L`interazione tra campi elettromagnetici e sistemi

L’interazione tra campi elettromagnetici e sistemi
viventi: nuove vedute sull’argomento
Massimo Scalia
Una premessa
E’ dai primi esperimenti di Jacques Arséne d’Arsonval e di Nikola Tesla (1891), cioè
dagli albori di quello che oggi chiamiamo Bioelettromagnetismo (BEM), che si è
posta la questione che è poi risuonata invariata per cent’anni fino ai giorni nostri:
esistono effetti biologici dei campi elettromagnetici che non siano solo quelli termici?
Attualmente, infatti, è convenzione definire termico un effetto quando è associato ad
un aumento maggiore, o uguale, di 1°C della temperatura di un distretto, o dell’intero
corpo, dell’organismo. L’effetto specifico è indicato in letteratura come effetto non
termico ed include tutti i mutamenti dell’attività biologica non dovuti ad
innalzamento di temperatura. Si parla di effetto acuto o a breve termine quando la
radiazione elettromagnetica provoca il riscaldamento di un tessuto biologico e/o la
stimolazione di cellule dei tessuti nervosi e muscolari; cessata l’esposizione alla
radiazione il tessuto ritorna allo stato preesistente.
Per i primi quarant’anni un ricchissimo dibattito, fatto di esperimenti e
interpretazioni, aveva coinvolto ricercatori, scienziati e medici su entrambe le sponde
dell’Atlantico. Qui, in casa dei medici, è doveroso ricordare che il primo esperimento
con un apparato a valvola elettronica fu effettuato a Parigi nel 1924 all’Ospedale
della Salpetrière per valutare l’effetto sui sistemi biologici di campi oscillanti: era la
prima volta che si usava in una ricerca una frequenza di 150 MHz! Furono irradiate
delle onde ultracorte su piante di geranio nelle quali era stato inoculato il Bacterium
tumefaciens per produrre un tumore. I tumori nelle piante esposte necrosarono e
poterono essere facilmente staccati, con una vera e propria guarigione dei gerani, i
quali produssero fiori maggiormente sviluppati di quelli dei controlli, in cui i tumori
aumentavano di dimensioni.
I risultati furono subito comunicati alla Société de Biologie di Francia dal chirurgo
Antonin Gosset che aveva diretto l’equipe dei ricercatori; George Lakhovsky, un
ingegnere di ampi interessi che dalla Russia era arrivato a Parigi, aveva realizzato
l’elettronica dell’esperimento. Cinque anni dopo, nel 1929, fu Lakhovsky a
comunicare che le piante guarite erano ancora vive; al contrario, i controlli avevano
vissuto pochi mesi. Gli esperimenti descritti non erano frutto del caso; essi avevano
lo scopo di provare l’ipotesi sviluppata nel 1923 da Lakhovsky, secondo cui la cellula
1
è un risonatore elettromagnetico, in grado di emettere ed assorbire radiazioni di
altissima frequenza.
Questa citazione apre a uno dei temi che affronterò in seguito, quello della
biorisonanza, ma lascia aperta la questione del che cosa sia avvenuto in seguito
perché a un dibattito e a una ricerca così vivace si sia sovrapposto un atteggiamento
che non esito a definire, Aristotele mi scusi, “neo aristotelico”; quello col quale i
maggiori organismi tecnici internazionali – WHO (o OMS) e ICNIRP, la sezione
radiazioni non ionizzanti della Commissione Internazionale per la Radioprotezione
(ICRP) – negano, caparbiamente e a tutt’oggi, ogni effetto specifico della radiazione
elettromagnetica e fissano i limiti delle loro linee guida a proteggere solo dagli effetti
termici.
Nel proseguire della sperimentazione si può sinteticamente affermre che, arrivati agli
anni ’30, la ricerca biologica indicava come il campo elettromagnetico esplicasse i
propri effetti, ad esempio inibendo o stimolando l’accrescimento degli organismi
viventi, in relazione alla sua frequenza e alla durata dell’esposizione. Accanto alla
ricerca prettamente biologica si era anche sviluppata in medicina la diatermia, la
tecnica terapeutica del riscaldamento del corpo come mezzo per la cura di numerose
patologie.
All’interno della comunità scientifica internazionale si erano andate delineando due
diverse posizioni, riguardanti l’interazione tra campi elettromagnetici di alta
frequenza e sistemi viventi.
La prima posizione, con sfumature diverse, negava qualsiasi selettività di azione di
determinate frequenze e spiegava gli effetti biologici osservati con il calore generato
dalle correnti indotte negli organismi. La seconda posizione riteneva che l’azione
biologica fosse dovuta ad un duplice meccanismo: gli effetti erano in parte causati,
in relazione all’intensità del campo incidente, dal semplice riscaldamento, anche se
era presente un’azione specifica (non termica) della radiofrequenza.
Negli Stati Uniti, il crescente numero di medici che accanto alla diatermia
professavano la specificità delle azioni biologiche finì per preoccupare la
corporazione medica. Sostenere delle ipotesi delle quali non era chiara
l’interpretazione suscitava, ovviamente, dubbi, legittimi ma sicuramente amplificati
dallo spirito di autoconservazione che caratterizza ogni corporazione. A far
traboccare il vaso, causa o occasione?, fu forse la pubblicazione della traduzione in
inglese del testo di un medico tedesco, Erwin Schliephake, sostenitore degli effetti
specifici, che venne attaccato da varie associazioni dei medici americani in quanto
ritenevano le sue affermazioni “stravaganti” e prive di un adeguato conforto sia nel
suo Continente, che, soprattutto, negli Stati Uniti.
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Per evitare che la situazione sfuggisse di mano e per continuare invece a esercitare un
controllo sugli orientamenti e sulle scelte delle comunità dei medici, l’American
Medical Association (AMA), il più potente ordine dei medici statunitense, richiese al
suo Council of Physical Therapy di predisporre un’indagine ufficiale sull’ipotesi non
termica. Il rapporto finale, presentato nell’aprile 1935 dai due medici, Bernard
Mortimer e Stafford Osborne cui era stata affidata l’indagine, concludeva che:
“...
1. There is no conclusive evidence from the literature nor were we able to
substantiate the claim of specific biologic action of high frequency currents
(short-wave diathermy). In our opinion the burden of proof still lies on those who
claim any biologic action of these currents other than heat production.
2. The experimental work that claims specific bactericidal action for these high
frequency currents may be more rationally explained, we believe, on the basis of
“point heating”, which raises the temperature of micro-organism above their
thermal death point without a corresponding elevation in the temperature of the
medium…
3. Our own work on the machines submitted shows that there is a thermal gradient
from the hot skin to the less hot tissues within.
4. There is no evidence from reliable experimental work on living subjects that
short-wave diathermy possesses a more uniform penetration of heat into the body
than the conventional diathermy.
5. The possibility of special selective thermal action is a very remote one…”
Si è preferito riportarla in lingua originale perché questa posizione, la posizione
ufficiale dell’AMA, ha fatto scuola; e nei 70 anni successivi gli assessment delle varie
corporazioni – molto nota quella dell’American Physical Society del 1995 sugli effetti
degli elettrodotti, ribadita dieci anni dopo nel 2005 – hanno seguito quella falsa riga
abbastanza pedissequamente.
E’ l’attuale posizione ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e
dell’ICNIRP, ma su questo torneremo dopo.
Questo ukase, assieme alla richiesta dell’onere della prova verso chi dichiarava una
qualsiasi azione biologica dei campi oltre a quella dovuta alla generazione del calore,
concluse momentaneamente il dibattito tra i medici ed i ricercatori americani.
L’onere della prova per l’ipotesi esclusivamente termica veniva dato per scontato,
fondandosi basilarmente sul succedersi nel tempo dei fatti; ma, senza una verifica
sperimentale, richiama il celeberrimo lapsus irriso dai giuristi: “Post hoc, ergo
propter hoc”.
3
L’intervento dell’AMA aggiunse una nuova dimensione all’argomento degli effetti
specifici. La dichiarazione coinvolgeva infatti tutta la categoria medica e, anche se
per il resto degli anni ’30 e quasi tutti gli anni ’40 furono pubblicati numerosi articoli
in cui si descrivevano effetti specifici, il punto di vista ufficiale, ovvero quello a cui si
adeguarono i medici orientati alla ricerca, era quello termico.
In Europa, al contrario, le due scuole di pensiero avevano duellato signorilmente a
“colpi di esperimento”. Per la maggior parte degli studiosi del continente, infatti, le
particolari proprietà biologiche delle onde elettromagnetiche erano legate alla
frequenza del campo: la questione era come scindere negli esperimenti l’azione
calorifica da quella oscillatoria. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale pose fine
al dibattito; e di esso si è purtroppo persa la memoria.
Dall’analisi dei documenti a disposizione, dei quali si può fornire una succinta ma
ragguardevole rassegna 1, emerge una grande quantità di ricerche sperimentali
condotte in Europa, assai di più, almeno fino agli anni ’20, di quanto avveniva negli
Stati Uniti. Complessivamente, guardando alla due sponde dell’Atlantico,
1
Scalia M., Pulcini F. e Sperini M., Campi elettromagnetici e sistemi viventi, Ed.
Andromeda (2014) (vedi cap. 5 “Una lunga storia”)
gli esperimenti condotti, anche se non sempre risultano corredati da tutti i dati che li
caratterizzerebbero in modo completo, tuttavia si impongono all’attenzione e non
solo per i rilevanti risultati prodotti.
