leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri http://www.10righedailibri.it I edizione Arcana: 2011 © 2011 Arcana Edizioni Srl Via Isonzo 34, Roma Tutti i diritti riservati Cover: Laura Oliva La presente opera di saggistica è rivolta all’analisi e alla promozione di autori e opere di ingegno. Si avvale dell’articolo 70, 1° e 3° comma, del Codice Civile circa le utilizzazioni libere, nonché dell’articolo 10 della Convenzione di Berna. ISBN: 978-88-6231-175-5 www.arcanaedizioni.com HAMILTON SANTIÀ OASIS. BE MYSELF. TESTI COMMENTATI OASIS [Manchester agosto 1991] Ecco cosa fai. Prendi la chitarra, scopiazzi canzoni da un po’ di gente, le cambi un po’, metti tuo fratello nella band, gli tiri pugni in testa ogni momento… e (la cosa) vende. – NOEL GALLAGHER Gli Oasis sono dei ragazzi veramente simpatici. – DAMON ALBARN Sono uno scherzo, no? È solo un mucchio di gente della media borghesia che applaude un gruppo di tizi che si comportano da stupidi e scrivono musica veramente primitiva. – THOM YORKE Dio ha suonato a Knebworth di recente? – NOEL GALLAGHER Gli Oasis? Se ci fosse stato qualcuno di un’altra casa discografica se ne sarebbe semplicemente andato. Ne sono convinto. Penso che nessun altro avrebbe capito. Lui l’ha capito subito. E questo è Alan McGee. – JEFF BARRETT Sapevo che gli Oasis erano la rivoluzione, ma non immaginavo che la cosa sarebbe diventata così grande. – ALAN MCGEE Noel! Vivremo per sempre! – BOBBY GILLESPIE Per certo, anche il mondo che gira attorno agli Oasis è cambiato, e non sarà mai più lo stesso; nessuno di loro potrà mai più tornare indietro: sono partiti, sono fuggiti nei propri sogni e li hanno resi realtà. Che si può fare più di questo? – PAOLO HEWITT Tutte quelle parole, come Champagne Supernova, non volevano dire assolutamente nulla… Puoi riflettere su quelle parole per i prossimi 500 anni ma continueranno a non voler dire nulla. – NOEL GALLAGHER Siamo ancora la miglior band del mondo, almeno finché lo dirò io… capito? – LIAM GALLAGHER SOMMARIO. Introduzione DEFINITELY MAYBE Intermezzo #1 (WHAT’S THE STORY) MORNING GLORY? Intermezzo #2 BE HERE NOW Intermezzo #3 STANDING ON THE SHOUDLER OF GIANTS Intermezzo #4 HEATHEN CHEMISTRY Intermezzo #5 DON’T BELIEVE THE TRUTH Intermezzo #6 DIG OUT YOUR SOUL Intermezzo #7 THE MASTERPLAN 12 17 65 69 115 119 171 175 213 219 255 261 301 305 339 345 Note Bibliografia Keyword Ringraziamenti 388 395 397 398 BE MYSELF. INTRO. Mentre mi apprestavo a finire questo libro, i Beady Eye – la nuova band di Liam Gallagher – hanno pubblicato il loro primo singolo. Una canzone che, con tutti i suoi limiti, ha subito acceso un ampio dibattito. Segno che gli Oasis sono ancora attuali. Segno che quello che hanno fatto è ancora attuale. Non sono molte le band capaci di dividere in maniera tanto netta e appassionare così acriticamente milioni di fan in giro per il mondo. Non è questione di prendere una posizione o cercare una via di mezzo tra esaltazione aprioristica (mad fer it, come si chiamavano i fan dei Gallagher) e chi invece crede che si sia trattato solo di un abbaglio collettivo: quel che conta è cercare di capire cosa sono stati gli Oasis e come sono riusciti a diventare ciò che sono diventati. Probabilmente, tutte le riflessioni possono essere raccolte in un’unica frase: la band giusta al momento giusto. Non si tratta di raccontare la storia di un gruppo di enormi qualità ma incapace di svincolarsi dall’identità fortissima con la natìa Inghilterra; questo, piuttosto, è un 12 INTRO gruppo con qualche stilla di talento e tanta voglia di lavorare per un obiettivo che rappresenti al meglio un sentimento condiviso prima in tutta l’Europa, poi tutto il mondo. Ricordo ancora il mio primo impatto con il gruppo. Ero in Inghilterra per una di quelle vacanze-studio che si organizzano d’estate per i ragazzi delle scuole medie. Stavamo entrando a Londra e notai delle isole in mezzo al Tamigi piene di edifici in rovina: uno di questi scheletri era la centrale del gas di Beckton. Stava in Full Metal Jacket, ma per me era il luogo dove gli Oasis avevano girato il video di D’You Know What I Mean, una canzone che aveva avuto su di me un impatto devastante. Quell’epica, quelle chitarre, quella sensazione di incosciente onnipotenza, furono un nuovo inizio: lasciai da parte gli ascolti musicali “da fase orale” per buttarmi a capofitto in un universo di sensazioni che mi sembravano