L’interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi: nuove vedute sull’argomento Massimo Scalia Una premessa E’ dai primi esperimenti di Jacques Arséne d’Arsonval e di Nikola Tesla (1891), cioè dagli albori di quello che oggi chiamiamo Bioelettromagnetismo (BEM), che si è posta la questione che è poi risuonata invariata per cent’anni fino ai giorni nostri: esistono effetti biologici dei campi elettromagnetici che non siano solo quelli termici? Attualmente, infatti, è convenzione definire termico un effetto quando è associato ad un aumento maggiore, o uguale, di 1°C della temperatura di un distretto, o dell’intero corpo, dell’organismo. L’effetto specifico è indicato in letteratura come effetto non termico ed include tutti i mutamenti dell’attività biologica non dovuti ad innalzamento di temperatura. Si parla di effetto acuto o a breve termine quando la radiazione elettromagnetica provoca il riscaldamento di un tessuto biologico e/o la stimolazione di cellule dei tessuti nervosi e muscolari; cessata l’esposizione alla radiazione il tessuto ritorna allo stato preesistente. Per i primi quarant’anni un ricchissimo dibattito, fatto di esperimenti e interpretazioni, aveva coinvolto ricercatori, scienziati e medici su entrambe le sponde dell’Atlantico. Qui, in casa dei medici, è doveroso ricordare che il primo esperimento con un apparato a valvola elettronica fu effettuato a Parigi nel 1924 all’Ospedale della Salpetrière per valutare l’effetto sui sistemi biologici di campi oscillanti: era la prima volta che si usava in una ricerca una frequenza di 150 MHz! Furono irradiate delle onde ultracorte su piante di geranio nelle quali era stato inoculato il Bacterium tumefaciens per produrre un tumore. I tumori nelle piante esposte necrosarono e poterono essere facilmente staccati, con una vera e propria guarigione dei gerani, i quali produssero fiori maggiormente sviluppati di quelli dei controlli, in cui i tumori aumentavano di dimensioni. I risultati furono subito comunicati alla Société de Biologie di Francia dal chirurgo Antonin Gosset che aveva diretto l’equipe dei ricercatori; George Lakhovsky, un ingegnere di ampi interessi che dalla Russia era arrivato a Parigi, aveva realizzato l’elettronica dell’esperimento. Cinque anni dopo, nel 1929, fu Lakhovsky a comunicare che le piante guarite erano ancora vive; al contrario, i controlli avevano vissuto pochi mesi. Gli esperimenti descritti non erano frutto del caso; essi avevano lo scopo di provare l’ipotesi sviluppata nel 1923 da Lakhovsky, secondo cui la cellula 1 è un risonatore elettromagnetico, in grado di emettere ed assorbire radiazioni di altissima frequenza. Questa citazione apre a uno dei temi che affronterò in seguito, quello della biorisonanza, ma lascia aperta la questione del che cosa sia avvenuto in seguito perché a un dibattito e a una ricerca così vivace si sia sovrapposto un atteggiamento che non esito a definire, Aristotele mi scusi, “neo aristotelico”; quello col quale i maggiori organismi tecnici internazionali – WHO (o OMS) e ICNIRP, la sezione radiazioni non ionizzanti della Commissione Internazionale per la Radioprotezione (ICRP) – negano, caparbiamente e a tutt’oggi, ogni effetto specifico della radiazione elettromagnetica e fissano i limiti delle loro linee guida a proteggere solo dagli effetti termici. Nel proseguire della sperimentazione si può sinteticamente affermre che, arrivati agli anni ’30, la ricerca biologica indicava come il campo elettromagnetico esplicasse i propri effetti, ad esempio inibendo o stimolando l’accrescimento degli organismi viventi, in relazione alla sua frequenza e alla durata dell’esposizione. Accanto alla ricerca prettamente biologica si era anche sviluppata in medicina la diatermia, la tecnica terapeutica del riscaldamento del corpo come mezzo per la cura di numerose patologie. All’interno della comunità scientifica internazionale si erano andate delineando due diverse posizioni, riguardanti l’interazione tra campi elettromagnetici di alta frequenza e sistemi viventi. La prima posizione, con sfumature diverse, negava qualsiasi selettività di azione di determinate frequenze e spiegava gli effetti biologici osservati con il calore generato dalle correnti indotte negli organismi. La seconda posizione riteneva che l’azione biologica fosse dovuta ad un duplice meccanismo: gli effetti erano in parte causati, in relazione all’intensità del campo incidente, dal semplice riscaldamento, anche se era presente un’azione specifica (non termica) della radiofrequenza. Negli Stati Uniti, il crescente numero di medici che accanto alla diatermia professavano la specificità delle azioni biologiche finì per preoccupare la corporazione medica. Sostenere delle ipotesi delle quali non era chiara l’interpretazione suscitava, ovviamente, dubbi, legittimi ma sicuramente amplificati dallo spirito di autoconservazione che caratterizza ogni corporazione. A far traboccare il vaso, causa o occasione?, fu forse la pubblicazione della traduzione in inglese del testo di un medico tedesco, Erwin Schliephake, sostenitore degli effetti specifici, che venne attaccato da varie associazioni dei medici americani in quanto ritenevano le sue affermazioni “stravaganti” e prive di un adeguato conforto sia nel suo Continente, che, soprattutto, negli Stati Uniti. 2 Per evitare che la situazione sfuggisse di mano e per continuare invece a esercitare un controllo sugli orientamenti e sulle scelte delle comunità dei medici, l’American Medical Association (AMA), il più potente ordine dei medici statunitense, richiese al suo Council of Physical Therapy di predisporre un’indagine ufficiale sull’ipotesi non termica. Il rapporto finale, presentato nell’aprile 1935 dai due medici, Bernard Mortimer e Stafford Osborne cui era stata affidata l’indagine, concludeva che: “... 1. There is no conclusive evidence from the literature nor were we able to substantiate the claim of specific biologic action of high frequency currents (short-wave diathermy). In our opinion the burden of proof still lies on those who claim any biologic action of these currents other than heat production. 2. The experimental work that claims specific bactericidal action for these high frequency currents may be more rationally explained, we believe, on the basis of “point heating”, which raises the temperature of micro-organism above their thermal death point without a corresponding elevation in the temperature of the medium… 3. Our own work on the machines submitted shows that there is a thermal gradient from the hot skin to the less hot tissues within. 4. There is no evidence from reliable experimental work on living subjects that short-wave diathermy possesses a more uniform penetration of heat into the body than the conventional diathermy. 5. The possibility of special selective thermal action is a very remote one…” Si è preferito riportarla in lingua originale perché questa posizione, la posizione ufficiale dell’AMA, ha fatto scuola; e nei 70 anni successivi gli assessment delle varie corporazioni – molto nota quella dell’American Physical Society del 1995 sugli effetti degli elettrodotti, ribadita dieci anni dopo nel 2005 – hanno seguito quella falsa riga abbastanza pedissequamente. E’ l’attuale posizione ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’ICNIRP, ma su questo torneremo dopo. Questo ukase, assieme alla richiesta dell’onere della prova verso chi dichiarava una qualsiasi azione biologica dei campi oltre a quella dovuta alla generazione del calore, concluse momentaneamente il dibattito tra i medici ed i ricercatori americani. L’onere della prova per l’ipotesi esclusivamente termica veniva dato per scontato, fondandosi basilarmente sul succedersi nel tempo dei fatti; ma, senza una verifica sperimentale, richiama il celeberrimo lapsus irriso dai giuristi: “Post hoc, ergo propter hoc”. 3 L’intervento dell’AMA aggiunse una nuova dimensione all’argomento degli effetti specifici. La dichiarazione coinvolgeva infatti tutta la categoria medica e, anche se per il resto degli anni ’30 e quasi tutti gli anni ’40 furono pubblicati numerosi articoli in cui si descrivevano effetti specifici, il punto di vista ufficiale, ovvero quello a cui si adeguarono i medici orientati alla ricerca, era quello termico. In Europa, al contrario, le due scuole di pensiero avevano duellato signorilmente a “colpi di esperimento”. Per la maggior parte degli studiosi del continente, infatti, le particolari proprietà biologiche delle onde elettromagnetiche erano legate alla frequenza del campo: la questione era come scindere negli esperimenti l’azione calorifica da quella oscillatoria. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale pose fine al dibattito; e di esso si è purtroppo persa la memoria. Dall’analisi dei documenti a disposizione, dei quali si può fornire una succinta ma ragguardevole rassegna 1, emerge una grande quantità di ricerche sperimentali condotte in Europa, assai di più, almeno fino agli anni ’20, di quanto avveniva negli Stati Uniti. Complessivamente, guardando alla due sponde dell’Atlantico, 1 Scalia M., Pulcini F. e Sperini M., Campi elettromagnetici e sistemi viventi, Ed. Andromeda (2014) (vedi cap. 5 “Una lunga storia”) gli esperimenti condotti, anche se non sempre risultano corredati da tutti i dati che li caratterizzerebbero in modo completo, tuttavia si impongono all’attenzione e non solo per i rilevanti risultati prodotti. Vi è infatti di più. La cura messa, in tanti casi, nel tentativo di separare proprio in sede sperimentale gli effetti termici, peraltro modesti, da quelli invece di tipo specifico, a carattere permanente, fa rabbrividire all’idea che quei risultati siano (80 anni dopo!) tranquillamente ignorati dai cosiddetti “esperti”, che hanno censurato negli Stati Uniti come in Europa tutti i protagonisti, tutta la ricchezza sperimentale e del dibattito, tutto ciò che si è succeduto per decenni dopo le “correnti” di d’Arsonval. Julius Robert Oppenheimer, il direttore del progetto Manhattan e della prima esplosione atomica sperimentale ad Alamogordo il 16 luglio del 1945, due anni dopo, in una lezione al MIT, consegnò a tutti i Fisici una pesante eredità: “..the Physicists have known the sin; and this is a knowledge which they cannot lose”. Nel mio piccolo, e su qualcosa di certo assai meno epocale dell’ingresso nell’era atomica, vorrei consegnare ai Medici la consapevolezza che la “madre” di tutti i perduranti negazionismi contro gli effetti biologici è l’assessment dell’AMA del 1935. 4 1. La sorgente del campo e le onde elettromagnetiche Le equazioni di Maxwell2 – equazioni differenziali alle derivate parziali 3 compendiano tutta la conoscenza dell’elettromagnetismo, cioè di tutte le leggi – James Clerk Maxwell fu un Fisico-Matematico scozzese che, dopo anni di studio, scrisse la forma moderna delle “sue” equazioni in un trattato del 1873; e, oltre alla teoria dell’unificazione del campo elettromagnetico, portò fondamentali contributi anche in altri comparti, dalla Teoria cinetica dei gas alla Teoria dei colori alla dimostrazione della natura, fluida, degli anelli di Saturno. Aveva già messo in evidenza in precedenti lavori, negli anni 1860, l’esistenza di campi elettrici e magnetici oscillanti che viaggiano nello spazio; e dal confronto tra il valore teorico della loro velocità e i risultati sperimentali noti mostrò che la luce non era altro che la propagazione di onde elettromagnetiche. 3 Le proprietà di evoluzione nel tempo di un sistema sono descritte nella Fisica classica tramite equazioni differenziali ordinarie o a derivate parziali. Ordinarie, se la soluzione del problema, la “legge del moto”, è una funzione che dipende da una sola variabile, il tempo t ; è il caso della seconda legge della Dinamica newtoniana F = m·a = m·d2s/dt2 , dove d2/dt2 è l’operatore differenziale che applicato alla posizione s del corpo di massa m dà l’accelerazione a al tempo t. La legge del moto s = s(t) è la soluzione dell’equazione di Newton. A derivate parziali se, come nel caso del campo elettromagnetico, le funzioni che rappresentano i campi, soluzioni delle equazioni di Maxwell, dipendono da più variabili x, y, z, t e non dalla sola variabile t. Il fatto di esprimere le leggi che governano i fenomeni fisici nei termini matematici di operatori differenziali, cioè quelli che nelle equazioni si applicano alle funzioni che rappresentano le grandezze fisiche, comporta un’analisi e una comprensione “locale” – nel tempo o nello spazio o in entrambi – dei fenomeni che si stanno descrivendo. Nel caso del campo elettromagnetico esiste anche una formulazione “globale” delle leggi che lo governano – che ricorre matematicamente a operatori integrali, cioè di “somma” – tramite il “lavoro” compiuto dal campo elettrico e dal campo magnetico. 2 5 non sono molte – che definiscono le proprietà e il comportamento dei campi elettrici e magnetici. Tra le soluzioni delle equazioni di Maxwell ci sono le onde elettromagnetiche; e, passando dalla Matematica alla Fisica, queste soluzioni rappresentano fisicamente la propagazione ondulatoria di una perturbazione irradiata nello spazio. Si pensi, ad esempio, come sorgente della perturbazione in un certo posto e in un certo istante a un’antenna emittente, cioè un conduttore cui è applicata una tensione che oscilla nel tempo con frequenza ν. La d.d.p. induce nell’antenna un moto di cariche elettriche, che oscillano con la stessa frequenza ν ; e l’onda prodotta dal loro moto viaggerà nello spazio con la stessa frequenza ν delle oscillazioni cui sono soggette le cariche nell’antenna. La frequenza dà, in generale, il numero di oscillazioni compiute nell’unità di tempo; la sua unità di misura nel sistema MKSQ è lo Hertz (Hz), un’oscillazione al secondo. L’inverso del frequenza T = 1/ν è il periodo, che è l’intervallo di tempo necessario perché il campo elettromagnetico riassuma lo stesso valore. La distanza tra due creste di un’onda si chiama lunghezza d’onda λ , e si misura in multipli o sottomultipli del metro. Frequenza, periodo e lunghezza d’onda sono grandezze scalari. E’ anche opportuno evidenziare che la definizione stessa di onda, che si propaga con velocità V, comporta l’invarianza della forma dell’onda rispetto a traslazioni che avvengano nel tempo con la velocità V. Questo vale per ogni altro fenomeno ondulatorio – meccanico, elastico, sonoro, termico – e non solo per le onde elettromagnetiche. Questa caratteristica si traduce, matematicamente, nel fatto che le funzioni che rappresentano le onde dipendono dalla traslazione, x – Vt, e non, separatamente, da x e t. Certo, le onde elettromagnetiche non si vedono e solo poche persone particolarmente sensibili percepiscono i loro effetti attraverso particolari reazioni del sistema nervoso. I fenomeni ondulatori hanno però molte cose in comune, a partire dalle grandezze – frequenza e lunghezza d’onda – che li caratterizzano; e perciò per avere un modello “visivo” di onda nelle varie dimensioni spaziali in cui si manifesta si potrà pensare alle vibrazioni di una corda di un violino o al familiare gioco da ragazzi (caso unidimensionale), alle onde generate da un sasso che cade in uno stagno (caso 6 bidimensionale) o alle onde elastiche rese visibili dalle compressioni/espansioni di un corpo pulsante (caso tridimensionale). Come aveva già capito Leonardo dall’osservazione delle messi, una caratteristica comune al fenomeno di propagazione della perturbazione è che esso avviene senza trasporto di materia; basti pensare alle onde del mare che, lontano dalla risacca, non ci spostano e ci fanno andare su è giù come turaccioli, rispetto al livello di superficie, ma sempre in loco. Un’altra caratteristica comune ai moti ondosi è che soddisfano una relazione tanto semplice quanto importante V , dove V è l’intensità della velocità di propagazione dell’onda nel mezzo, che è il materiale dove l’onda si propaga. Questa velocità dipende dalle caratteristiche fisiche del mezzo in cui si propaga la perturbazione. Nel caso degli strumenti a corda la perturbazione è il “pizzico” e la velocità di propagazione lungo la corda dipende dal valore della tensione cui è sottoposta la corda e dalla sua densità. Nel caso delle onde elettromagnetiche la velocità di propagazione dipende dalla permettività dielettrica ε e dalla permeabilità magnetica µ del mezzo , dove c è la velocità della luce nel vuoto (o in aria). Sulla direzione e verso ci torneremo con l’esempio di Fig. 2. La presenza in (2) di ε e µ che sintetizzano, rispettivamente, le proprietà elettriche e magnetiche del mezzo, consentono di rimarcare che, soprattutto dal punto di vista sperimentale, hanno rilievo l’induzione elettrica D e la induzione magnetica B. Esse sono legate ai rispettivi campi da semplici relazioni lineari, tranne che per i materiali ferromagnetici: . Nel caso in cui il mezzo sia omogeneo – stessa densità di materia in ogni punto – 7 e isotropo, cioè abbia le stesse proprietà fisiche in ogni direzione (non è questo il caso, ad esempio, dei cristalli che si sviluppano preferenzialmente lungo una direzione), ε e µ sono costanti. In generale la materia non consente queste semplificazioni descrittive, che sono però utilizzabili sicuramente come prima approssimazione per gran parte dei fenomeni che si vogliono descrivere con il ricorso alla Matematica. Nel caso della propagazione delle onde elettromagnetiche nell’aria, che è quella cui più ci riferiremo, si possono assumere per ε e µ i valori del vuoto: ε = µ = 1 e la relazione (2) fornisce la grandezza della velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche in aria: c, cioè la velocità della luce nel vuoto (cfr. nota 2). Essendo ormai chiaro, si spera, che onde, vibrazioni e oscillazioni sono sinonimi che descrivono fenomeni di ugual natura, è utile richiamare qui brevemente alcune nozioni apprese nella Scuola Media Superiore sul più semplice moto oscillatorio: il moto su una retta di un punto materiale di massa m, sottoposto a una forza “di