Vi è infatti di più. La cura messa, in tanti casi, nel tentativo di separare proprio in
sede sperimentale gli effetti termici, peraltro modesti, da quelli invece di tipo
specifico, a carattere permanente, fa rabbrividire all’idea che quei risultati siano (80
anni dopo!) tranquillamente ignorati dai cosiddetti “esperti”, che hanno censurato
negli Stati Uniti come in Europa tutti i protagonisti, tutta la ricchezza sperimentale e
del dibattito, tutto ciò che si è succeduto per decenni dopo le “correnti” di
d’Arsonval.
Julius Robert Oppenheimer, il direttore del progetto Manhattan e della prima
esplosione atomica sperimentale ad Alamogordo il 16 luglio del 1945, due anni
dopo, in una lezione al MIT, consegnò a tutti i Fisici una pesante eredità: “..the
Physicists have known the sin; and this is a knowledge which they cannot lose”. Nel
mio piccolo, e su qualcosa di certo assai meno epocale dell’ingresso nell’era atomica,
vorrei consegnare ai Medici la consapevolezza che la “madre” di tutti i perduranti
negazionismi contro gli effetti biologici è l’assessment dell’AMA del 1935.
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1. La sorgente del campo e le onde elettromagnetiche
Le equazioni di Maxwell2 – equazioni differenziali alle derivate parziali
3
compendiano tutta la conoscenza dell’elettromagnetismo, cioè di tutte le leggi –
James Clerk Maxwell fu un Fisico-Matematico scozzese che, dopo anni di studio, scrisse la forma
moderna delle “sue” equazioni in un trattato del 1873; e, oltre alla teoria dell’unificazione del
campo elettromagnetico, portò fondamentali contributi anche in altri comparti, dalla Teoria
cinetica dei gas alla Teoria dei colori alla dimostrazione della natura, fluida, degli anelli di
Saturno. Aveva già messo in evidenza in precedenti lavori, negli anni 1860, l’esistenza di campi
elettrici e magnetici oscillanti che viaggiano nello spazio; e dal confronto tra il valore teorico della
loro velocità e i risultati sperimentali noti mostrò che la luce non era altro che la propagazione di
onde elettromagnetiche.
3 Le proprietà di evoluzione nel tempo di un sistema sono descritte nella Fisica classica tramite
equazioni differenziali ordinarie o a derivate parziali. Ordinarie, se la soluzione del problema, la
“legge del moto”, è una funzione che dipende da una sola variabile, il tempo t ; è il caso della
seconda legge della Dinamica newtoniana F = m·a = m·d2s/dt2 , dove d2/dt2 è l’operatore
differenziale che applicato alla posizione s del corpo di massa m dà l’accelerazione a al tempo t.
La legge del moto s = s(t) è la soluzione dell’equazione di Newton. A derivate parziali se, come
nel caso del campo elettromagnetico, le funzioni che rappresentano i campi, soluzioni delle
equazioni di Maxwell, dipendono da più variabili x, y, z, t e non dalla sola variabile t. Il fatto di
esprimere le leggi che governano i fenomeni fisici nei termini matematici di operatori differenziali,
cioè quelli che nelle equazioni si applicano alle funzioni che rappresentano le grandezze fisiche,
comporta un’analisi e una comprensione “locale” – nel tempo o nello spazio o in entrambi – dei
fenomeni che si stanno descrivendo. Nel caso del campo elettromagnetico esiste anche una
formulazione “globale” delle leggi che lo governano – che ricorre matematicamente a operatori
integrali, cioè di “somma” – tramite il “lavoro” compiuto dal campo elettrico e dal campo
magnetico.
2
5
non sono molte – che definiscono le proprietà e il comportamento dei campi elettrici
e magnetici. Tra le soluzioni delle equazioni di Maxwell ci sono le onde
elettromagnetiche; e, passando dalla Matematica alla Fisica, queste soluzioni
rappresentano fisicamente la propagazione ondulatoria di una perturbazione irradiata
nello spazio.
Si pensi, ad esempio, come sorgente della perturbazione in un certo posto e in un
certo istante a un’antenna emittente, cioè un conduttore cui è applicata una tensione
che oscilla nel tempo con frequenza ν. La d.d.p. induce nell’antenna un moto di
cariche elettriche, che oscillano con la stessa frequenza ν ; e l’onda prodotta dal loro
moto viaggerà nello spazio con la stessa frequenza ν delle oscillazioni cui sono
soggette le cariche nell’antenna.
La frequenza dà, in generale, il numero di oscillazioni compiute nell’unità di tempo;
la sua unità di misura nel sistema MKSQ è lo Hertz (Hz), un’oscillazione al secondo.
L’inverso del frequenza T = 1/ν è il periodo, che è l’intervallo di tempo necessario
perché il campo elettromagnetico riassuma lo stesso valore. La distanza tra due creste
di un’onda si chiama lunghezza d’onda λ , e si misura in multipli o sottomultipli del
metro.
Frequenza, periodo e lunghezza d’onda sono grandezze scalari.
E’ anche opportuno evidenziare che la definizione stessa di onda, che si propaga con
velocità V, comporta l’invarianza della forma dell’onda rispetto a traslazioni che
avvengano nel tempo con la velocità V. Questo vale per ogni altro fenomeno
ondulatorio – meccanico, elastico, sonoro, termico – e non solo per le onde
elettromagnetiche. Questa caratteristica si traduce, matematicamente, nel fatto che le
funzioni che rappresentano le onde dipendono dalla traslazione, x – Vt, e non,
separatamente, da x e t.
Certo, le onde elettromagnetiche non si vedono e solo poche persone particolarmente
sensibili percepiscono i loro effetti attraverso particolari reazioni del sistema nervoso.
I fenomeni ondulatori hanno però molte cose in comune, a partire dalle grandezze –
frequenza e lunghezza d’onda – che li caratterizzano; e perciò per avere un modello
“visivo” di onda nelle varie dimensioni spaziali in cui si manifesta si potrà pensare
alle vibrazioni di una corda di un violino o al familiare gioco da ragazzi (caso
unidimensionale), alle onde generate da un sasso che cade in uno stagno (caso
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bidimensionale) o alle onde elastiche rese visibili dalle compressioni/espansioni di un
corpo pulsante (caso tridimensionale).
Come aveva già capito Leonardo dall’osservazione delle messi, una caratteristica
comune al fenomeno di propagazione della perturbazione è che esso avviene senza
trasporto di materia; basti pensare alle onde del mare che, lontano dalla risacca, non
ci spostano e ci fanno andare su è giù come turaccioli, rispetto al livello di superficie,
ma sempre in loco. Un’altra caratteristica comune ai moti ondosi è che soddisfano
una relazione tanto semplice quanto importante
V
,
dove V è l’intensità della velocità di propagazione dell’onda nel mezzo, che è il
materiale dove l’onda si propaga. Questa velocità dipende dalle caratteristiche
fisiche del mezzo in cui si propaga la perturbazione. Nel caso degli strumenti a corda
la perturbazione è il “pizzico” e la velocità di propagazione lungo la corda dipende
dal valore della tensione cui è sottoposta la corda e dalla sua densità.
Nel caso delle onde elettromagnetiche la velocità di propagazione dipende dalla
permettività dielettrica ε e dalla permeabilità magnetica µ del mezzo
,
dove c è la velocità della luce nel vuoto (o in aria). Sulla direzione e verso ci
torneremo con l’esempio di Fig. 2. La presenza in (2) di ε e µ che sintetizzano,
rispettivamente, le proprietà elettriche e magnetiche del mezzo, consentono di
rimarcare che, soprattutto dal punto di vista sperimentale, hanno rilievo l’induzione
elettrica D e la induzione magnetica B.
Esse sono legate ai rispettivi campi da semplici relazioni lineari, tranne che per i
materiali ferromagnetici:
.
Nel caso in cui il mezzo sia omogeneo – stessa densità di materia in ogni punto –
7
e isotropo, cioè abbia le stesse proprietà fisiche in ogni direzione (non è questo il
caso, ad esempio, dei cristalli che si sviluppano preferenzialmente lungo una
direzione), ε e µ sono costanti. In generale la materia non consente queste
semplificazioni descrittive, che sono però utilizzabili sicuramente come prima
approssimazione per gran parte dei fenomeni che si vogliono descrivere con il ricorso
alla Matematica.
Nel caso della propagazione delle onde elettromagnetiche nell’aria, che è quella cui
più ci riferiremo, si possono assumere per ε e µ i valori del vuoto: ε = µ = 1 e la
relazione (2) fornisce la grandezza della velocità di propagazione delle onde
elettromagnetiche in aria: c, cioè la velocità della luce nel vuoto (cfr. nota 2).
Essendo ormai chiaro, si spera, che onde, vibrazioni e oscillazioni sono sinonimi che
descrivono fenomeni di ugual natura, è utile richiamare qui brevemente alcune
nozioni apprese nella Scuola Media Superiore sul più semplice moto oscillatorio: il
moto su una retta di un punto materiale di massa m, sottoposto a una forza “di
richiamo” – un molla di coefficiente elastico k – posta in un punto O della retta,
assunto come origine del sistema di riferimento: l’oscillatore armonico. La
posizione del punto sulla retta è la distanza x del punto dall’origine O; e la legge del
moto, in funzione del tempo t, è:
,
che in ogni istante t fornisce la posizione del punto materiale sulla retta (e,
conseguentemente, la velocità del punto e le altre grandezze dinamiche come la
quantità di moto e l’energia). Il coseno, che compare a secondo membro della (4), è
una funzione periodica, del tempo; cioè, in capo a un intervallo di tempo T , detto
periodo del moto, essa riassume lo stesso valore e il punto materiale la stessa
posizione sulla retta (nella (4) va ugualmente bene la funzione seno).
