir David Brewster (1816) si sviluppano le ricerche su tale fenomeno come si può rilevare dall’esame della scheda bibliografica riportata nel seguito (Tabella 1.I). Tabella 1.I - Fotoelasticità: scheda cronologica ANNO ARGOMENTO AUTORE BIBL. Sir David Brewster 1902 1910 1930 1931 1935 1936 Scoperta del fenomeno noto come birifrangenza accidentale meccanica, cioè dell’effetto fotoelastico Teoria, in termini di deformazioni, dell’effetto fotoelastico. Lavoro precursore sulla fotoelasticità integrata Scoperta sperimentale della relazione tra la differenza degli indici di rifrazione e la differenza delle deformazioni (tensioni) principali, cioè della cosiddetta legge di Wherteim Teoria, in termini di tensioni, dell’effetto fotoelastico Determinazione delle costanti fotoelastiche del vetro Ricerche pionieristiche di fotoelasticità riguardanti il modello fedele (realizzato in vetro) di un ponte e la realizzazione di un estensometro laterale per determinare la somma delle tensioni principali. Scoperta della dispersone della birifrangenza Memoria sulla determinazione ottica delle tensioni Lavoro pionieristico sui rivestimenti birifrangenti Primo trattato sulla Fotoelasticità Libro sulla fotoelasticità Fotoelasticità dinamica 1937 Estensimetro fotoelastico Oppel, G.U. 1938 Basi sperimentali della fotoelasticità Hetényi, M. tridimensionale Le Boiteux, H., Boussard, R. Libro sulla fotoelasticità Basi teoriche della fotoelasticità tridimens. Drucker, D.C., [8.9] 1816 1841 1851- 54 1853 1888-1889 1901-1902 1939 1940 Neumann F.E. Wherteim M. G. [1.2.1] pag. 204 Maxwell, J.C. [6.3] in [1.2.13] [1.2.1] a pag. 210 [6.5,6] in [1.2.13] Kerr,J. Pockels, F. Mesnager, A. Filon, L.N.G. Coker, E.G. Mesnager, A. a [1.2.1] p.220 [1.2.1]p.699 [6.7] in [1.2.13] Coker, E.G., Filon, L.N.G. [1.2.1] Foppl, L. - Neuber, H.: [1.2.3] [119] Tuzi, Z., Nitida, M. in [1.1.1] p.971 [12.2] in [1.2.13] [1.2.13] p.309 Mindlin, R.D. Mesmer, G. Frocht, M.M. Manzella, G. Drucker, D.C., [1.2.13] [1.2.11] 1940 1941 1942 1943 Libro sulla fotoelasticità Classico trattato sulla fotoelasticità Elementi di fotoelasticità Il metodo dell’incidenza obliqua 1955 Sviluppo dei rivestimenti birifrangenti D’Agostino, J., Drucker, D.C. , Liu, C.K., Mylonas, C. 1958 1966 1968 Libro sulla fotoelasticità La fotoelasticità integrata (tomografia fotoelastica) La fotoelasticità olografica Mondina, A. Aben, H. 1979 [6.1] in [1.2.13] [6.2] in [1.2.13] in [1.2.2] [1.2.4] [74] in [1.1.1] p.969 [1.2.6] [1.2.12] Fourney, M.E., Hovanesian, [11.40,41] J.D., Brcic, V., Powell, R.L. in [1.2.13] Inizio dello sviluppo dei metodi di fotoelasticità Mueller, R.K., Saackel, [1.2.20] automatica (digitale): il metodo del centro frangia L.R. Fotoelasticità: 1. Introduzione 1.3 Infatti Neumann, nel 1841, formulò la prima teoria sull’effetto fotoelastico fornendo le relazioni che legano gli indici di rifrazione alle deformazioni applicate al corpo. Successivamente Maxwell (1853) fornì una sua teoria dell’effetto fotoelastico mettendolo in relazione alle tensioni anziché alle deformazioni. Entrambi i lavori, di Neuman e di Maxwell, si riferivano a corpi sollecitati in campo elastico lineare e quindi le due teorie sono equivalenti. Contestualmente all’attività di Maxwell, Wertheim scoprì per via sperimentale la relazione tra la differenza degli indici di rifrazione e la differenza delle deformazioni (tensioni) principali (legge di Wherteim). A partire dal 1900, a seguito dei lavori di Mesnager in Francia e di Coker e Filon in Gran Bretagna si sviluppano le applicazioni pratiche per le quali si rimanda alla bibliografia. La tabella 1.I mostra solo alcuni aspetti dello sviluppo della