richiamo” – un molla di coefficiente elastico k – posta in un punto O della retta, assunto come origine del sistema di riferimento: l’oscillatore armonico. La posizione del punto sulla retta è la distanza x del punto dall’origine O; e la legge del moto, in funzione del tempo t, è: , che in ogni istante t fornisce la posizione del punto materiale sulla retta (e, conseguentemente, la velocità del punto e le altre grandezze dinamiche come la quantità di moto e l’energia). Il coseno, che compare a secondo membro della (4), è una funzione periodica, del tempo; cioè, in capo a un intervallo di tempo T , detto periodo del moto, essa riassume lo stesso valore e il punto materiale la stessa posizione sulla retta (nella (4) va ugualmente bene la funzione seno). In termini matematici, qualunque istante to si fissi, dovrà essere: x (to) = x (to + T). Del resto questo è il senso, anche colloquiale, che si attribuisce al periodo o all’aggettivo periodico quando si parla del moto della Terra, di eventi climatologici (stagioni, alisei, monsoni) o, più quotidianamente, dell’uscita di pubblicazioni (giornali, riviste ecc.). L’inverso del periodo è, come si è detto in precedenza, la frequenza ν = 1/T , cioè, il numero di oscillazioni che avvengono in un secondo. La geometria materiale di questo semplice sistema è sintetizzata da ω = √(k/m). Questa costante prende il nome di pulsazione; e la forma periodica della legge del moto (4) fornisce subito (basta porre in essa t = T e θ = 0) la relazione ω = 2π/T = 2π·ν. 8 La fase, θ , dà la posizione iniziale del punto materiale sulla retta, che non coincide in generale con O. Molto importante è il parametro A , ampiezza massima dell’oscillazione, cioè la distanza massima del punto materiale da O , perché è legata all’energia E del punto durante il moto; più precisamente si può mostrare 4 che E = k A2 . 4 Dalla legge di moto dell’oscillatore armonico di massa m: x (t) = A · cos (ωt + θ) si può derivare la sua velocità: v = - ω · A· sen (ωt + θ) e l’energia cinetica : K = (½ ) m · v2 = (½) m · ω2 · A2 sin2 (ωt + θ). La forza elastica di richiamo, proporzionale allo spostamento x dall’origine O : f = kx , è derivabile da un’energia potenziale U = (½ ) · k ·x 2 ; pertanto l’energia meccanica totale è: E = K + U = (½) m·ω2·A2 ·sin2(ωt + θ) + (½ )k·A2 cos2(ωt + θ) = (½)A2· [m·ω2 + k]·[sin2(ωt + θ) + cos2(ωt + θ)]. Poiché per definizione è ω = √ k/m , ne segue che m·ω2 + k = m·(k/m) + k = 2k. In definitiva: E = k A2 , 2 2 in quanto la relazione trigonometrica sen (θ ) + cos (θ) = 1 vale anche come valor medio sulle oscillazioni di pulsazione ω e argomento θ = ωt. L’insistenza su questi aspetti è motivata dal fatto che un’onda, non solo elettromagnetica, può essere pensata fatta da infiniti oscillatori armonici, collegati, che vibrano ortogonalmente alla direzione di propagazione (ad es., vedi Fig. 2); ognuno di essi, con la sua ampiezza e frequenza, è detto modo di vibrazione. A questa concettualizzazione corrisponde una dimostrazione matematica. La proprietà dell’onda di trasportare energia dalla sorgente nello spazio circostante, senza alcun trasporto di materia, è generalmente definita radiazione. Si può quindi parlare indifferentemente di onda elettromagnetica o radiazione elettromagnetica. La frequenza dei diversi tipi di onde elettromagnetiche si estende su una gamma impressionante di valori, che consente la classificazione delle onde: tali valori costituiscono lo spettro delle frequenze. La (1) afferma che se l’onda si propaga in un mezzo che con buona approssimazione si può considerare omogeneo e isotropo la frequenza è inversamente proporzionale alla lunghezza dell’onda: più alta è la frequenza, più corta è l’onda e viceversa. L’insieme dei valori delle lunghezze d’onda costituisce lo spettro delle lunghezze d’onda, e la lunghezza d’onda, lo ricordiamo, è la distanza tra due massimi (o due minimi) che l’ampiezza dell’onda raggiunge. Con il termine spettro elettromagnetico si definisce l’insieme delle oscillazioni elettromagnetiche, che include sia lo spettro delle frequenze che quello delle lunghezze d’onda. 9 A una distanza dalla sorgente distanza sufficientemente grande, tale che essa possa essere considerata puntiforme (a 500 m. e oltre, anche un’antenna lunga 5 m. può essere considerata puntiforme), e se l’irraggiamento dalla sorgente avviene in modo isotropo (non è questo il caso di un’antenna che emette su una direzione preferenziale), il fronte d’onda sferico che, irraggiato dalla sorgente, investe l’osservatore o lo strumento di misura è così grande da essere rilevato come “piano” invece che convesso (il piano tangente al fronte d’onda nel punto di osservazione, Fig.1). Il fronte d’onda è il luogo geometrico dello spazio di tutti i punti dell’onda che hanno ugual fase. In questo senso si parla di onda piana, che si può rappresentare come una componente del campo elettrico che vibra in un piano ortogonale al piano in cui vibra la componente di campo magnetico, mentre si propaga nella direzione ortogonale a tutti e due i piani (vedi Fig.2). Fig. 1: Onda sferica Fig.2: Un caso particolare di campo elettromagnetico è l'onda elettromagnetica piana. Il piano xy, dove oscilla il campo elettrico è detto piano di vibrazione; il piano xz dove oscilla il campo magnetico è detto di piano di polarizzazione. E’ convenzione, la più usata, associare alla direzione di propagazione – che unisce la sorgente all’osservatore – l’asse x; gli altri due assi del sistema di riferimento restano 10 determinati dalla richiesta che costituiscano una terna di assi coordinati levogira (l’asse z deve “vedere” l’asse x sovrapporsi all’asse y con una rotazione in senso antiorario). Pertanto, con riferimento alla Fig. 2 e tenendo conto delle semplificazioni che l’ipotesi “onda piana” comporta per le equazioni di Maxwell, la direzione del campo elettrico E coincide con l’asse y e quella del campo magnetico H con l’asse z. Si può ricorrere allo schema di onda piana tutte le volte che si vogliano affrontare problemi di “campo lontano”; se invece l’oggetto irradiato si trova vicino alla sorgente, il campo elettromagnetico assume una configurazione più complessa e non si può usare un’onda piana per rappresentarlo. La figura 2 è così diffusa da indurre talvolta nell’errore che tutte le onde, se non addirittura tutti i campi elettromagnetici, siano rappresentabili in quel modo. Fig.2 è valida solo per le onde piane e raffigura solo una parte delle componenti elettromagnetiche. Le equazioni di Maxwell forniscono infatti nel caso di onda piana due relazioni: Ey = (√µ/ε ) · Hz , quella rappresentata in Fig.2, e quella simmetrica Hy = - (√ε/µ) · Ez , rappresentabile in ugual modo. Con gli indici in basso si denominano le componenti del campo elettrico e magnetico omonime agli assi coordinati del sistema di riferimento. La precisazione fatta nulla toglie alla “visibilità” che la Fig.2 consente, né, ovviamente, al rigore e alla validità della sua determinazione. Nella Tab.1 lo spettro delle onde elettromagnetiche è illustrato sinteticamente in funzione della frequenza e della lunghezza d’onda. Leggendo dall’alto verso il basso, si possono osservare le radiazioni che presentano una maggiore frequenza, alle quali è associata una maggior energia (raggi γ, raggi X, raggi UV). Ispezioniamo ora lo spettro delle frequenze elettromagnetiche, dalle più basse alle più alte, in rapporto ai diversi dispositivi di utilizzo o di emissione. Ci sono onde con frequenza bassissima che vengono denominate ELF (Extremely Low Frequency); decine di Hertz, ma lunghe fino centomila chilometri, come quelle emesse dai cavi ad alta tensione (50 Hz). Sempre nel campo delle basse frequenze, ma più elevate delle ELF, si trovano le SLF (Super Low Frequency ) cui corrispondono lunghezze d’onda fino a diecimila chilometri, e le ULF (Ultra Low Frequency), cui corrispondono lunghezze d’onda fino a 1000 chilometri. Nelle diverse bande della Regione hertziana si trovano le onde della radiofonia e della televisione (radiofrequenze) e dei cellulari: da qualche migliaio di Hertz e lunghezze d’onda di decine di chilometri a centinaia di milioni di Hertz (1 milione di Hertz = 1 MHz, MHz = MegaHertz) e lunghezza d’onda di decine di metri. Le onde radar sono microonde, come quelle del forno, dei ponti radio e dei collegamenti 11 satellitari: miliardi di Hertz (1 miliardo di Hertz = 1 GHz, GHz = GigaHertz) e pochi centimetri di lunghezza. Denominazione Regione ottica Frequenza Lunghezza d’onda Raggi > 31010 GHz 0,01 nm < Raggi X 31010 – 7,5107 GHz 4 - 0,01 nm Ultravioletti 7,5107–7,9105 GHz 380 - 4 nm Visibile 7,9105–3,8105 GHz 0,78 – 0,38 m Infrarosso 3,8105 – 300 GHz 1 mm – 0,78 m Microonde 300 - 0,3 GHz 1 m – 0,1 cm 300 MHz - 3 kHz 100 km – 1 m ULF 3 kHz – 300 Hz 1.000 – 100 km SLF 300 – 30 Hz 103 – 104 km ELF 30 - 3 Hz 104 – 105 km Regione hertziana Radiofrequenze Tab. 1: Spettro elettromagnetico La suddivisione dello spettro in “bande” di frequenza (e di lunghezze d’onda), come riportata nella tabella 1, è fondata sui diversi dispositivi in grado di produrre o trasmettere le onde elettromagnetiche, rispetto ai quali esistono ovviamente delle sovrapposizioni ai bordi degli estremi di ogni banda. Onde elettromagnetiche? Con la sistemazione teorica dell’elettrodinamica quantistica, operata dal premio Nobel Richard Feynmann nei primi anni ’60, il dibattito millenario sulla natura della luce – ondulatoria o corpuscolare? –, che ha impegnato Democrito come Newton, Goethe come Maxwell, abbia avuto una risposta definitiva, al di là di ogni ragionevole dubbio: la natura della luce è corpuscolare, i grani di luce sono i fotoni. E fotoni sono ormai detti i quanti d’energia elettromagnetica d’ogni frequenza. 