In termini matematici, qualunque istante to si fissi, dovrà essere:
x (to) = x (to + T).
Del resto questo è il senso, anche colloquiale, che si attribuisce al periodo o
all’aggettivo periodico quando si parla del moto della Terra, di eventi climatologici
(stagioni, alisei, monsoni) o, più quotidianamente, dell’uscita di pubblicazioni
(giornali, riviste ecc.). L’inverso del periodo è, come si è detto in precedenza, la
frequenza ν = 1/T , cioè, il numero di oscillazioni che avvengono in un secondo.
La geometria materiale di questo semplice sistema è sintetizzata da ω = √(k/m).
Questa costante prende il nome di pulsazione; e la forma periodica della legge del
moto (4) fornisce subito (basta porre in essa t = T e θ = 0) la relazione
ω = 2π/T = 2π·ν.
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La fase, θ , dà la posizione iniziale del punto materiale sulla retta, che non coincide in
generale con O.
Molto importante è il parametro A , ampiezza massima dell’oscillazione, cioè la
distanza massima del punto materiale da O , perché è legata all’energia E del punto
durante il moto; più precisamente si può mostrare 4 che E = k A2 .
4
Dalla legge di moto dell’oscillatore armonico di massa m: x (t) = A · cos (ωt + θ)
si può derivare la sua velocità: v = - ω · A· sen (ωt + θ) e l’energia cinetica :
K = (½ ) m · v2 = (½) m · ω2 · A2 sin2 (ωt + θ).
La forza elastica di richiamo, proporzionale allo spostamento x dall’origine O : f = kx , è derivabile da un’energia potenziale U = (½ ) · k ·x 2 ; pertanto l’energia
meccanica totale è:
E = K + U = (½) m·ω2·A2 ·sin2(ωt + θ) + (½ )k·A2 cos2(ωt + θ) = (½)A2· [m·ω2
+ k]·[sin2(ωt + θ) + cos2(ωt + θ)]. Poiché per definizione è ω = √ k/m , ne segue
che m·ω2 + k = m·(k/m) + k = 2k.
In definitiva:
E = k A2
,
2
2
in quanto la relazione trigonometrica sen (θ ) + cos (θ) = 1 vale anche come valor
medio sulle oscillazioni di pulsazione ω e argomento θ = ωt.
L’insistenza su questi aspetti è motivata dal fatto che un’onda, non solo
elettromagnetica, può essere pensata fatta da infiniti oscillatori armonici, collegati,
che vibrano ortogonalmente alla direzione di propagazione (ad es., vedi Fig. 2);
ognuno di essi, con la sua ampiezza e frequenza, è detto modo di vibrazione. A
questa concettualizzazione corrisponde una dimostrazione matematica.
La proprietà dell’onda di trasportare energia dalla sorgente nello spazio circostante,
senza alcun trasporto di materia, è generalmente definita radiazione. Si può quindi
parlare indifferentemente di onda elettromagnetica o radiazione elettromagnetica.
La frequenza dei diversi tipi di onde elettromagnetiche si estende su una gamma
impressionante di valori, che consente la classificazione delle onde: tali valori
costituiscono lo spettro delle frequenze. La (1) afferma che se l’onda si propaga in
un mezzo che con buona approssimazione si può considerare omogeneo e isotropo la
frequenza è inversamente proporzionale alla lunghezza dell’onda: più alta è la
frequenza, più corta è l’onda e viceversa. L’insieme dei valori delle lunghezze
d’onda costituisce lo spettro delle lunghezze d’onda, e la lunghezza d’onda, lo
ricordiamo, è la distanza tra due massimi (o due minimi) che l’ampiezza dell’onda
raggiunge. Con il termine spettro elettromagnetico si definisce l’insieme delle
oscillazioni elettromagnetiche, che include sia lo spettro delle frequenze che quello
delle lunghezze d’onda.
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A una distanza dalla sorgente distanza sufficientemente grande, tale che essa possa
essere considerata puntiforme (a 500 m. e oltre, anche un’antenna lunga 5 m. può
essere considerata puntiforme), e se l’irraggiamento dalla sorgente avviene in modo
isotropo (non è questo il caso di un’antenna che emette su una direzione
preferenziale), il fronte d’onda sferico che, irraggiato dalla sorgente, investe
l’osservatore o lo strumento di misura è così grande da essere rilevato come “piano”
invece che convesso (il piano tangente al fronte d’onda nel punto di osservazione,
Fig.1). Il fronte d’onda è il luogo geometrico dello spazio di tutti i punti dell’onda
che hanno ugual fase.
In questo senso si parla di onda piana, che si può rappresentare come una
componente del campo elettrico che vibra in un piano ortogonale al piano in cui vibra
la componente di campo magnetico, mentre si propaga nella direzione ortogonale a
tutti e due i piani (vedi Fig.2).
Fig. 1: Onda sferica
Fig.2: Un caso particolare di campo elettromagnetico è l'onda elettromagnetica
piana. Il piano xy, dove oscilla il campo elettrico è detto piano di vibrazione; il piano
xz dove oscilla il campo magnetico è detto di piano di polarizzazione.
E’ convenzione, la più usata, associare alla direzione di propagazione – che unisce la
sorgente all’osservatore – l’asse x; gli altri due assi del sistema di riferimento restano
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determinati dalla richiesta che costituiscano una terna di assi coordinati levogira
(l’asse z deve “vedere” l’asse x sovrapporsi all’asse y con una rotazione in senso
antiorario). Pertanto, con riferimento alla Fig. 2 e tenendo conto delle semplificazioni
che l’ipotesi “onda piana” comporta per le equazioni di Maxwell, la direzione del
campo elettrico E coincide con l’asse y e quella del campo magnetico H con l’asse z.
Si può ricorrere allo schema di onda piana tutte le volte che si vogliano affrontare
problemi di “campo lontano”; se invece l’oggetto irradiato si trova vicino alla
sorgente, il campo elettromagnetico assume una configurazione più complessa e non
si può usare un’onda piana per rappresentarlo.
La figura 2 è così diffusa da indurre talvolta nell’errore che tutte le onde, se non
addirittura tutti i campi elettromagnetici, siano rappresentabili in quel modo. Fig.2 è
valida solo per le onde piane e raffigura solo una parte delle componenti
elettromagnetiche. Le equazioni di Maxwell forniscono infatti nel caso di onda piana
due relazioni: Ey = (√µ/ε ) · Hz , quella rappresentata in Fig.2, e quella simmetrica
Hy = - (√ε/µ) · Ez , rappresentabile in ugual modo. Con gli indici in basso si
denominano le componenti del campo elettrico e magnetico omonime agli assi
coordinati del sistema di riferimento. La precisazione fatta nulla toglie alla
“visibilità” che la Fig.2 consente, né, ovviamente, al rigore e alla validità della sua
determinazione.
Nella Tab.1 lo spettro delle onde elettromagnetiche è illustrato sinteticamente in
funzione della frequenza e della lunghezza d’onda. Leggendo dall’alto verso il basso,
si possono osservare le radiazioni che presentano una maggiore frequenza, alle quali
è associata una maggior energia (raggi γ, raggi X, raggi UV).
Ispezioniamo ora lo spettro delle frequenze elettromagnetiche, dalle più basse alle più
alte, in rapporto ai diversi dispositivi di utilizzo o di emissione. Ci sono onde con
frequenza bassissima che vengono denominate ELF (Extremely Low Frequency);
decine di Hertz, ma lunghe fino centomila chilometri, come quelle emesse dai cavi ad
alta tensione (50 Hz). Sempre nel campo delle basse frequenze, ma più elevate delle
ELF, si trovano le SLF (Super Low Frequency ) cui corrispondono lunghezze d’onda
fino a diecimila chilometri, e le ULF (Ultra Low Frequency), cui corrispondono
lunghezze d’onda fino a 1000 chilometri.
Nelle diverse bande della Regione hertziana si trovano le onde della radiofonia e
della televisione (radiofrequenze) e dei cellulari: da qualche migliaio di Hertz e
lunghezze d’onda di decine di chilometri a centinaia di milioni di Hertz (1 milione di
Hertz = 1 MHz, MHz = MegaHertz) e lunghezza d’onda di decine di metri. Le onde
radar sono microonde, come quelle del forno, dei ponti radio e dei collegamenti
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satellitari: miliardi di Hertz (1 miliardo di Hertz = 1 GHz, GHz = GigaHertz) e pochi
centimetri di lunghezza.
Denominazione
Regione ottica
Frequenza
Lunghezza
d’onda
Raggi 
> 31010 GHz
0,01 nm <
Raggi X
31010 – 7,5107 GHz
4 - 0,01 nm
Ultravioletti
7,5107–7,9105 GHz
380 - 4 nm
Visibile
7,9105–3,8105 GHz
0,78 – 0,38 m
Infrarosso
3,8105 – 300 GHz
1 mm – 0,78 m
Microonde
300 - 0,3 GHz
1 m – 0,1 cm
300 MHz - 3 kHz
100 km – 1 m
ULF
3 kHz – 300 Hz
1.000 – 100 km
SLF
300 – 30 Hz
103 – 104 km
ELF
30 - 3 Hz
104 – 105 km
Regione hertziana Radiofrequenze
Tab. 1: Spettro elettromagnetico
La suddivisione dello spettro in “bande” di frequenza (e di lunghezze d’onda), come
riportata nella tabella 1, è fondata sui diversi dispositivi in grado di produrre o
trasmettere le onde elettromagnetiche, rispetto ai quali esistono ovviamente delle
sovrapposizioni ai bordi degli estremi di ogni banda.