nuove, inedite, importanti. Ma non è solo un’epifania personale. Gli Oasis hanno rappresentato la punta di diamante di una fase di transizione ben più considerevole: l’uscita dell’Inghilterra dal thatcherismo, il delicato travaglio verso una nuova era (quella che negli Stati Uniti avrebbero chiamato “nuovo individualismo” e che in Inghilterra definiranno semplicemente “New Labour”) maturata anche grazie a una nuova renaissance che sbocciava sul terreno fertilizzato – non senza difficoltà e sfruttando da un lato il fuoco rivoluzionario “punk”, dall’altro la furia politica antigovernativa – dai vari Hanif Kureishi e Stephen Frears, Derek Jarman e gli Smiths, Alan McGee e Geoff Travis. Se a caldo si parlava di Brit Pop, più in là si comincerà a dire Cool Britannia. Un movimento di grande fermento artistico e culturale capace di scuotere il Paese dalle fondamenta, non limitandosi solo alle classi popolari o alle élite culturali. Forse non tutti coloro che sono stati all’Hacienda o a Spike Island a vedere gli Stone Roses hanno preso in mano una chitarra (tanto per parafrase la famosa massima sui Velvet Underground), ma si sono resi conto di poter essere “parte” di qualcosa, un nuovo modo di intendere che stava crescendo tra il pulsare neo-psichedelico della Acid House e le distorsioni dello shoegaze: in coda, come tutti, a 13 BE MYSELF prendere il sussidio, ma con la speranza di un mondo migliore. Aveva ragione Mike Leigh: il suo sguardo al futuro che chiude High Hopes, proprio rivolto verso quella zona di Londra dominata dai gasdotti, si spingeva oltre la piccola realtà di precarietà, malessere e disagio della working class di quegli anni. Guardava a quello che si stava cercando di costruire. A quell’underworld artistico che aspettava solo l’occasione di uscire fuori. Non è richiesto considerare i testi degli Oasis per cercare rivelazioni estetiche o apprezzare costruzioni di poesia trascendentale. Noel Gallagher non è un poeta laureato, non legge Withman né si reca sulla tomba di Marx discettando di utopia e socialismo. Eppure, nell’elementare semplicità della sua produzione, è stato capace di raccogliere l’umore di quel mondo, descrivere alla perfezione quella generazione che aspettava solo un big bang a caso. Le sue canzoni sono diventate dei successi intercontinentali proprio perché, come l’Inghilterra stava fuggendo dagli anni Ottanta, tutto il mondo cercava di reagire a quel decennio edonista e fondamentalmente assuefatto al capitalismo. DEFINITELY MAYBE è l’album dell’incoscienza: l’esplosione furiosa che fa tesoro degli anni di apprendistato, esperienze tradotte in canzoni sparate con l’impeto di un Malcolm McDowell. Rock’n’Roll Star, Supersonic, Live Forever: ideologia di una generazione che desidera alzare la testa, lasciarsi dietro la polvere delle metropoli industriali ed entrare in una nuova fase. (WHAT’S THE STORY) MORNING GLORY? è la presa di coscienza: i tempi sono finalmente maturi, il futuro è arrivato, l’Inghilterra ce l’ha fatta. Londra è di nuovo il centro del mondo. Musica. Moda. Letteratura. Arte. Calcio (non a caso, terminata la squalifica delle squadre inglesi dalle competizioni europee per i fatti dell’Heysel, la Premier League diventa il campionato più avvincente e seguito del mondo). Un nuovo uragano, un nuovo swing, con i ragazzi che non cantano più She Loves You ma Don’t Look Back In Anger, Wonderwall e Champagne Supernova. Da lì all’evento politico il passo è breve: i giovani inglesi hanno ritrovato la gioia di vivere e sperano in un cambiamento, rappresentato da Tony Blair (“Tutti l’hanno votato. Non era un politico, 14 INTRO era una moda”. Robert Harris, Il ghost writer, Mondadori, Milano, 2007). Un’elezione su cui gli Oasis hanno indirettamente influito in quanto massimi esponenti di una new wave progressista capace di rinnovare gli stanchi meccanismi dell’impero, farsi forti degli stessi simboli nazionali e caricarli di un nuovo significato (vedi l’uso della Union Jack). Ascesa vertiginosa e altrettanto rovinosa caduta. BE HERE NOW, o dell’onnipotenza. È appena il 1997 e sembra già tutto finito. STANDING ON THE SHOULDER OF GIANTS, o della bussola che non c’è. HEATHEN CHEMISTRY come punto più basso: vero funerale di un cambiamento “monco”, di una corsa che, esaurito l’entusiasmo iniziale, ha mostrato un serbatoio poco capiente. I Radiohead hanno cambiato il pop, i Blur hanno cercato di allargare i