fotoelasticità. Per gli aspetti non trattati si rimanda all’ampia bibliografia, in particolare ai riferimenti bibliografici contenuti nei libri riportati in [1.1.1], [1.2.1] e [1.2.13]. Molte memorie sulla fotoelasticità sono rintracciabili nel volume [1.2.15]. Molti contributi italiani, anteriori al 1931, sono citati nel trattato di Coker e Filon [1.2.1]: si ricordano L. Rolla (1907) O.M. Corbino (1909), P. Rossi (1910), ), G.M. Pugno (1925), G. Colonnetti (1926), D. Graffi (1926) ed E. Volterra (1930). Tra il 1935 e il 1965 si verifica il massimo sviluppo della fotoelasticità sia in campo metodologico sia in campo applicativo. Basta ad esempio consultare la mole dei risultati concernenti i coefficienti di forma molti dei quali furono appunto determinati mediante la fotoelasticità. Si ricorda inoltre, sempre a titolo di esempio e in aggiunta all’opera dei pionieri sopra indicati, l’attività di Drucker, Mindlin, Frocht, Durelli e Zandman negli Stati Uniti, di Manzella e Mondina in Italia, di Mesmer, Foppl, Monch, Kuske e Wolf in Germania, di Jessop, Fessler ed Heywood in Gran Bretagna, di Aben in Estonia, di Favré in Svizzera, di Kammarer, Le Boiteux e Boussard in Francia, di Pirard in Belgio, di Theocaris in Grecia. In questo periodo la fotoelasticità supplisce egregiamente all’assenza di metodi numerici che iniziano a svilupparsi solo intorno al 1960. A partire dagli anni 70, con il consolidarsi dei metodi numerici, la fotoelasticità viene utilizzata: • quale metodo di controllo per la validazione dei risultati numerici, • per l’analisi sui componenti realizzati direttamente con i materiali strutturali previsti (materiali metallici, compositi, etc.) utilizzando la tecnica dei rivestimenti birifrangenti (a riflessione), • per il controllo non distruttivo e l’analisi delle tensioni di componenti in materiale birifrangente (vetri e materie plastiche) [1.2.14, 1.2.17-1.2.19’]. Infine a partire dal 1980 lo sviluppo della fotoelasticità digitale [1.2.16, 1.2.20] ha permesso (2000) di ridurre notevolmente i tempi di acquisizione e di elaborazione dei risultati nel caso dei campi tensionali piani. In futuro l’uso combinato dei metodi della fotoelasticità digitale, dei metodi di tomografia fotoelastica e della sterolitografia potrà probabilmente portare ad una ulteriore riduzione dei tempi di analisi anche per i campi tensionali tridimensionali [1.2.21, 1.2.22]. 1.2.2 La fotoelasticità bidimensionale La fotoelasticità bidimensionale studia le lastre piane soggette a stato piano di tensione. Affinché una lastra piana sia soggetta a stato piano di tensione è necessario che (Fig. 1.1.a): • lo spessore d della lastra sia costante e piccolo rispetto alle altre dimensioni; • le forze esterne siano uniformemente distribuite sullo spessore e parallele al piano medio della lastra che si assume come piano x,y. In questo caso il campo tensionale nell’intorno di un punto è definito dalle seguenti componenti cartesiane di tensione (Fig.1.1-b): σ x , σ y , τ xy . A. Ajovalasit – Fotomeccanica: parte 1 1.4 P y d (a) z x σy P (b) σ2 τx y σx σ1 P θ x (c) Fig.1.1 – Lastra piana soggetta a stato piano di tensione (a), componenti cartesiane (b), tensioni principali (c) Ovvero con riferimento ai piani principali (Fig.1.1-c) lo stato di tensione è definito dalle due tensioni principali σ1 e σ2 e dall’angolo θ che individua l’orientamento delle tensioni principali rispetto ad un asse di riferimento. NOTA - Le tensioni σ x , σ y , τ xy sono legate dalle seguenti relazioni: equazioni di equilibrio in coordinate cartesiane, cioè ∂σ y ∂τ xy ∂σ x ∂τ xy +Y = 0 + + X = 0, + ∂x ∂y ∂y ∂x equazione di congruenza, cioè ⎛ ∂X ∂Y ⎞ ⎟⎟ ∇ 2 (σ x + σ y ) = −(1 + ν )⎜⎜ + ⎝ ∂x ∂y ⎠ (1.1), (1.2) (1.3) dove X e Y sono le componenti delle forze di massa per unità di volume e ν è il coefficiente di Poisson. In ogni caso le incognite da determinare sono tre: le componenti cartesiane di tensione σ x , σ y , τ xy , ovvero le tensioni principali ed il loro orientamento σ 1, σ 2 , θ . La fotoelasticità consente di determinare come risultato diretto dell’esperienza: • le isocromatiche che sono il luogo dei punti in cui è costante la differenza delle tensioni principali σ 1 - σ 2 (si veda per esempio la figura 2.3); • le isocline che sono il luogo dei punti in cui è costante l’orientamento θ delle tensioni principali (si veda per esempio la figura 2.4). Si determinano così due (σ 1 - σ 2 , θ ) delle tre incognite σ 1, σ 2 , θ . • • Mediante l’elaborazione dei dati fotoelastici si possono altresì determinare: le isostatiche, che sono le traiettorie delle tensioni principali, utilizzando le isocline; le singole tensioni σ 1, σ 2 , mediante procedimenti numerici o sperimentali di separazione delle tensioni, utilizzando le isocromatiche e le isocline. Fotoelasticità: 2. L’effetto fotoelastico 1.5 2. L’EFFETTO FOTOELASTICO Le materie plastiche, che si impiegano in fotoelasticità (resine epossidiche, policarbonato, etc.), manifestano la birifrangenza accidentale meccanica (o effetto fotoelastico) quando sono soggette ad un sistema forze. In particolare (Figura 2.1) un campo luminoso, polarizzato linearmente, incidente normalmente su di un modello in materiale fotoelastico soggetto a stato piano di tensione subisce le seguenti trasformazioni: 1. il campo incidente, nel generico punto A del modello, si scinde in due campi (E1, E2) polarizzati linearmente secondo due direzioni ortogonali che coincidono con le direzioni delle tensioni principali σ1 e σ21; 2. le velocità v1 e v2 di propagazione dei due campi all’interno del modello e quindi i relativi indici di rifrazione (n=c/v) n1 e n2 dipendono dalle tensioni principali σ1 e σ2. Più precisamente gli indici di rifrazione n1 e n2 dipendono dalle tensioni principali σ1 e σ2 secondo la relazione di Maxwell-Neumann che può scriversi n1 − n2 = C (σ 1 − σ 2 ) (2.1) dove C è la costante fotoelastica del materiale utilizzato. Figura 2.1. – Effetto fotoelastico nel caso di stato piano di tensione NOTA – Come si determina la (2.1) In generale un materiale fotoelastico soggetto ad uno stato tridimensionale di tensione, definito dalle tensioni principali σ1, σ2, σ3, diventa otticamente anisotropo. Tale anisotropia ottica può essere descritta mediante l’ellissoide degli indici (o di Fresnel) [1.1.4] i cui assi principali coincidono con quelli delle tensioni principali. Gli indici di rifrazione (n1, n2, n3) relativi alle direzioni delle tensioni principali (σ1, σ2, σ3) sono legati alle tensioni principali dalle relazioni di Maxwell – Neumann: n1 = no + Aσ 1 + B(σ 2 + σ 3 ) (2.2) n2 = no + Aσ 2 + B(σ 3 + σ 1 ) 1 In figura, per semplicità si considera un punto con direzioni principali orizzontale e verticale (2.3) A. Ajovalasit – Fotomeccanica: parte 1 1.6 n3 = no + Aσ 3 + B(σ 1 + σ 2 ) (2.4) dove no è l’indice di rifrazione del materiale in assenza di forze, A e B sono le costanti fotoelastiche assolute del materiale. Nel caso piano (σ3=0), le relazioni (2.2) e (2.3) divengono: n1 = no + Aσ 1 + Bσ 2 (2.5) n2 = no + Aσ 2 + Bσ 1 (2.6) da cui per differenza si ottiene n1 − n2 = ( A − B )(σ 1 − σ 2 ) (2.7) che coincide appunto con la (2.1) dove si è posto C=A-B. Si noti che la (2.7) vale anche nel caso tridimensionale come si ricava dalla differenza tra le (2.2) e (2.3):cioè l’eventuale tensione σ3 parallela alla direzione di