Onde elettromagnetiche? Con la sistemazione teorica dell’elettrodinamica
quantistica, operata dal premio Nobel Richard Feynmann nei primi anni ’60, il
dibattito millenario sulla natura della luce – ondulatoria o corpuscolare? –, che ha
impegnato Democrito come Newton, Goethe come Maxwell, abbia avuto una risposta
definitiva, al di là di ogni ragionevole dubbio: la natura della luce è corpuscolare, i
grani di luce sono i fotoni. E fotoni sono ormai detti i quanti d’energia
elettromagnetica d’ogni frequenza.
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Allora onde elettromagnetiche, addio? No, esse costituiscono un’approccio
fondamentale e utilissimo per la massima parte dello studio delle interazioni con la
materia e i sistemi biologici..
2. Il potenziale elettrico di membrana e i potenziali d’azione
Quando un sistema biologico è investito dalla radiazione elettromagnetica,
caratterizzata da una densità di potenza per unità di superficie S 5, da un campo
elettrico E e magnetico H incidenti, al suo interno si generano un campo elettrico e
magnetico Ei , Hi interni. Cosa accade dopo che la radiazione elettromagnetica
incidente ha generato i campi elettrico e magnetico interni?
Il corpo umano è una complessa struttura costituita da parti eterogenee quali cute,
grasso, osso, midollo spinale, muscolo, sangue, fibre nervose, ed altro ancora, ognuna
delle quali è caratterizzata a livello macroscopico da parametri elettromagnetici
(conducibilità, costante dielettrica relativa e permeabilità magnetica), che dipendono
dalla frequenza dei campi interni.
A livello microscopico i tessuti sono formati da differenti tipi di cellule; a sua volta
ogni cellula è composta da strutture specializzate (membrana, mitocondrio, nucleo,
ecc.), dette organelli, e da una miriade di macromolecole biologiche.
Tutte queste strutture possiedono parti elettricamente cariche, le quali sono sottoposte
ad una forza quando interagiscono con i campi interni.
Il problema, come già accennato, è di determinare il campo elettrico interno nelle
diverse parti del corpo quando esso è esposto ad un campo elettromagnetico
incidente noto.
Quando la materia biologica è sottoposta a un campo elettrico esterno, atomi e
molecole neutre possono essere distorti nella loro configurazione, poiché si manifesta
un’eccedenza di cariche di un segno in una regione dello spazio da essi
5
La densità di potenza per unità di superficie di un campo elettromagnetico viene
anche chiamata intensità della radiazione, e per rappresentarla in modo sintetico ed
efficace si suole introdurre il vettore di Poynting S, che è il prodotto vettoriale di E,
H per una costante:
, dove c è la velocità della luce, la direzione e il
verso sono quelli di propagazione dell’onda e la grandezza del vettore S è l’intensità
di radiazione. Nel caso che valga per l’onda incidente l’approssimazione di onda
13
piana (“campo lontano”, cioè sorgente del campo puntiforme ed emissione non
direzionale ma isotropa) se A è l’ampiezza dell’onda la grandezza di S è data εA2/4π,
dove ε è la costante dielettrica del mezzo in cui viaggia l’onda incidente (di solito
l’aria).
occupata: il conseguente difetto di cariche di quel segno nella regione abbandonata è
“visto” dal campo elettrico esterno come una carica di segno opposto.
Tale asimmetria nella distribuzione di carica nello spazio indotta dal campo esterno è
detta polarizzazione, e i dipoli elettrici così generati sono chiamati dipoli indotti; la
definizione è valida anche per quell’unità biologica fondamentale, dalla struttura
estremamente complessa, che è la cellula, unità che possiede, entro certi limiti,
meccanismi di controllo e di equilibrio.
Ai primi passi nell’origine della vita fu la costituzione di uno spazio interno rispetto a
quello esterno, mediante la formazione di una membrana cellulare. La membrana
cellulare è costituita dal 55% di proteine, 35% di lipidi e 10% di polisaccaridi: il suo
compito è di contenere le diverse strutture intracellulari e di separare due ambienti
con composizione chimica diversa.
Nella struttura della membrana vi sono alcune proteine che hanno il compito di
mantenere una diversa concentrazione di ioni tra esterno ed interno della cellula.
Questa funzione, detta pompa ionica metabolica, genera una differenza di potenziale
V del valore medio di circa 70 mV – il potenziale di elettrico membrana – e
intensità del campo elettrico E dell’ordine di 107 V/m (Fig.3).
Durante l’evoluzione i sistemi biologici hanno selezionato dei gruppi di cellule
particolari, quelle nervose e muscolari (come quelle cardiache), che sono in grado di
produrre variazioni del potenziale di membrana, dette depolarizzazioni. Queste
cellule sono “eccitabili” e le variazioni del potenziale di membrana sono dette
potenziali d’azione. Poiché le variazioni avvengono in un intervallo molto breve,
dell’ordine del microsecondo, i potenziali d’azione sono anche detti impulsi elettrici
e si propagano lungo i nervi ed i muscoli.
Questa “corrente elettrica” non è dovuta a movimento di elettroni o di ioni, come
accade nei metalli o nelle soluzioni elettrolitiche. Gli impulsi elettrici infatti
raggiungono i diversi distretti corporei senza trasporto di materia (elettroni o ioni),
ma tramite la propagazione della depolarizzazione della membrana cellulare.
Insomma, gli impulsi elettrici (potenziali d’azione) si propagano nel corpo proprio
come onde in un mezzo: la perturbazione è la variazione del potenziale di membrana,
generata ad esempio in una cellula del sistema nervoso centrale, che viaggia lungo il
sistema nervoso con una velocità V che dipende dalle caratteristiche materiali del
14
mezzo – i nervi – in cui si propaga. Attenzione, il carattere elettrico dell’impulso non
ha a che vedere con quello della sua propagazione; quella che viaggia non è un’onda
elettromagnetica.
La cellula genera un campo elettrico di valore elevato, il quale ha il compito di
mantenere le proteine della membrana “allineate” contro l’agitazione termica 3 della
cellula e dei suoi componenti che tende a disaggregarle; in assenza di questo campo
non si avrebbe lo scambio elettrochimico di sostanze fra interno ed esterno della
cellula.
Nelle cellule tumorali si evidenzia che il potenziale di membrana, e quindi il campo
elettrico dato dalla d.d.p. della membrana, diminuisce.
I tessuti e gli organi sono tutte strutture che, a livello macroscopico, sono
caratterizzate dai seguenti parametri elettromagnetici:
 conducibilità  ;
 costante dielettrica relativa r ;
 permeabilità magnetica  .
Questi parametri possono essere definiti anche per la cellula e per la membrana, che,
pur appartenendo al mondo microscopico (letteralmente, se si pensa allo strumento
per poterle vedere), sono però costituite da un numero di molecole così elevato da
poter definire per esse le medie statistiche che forniscono i valori dei parametri.
Fig. 3: Rappresentazione schematica della membrana cellulare, campo elettrico e
potenziale tra interno ed esterno della cellula
15
3. Interazioni ed effetto finestra
Nello studio degli effetti dei campi elettromagnetici sui sistemi viventi, la disciplina
del bioelettromagnetismo, cioè lo studio dell’interazione dei sistemi viventi con
l’energia elettromagnetica, può essere condotto riferendosi a due modelli diversi.
3
Tutta la materia, inorganica, organica e biologica, è animata nei suoi componenti
ultimi – cellule e loro parti (membrana, proteine e lipidi di membrana, mitocondri,
organelli ecc.), molecole (dell’acqua come del silicio, ecc.), atomi (dei gas come dei
metalli, ecc.) – da moti di vibrazione, in generale non coordinati tra di loro e le cui
caratteristiche – ampiezza, frequenza – sono determinate dalla struttura materiale del
microsistema, dallo spazio che ha a disposizione e dalle caratteristiche di questo
spazio. L’ampiezza di queste incessanti vibrazioni si riduce, e con essa l’energia
associata, al decrescere della temperatura, non raggiungendo mai la quiete perfetta
perché è impossibile raggiungere lo zero assoluto, cioè -273,16 °C (terzo principio
della Termodinamica).
Anteporremmo allo studio dell’interazione la descrizione di alcune fondamentali
proprietà elettriche e magnetiche della materia vivente.
La presenza di un campo elettrico interno al sistema biologico determina a livello
microscopico i seguenti effetti fisici:
 spostamento di elettroni e di ioni, liberi così di muoversi su percorsi relativamente
brevi e di generare correnti di conduzione locali, dette microcorrenti;
 rotazione ed orientamento dei dipoli elettrici permanenti ed indotti, ovvero il
fenomeno della polarizzazione.