loro confini, gli Oasis non sono riusciti a riconfermare il proprio ruolo occupato negli anni Novanta e rappresentano quindi un paranoico cambio di atteggiamento nei confronti del futuro. Dal “nuovo individualismo” alla “solitudine del cittadino globale”, ben rappresentata dal cambio radicale della politica ex-progressista di Blair (“Non mi interessa la politica, non mi ispira. Sono cresciuto con i laburisti all’opposizione, combattevano per i disoccupati. Sentivi i loro discorsi su salari minimi, scuola, sanità e gli davi ragione. Li ho votati per anni. Poi quando sono andati al governo li ho conosciuti e ho scoperto che sono come tutti gli altri. È come scoprire che non esiste Babbo Natale. Non erano il cambiamento. E io non voterò più”, Noel nel 2003). E infine la nuova e ridimensionata rinascita: DON’T BELIEVE THE TRUTH e DIG OUT YOUR SOUL. Un colpo di coda prima di morire come dei grandi che per qualche anno hanno avuto il mondo in mano proprio perché sono stati in grado di riconoscerlo e ricostruirlo. Nelle pagine che seguono, le canzoni verranno analizzate tenendo conto di questo approccio. So bene che gli Oasis non sono gli Smiths e che la valenza poetica di Noel Gallagher non sfiora nemmeno quella di Morrissey. Ma il discorso è un altro. Nelle pieghe di queste canzoni c’era (c’è ancora?) un universo in espansione. Un messaggio che è stato colto. Che ha toccato, 15 BE MYSELF allo stesso modo, un ragazzo in viaggio studio, un liceale che cercava di tirare su due sterline per la birra del sabato sera, un americano che non sapeva che fare della sua vita, e così via. Chi è passato “attraverso” gli Oasis non è rimasto fermo. È cresciuto, ha fatto tesoro di quel cambiamento che si predicava così nervosamente ed è passato ad altri ascolti, altri mondi, altri modi di intendere la musica. Ma sono certo che sarà in grado di ricordare perfettamente come quelle strofe, quei giri di accordi, quegli assoli e quei ritornelli urlati a squarciagola hanno indotto una crescita personale. Bastano i primi secondi di Wonderwall. Di D’You Know What I Mean. Di Slide Away. Di quel brano, qualunque esso sia, che in un imprecisato “ognidove” tra il 1994 e il 1997 ha contribuito, nel proprio piccolo, a cambiargli la vita. (Dicembre 2010) 16 DEFINITELY MAYBE. ROCK’N’ROLL STAR Un gruppo di ragazzi del Nord che inizia a suonare rock’n’roll e riesce a farsi mettere sotto contratto da una delle più importanti etichette indipendenti del mondo, la Creation Records, non può permettersi di sbagliare l’apertura del primo disco. Noel Gallagher gode della fiducia incondizionata di Alan McGee – che li avrebbe comunque messi sotto contratto senza nemmeno aver dato un ascolto al demo1 – e sa di non poter bruciare un’occasione del genere. Troppo furbo. Troppo appassionato di musica. La sicurezza nei propri mezzi, qualità che non mancherà mai al leader degli Oasis, unita alla faccia tosta che assieme al fratello mostra in pubblico, porterà Noel a concepire la solita canzone escapista che idealizza la fuga, la giovinezza e la sfrontatezza e a renderla irresistibile al punto da farla diventare una delle più rappresentative della sua produzione. I live my life in the city There’s no easy way out The day’s moving just too fast for me 18 DEFINITELY MAYBE I need some time in the sunshine Gotta slow it right down Vivo nella città E non c’è facile via d’uscita I giorni si muovono troppo velocemente per me Ho bisogno di passare del tempo alla luce del sole Di rallentare un po’ …passare del tempo alla luce del sole, mettere il naso fuori dai confini della grigia e operaia Manchester per vedere che cosa succede in un mondo che, pur muovendosi troppo velocemente, rappresenta la dimensione adatta di chi si sente soffocato in un luogo le cui uniche occupazioni possono essere farsi, rubare e andare a vedere una partita di calcio2. Per Liam Gallagher, Manchester è: La città più provinciale di tutto il fottuto pianeta: un sacco di nostri concittadini considerano gli Oasis un gruppo di stronzi solo per il fatto che abbiamo cominciato a suonare fuori città e perché abbiamo un batterista originario di Londra […] Bevo, fumo e sniffo. Se cresci in una città come Manchester o ti tieni alto il morale in questa maniera oppure vieni preso dalla depressione e finisci per spararti un colpo in testa!3 Non male per essere la città dei Joy Division, dei Fall di Mark E. Smith, degli Smiths, degli