12 Allora onde elettromagnetiche, addio? No, esse costituiscono un’approccio fondamentale e utilissimo per la massima parte dello studio delle interazioni con la materia e i sistemi biologici.. 2. Il potenziale elettrico di membrana e i potenziali d’azione Quando un sistema biologico è investito dalla radiazione elettromagnetica, caratterizzata da una densità di potenza per unità di superficie S 5, da un campo elettrico E e magnetico H incidenti, al suo interno si generano un campo elettrico e magnetico Ei , Hi interni. Cosa accade dopo che la radiazione elettromagnetica incidente ha generato i campi elettrico e magnetico interni? Il corpo umano è una complessa struttura costituita da parti eterogenee quali cute, grasso, osso, midollo spinale, muscolo, sangue, fibre nervose, ed altro ancora, ognuna delle quali è caratterizzata a livello macroscopico da parametri elettromagnetici (conducibilità, costante dielettrica relativa e permeabilità magnetica), che dipendono dalla frequenza dei campi interni. A livello microscopico i tessuti sono formati da differenti tipi di cellule; a sua volta ogni cellula è composta da strutture specializzate (membrana, mitocondrio, nucleo, ecc.), dette organelli, e da una miriade di macromolecole biologiche. Tutte queste strutture possiedono parti elettricamente cariche, le quali sono sottoposte ad una forza quando interagiscono con i campi interni. Il problema, come già accennato, è di determinare il campo elettrico interno nelle diverse parti del corpo quando esso è esposto ad un campo elettromagnetico incidente noto. Quando la materia biologica è sottoposta a un campo elettrico esterno, atomi e molecole neutre possono essere distorti nella loro configurazione, poiché si manifesta un’eccedenza di cariche di un segno in una regione dello spazio da essi 5 La densità di potenza per unità di superficie di un campo elettromagnetico viene anche chiamata intensità della radiazione, e per rappresentarla in modo sintetico ed efficace si suole introdurre il vettore di Poynting S, che è il prodotto vettoriale di E, H per una costante: , dove c è la velocità della luce, la direzione e il verso sono quelli di propagazione dell’onda e la grandezza del vettore S è l’intensità di radiazione. Nel caso che valga per l’onda incidente l’approssimazione di onda 13 piana (“campo lontano”, cioè sorgente del campo puntiforme ed emissione non direzionale ma isotropa) se A è l’ampiezza dell’onda la grandezza di S è data εA2/4π, dove ε è la costante dielettrica del mezzo in cui viaggia l’onda incidente (di solito l’aria). occupata: il conseguente difetto di cariche di quel segno nella regione abbandonata è “visto” dal campo elettrico esterno come una carica di segno opposto. Tale asimmetria nella distribuzione di carica nello spazio indotta dal campo esterno è detta polarizzazione, e i dipoli elettrici così generati sono chiamati dipoli indotti; la definizione è valida anche per quell’unità biologica fondamentale, dalla struttura estremamente complessa, che è la cellula, unità che possiede, entro certi limiti, meccanismi di controllo e di equilibrio. Ai primi passi nell’origine della vita fu la costituzione di uno spazio interno rispetto a quello esterno, mediante la formazione di una membrana cellulare. La membrana cellulare è costituita dal 55% di proteine, 35% di lipidi e 10% di polisaccaridi: il suo compito è di contenere le diverse strutture intracellulari e di separare due ambienti con composizione chimica diversa. Nella struttura della membrana vi sono alcune proteine che hanno il compito di mantenere una diversa concentrazione di ioni tra esterno ed interno della cellula. Questa funzione, detta pompa ionica metabolica, genera una differenza di potenziale V del valore medio di circa 70 mV – il potenziale di elettrico membrana – e intensità del campo elettrico E dell’ordine di 107 V/m (Fig.3). Durante l’evoluzione i sistemi biologici hanno selezionato dei gruppi di cellule particolari, quelle nervose e muscolari (come quelle cardiache), che sono in grado di produrre variazioni del potenziale di membrana, dette depolarizzazioni. Queste cellule sono “eccitabili” e le variazioni del potenziale di membrana sono dette potenziali d’azione. Poiché le variazioni avvengono in un intervallo molto breve, dell’ordine del microsecondo, i potenziali d’azione sono anche detti impulsi elettrici e si propagano lungo i nervi ed i muscoli. Questa “corrente elettrica” non è dovuta a movimento di elettroni o di ioni, come accade nei metalli o nelle soluzioni elettrolitiche. Gli impulsi elettrici infatti raggiungono i diversi distretti corporei senza trasporto di materia (elettroni o ioni), ma tramite la propagazione della depolarizzazione della membrana cellulare. Insomma, gli impulsi elettrici (potenziali d’azione) si propagano nel corpo proprio come onde in un mezzo: la perturbazione è la variazione del potenziale di membrana, generata ad esempio in una cellula del sistema nervoso centrale, che viaggia lungo il sistema nervoso con una velocità V che dipende dalle caratteristiche materiali del 14 mezzo – i nervi – in cui si propaga. Attenzione, il carattere elettrico dell’impulso non ha a che vedere con quello della sua propagazione; quella che viaggia non è un’onda elettromagnetica. La cellula genera un campo elettrico di valore elevato, il quale ha il compito di mantenere le proteine della membrana “allineate” contro l’agitazione termica 3 della cellula e dei suoi componenti che tende a disaggregarle; in assenza di questo campo non si avrebbe lo scambio elettrochimico di sostanze fra interno ed esterno della cellula. Nelle cellule tumorali si evidenzia che il potenziale di membrana, e quindi il campo elettrico dato dalla d.d.p. della membrana, diminuisce. I tessuti e gli organi sono tutte strutture che, a livello macroscopico, sono caratterizzate dai seguenti parametri elettromagnetici: conducibilità ; costante dielettrica relativa r ; permeabilità magnetica . Questi parametri possono essere definiti anche per la cellula e per la membrana, che, pur appartenendo al mondo microscopico (letteralmente, se si pensa allo strumento per poterle vedere), sono però costituite da un numero di molecole così elevato da poter definire per esse le medie statistiche che forniscono i valori dei parametri. Fig. 3: Rappresentazione schematica della membrana cellulare, campo elettrico e potenziale tra interno ed esterno della cellula 15 3. Interazioni ed effetto finestra Nello studio degli effetti dei campi elettromagnetici sui sistemi viventi, la disciplina del bioelettromagnetismo, cioè lo studio dell’interazione dei sistemi viventi con l’energia elettromagnetica, può essere condotto riferendosi a due modelli diversi. 3 Tutta la materia, inorganica, organica e biologica, è animata nei suoi componenti ultimi – cellule e loro parti (membrana, proteine e lipidi di membrana, mitocondri, organelli ecc.), molecole (dell’acqua come del silicio, ecc.), atomi (dei gas come dei metalli, ecc.) – da moti di vibrazione, in generale non coordinati tra di loro e le cui caratteristiche – ampiezza, frequenza – sono determinate dalla struttura materiale del microsistema, dallo spazio che ha a disposizione e dalle caratteristiche di questo spazio. L’ampiezza di queste incessanti vibrazioni si riduce, e con essa l’energia associata, al decrescere della temperatura, non raggiungendo mai la quiete perfetta perché è impossibile raggiungere lo zero assoluto, cioè -273,16 °C (terzo principio della Termodinamica). Anteporremmo allo studio dell’interazione la descrizione di alcune fondamentali proprietà elettriche e magnetiche della materia vivente. La presenza di un campo elettrico interno al sistema biologico determina a livello microscopico i seguenti effetti fisici: spostamento di elettroni e di ioni, liberi così di muoversi su percorsi relativamente brevi e di generare correnti di conduzione locali, dette microcorrenti; rotazione ed orientamento dei dipoli elettrici permanenti ed indotti, ovvero il fenomeno della polarizzazione. La variazione del campo in funzione del tempo si traduce nell’oscillazione delle cariche libere e dei dipoli con la formazione di correnti di conduzione e di polarizzazione localizzate. Il movimento degli ioni e dei dipoli è però ostacolato dagli urti con le altre particella costituenti il sistema biologico; in questo modo una parte dell’energia ceduta dal campo si trasforma in calore. In termini macroscopici, questa resistenza al moto delle cariche viene descritta tramite quel parametro che abbiamo in precedenza introdotto: la conducibilità , maggiore è la conducibilità minore è la resistenza al moto delle cariche. In generale, nelle ipotesi semplificative sulle strutture biologiche, in presenza di un campo elettrico più sono le cariche libere di muoversi presenti nel sistema biologico maggiore è la conducibilità. In un organo o in un tessuto, poi, si verifica sperimentalmente che la conducibilità è direttamente proporzionale alla frequenza del campo. Negli schemi semplificativi maggiormente adottati il comportamento del materiale biologico rispetto al fluire di cariche elettriche è descrivibile in termini simili a quelli della materia inorganica. 