La variazione del campo in funzione del tempo si traduce nell’oscillazione delle
cariche libere e dei dipoli con la formazione di correnti di conduzione e di
polarizzazione localizzate. Il movimento degli ioni e dei dipoli è però ostacolato dagli
urti con le altre particella costituenti il sistema biologico; in questo modo una parte
dell’energia ceduta dal campo si trasforma in calore. In termini macroscopici, questa
resistenza al moto delle cariche viene descritta tramite quel parametro che abbiamo in
precedenza introdotto: la conducibilità  , maggiore è la conducibilità minore è la
resistenza al moto delle cariche.
In generale, nelle ipotesi semplificative sulle strutture biologiche, in presenza di un
campo elettrico più sono le cariche libere di muoversi presenti nel sistema biologico
maggiore è la conducibilità. In un organo o in un tessuto, poi, si verifica
sperimentalmente che la conducibilità è direttamente proporzionale alla frequenza
del campo. Negli schemi semplificativi maggiormente adottati il comportamento del
materiale biologico rispetto al fluire di cariche elettriche è descrivibile in termini
simili a quelli della materia inorganica.
16
La costante dielettrica relativa r è un fattore di proporzionalità adimensionale, che
fornisce una misura della polarizzazione locale delle cariche elettriche – i dipoli –
nelle strutture biologiche sottoposte a un campo elettrico interno. La costante
dielettrica, maggiore per i tessuti e gli organi con elevato contenuto di acqua,
diminuisce al crescere della frequenza del campo; più elevata è la frequenza tanto
minore è l’energia dell’onda elettromagnetica che viene assorbita dal materiale
biologico.
Nella trattazione “classica” più semplice, ad esempio, solamente il 50% della
radiazione della regione delle microonde attraversa la cute, per poi essere attenuata
esponenzialmente. E’ bene allora ripetere che quando si parla di “campo” nelle
osservazioni precedenti e in quelle che seguiranno si intendono sempre Ei e Hi , cioè
i campi interni.
In realtà le soluzioni acquose di elettroliti sono mezzi estremamente complessi che
presentano proprietà anomale, in grado di influenzare i fenomeni di equilibrio e di
trasporto che si verificano nei sistemi viventi. Queste soluzioni non sono
schematizzabili soltanto mediante l’analisi basata sul passaggio della corrente e sulla
polarizzazione dielettrica; e la conoscenza delle interazioni molecolari nell’acqua è
ancora limitata.
La conducibilità e la costante dielettrica nei tessuti cancerosi sono maggiori di
quelle dei tessuti normali.
La permeabilità magnetica  nei sistemi viventi è uguale alla permeabilità
magnetica nel vuoto 0 6, tranne che per alcune strutture biologiche contenenti
magnetite, quali sono, ad es., i magnetosomi.
Il campo magnetico associato all’onda elettromagnetica incidente è in grado
d’interagire con i componenti delle strutture biologiche dotate di proprietà
magnetiche, quali materiali ferromagnetici, radicali liberi, molecole
diamagnetiche anisotrope e momenti magnetici nucleari.
Ne tratteremo nella sezione dedicata alle proprietà magnetiche. Completiamo, ora
con una rapida descrizione, la rassegna delle altre proprietà elettriche dei sistemi
viventi.
Le strutture biologiche esibiscono comportamenti piezoelettrici e piroelettrici.
L’effetto piezoelettrico è la generazione di una differenza di potenziale elettrico
causata in certe macromolecole da una distorsione di tipo meccanico (ad es., la
17
rotazione di loro parti). Si osserva principalmente nelle proteine (cheratina,
collagene, fibrina, ecc.) e può determinare variazioni del pH locale, cambiamenti
della permeabilità di membrana, lo spostamento di cellule, la catalisi enzimatica,
l’orientamento di macromolecole intra-ed extracellulari, ed altre ancora.
L’effetto piroelettrico è la generazione di una differenza di potenziale elettrico
dovuta a una variazione di tipo termico, quando per aumento o diminuzione della
temperatura cambia l’intensità dei momenti di dipolo elettrico – la nozione di
momento di un vettore viene fornita più avanti – in quelle strutture biologiche che si
comportano come solidi anisotropi 7. Tale effetto è stato osservato per la prima volta
nei sistemi biologici nel 1966, e la d.d.p. così generata può produrre delle correnti che
stimolano reazioni fisiologiche nell’organismo. La piroelettricità è stata osservata
anche nelle cellule, nei tessuti e negli organi di molte piante ed animali inferiori: essa
potrebbe essere alla base del funzionamento dei vari organi sensori (termorecettori,
fotorecettori, elettrorecettori, chemiorecettori).
L’effetto piezoelettrico e quello piroelettrico sono due ulteriori meccanismi di cui si
servono nel loro funzionamento gli organismi viventi, al fine di convertire energia
meccanica e termica in energia elettrica.
Il potenziale di membrana è dovuto alla diffusione di protoni (H+) e di ioni (Na+, K+,
ed altri ancora) attraverso la membrana: Albert Szent-Györgyi (1893-1986), premio
Nobel per la medicina nel 1937 per le ricerche sull’ossidazione biologica e
6
La permeabilità magnetica del vuoto vale: µo = 4π·10-7 henry al metro = 12,57·10-7
(H/m).
7
Ricordiamo che per anisotropo s’intende un sistema materiale le cui proprietà
fisiche dipendono dalla direzione. Ad esempio, vari cristalli hanno proprietà di
riflessione e di rifrazione diverse secondo la loro superficie esposta alla luce
incidente; anche corpi elastici possono mostrare proprietà elastiche in funzione della
direzione in cui sono sollecitati.
la vitamina C, fu il primo scienziato ad ipotizzare, nel 1941, che nelle cellule il
trasferimento di energia elettrica fosse imputabile anche ad un trasferimento di
elettroni eccitati lungo la membrana, assimilata ad una matrice semiconduttrice. La
materia biologica presenta proprietà uguali a quelle della materia inorganica! La
presenza di un potenziale di membrana e di un elevato campo elettrico, di circa 107
V/m, permetterebbe alle proteine inserite nel doppio strato lipidico, considerate nel
loro insieme, di comportarsi come un semiconduttore, il protagonista di quella
18
rivoluzione tecnologica che oltre 50 anni fa sostituì un chip di silicio alle valvole
termoioniche delle radio, inaugurando l’era dell’elettronica di consumo. Tale ipotesi
ha acquisito un sempre maggiore supporto teorico e sperimentale nel corso degli
anni. Infine, altra ipotesi stupefacente e assai più recente, gli organismi viventi si
servirebbero del fenomeno della superconduttività, a temperatura fisiologica, per
assolvere ad alcune funzioni biologiche, come ad esempio quella nervosa.
Occorre poi tenere presente che nei sistemi viventi sono presenti, a livello cellulare,
campi elettromagnetici (CEM) endogeni 8, generati per mezzo dell’attività
metabolica. Le sorgenti dei campi sono dovute alla cellula come unità, alla membrana
cellulare e all’interno della membrana cellulare, in particolare nel citoscheletro 9. Le
frequenze dei campi generati in questo modo interessano le regioni di bassa
frequenza, da pochi hertz al megahertz (1MHz =106 Hz) e nell’intervallo di
elevatissima frequenza dal gigahertz (1GHz =109 Hz) al terahertz (1THz =1012 Hz):
CEM da pochi Hz fino al MHz sono conseguenze delle correnti ioniche, mentre i
CEM dal MHz fino al THz sono dovuti alle vibrazioni dei dipoli elettrici. I CEM
cellulari rivestono un ruolo importante nell’organizzazione spaziale e temporale delle
strutture nelle cellule (posizione di organelli e molecole), nella comunicazione
cellulare, nel trasporto dei componenti delle reazioni chimiche, ovvero sulla cinetica
delle reazioni chimiche; e anche nelle interazioni con l’ambiente circostante
(aderenza delle cellule, comunicazione a distanza tra cellule).
Venendo ora ai meccanismi dell’interazione con il materiale biologico, un primo
modo è studiare l’azione che il campo elettromagnetico associato all’onda esercita
sulle cariche presenti negli organismi viventi.
In questa prima descrizione detta classica, i sistemi viventi sono considerati, in prima
approssimazione, come principalmente costituiti da acqua – del resto, per l’uomo essa
rappresenta circa i due terzi della materia di cui siamo fatti – con disciolte sostanze
che la rendono conduttiva. Note le caratteristiche della sorgente del campo,
dell’esposizione e dei già citati parametri elettromagnetici dei vari livelli di
organizzazione degli organismi pluricellulari, l’applicazione delle leggi
dell’elettromagnetismo, ovvero delle equazioni di Maxwell, permette in linea di
principio di descrivere il meccanismo biofisico dell’interazione.
8
In letteratura indicati anche come CEM biologici.
L’argomento è trattato in dettaglio nel testo di M. Scalia e M. Sperini: La cellula:
aspetti elettrodinamici; Edizioni Andromeda, 2014.
Il problema consiste nel determinare quali modificazioni dei parametri
elettromagnetici subiscono le strutture biologiche e come tutto ciò si rifletta sul
funzionamento dell’organismo 10.
9
19
Sembrerebbe più appropriata dal punto di vista teorico la seconda modalità, quella
che considera le radiazioni elettromagnetiche incidenti come quanti di energia, i
fotoni. Ma la trattazione quantistica dei fenomeni in esame, che oltretutto imporrebbe
anche una descrizione in termini quantistici del materiale biologico sottoposto alle
radiazioni incidenti, risulterebbe assai complessa e, in ogni caso, non è davvero cosa
per queste note.