propagazione del campo influenza in eguale misura gli indici n1, n2 e quindi non influenza la loro differenza. Questa circostanza verrà esaminata meglio nel capitolo dedicato alla fotoelasticità tridimensionale. All’uscita dal modello i due campi luminosi, a causa della diversa velocità di propagazione, risultano sfasati nel senso che, quando il campo più lento esce dal modello, il campo più veloce ha già percorso (Figura 2.1) nell’aria uno spazio Δ, detto ritardo spaziale, dato da: Δ = d (n1 − n2 ) (2.8) NOTA – Come si determina il ritardo spaziale Indicando con t1=d/v1 e t2=d/v2 i tempi che impiegano i due campi per attraversare il modello, lo sfasamento temporale t’ tra i due campi risulta: ⎛1 1⎞ (2.9) t ' = t1 − t 2 = d ⎜⎜ − ⎟⎟ ⎝ v1 v2 ⎠ Il corrispondente sfasamento o ritardo spaziale Δ risulta, indicano con c la velocità di propagazione della luce all’esterno del modello (assunta uguale a quella nel vuoto): ⎛c c ⎞ (2.10) Δ = ct ' = d ⎜⎜ − ⎟⎟ = d (n1 − n 2 ) ⎝ v1 v 2 ⎠ essendo n1=c/v1 e n2=c/v2 gli indici di rifrazione dei campi polarizzati secondo le direzioni delle tensioni principali. Tale ritardo, tenendo conto della (2.7), risulta: Δ = Cd (σ 1 − σ 2 ) (2.11) In fotoelasticità si considera di solito il ritardo spaziale relativo alla lunghezza d’onda λ della luce utilizzata (δ=Δ/λ) che pertanto risulta: Cd (σ 1 − σ 2 ) δ= (2.12) λ La (2.12) è la relazione fondamentale della fotoelasticità. Noti la costante C (mediante operazione di taratura), lo spessore d e la lunghezza d’onda della luce λ, la misurazione del ritardo δ consente di determinare la differenza delle tensioni principali (σ 1 − σ 2 ) . Fotoelasticità: 2. L’effetto fotoelastico 1.7 Si noti che l’osservazione del modello nelle condizioni sopra indicate non consente la determinazione del ritardo δ dato che i due campi E1 ed E2 non possono interferire essendo polarizzati secondo due direzioni ortogonali (Figura 2.1). Per rilevare l’effetto fotoelastico e quindi determinare il ritardo, il modello deve essere osservato in una apparecchiatura denominata polariscopio (o banco fotoelastico) che verrà descritta nel seguito (cap. 4). Le figure 2.3 e 2.4 mostrano esempi di isocromatiche e di isocline determinate al polariscopio. NOTA – I cammini ottico nel modello fotoelastico La relazione (2.8) che fornisce il ritardo spaziale può essere determinata direttamente utilizzando il concetto di cammino ottico (prodotto del cammino geometrico per l’indice di rifrazione). Si considerino a tal fine i cammini ottici tra due piani generici 1 e 2 distanti z (Figura 2.2). A modello scarico il cammino ottico risulta (Figura 2.2-a) L = zn + d (no − n ) (2.13) dove n è l’indice di rifrazione del mezzo ambiente. A modello carico i cammini ottici dei campi diretti secondo le tensioni principali, σ1, σ2 , risultano: L1 = zn + d ' (n1 − n ) , L2 = zn + d ' (n2 − n ) (2.14) (2.15) dove d ' ≅ d è lo spessore del modello carico. Dalle (2.14) e (2.15) si ricava che il ritardo Δ , già determinato in precedenza [si veda l’eq. (2.11)], è uguale alla differenza dei cammini ottici a modello carico, cioè Δ = L1 − L2 (2.16) Infine si noti che i cammini ottici ed il ritardo si possono esprimere in termini di fase angolare mediante le relazioni: 2π 2π ϕ1 = (2.17) (2.18) L1 ϕ 2 = L2 λ ϕ = ϕ1 − ϕ 2 = 2π λ λ Δ = 2πδ (a) (2.19) (b) Figura 2.2 – I cammini ottici nel modello fotoelastico: (a) modello scarico, (b) modello carico. 1.8 A. Ajovalasit – Fotomeccanica: parte 1 Figura 2.3 – Isocromatiche a campo scuro in un componente soggetto a flessione Figura 2.4 – Isoclina di 0° (rispetto all’asse orizzontale) nel componente di cui alla figura 2.3 rilevata però con un carico più basso