16 La costante dielettrica relativa r è un fattore di proporzionalità adimensionale, che fornisce una misura della polarizzazione locale delle cariche elettriche – i dipoli – nelle strutture biologiche sottoposte a un campo elettrico interno. La costante dielettrica, maggiore per i tessuti e gli organi con elevato contenuto di acqua, diminuisce al crescere della frequenza del campo; più elevata è la frequenza tanto minore è l’energia dell’onda elettromagnetica che viene assorbita dal materiale biologico. Nella trattazione “classica” più semplice, ad esempio, solamente il 50% della radiazione della regione delle microonde attraversa la cute, per poi essere attenuata esponenzialmente. E’ bene allora ripetere che quando si parla di “campo” nelle osservazioni precedenti e in quelle che seguiranno si intendono sempre Ei e Hi , cioè i campi interni. In realtà le soluzioni acquose di elettroliti sono mezzi estremamente complessi che presentano proprietà anomale, in grado di influenzare i fenomeni di equilibrio e di trasporto che si verificano nei sistemi viventi. Queste soluzioni non sono schematizzabili soltanto mediante l’analisi basata sul passaggio della corrente e sulla polarizzazione dielettrica; e la conoscenza delle interazioni molecolari nell’acqua è ancora limitata. La conducibilità e la costante dielettrica nei tessuti cancerosi sono maggiori di quelle dei tessuti normali. La permeabilità magnetica nei sistemi viventi è uguale alla permeabilità magnetica nel vuoto 0 6, tranne che per alcune strutture biologiche contenenti magnetite, quali sono, ad es., i magnetosomi. Il campo magnetico associato all’onda elettromagnetica incidente è in grado d’interagire con i componenti delle strutture biologiche dotate di proprietà magnetiche, quali materiali ferromagnetici, radicali liberi, molecole diamagnetiche anisotrope e momenti magnetici nucleari. Ne tratteremo nella sezione dedicata alle proprietà magnetiche. Completiamo, ora con una rapida descrizione, la rassegna delle altre proprietà elettriche dei sistemi viventi. Le strutture biologiche esibiscono comportamenti piezoelettrici e piroelettrici. L’effetto piezoelettrico è la generazione di una differenza di potenziale elettrico causata in certe macromolecole da una distorsione di tipo meccanico (ad es., la 17 rotazione di loro parti). Si osserva principalmente nelle proteine (cheratina, collagene, fibrina, ecc.) e può determinare variazioni del pH locale, cambiamenti della permeabilità di membrana, lo spostamento di cellule, la catalisi enzimatica, l’orientamento di macromolecole intra-ed extracellulari, ed altre ancora. L’effetto piroelettrico è la generazione di una differenza di potenziale elettrico dovuta a una variazione di tipo termico, quando per aumento o diminuzione della temperatura cambia l’intensità dei momenti di dipolo elettrico – la nozione di momento di un vettore viene fornita più avanti – in quelle strutture biologiche che si comportano come solidi anisotropi 7. Tale effetto è stato osservato per la prima volta nei sistemi biologici nel 1966, e la d.d.p. così generata può produrre delle correnti che stimolano reazioni fisiologiche nell’organismo. La piroelettricità è stata osservata anche nelle cellule, nei tessuti e negli organi di molte piante ed animali inferiori: essa potrebbe essere alla base del funzionamento dei vari organi sensori (termorecettori, fotorecettori, elettrorecettori, chemiorecettori). L’effetto piezoelettrico e quello piroelettrico sono due ulteriori meccanismi di cui si servono nel loro funzionamento gli organismi viventi, al fine di convertire energia meccanica e termica in energia elettrica. Il potenziale di membrana è dovuto alla diffusione di protoni (H+) e di ioni (Na+, K+, ed altri ancora) attraverso la membrana: Albert Szent-Györgyi (1893-1986), premio Nobel per la medicina nel 1937 per le ricerche sull’ossidazione biologica e 6 La permeabilità magnetica del vuoto vale: µo = 4π·10-7 henry al metro = 12,57·10-7 (H/m). 7 Ricordiamo che per anisotropo s’intende un sistema materiale le cui proprietà fisiche dipendono dalla direzione. Ad esempio, vari cristalli hanno proprietà di riflessione e di rifrazione diverse secondo la loro superficie esposta alla luce incidente; anche corpi elastici possono mostrare proprietà elastiche in funzione della direzione in cui sono sollecitati. la vitamina C, fu il primo scienziato ad ipotizzare, nel 1941, che nelle cellule il trasferimento di energia elettrica fosse imputabile anche ad un trasferimento di elettroni eccitati lungo la membrana, assimilata ad una matrice semiconduttrice. La materia biologica presenta proprietà uguali a quelle della materia inorganica! La presenza di un potenziale di membrana e di un elevato campo elettrico, di circa 107 V/m, permetterebbe alle proteine inserite nel doppio strato lipidico, considerate nel loro insieme, di comportarsi come un semiconduttore, il protagonista di quella 18 rivoluzione tecnologica che oltre 50 anni fa sostituì un chip di silicio alle valvole termoioniche delle radio, inaugurando l’era dell’elettronica di consumo. Tale ipotesi ha acquisito un sempre maggiore supporto teorico e sperimentale nel corso degli anni. Infine, altra ipotesi stupefacente e assai più recente, gli organismi viventi si servirebbero del fenomeno della superconduttività, a temperatura fisiologica, per assolvere ad alcune funzioni biologiche, come ad esempio quella nervosa. Occorre poi tenere presente che nei sistemi viventi sono presenti, a livello cellulare, campi elettromagnetici (CEM) endogeni 8, generati per mezzo dell’attività metabolica. Le sorgenti dei campi sono dovute alla cellula come unità, alla membrana cellulare e all’interno della membrana cellulare, in particolare nel citoscheletro 9. Le frequenze dei campi generati in questo modo interessano le regioni di bassa frequenza, da pochi hertz al megahertz (1MHz =106 Hz) e nell’intervallo di elevatissima frequenza dal gigahertz (1GHz =109 Hz) al terahertz (1THz =1012 Hz): CEM da pochi Hz fino al MHz sono conseguenze delle correnti ioniche, mentre i CEM dal MHz fino al THz sono dovuti alle vibrazioni dei dipoli elettrici. I CEM cellulari rivestono un ruolo importante nell’organizzazione spaziale e temporale delle strutture nelle cellule (posizione di organelli e molecole), nella comunicazione cellulare, nel trasporto dei componenti delle reazioni chimiche, ovvero sulla cinetica delle reazioni chimiche; e anche nelle interazioni con l’ambiente circostante (aderenza delle cellule, comunicazione a distanza tra cellule). Venendo ora ai meccanismi dell’interazione con il materiale biologico, un primo modo è studiare l’azione che il campo elettromagnetico associato all’onda esercita sulle cariche presenti negli organismi viventi. In questa prima descrizione detta classica, i sistemi viventi sono considerati, in prima approssimazione, come principalmente costituiti da acqua – del resto, per l’uomo essa rappresenta circa i due terzi della materia di cui siamo fatti – con disciolte sostanze che la rendono conduttiva. Note le caratteristiche della sorgente del campo, dell’esposizione e dei già citati parametri elettromagnetici dei vari livelli di organizzazione degli organismi pluricellulari, l’applicazione delle leggi dell’elettromagnetismo, ovvero delle equazioni di Maxwell, permette in linea di principio di descrivere il meccanismo biofisico dell’interazione. 8 In letteratura indicati anche come CEM biologici. L’argomento è trattato in dettaglio nel testo di M. Scalia e M. Sperini: La cellula: aspetti elettrodinamici; Edizioni Andromeda, 2014. Il problema consiste nel determinare quali modificazioni dei parametri elettromagnetici subiscono le strutture biologiche e come tutto ciò si rifletta sul funzionamento dell’organismo 10. 