Qui si può solo lanciare, sommessamente, il monito ad evitare “semplificazioni
quantistiche”. All’origine di una mutagenesi si può essere tentati dal pensare al
quanto elettromagnetico di energia hν, h costante di Planck 11 e ν frequenza
dell’onda elettromagnetica, come a un “proiettile” che “perfora” il DNA; e se i
meccanismi di riparazione naturale del DNA operati da certi enzimi non riescono a
ripristinare la configurazione, ecco la mutagenesi. In realtà l’eventuale azione del
campo elettromagnetico si esplica attraverso una perossidazione che genera dei
radicali liberi12 che possono aggredire le molecole del DNA.
Abbandonando speculazioni teoriche, veniamo ora alla storia di alcuni esperimenti
che sembrano comprovare l’esistenza di effetti specifici del campo elettromagnetico e
che hanno polarizzato l’attenzione di molti ricercatori in questi ultimi quarant’anni.
Negli anni ’70 il dott. William Ross Adey scoprì un importante effetto dei campi
elettromagnetici: l’efflusso di ioni di calcio dal tessuto cerebrale, quando la corteccia
cerebrale veniva stimolata elettricamente in vivo – si trattava di gatti coscienti – con
circa 200 impulsi al secondo (200 Hz, durata 1 ms), con campo elettrico all’interno
del tessuto di 5 V/m (circa la grandezza dell’EEG).
10
La notevole complicazione di questo approccio è costituita dalle difficoltà di
caratterizzare dal punto di vista elettromagnetico le cellule, i tessuti e gli organi del
sistema biologico in vivo.
11
h = 6,627 10-34 (m2 kg/s), è il “quanto d’azione” di Planck. Una costante che ha le
dimensioni fisiche di un’energia per un tempo, quelle, appunto di un’azione; il suo
valore può essere preso come linea di confine tra la regione in cui h ha un valore non
trascurabile, e allora valgono le leggi della meccanica quantistica, e dove valgono le
leggi della Fisica classica (h molto piccolo rispetto ai valori delle altre grandezze
fisiche).
12
I radicali liberi sono specie chimiche estremamente reattive, ovvero con una forte
tendenza a legarsi con altri atomi e molecole: questa definizione generale, che
comprende l’atomo di idrogeno e vari ioni e molecole, è ristretta in biologia, con
l’eccezione dell’ossigeno, alle sole macromolecole che assolvono ad una specifica
funzione biologica, quali metalloproteine, prodotti intermedi delle reazioni
20
metaboliche (ed altre ancora). La tendenza di atomi e molecole di un elemento o di
un composto organico a legarsi con un altra specie dipende dalla loro configurazione
elettronica. Questa configurazione nel caso delle molecole sarà chiamata più
propriamente “orbitale”; e la forte reattività dei radicali liberi è determinata dal fatto
che negli orbitali più “esterni” della molecola si trova un solo elettrone (elettrone
“spaiato”) Un principio generale – il principio di esclusione formulato nel 1925 da
Wolfgang Pauli, e alla base della costruzione (aufbau principle) della tabella
periodica di Mendeleev – consente la presenza di due elettroni negli orbitali più
esterni dei radicali liberi; c’è quindi posto per un altro elettrone, che potrà essere
occupato dalla specie chimica con cui il radicale libero si lega
Negli esperimenti si registrava il rilascio di una notevole quantità di calcio (20% in
più) e di un’equivalente quantità di GABA (acido -aminobutirrico).
Tale scoperta confutò l’idea che deboli campi extracellulari, del medesimo ordine di
grandezza dell’EEG e molto più deboli del potenziale di membrana, non sono in
grado di influenzare il neurone.
In successivi esperimenti effettuati da Bawin e Adey, il tessuto cerebrale di pulcini e
di gatti veniva esposto per la durata di venti minuti a vari campi elettrici alternati, di
frequenze 1, 6, 16, 32 Hz e di intensità comprese nell’intervallo tra 5 V/m e 100
V/m. I risultati degli esperimenti evidenziavano un decremento significativo (1520%), rispetto ai controlli, dell’efflusso di ioni calcio dal tessuto cerebrale, in
corrispondenza ad alcune delle frequenze scelte (6 e 16 Hz), ma solo per campi
elettrici di intensità interna ai valori dell’intervallo, mentre in corrispondenza agli
estremi dell’intervallo, rispettivamente 5V/m e 100/V/m, non si registrava un
decremento significativo dell’efflusso di ioni.
Quando un effetto biologico, causato dall’esposizione a campi elettromagnetici, si
verifica tra i due estremi di un intervallo di valori dell’intensità del campo, ma non
agli estremi, è uso definirlo come effetto, o fenomeno, finestra.
L’effetto finestra, nel caso degli esperimenti condotti da Adey e il suo gruppo, era
duplice: rispetto all’intervallo dove variavano le intensità dei campi e rispetto
all’intervallo di variazione delle frequenze [1 – 32 ]Hz; l’effetto biologico essendo
rilevabile solo in corrispondenza ad alcune frequenze interne a quell’intervallo.
I resoconti degli anni ’70 del gruppo di Adey indicavano come i ricercatori si
trovassero di fronte ad uno strano fenomeno: l’interazione si presentava come una
risposta biologica (bioeffetto) all’azione del campo; una risposta non lineare,
funzione della frequenza e dell’ampiezza del campo, con un massimo della “curva di
risposta” in corrispondenza alla frequenza di 16 Hz e all’intensità di campo di 56
V/m. Gli effetti che si manifestavano erano di tipo non termico (gli sperimentatori
avevano avuto cura che la densità di potenza del campo elettromagnetico non
21
superasse i 10 W/m2 = 1mW/cm2) e riguardavano il funzionamento del sistema
nervoso.
Negli anni ’80 il gruppo Adey condusse altri esperimenti con campi modulati in
ampiezza a 16 Hz, associati a una portante di alta frequenza, 450 MHz, che esibirono
un incremento dell’efflusso cerebrale di ioni calcio sia in gatti che in ratti (+ 38%);
mentre in assenza di modulazione o con modulazione a 60 Hz non si rilevò nessun
effetto.
L’EPA (Environmental Protection Agency, ovvero Agenzia per la Difesa
Ambientale), alcuni anni dopo i primi esperimenti del gruppo di Adey, allestì un
proprio laboratorio (Health Effects Research Laboratory) per verificare
indipendentemente l’effetto “finestra”. Il laboratorio, diretto dal dott. Carl F.
Blackman e dal dott. J.A. Elder, seguendo le medesime procedure descritte dai
protocolli del gruppo Adey, confermò con vari esperimenti l’esistenza delle finestre
sia per le intensità di campo che per i valori della frequenza13.
C’era però un disaccordo tra i due gruppi di ricerca sulla variazione dell’efflusso di
ioni: Adey e colleghi ne avevano rilevato una riduzione, Blackman e colleghi un
incremento. Blackman e colleghi si chiesero allora se la differenza era dovuta alla
componente magnetica del campo modulato di 16 Hz, presente nei loro esperimenti
ma non in quelli del gruppo di Adey. L’ipotesi si rivelò giusta, poiché, eliminando la
presenza della componente magnetica del campo oscillante a 16 Hz, non si rilevava il
fenomeno dell’incremento nell’efflusso di ioni di calcio
Successivamente fu scoperta da Blackman (1988) l’importanza del campo magnetico
locale come parametro sperimentale: la finestra in frequenza dipende dal valore della
componente statica del campo magnetico terrestre presente nella camera di
esposizione (il valor medio del campo magnetico terrestre è di circa 80 T, T =
micro Tesla). Un campo elettrico di valore 40 V/m e frequenza di 16 Hz era efficace
nel determinare un aumento dell’efflusso di ioni calcio, se l’intensità del campo
geomagnetico era di 38 T, ma inefficace se il campo geomagnetico era ridotto a 19
T. Il medesimo campo elettrico, ma di frequenza 30 Hz, era inefficace con un
campo magnetico statico di 38 T e diveniva “attivo biologicamente” per induzioni
magnetiche di  25,3 T e  76 T.
Alla fine degli anni ’80 le due sorprendenti scoperte del gruppo di ricerca dell’EPA
possono così sintetizzarsi:
i.
nel rilascio degli ioni calcio del tessuto cerebrale dei pulcini è implicata
la componente magnetica del debolissimo campo elettrico applicato
nell’intervallo di frequenza ELF;
22
ii.
le finestre in frequenza che determinano la risposta biologica dipendono
dall’intensità del campo geomagnetico locale statico.
Replicato con successo l’effetto finestra, l’attenzione dei ricercatori fu rivolta verso la
formulazione di un meccanismo biofisico atto a spiegarla.
Per quello che riguarda invece la “verità” sperimentale, non esito ad assumere la
perentoria conclusione che, dieci anni dopo, Carl F. Blackman propose allo Scientific
Workshop on Biological Effects of Electromagnetic Radiation (Università di Vienna,
25-28 ottobre 1998) dopo aver riassunto i risultati di 30 anni di ricerche sull’efflusso
degli ioni calcio: l’analisi sugli studi pubblicati in letteratura indicava in modo
“schiacciante” che “.. i campi elettrici e magnetici di bassa intensità possono
alterare la normale omeostasi degli ioni calcio ed alterare le risposte che gli
organismi viventi presentano verso il proprio ambiente”.
13
Altri studi studi furono condotti da S.K. Dutta che, in colture di cellule nervose
(neuroblasti) di origine umana, esposte ad un campo di 915 MHz modulato in
ampiezza a 16 Hz, evidenziò un incremento dell’efflusso di ioni calcio per valori del
SAR di 0,05 e 1 W/kg – corrispondenti a densità di potenza dell’ordine dei 10
mW/cm2 per campi di quella frequenza –, ma non per SAR di valore minore,
intermedio o maggiore.
4. La biorisonanza
Quale può essere allora un meccanismo di interazione tra campi e componenti
biologici microscopici?
Ne sono stati proposti vari. Voglio ricordare la teoria della coerenza quantoelettrodinamica, proposta da Giuliano Preparata nel 1995, e le elaborazioni e
modelli da lui studiati in collaborazione soprattutto con Emilio Del Giudice. E il
modello cooperativo, proposto inizialmente da I.T. Grodsky e perfezionato nel 2000,
da C.J. Thompson.
Queste teorie, e i modelli interpretativi che propongono, hanno a che vedere con la
risonanza, ma stando più strettamente al tema, ci sono quei modelli tutti fondati sul
concetto di risonanza, anche da qui la “popolarità” del termine, che mi limiterò a
elencare:
la risonanza di ciclotrone, proposta da A.R. Liboff nel 1985, sviluppata in Italia da
A. Chiabrera e B. Bianco;
la risonanza parametrica, proposta da V.V. Lednev nel 1991, sviluppata da J.P.
Blanchard e C.F. Blackman;
23
la risonanza di precessione, proposta da M.N. Zhadin nel 1998, che è l’esperimento
e il tentativo di interpretazione su cui ci soffermeremo.
La questione della risonanza è in ballo da 90 anni, ricordate l’esperimento di Gosset e
Lakhovsy all’Ospedale della Salpetrière?. Proprio la lunghezza di questo lasso di
tempo, senza che ancora ci sia un’interpretazione chiara e indiscutibile per quel che
riguarda gli effetti biologici, ci fa comprendere con quale attenzione bisogna
procedere per evitare il rischio che la risonanza, magari con l’aggiunta di bio – la
biorisonanza – diventi un mantra o una non risposta a un problema complesso
Allora vediamo più addentro al fenomeno della risonanza, che si incontra un po’
ovunque, dalla Meccanica celeste a quella delle costruzioni, dalla teoria degli
strumenti musicali, e degli effetti udibili, all’Ottica all’Elettronica alla Chimica, allo
studio delle cellule e dei sistemi biologici e via elencando.
Partiamo dall’ultranota storia del ponte che crolla sotto il passo cadenzato di una
compagnia militare. Non è certo la pressione cui viene sottoposto dal peso della
compagnia a farlo crollare, ma la cadenza del passo, cioè la frequenza.
Questa frequenza infatti può essere molto vicina alla frequenza di vibrazione
“propria” di una delle strutture portanti del ponte; in questo caso, la relativamente
modesta energia ceduta al ponte con la battuta del passo viene amplificata a un livello
tale che il trasferimento di energia alla struttura la fa “saltare” (come l’effetto di
un’esplosione), e il ponte crolla (vedi Fig. 5). In generale si può dire che ogni
sistema, microscopico o macroscopico, è in grado di oscillare e oscilla con delle sue
frequenze caratteristiche, le frequenze proprie di vibrazione (oscillazione e
vibrazione sono del tutto sinonimi).
La risonanza è allora la capacità che ha il sistema di aumentare l’ampiezza di
oscillazione in corrispondenza a certe frequenze, quelle proprie di vibrazione.
Se il sistema è sottoposto a una perturbazione esterna che ha una frequenza vicina a
una frequenza propria del sistema, il sistema assorbe amplificandola l’energia ceduta
dalla perturbazione. Poiché vicino alla frequenza propria l’ampiezza della vibrazione
aumenta come rappresentato in Fig.4 e poiché l’energia di una vibrazione è
proporzionale al quadrato dell’ampiezza, l’energia assorbita aumenterà ancora di più;
ad esempio, a un raddoppio dell’ampiezza corrisponderà una quadruplicazione
dell’energia.
24
Fig. 4 In ordinata, l’ampiezza di oscillazione. La frequenza di vibrazione propria è
f0 = ν0 ; l’andamento delle curve dipende dallo smorzamento (damping), cioè
dall’attenuazione dell’ampiezza a causa della resistenza opposta dal mezzo – aria,
liquidi ecc. – in cui avviene la vibrazione. In assenza di smorzamento, la curva più in
alto, si ha la “catastrofe”: se la perturbazione è “sincrona”, cioè ha la stessa frequenza
del sistema oscillante, il ponte crolla (tratta da myweb.fcu.edu.tw).
Col meccanismo della risonanza si è tentato di spiegare quella significativa mole di
dati sperimentali, accumulata per trent’anni, e della quale Blackman fece la rassegna
in precedenza ricordata insieme alla conclusione da lui tratta al Workshop di Vienna
del 1998: la variazione dell’efflusso di ioni Ca++ dalla cellula, quando un campo
magnetico interagisce con la “pompa” Sodio/Calcio, Na +/Ca++, che governa quel
flusso.
La pompa Sodio/Calcio regola una molteplicità di importanti funzioni cellulari ed è
reversibile, porta cioè il Calcio all’interno della cellula quando serve, come ad
esempio durante la salita del potenziale d’azione cardiaco.
Uno dei problemi chiave in bioelettromagnetismo è quello di spiegare il meccanismo
dell’influenza dei campi elettromagnetici deboli su oggetti biologici; questo
meccanismo non è ancora chiaro, nonostante i numerosi dati sperimentali. In
particolare, non è chiaro come le basse frequenze o campi statici, magnetici o
elettrici, possono portare alla risonanza delle reazioni biochimiche, anche quando
l’energia di tali campi è molto piccola in confronto alla energia termica kT del
processo, dove k è la costante di Boltzmann e T la temperatura in gradi Kelvin. La
mancanza di una spiegazione teorica, che sia soddisfacente o condivisa tra i
ricercatori, è ora chiamato “il problema kT” o “paradosso kT”
In questo contesto lo scienziato russo Michael Zhadin ed i suoi collaboratori per
dirimere sperimentalmente la questione fondamentale, insita nei sistemi biologici
sottraendola alla complessità modellistica, realizzarono il seguente esperimento in
25
una materia non biologica. L’intento principale dei ricercatori russi era insomma
quello di sperimentare l’azione dei campi su un materiale organico estremamente più
semplice del materiale biologico abitualmente usato.
Ricordiamo che sottoponendo una carica elettrica q di massa m a un campo
magnetico statico B0 la carica si muove di moto periodico circolare, nel piano
ortogonale a B0, con una frequenza νc , detta “frequenza di ciclotrone”, data da
νc = q ·B0/2πm
.
Nell’esperimento di Zhadin, ad una cella riempita di una soluzione elettrolitica di
acido glutammico è applicata una tensione di 80 mV; la cella è posta all’interno di
due solenoidi che assicurano la presenza di due campi magnetici paralleli: uno statico
(B0 = 20-40 µT), avente una intensità dell’ordine di grandezza del campo magnetico
terrestre (BT ≈ 80 µT); l’altro alternato, avente una intensità bassissima (B c = 20-80
nT) ed una frequenza variabile tra 2 e 4 Hz. I due campi sono applicati
ortogonalmente alla direzione della corrente elettrolitica. Tutto l’apparato
sperimentale è posto all’interno di una scatola fatta di una lega capace di schermare i
campi magnetici esterni (permalloy); perciò i soli campi magnetici all’opera sono
quelli sopra specificati.
L’esperimento di Zhadin fornisce i seguenti risultati:
i.
quando la frequenza del campo alternato diventa uguale alla “frequenza
di ciclotrone” dell’acido glutammico la corrente elettrica della cella
presenta un picco transitorio la cui altezza massima iniziale è pari
all’80% del valore della corrente stazionaria degli ioni dell’acido
glutammico e la cui durata è dell’ordine di 15-20 secondi. La frequenza
di ciclotrone:  c 
q  B0
2 m
dove m, q sono massa e carica dello ione
elettrolitico, indica il numero di giri al secondo che lo ione descrive in un
piano perpendicolare al campo magnetico B0 cui è sottoposto;
ii.
l’effetto precedente sparisce quando l’intensità del campo alternato
eccede una soglia, il cui valore è molto basso. In altre parole, l’effetto
accade solo sotto influenze “sottili” e sparisce quando il campo applicato
“fa la voce grossa”.
La soluzione elettrolitica risponde all’azione del campo magnetico alternato: l’effetto
prodotto dal campo alternato si traduce, nell’esperimento, in impulsi di corrente che
si possono vedere su un oscilloscopio.
26
Le finestre di frequenza trovate da Zhadin erano intorno a 4 Hz per B0 = 40 µT e Bc =
10, 20, 30 nT; invece nell’intervallo [2,4] Hz, con un passo di 0,5 Hz per B0 = 20, 25,
30, 40 µT e Bc = 25 nT.
Il risultato della loro esperienza fornisce una risposta clamorosa all’interrogativo
“Come possono segnali deboli superare il “rumore termico” e produrre, quindi, degli
effetti?”. In certe condizioni un segnale debolissimo, quale può essere quello
associato al campo di poche decine di nanoTesla, pur avendo un’energia
incomparabilmente inferiore a quella del rumore termico riesce lo stesso a superare
quella barriera e a produrre un effetto, registrato come impulsi sull’oscilloscopio.