9 19 Sembrerebbe più appropriata dal punto di vista teorico la seconda modalità, quella che considera le radiazioni elettromagnetiche incidenti come quanti di energia, i fotoni. Ma la trattazione quantistica dei fenomeni in esame, che oltretutto imporrebbe anche una descrizione in termini quantistici del materiale biologico sottoposto alle radiazioni incidenti, risulterebbe assai complessa e, in ogni caso, non è davvero cosa per queste note. Qui si può solo lanciare, sommessamente, il monito ad evitare “semplificazioni quantistiche”. All’origine di una mutagenesi si può essere tentati dal pensare al quanto elettromagnetico di energia hν, h costante di Planck 11 e ν frequenza dell’onda elettromagnetica, come a un “proiettile” che “perfora” il DNA; e se i meccanismi di riparazione naturale del DNA operati da certi enzimi non riescono a ripristinare la configurazione, ecco la mutagenesi. In realtà l’eventuale azione del campo elettromagnetico si esplica attraverso una perossidazione che genera dei radicali liberi12 che possono aggredire le molecole del DNA. Abbandonando speculazioni teoriche, veniamo ora alla storia di alcuni esperimenti che sembrano comprovare l’esistenza di effetti specifici del campo elettromagnetico e che hanno polarizzato l’attenzione di molti ricercatori in questi ultimi quarant’anni. Negli anni ’70 il dott. William Ross Adey scoprì un importante effetto dei campi elettromagnetici: l’efflusso di ioni di calcio dal tessuto cerebrale, quando la corteccia cerebrale veniva stimolata elettricamente in vivo – si trattava di gatti coscienti – con circa 200 impulsi al secondo (200 Hz, durata 1 ms), con campo elettrico all’interno del tessuto di 5 V/m (circa la grandezza dell’EEG). 10 La notevole complicazione di questo approccio è costituita dalle difficoltà di caratterizzare dal punto di vista elettromagnetico le cellule, i tessuti e gli organi del sistema biologico in vivo. 11 h = 6,627 10-34 (m2 kg/s), è il “quanto d’azione” di Planck. Una costante che ha le dimensioni fisiche di un’energia per un tempo, quelle, appunto di un’azione; il suo valore può essere preso come linea di confine tra la regione in cui h ha un valore non trascurabile, e allora valgono le leggi della meccanica quantistica, e dove valgono le leggi della Fisica classica (h molto piccolo rispetto ai valori delle altre grandezze fisiche). 12 I radicali liberi sono specie chimiche estremamente reattive, ovvero con una forte tendenza a legarsi con altri atomi e molecole: questa definizione generale, che comprende l’atomo di idrogeno e vari ioni e molecole, è ristretta in biologia, con l’eccezione dell’ossigeno, alle sole macromolecole che assolvono ad una specifica funzione biologica, quali metalloproteine, prodotti intermedi delle reazioni 20 metaboliche (ed altre ancora). La tendenza di atomi e molecole di un elemento o di un composto organico a legarsi con un altra specie dipende dalla loro configurazione elettronica. Questa configurazione nel caso delle molecole sarà chiamata più propriamente “orbitale”; e la forte reattività dei radicali liberi è determinata dal fatto che negli orbitali più “esterni” della molecola si trova un solo elettrone (elettrone “spaiato”) Un principio generale – il principio di esclusione formulato nel 1925 da Wolfgang Pauli, e alla base della costruzione (aufbau principle) della tabella periodica di Mendeleev – consente la presenza di due elettroni negli orbitali più esterni dei radicali liberi; c’è quindi posto per un altro elettrone, che potrà essere occupato dalla specie chimica con cui il radicale libero si lega Negli esperimenti si registrava il rilascio di una notevole quantità di calcio (20% in più) e di un’equivalente quantità di GABA (acido -aminobutirrico). Tale scoperta confutò l’idea che deboli campi extracellulari, del medesimo ordine di grandezza dell’EEG e molto più deboli del potenziale di membrana, non sono in grado di influenzare il neurone. In successivi esperimenti effettuati da Bawin e Adey, il tessuto cerebrale di pulcini e di gatti veniva esposto per la durata di venti minuti a vari campi elettrici alternati, di frequenze 1, 6, 16, 32 Hz e di intensità comprese nell’intervallo tra 5 V/m e 100 V/m. I risultati degli esperimenti evidenziavano un decremento significativo (1520%), rispetto ai controlli, dell’efflusso di ioni calcio dal tessuto cerebrale, in corrispondenza ad alcune delle frequenze scelte (6 e 16 Hz), ma solo per campi elettrici di intensità interna ai valori dell’intervallo, mentre in corrispondenza agli estremi dell’intervallo, rispettivamente 5V/m e 100/V/m, non si registrava un decremento significativo dell’efflusso di ioni. Quando un effetto biologico, causato dall’esposizione a campi elettromagnetici, si verifica tra i due estremi di un intervallo di valori dell’intensità del campo, ma non agli estremi, è uso definirlo come effetto, o fenomeno, finestra. L’effetto finestra, nel caso degli esperimenti condotti da Adey e il suo gruppo, era duplice: rispetto all’intervallo dove variavano le intensità dei campi e rispetto all’intervallo di variazione delle frequenze [1 – 32 ]Hz; l’effetto biologico essendo rilevabile solo in corrispondenza ad alcune frequenze interne a quell’intervallo. I resoconti degli anni ’70 del gruppo di Adey indicavano come i ricercatori si trovassero di fronte ad uno strano fenomeno: l’interazione si presentava come una risposta biologica (bioeffetto) all’azione del campo; una risposta non lineare, funzione della frequenza e dell’ampiezza del campo, con un massimo della “curva di risposta” in corrispondenza alla frequenza di 16 Hz e all’intensità di campo di 56 V/m. Gli effetti che si manifestavano erano di tipo non termico (gli sperimentatori avevano avuto cura che la densità di potenza del campo elettromagnetico non 21 superasse i 10 W/m2 = 1mW/cm2) e riguardavano il funzionamento del sistema nervoso. Negli anni ’80 il gruppo Adey condusse altri esperimenti con campi modulati in ampiezza a 16 Hz, associati a una portante di alta frequenza, 450 MHz, che esibirono un incremento dell’efflusso cerebrale di ioni calcio sia in gatti che in ratti (+ 38%); mentre in assenza di modulazione o con modulazione a 60 Hz non si rilevò nessun effetto. L’EPA (Environmental Protection Agency, ovvero Agenzia per la Difesa Ambientale), alcuni anni dopo i primi esperimenti del gruppo di Adey, allestì un proprio laboratorio (Health Effects Research Laboratory) per verificare indipendentemente l’effetto “finestra”. Il laboratorio, diretto dal dott. Carl F. Blackman e dal dott. J.A. Elder, seguendo le medesime procedure descritte dai protocolli del gruppo Adey, confermò con vari esperimenti l’esistenza delle finestre sia per le intensità di campo che per i valori della frequenza13. C’era però un disaccordo tra i due gruppi di ricerca sulla variazione dell’efflusso di ioni: Adey e colleghi ne avevano rilevato una riduzione, Blackman e colleghi un incremento. Blackman e colleghi si chiesero allora se la differenza era dovuta alla componente magnetica del campo modulato di 16 Hz, presente nei loro esperimenti ma non in quelli del gruppo di Adey. L’ipotesi si rivelò giusta, poiché, eliminando la presenza della componente magnetica del campo oscillante a 16 Hz, non si rilevava il fenomeno dell’incremento nell’efflusso di ioni di calcio Successivamente fu scoperta da Blackman (1988) l’importanza del campo magnetico locale come parametro sperimentale: la finestra in frequenza dipende dal valore della componente statica del campo magnetico terrestre presente nella camera di esposizione (il valor medio del campo magnetico terrestre è di circa 80 T, T = micro Tesla). Un campo elettrico di valore 40 V/m e frequenza di 16 Hz era efficace nel determinare un aumento dell’efflusso di ioni calcio, se l’intensità del campo geomagnetico era di 38 T, ma inefficace se il campo geomagnetico era ridotto a 19 T. Il medesimo campo elettrico, ma di frequenza 30 Hz, era inefficace con un campo magnetico statico di 38 T e diveniva “attivo biologicamente” per induzioni magnetiche di 25,3 T e 76 T. Alla fine degli anni ’80 le due sorprendenti scoperte del gruppo di ricerca dell’EPA possono così sintetizzarsi: i. nel rilascio degli ioni calcio del tessuto cerebrale dei pulcini è implicata la componente magnetica del debolissimo campo elettrico applicato nell’intervallo di frequenza ELF; 22 ii. le finestre in frequenza che determinano la risposta biologica dipendono dall’intensità del campo geomagnetico locale statico. Replicato con successo l’effetto finestra, l’attenzione dei ricercatori fu rivolta verso la formulazione di un meccanismo biofisico atto a spiegarla. Per quello che riguarda invece la “verità” sperimentale, non esito ad assumere la perentoria conclusione che, dieci anni dopo, Carl F. Blackman propose allo Scientific Workshop on Biological Effects of Electromagnetic Radiation (Università di Vienna, 25-28 ottobre 1998) dopo aver riassunto i risultati di 30 anni di ricerche sull’efflusso degli ioni calcio: l’analisi sugli studi pubblicati in letteratura indicava in modo “schiacciante” che “.. i campi elettrici e magnetici di bassa intensità possono alterare la normale omeostasi degli ioni calcio ed alterare le risposte che gli organismi viventi presentano verso il proprio ambiente”. 13 Altri studi studi furono condotti da S.K. Dutta che, in colture di cellule nervose (neuroblasti) di origine umana, esposte ad un campo di 915 MHz modulato in ampiezza a 16 Hz, evidenziò un incremento dell’efflusso di ioni calcio per valori del SAR di 0,05 e 1 W/kg – corrispondenti a densità di potenza dell’ordine dei 10 mW/cm2 per campi di quella frequenza –, ma non per SAR di valore minore, intermedio o maggiore. 4. La biorisonanza Quale può essere allora un meccanismo di interazione tra campi e componenti biologici microscopici? Ne sono stati proposti vari. Voglio ricordare la teoria della coerenza quantoelettrodinamica, proposta da Giuliano Preparata nel 1995, e le elaborazioni e modelli da lui studiati in collaborazione soprattutto con Emilio Del Giudice. E il modello cooperativo, proposto inizialmente da I.T. Grodsky e perfezionato nel 2000, da C.J. Thompson. Queste teorie, e i modelli interpretativi che propongono, hanno a che vedere con la risonanza, ma stando più strettamente al tema, ci sono quei modelli tutti fondati sul concetto di risonanza, anche da qui la “popolarità” del termine, che mi limiterò a elencare: la risonanza di ciclotrone, proposta da A.R. Liboff nel 1985, sviluppata in Italia da A. Chiabrera e B. Bianco; la risonanza parametrica, proposta da V.V. Lednev nel 1991, sviluppata da J.P. Blanchard e C.F. Blackman; 23 la risonanza di precessione, proposta da M.N. Zhadin nel 1998, che è l’esperimento e il tentativo di interpretazione su cui ci soffermeremo. La questione della risonanza è in ballo da 90 anni, ricordate l’esperimento di Gosset e Lakhovsy all’Ospedale della Salpetrière?. Proprio la lunghezza di questo lasso di tempo, senza che ancora ci sia un’interpretazione chiara e indiscutibile per quel che riguarda gli effetti biologici, ci fa comprendere con quale attenzione bisogna procedere per evitare il rischio che la risonanza, magari con l’aggiunta di bio – la biorisonanza – diventi un mantra o una non risposta a un problema complesso Allora vediamo più addentro al fenomeno della risonanza, che si incontra un po’ ovunque, dalla Meccanica celeste a quella delle costruzioni, dalla teoria degli strumenti musicali, e degli effetti udibili, all’Ottica all’Elettronica alla Chimica, allo studio delle cellule e dei sistemi biologici e via elencando. Partiamo dall’ultranota storia del ponte che crolla sotto il passo cadenzato di una compagnia militare. Non è certo la pressione cui viene sottoposto dal peso della compagnia a farlo crollare, ma la cadenza del passo, cioè la frequenza. Questa frequenza infatti può essere molto vicina alla frequenza di vibrazione “propria” di una delle strutture portanti del ponte; in questo caso, la relativamente modesta energia ceduta al ponte con la battuta del passo viene amplificata a un livello tale che il trasferimento di energia alla struttura la fa “saltare” (come l’effetto di un’esplosione), e il ponte crolla (vedi Fig. 5). In generale si può dire che ogni sistema, microscopico o macroscopico, è in grado di oscillare e oscilla con delle sue frequenze caratteristiche, le frequenze proprie di vibrazione (oscillazione e vibrazione sono del tutto sinonimi). La risonanza è allora la capacità che ha il sistema di aumentare l’ampiezza di oscillazione in corrispondenza a certe frequenze, quelle proprie di vibrazione. Se il sistema è sottoposto a una perturbazione esterna che ha una frequenza vicina a una frequenza propria del sistema, il sistema assorbe amplificandola l’energia ceduta dalla perturbazione. Poiché vicino alla frequenza propria l’ampiezza della vibrazione aumenta come rappresentato in Fig.4 e poiché l’energia di una vibrazione è proporzionale al quadrato dell’ampiezza, l’energia assorbita aumenterà ancora di più; ad esempio, a un raddoppio dell’ampiezza corrisponderà una quadruplicazione dell’energia. 24 Fig. 4 In ordinata, l’ampiezza di oscillazione. La frequenza di vibrazione propria è f0 = ν0 ; l’andamento delle curve dipende dallo smorzamento (damping), cioè dall’attenuazione dell’ampiezza a causa della resistenza opposta dal mezzo – aria, liquidi ecc. – in cui avviene la vibrazione. In assenza di smorzamento, la curva più in alto, si ha la “catastrofe”: se la perturbazione è “sincrona”, cioè ha la stessa frequenza del sistema oscillante, il ponte crolla (tratta da myweb.fcu.edu.tw). Col meccanismo della risonanza si è tentato di spiegare quella significativa mole di dati sperimentali, accumulata per trent’anni, e della quale Blackman fece la rassegna in precedenza ricordata insieme alla conclusione da lui tratta al Workshop di Vienna del 1998: la variazione dell’efflusso di ioni Ca++ dalla cellula, quando un campo magnetico interagisce con la “pompa” Sodio/Calcio, Na +/Ca++, che governa quel flusso. La pompa Sodio/Calcio regola una molteplicità di importanti funzioni cellulari ed è reversibile, porta cioè il Calcio all’interno della cellula quando serve, come ad esempio durante la salita del potenziale d’azione cardiaco. Uno dei problemi chiave in bioelettromagnetismo è quello di spiegare il meccanismo dell’influenza dei campi elettromagnetici deboli su oggetti biologici; questo meccanismo non è ancora chiaro, nonostante i numerosi dati sperimentali. In particolare, non è chiaro come le basse frequenze o campi statici, magnetici o elettrici, possono portare alla risonanza delle reazioni biochimiche, anche quando l’energia di tali campi è molto piccola in confronto alla energia termica kT del processo, dove k è la costante di Boltzmann e T la temperatura in gradi Kelvin. La mancanza di una spiegazione teorica, che sia soddisfacente o condivisa tra i ricercatori, è ora chiamato “il problema kT” o “paradosso kT” In questo contesto lo scienziato russo Michael Zhadin ed i suoi collaboratori per dirimere sperimentalmente la questione fondamentale, insita nei sistemi biologici sottraendola alla complessità modellistica, realizzarono il seguente esperimento in 25 una materia non biologica. L’intento principale dei ricercatori russi era insomma quello di sperimentare l’azione dei campi su un materiale organico estremamente più semplice del materiale biologico abitualmente usato. Ricordiamo che sottoponendo una carica elettrica q di massa m a un campo magnetico statico B0 la carica si muove di moto periodico circolare, nel piano ortogonale a B0, con una frequenza νc , detta “frequenza di ciclotrone”, data da νc = q ·B0/2πm . Nell’esperimento di Zhadin, ad una cella riempita di una soluzione elettrolitica di acido glutammico è applicata una tensione di 80 mV; la cella è posta all’interno di due solenoidi che assicurano la presenza di due campi magnetici paralleli: uno statico (B0 = 20-40 µT), avente una intensità dell’ordine di grandezza del campo magnetico terrestre (BT ≈ 80 µT); l’altro alternato, avente una intensità bassissima (B c = 20-80 nT) ed una frequenza variabile tra 2 e 4 Hz. I due campi sono applicati ortogonalmente alla direzione della corrente elettrolitica. Tutto l’apparato sperimentale è posto all’interno di una scatola fatta di una lega capace di schermare i campi magnetici esterni (permalloy); perciò i soli campi magnetici all’opera sono quelli sopra specificati. L’esperimento di Zhadin fornisce i seguenti risultati: i. quando la frequenza del campo alternato diventa uguale alla “frequenza di ciclotrone” dell’acido glutammico la corrente elettrica della cella presenta un picco transitorio la cui altezza massima iniziale è pari all’80% del valore della corrente stazionaria degli ioni dell’acido glutammico e la cui durata è dell’ordine di 15-20 secondi. La frequenza di ciclotrone: c q B0 2 m dove m, q sono massa e carica dello ione elettrolitico, indica il numero di giri al secondo che lo ione descrive in un piano perpendicolare al campo magnetico B0 cui è sottoposto; ii. l’effetto precedente sparisce quando l’intensità del campo alternato eccede una soglia, il cui valore è molto basso. In altre parole, l’effetto accade solo sotto influenze “sottili” e sparisce quando il campo applicato “fa la voce grossa”. La soluzione elettrolitica risponde all’azione del campo magnetico alternato: l’effetto prodotto dal campo alternato si traduce, nell’esperimento, in impulsi di corrente che si possono vedere su un oscilloscopio. 26 Le finestre di frequenza trovate da Zhadin erano intorno a 4 Hz per B0 = 40 µT e Bc = 10, 20, 30 nT; invece nell’intervallo [2,4] Hz, con un passo di 0,5 Hz per B0 = 20, 25, 30, 40 µT e Bc = 25 nT. Il risultato della loro esperienza fornisce una risposta clamorosa all’interrogativo “Come possono segnali deboli superare il “rumore termico” e produrre, quindi, degli effetti?”