L’esito dell’esperimento di Zhadin dimostra in maniera semplice che la non
irrilevanza dell’applicazione di campi magnetici deboli su sistemi organici è una
pretesa infondata; e apre un più generale interrogativo sull’interpretazione teorica che
lo giustifichi, al quale, fino ad oggi, non è stata data una risposta accettata e condivisa
dai ricercatori del settore.
Molti autori si riferiscono a questo risultato come “effetto Zhadin”; lo stesso
esperimento è stato replicato in Germania Errore. L'origine riferimento non è stata
trovata.(2004, Pazur) e in Italia (2002 Del Giudice et al., 2006 Comisso et al., 2008
Giuliani et al. con lo stesso Zhadin).
Zhadin tentò di spiegare lui stesso il fenomeno in termini di risonanza, in un articolo
del 2005. Vediamo le conclusioni che ne trae:
“…Unfortunately, for free ions such sort of effects are absolutely impossible because
dimensions of an ion rotation radius should be measured by meters at room
temperature and at very low static magnetic fields used in all the before experiments.
Even for bound ions these effects should be absolutely impossible for the positions of
classic physics because of rather high viscosity of biological liquid media…” 14
Per questa ragione il tentativo di interpretare il risultato sperimentale con la risonanza
di ciclotrone è stato abbandonato dallo stesso Zhadin; in parole povere, la risonanza è
un meccanismo della Fisica classica che non può essere usato quando ci si muove in
un ambito quantistico15.
14
Zhadin M.N. & Barnes S.S., Frequency and amplitude windows in the combined
action of DC and low frequency magnetic fields on ion thermal motion in a
macromolecule: theoretical analysis. Bioelectromagnetics 26: 323-330, 2005.
15
L’energia del campo Bac, poiché negli esperimenti  è inferiore a 10 Hz, è inferiore
a EB = h = 6,62610-3410 = 6,62610-33 Js. In eV, EB = 6,62610-33 6,24211018 =
27
4110-15 = 0,04110-12 eV. Vale la pena poi rilevare, a proposito del “paradosso kT ”
che EB << kT , in quanto kT = 0,026 eV; il singolo quanto magnetico non ha l’energia
sufficiente per perturbare il moto ordinato dello ione nel campo elettrico.
5. Le proprietà magnetiche
La principale sostanza ferromagnetica presente negli organismi viventi è
rappresentata dai magnetosomi. Nel XVIII secolo fu avanzata l’ipotesi che il campo
geomagnetico (vedi Fig. 5) potesse essere usato da alcuni uccelli migratori per
orientarsi nella navigazione (vedi Fig. 6).
Fig. 5 La Terra genera un campo magnetico non omogeneo, simile a quello di un
magnete a barra, le cui linee di forza sono approssimativamente orientate verso il
nord geografico; e, quindi, verso il basso nell’emisfero nord e verso l’alto
nell’emisfero sud (tratta da www.windianz.com).
Questa congettura è stata confermata sperimentalmente nella seconda metà degli anni
’60. Attualmente è nota la capacità dei batteri dei fanghi di orientarsi grazie alla
presenza di magnetosomi, cristalli di Fe3O4. E’ assodata l’esistenza di una
magnetosensibilità, dovuta alla presenza di sostanze ferromagnetiche negli organismi
di molluschi, insetti, pesci, uccelli e mammiferi (roditori e delfini). Nell’uomo è stata
evidenziata una magnetosensibilità del sistema endocrino (ghiandola pineale) e del
sistema nervoso.
28
Fig. 6 tratta da www.ks.uiuc.edu 
Le sostanze diamagnetiche, diversamente da quelle ferromagnetiche, non si
magnetizzano anche se sottoposte ad un intenso campo magnetico: nei sistemi viventi
esistono molecole diamagnetiche anisotrope, le quali formando aggregati
macromolecolari acquisiscono la proprietà di orientarsi in presenza di un campo
magnetico; esempio di tali strutture biologiche sono i bastoncelli della retina, gli acidi
nucleici, il doppio strato lipidico della membrana, le proteine di membrana ed altre
ancora.
Nei materiali biologici sono presenti i nuclei di alcune specie chimiche chiamate
isotopi, ovvero che possiedono lo stesso numero di elettroni e di protoni, ma diverso
numero di neutroni, nel nucleo, che presentano deboli proprietà magnetiche; queste
proprietà possono essere ricondotte all’esistenza, fisicamente misurabile, di un
momento magnetico.
I “momenti” sono introdotti in fisica come grandezze idonee a descrivere i moti
rotazionali dei sistemi materiali ed a definire l’energia che compete a tali moti: nel
caso magnetico, è facilmente osservabile che l’ago della bussola, che è un dipolo
magnetico, sottoposto a un campo magnetico B , ad es. quello di una calamita, ruota
sino a diventare parallelo alla direzione del campo.
A questo dato sperimentale corrisponde la seguente descrizione: il campo magnetico
della calamita, B , agisce come un momento torcente M sul momento magnetico m
dell’ “ago della bussola”, facendola ruotare fino ad allinearsi al campo B (Fig.7). Il Il
prodotto vettoriale che definisce l’azione di M : M = m x B avrà intensità massima
quando m e B sono paralleli e concordi; e a questa configurazione corrisponde
l’energia potenziale minima.
Quando i materiali biologici in cui sono presenti nuclei dotati di momento magnetico
(momento magnetico nucleare) sono sottoposti ad un campo magnetico, si otterrà un
comportamento analogo a quello descritto.
m
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F N
r1
O
B
M
r2
S F
Fig. 7 L’ago della bussola è un dipolo magnetico di momento, m, che ha la
direzione e il verso rappresentati in figura: dal polo S a polo N dell’ago. Il campo
magnetico B agisce sull’ago magnetico come una coppia di forze di ugual intensità F.
Il momento torcente M è il momento della coppia. Il momento del dipolo magnetico
è “atipico” perché in generale si definisce momento M di un vettore v il prodotto
vettoriale di r,v : M = r x v , dove r è il vettore che collega l’origine O del sistema di
riferimento con il punto di applicazione di v. Assunto il baricentro dell’ago magnetico
O come origine, il momento M è la somma vettoriale di M1 = r1 x F e M2 = r2 x F.
Ricordando la convenzione della terna levogira adottata nel definire il prodotto
vettoriale, M1 e M2 hanno lo stesso verso oltre che la stessa direzione. L’energia
potenziale, minima, che compete alla configurazione dell’ago parallelo e concorde al
campo, possiamo pensarla come acquisita dall’ago a spese del lavoro fatto da M per
ruotarlo fino a quella posizione.
Se il campo magnetico è quello associato ad un’onda a radiofrequenza il fenomeno
può essere descritto come simile ad una risonanza tra nuclei ed onda, definita
“risonanza magnetica nucleare” (RMN): al variare della frequenza il diverso
comportamento del momento magnetico nucleare, la sua “risposta”, fornirà
informazioni sul materiale biologico.
Questo tipo di spettroscopia è ampiamente utilizzato come applicazione dei campi
magnetici nella medicina diagnostica.
Oltre a questo tipo di interazioni, occorre tenere conto che, se la radiazione
elettromagnetica possiede energia sufficiente, può agire sul potenziale di membrana
delle cellule eccitabili e indurre potenziali d’azione i quali si traducono in azioni sul
tessuto muscolare e nervoso.
L’ esempio di Fig.7 ha un valore assai più generale: infatti, tutte le evoluzioni
naturali, i passaggi da stato a stato, tendono allo stato di energia potenziale minima.
La Natura ha quindi una sua teleologia verso le configurazioni di minimo? Per
rispondere basta ricordare, come ci insegna la Meccanica Statistica di Boltzmann che
le configurazioni di energia potenziale minima sono quelle di equilibrio stabile, cioè
quelle che possono essere realizzate nel maggior numero di modi possibili. Sono
30
quindi quelle più probabili, e, secondo la sua celebre formula, anche quelle di
massima entropia S :
S = k · ln П ,
dove ln è il logaritmo naturale (in base e). Ritroviamo allora quel che è racchiuso
nella relazione di Boltzmann, cioè che le evoluzioni naturali avvengono con passaggi
verso un disordine crescente (S cresce) fino all’equilibrio. I passaggi inversi dal più al
meno disordinato, se lasciati alla Natura, sono più improbabili; per vincere il
disordine e costruire stati più ordinati occorre lavoro, ad esempio la “fatica” – basta
ricordare che a energia potenziale minima corrisponde il massimo del lavoro – che
dovrà fare M per ruotare l’ago della bussola dalla sua posizione di allineamento con il
campo magnetico a un’altra diversa e più peculiare .
Insomma, sarebbe stolto attribuire alla Natura intenzionalità, i suoi processi sono
governati dai percorsi verso gli stati di maggior probabilità, più disordinati. Anche la
Natura ammette “isole di ordine”, sono quelle conquistate con il lavoro delle forze
che costruiscono passo a passo sistemi ordinati sempre più complessi, dalle molecole
di Idrogeno, Carbonio, Ossigeno e Azoto alle molecole organiche, al vivente. Questa
non è solo la storia della vita sulla Terra, è la storia di ogni vita. Quando le forze che
hanno promosso il passaggio dall’indifferenziato al differenziato, a quella precisa
forma di vita, si indeboliscono e perdono a poco a poco la capacità di tenere insieme i
componenti nella loro forma, quella e le sue funzioni degradano in un ritorno
all’indifferenziato, allo stato più probabile: l’equilibrio, cioè la morte.
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