. In certe condizioni un segnale debolissimo, quale può essere quello associato al campo di poche decine di nanoTesla, pur avendo un’energia incomparabilmente inferiore a quella del rumore termico riesce lo stesso a superare quella barriera e a produrre un effetto, registrato come impulsi sull’oscilloscopio. L’esito dell’esperimento di Zhadin dimostra in maniera semplice che la non irrilevanza dell’applicazione di campi magnetici deboli su sistemi organici è una pretesa infondata; e apre un più generale interrogativo sull’interpretazione teorica che lo giustifichi, al quale, fino ad oggi, non è stata data una risposta accettata e condivisa dai ricercatori del settore. Molti autori si riferiscono a questo risultato come “effetto Zhadin”; lo stesso esperimento è stato replicato in Germania Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.(2004, Pazur) e in Italia (2002 Del Giudice et al., 2006 Comisso et al., 2008 Giuliani et al. con lo stesso Zhadin). Zhadin tentò di spiegare lui stesso il fenomeno in termini di risonanza, in un articolo del 2005. Vediamo le conclusioni che ne trae: “…Unfortunately, for free ions such sort of effects are absolutely impossible because dimensions of an ion rotation radius should be measured by meters at room temperature and at very low static magnetic fields used in all the before experiments. Even for bound ions these effects should be absolutely impossible for the positions of classic physics because of rather high viscosity of biological liquid media…” 14 Per questa ragione il tentativo di interpretare il risultato sperimentale con la risonanza di ciclotrone è stato abbandonato dallo stesso Zhadin; in parole povere, la risonanza è un meccanismo della Fisica classica che non può essere usato quando ci si muove in un ambito quantistico15. 14 Zhadin M.N. & Barnes S.S., Frequency and amplitude windows in the combined action of DC and low frequency magnetic fields on ion thermal motion in a macromolecule: theoretical analysis. Bioelectromagnetics 26: 323-330, 2005. 15 L’energia del campo Bac, poiché negli esperimenti è inferiore a 10 Hz, è inferiore a EB = h = 6,62610-3410 = 6,62610-33 Js. In eV, EB = 6,62610-33 6,24211018 = 27 4110-15 = 0,04110-12 eV. Vale la pena poi rilevare, a proposito del “paradosso kT ” che EB << kT , in quanto kT = 0,026 eV; il singolo quanto magnetico non ha l’energia sufficiente per perturbare il moto ordinato dello ione nel campo elettrico. 5. Le proprietà magnetiche La principale sostanza ferromagnetica presente negli organismi viventi è rappresentata dai magnetosomi. Nel XVIII secolo fu avanzata l’ipotesi che il campo geomagnetico (vedi Fig. 5) potesse essere usato da alcuni uccelli migratori per orientarsi nella navigazione (vedi Fig. 6). Fig. 5 La Terra genera un campo magnetico non omogeneo, simile a quello di un magnete a barra, le cui linee di forza sono approssimativamente orientate verso il nord geografico; e, quindi, verso il basso nell’emisfero nord e verso l’alto nell’emisfero sud (tratta da www.windianz.com). Questa congettura è stata confermata sperimentalmente nella seconda metà degli anni ’60. Attualmente è nota la capacità dei batteri dei fanghi di orientarsi grazie alla presenza di magnetosomi, cristalli di Fe3O4. E’ assodata l’esistenza di una magnetosensibilità, dovuta alla presenza di sostanze ferromagnetiche negli organismi di molluschi, insetti, pesci, uccelli e mammiferi (roditori e delfini). Nell’uomo è stata evidenziata una magnetosensibilità del sistema endocrino (ghiandola pineale) e del sistema nervoso. 28 Fig. 6 tratta da www.ks.uiuc.edu Le sostanze diamagnetiche, diversamente da quelle ferromagnetiche, non si magnetizzano anche se sottoposte ad un intenso campo magnetico: nei sistemi viventi esistono molecole diamagnetiche anisotrope, le quali formando aggregati macromolecolari acquisiscono la proprietà di orientarsi in presenza di un campo magnetico; esempio di tali strutture biologiche sono i bastoncelli della retina, gli acidi nucleici, il doppio strato lipidico della membrana, le proteine di membrana ed altre ancora. Nei materiali biologici sono presenti i nuclei di alcune specie chimiche chiamate isotopi, ovvero che possiedono lo stesso numero di elettroni e di protoni, ma diverso numero di neutroni, nel nucleo, che presentano deboli proprietà magnetiche; queste proprietà possono essere ricondotte all’esistenza, fisicamente misurabile, di un momento magnetico. I “momenti” sono introdotti in fisica come grandezze idonee a descrivere i moti rotazionali dei sistemi materiali ed a definire l’energia che compete a tali moti: nel caso magnetico, è facilmente osservabile che l’ago della bussola, che è un dipolo magnetico, sottoposto a un campo magnetico B , ad es. quello di una calamita, ruota sino a diventare parallelo alla direzione del campo. A questo dato sperimentale corrisponde la seguente descrizione: il campo magnetico della calamita, B , agisce come un momento torcente M sul momento magnetico m dell’ “ago della bussola”, facendola ruotare fino ad allinearsi al campo B (Fig.7). Il Il prodotto vettoriale che definisce l’azione di M : M = m x B avrà intensità massima quando m e B sono paralleli e concordi; e a questa configurazione corrisponde l’energia potenziale minima. Quando i materiali biologici in cui sono presenti nuclei dotati di momento magnetico (momento magnetico nucleare) sono sottoposti ad un campo magnetico, si otterrà un comportamento analogo a quello descritto. m 29 F N r1 O B M r2 S F Fig. 7 L’ago della bussola è un dipolo magnetico di momento, m, che ha la direzione e il verso rappresentati in figura: dal polo S a polo N dell’ago. Il campo magnetico B agisce sull’ago magnetico come una coppia di forze di ugual intensità F. Il momento torcente M è il momento della coppia. Il momento del dipolo magnetico è “atipico” perché in generale si definisce momento M di un vettore v il prodotto vettoriale di r,v : M = r x v , dove r è il vettore che collega l’origine O del sistema di riferimento con il punto di applicazione di v. Assunto il baricentro dell’ago magnetico O come origine, il momento M è la somma vettoriale di M1 = r1 x F e M2 = r2 x F. Ricordando la convenzione della terna levogira adottata nel definire il prodotto vettoriale, M1 e M2 hanno lo stesso verso oltre che la stessa direzione. L’energia potenziale, minima, che compete alla configurazione dell’ago parallelo e concorde al campo, possiamo pensarla come acquisita dall’ago a spese del lavoro fatto da M per ruotarlo fino a quella posizione. Se il campo magnetico è quello associato ad un’onda a radiofrequenza il fenomeno può essere descritto come simile ad una risonanza tra nuclei ed onda, definita “risonanza magnetica nucleare” (RMN): al variare della frequenza il diverso comportamento del momento magnetico nucleare, la sua “risposta”, fornirà informazioni sul materiale biologico. Questo tipo di spettroscopia è ampiamente utilizzato come applicazione dei campi magnetici nella medicina diagnostica. Oltre a questo tipo di interazioni, occorre tenere conto che, se la radiazione elettromagnetica possiede energia sufficiente, può agire sul potenziale di membrana delle cellule eccitabili e indurre potenziali d’azione i quali si traducono in azioni sul tessuto muscolare e nervoso. L’ esempio di Fig.7 ha un valore assai più generale: infatti, tutte le evoluzioni naturali, i passaggi da stato a stato, tendono allo stato di energia potenziale minima. La Natura ha quindi una sua teleologia verso le configurazioni di minimo? Per rispondere basta ricordare, come ci insegna la Meccanica Statistica di Boltzmann che le configurazioni di energia potenziale minima sono quelle di equilibrio stabile, cioè quelle che possono essere realizzate nel maggior numero di modi possibili. Sono 30 quindi quelle più probabili, e, secondo la sua celebre formula, anche quelle di massima entropia S : S = k · ln П , dove ln è il logaritmo naturale (in base e). Ritroviamo allora quel che è racchiuso nella relazione di Boltzmann, cioè che le evoluzioni naturali avvengono con passaggi verso un disordine crescente (S cresce) fino all’equilibrio. I passaggi inversi dal più al meno disordinato, se lasciati alla Natura, sono più improbabili; per vincere il disordine e costruire stati più ordinati occorre lavoro, ad esempio la “fatica” – basta ricordare che a energia potenziale minima corrisponde il massimo del lavoro – che dovrà fare M per ruotare l’ago della bussola dalla sua posizione di allineamento con il campo magnetico a un’altra diversa e più peculiare . Insomma, sarebbe stolto attribuire alla Natura intenzionalità, i suoi processi sono governati dai percorsi verso gli stati di maggior probabilità, più disordinati. Anche la Natura ammette “isole di ordine”, sono quelle conquistate con il lavoro delle forze che costruiscono passo a passo sistemi ordinati sempre più complessi, dalle molecole di Idrogeno, Carbonio, Ossigeno e Azoto alle molecole organiche, al vivente. Questa non è solo la storia della vita sulla Terra, è la storia di ogni vita. Quando le forze che hanno promosso il passaggio dall’indifferenziato al differenziato, a quella precisa forma di vita, si indeboliscono e perdono a poco a poco la capacità di tenere insieme i componenti nella loro forma, quella e le sue funzioni degradano in un ritorno all’indifferenziato, allo stato più probabile: l’equilibrio, cioè la morte. 31