Stone Roses e di Tony Wilson, l’uomo che aveva cercato di re-inventarla prima con la Factory Records, poi con la Hacienda4. Rock’n’Roll Star è il manifesto della band. Cinque ragazzi malvestiti, fatti fino al collo, con un’istruzione sommaria e la fedina penale non certo brillante che urlano non tanto di voler diventare qualcuno, ma di essere destinati a diventarlo. Non siamo nel mondo delle possibilità, non è quel grande forse suggerito dal titolo dell’album quanto il loro destino. L’ordine naturale delle cose. 19 BE MYSELF I live my life for the stars that shine People say: “It’s just a waste of time” When they said: “I should feed my head” That to me was just a day in bed I’ll take my car and drive real far They’re not concerned about the way we are In my mind my dreams are real Now you concerned about the way I feel Tonight I’m a rock’n’roll star Vivo per le stelle che splendono La gente dice che è solo una perdita di tempo Quando mi dicono di imparare qualcosa Per me è solo un altro giorno a letto Prenderò la macchina e guiderò molto lontano Dove a nessuno interessa chi siamo Nella mia mente i miei sogni sono veri Ora capisci come mi sento Stasera sono una rockstar L’elemento veramente interessante e ambiguo, nel bridge, è quel “feed your head”. Da un lato può essere una rivendicazione di status sociale: gli Oasis sono ragazzi della classe operaia cui non interessa studiare per cambiare la loro condizione. Non è quella la strada e loro sono comunque fieri di essere “puri” e “normali”. Ma dall’altro può essere un riferimento a White Rabbit dei Jefferson Airplane, canzone che Noel sicuramente conosce in quanto grande appassionato di musica degli anni Sessanta. In questo caso, la frase diventa un’esortazione ironica perché detta da non meglio citati “benpensanti” di Manchester a una banda di ragazzini che non faceva altro che drogarsi (non a caso, in Champagne Supernova spunterà l’interrogativo: “Where were you while we were gettin’ high?”). Ma questo non deve sviare dalla strada maestra, quella da percorrere per scappare da Manchester. Se per Liam l’unica soluzione è stonarsi, Noel non la vede tanto diversamente. Non appe20 DEFINITELY MAYBE na ne ha l’occasione, infatti, il leader della band comincia a fare il pendolare spostandosi a Londra – dove il glasvegiano Alan McGee ha aperto gli uffici della Creation – prima di trasferirvisi definitivamente dopo la pubblicazione del disco: “Me ne sono andato da Manchester non appena ho potuto. Là tutti cercano sempre di trovare qualcosa di sbagliato in quello che fai. Se ti chiedono di offrirgli da bere e non lo fai, dicono che sei un tirchio. Se lo fai, dicono che sei un bastardo. Non hai via d’uscita”5. Ma tutta questa insofferenza, dicevamo, non si traduce nel rinnegare le proprie radici. Anzi. Noel e Liam saranno sempre fieri di appartenere alla classe operaia di Manchester. Quello che non sopportano è la dimensione provinciale e il moralismo di chi finge di essere qualcos’altro (e, nella visione dei fratelli, con tutta probabilità tifa per il Manchester United): “Certo che siamo dei casinisti! In un certo senso per noi questa è una missione, perché noi rappresentiamo la gente di Manchester, gente che ha la fama di essere casinista, violenta e attaccabrighe, e non saremo noi a rinnegare questa bella tradizione”6. Rock’n’Roll Star diventa quindi un cavallo di battaglia soprattutto per quanto riguarda le esibizioni live. È un brano che cerca di creare un senso di consapevolezza, quasi a dire che i ragazzi sul palco hanno gli stessi sogni, le stesse aspirazioni e le stesse frustrazioni dei giovani che li guardano in platea. Non a caso, Noel Gallagher ha più volte affermato che questa canzone è una delle poche in cui ha voluto veramente dire qualcosa di importante. Quello che in realtà sembra essere un vecchio stereotipo ammuffito (prendi, parti, lasciati tutto alle spalle, segui la tua strada) viene riproposto sotto una nuova prospettiva. Tornano le chitarre elettriche, tornano i riff pesanti e l’insolenza. Se per Alan McGee la miscela degli Oasis è un misto di punk-rock e psichedelia, per Noel la questione si risolve tutta nel verso che Liam ripete ossessivamente sotto la coltre di feedback finale. It’s just rock’n’roll È solo rock’n’roll 21 SHAKERMAKER Secondo singolo (esce il 13 giugno 1994, un paio di mesi prima di DEFINITELY MAYBE), nonché prima canzone suonata dal vivo a Top Of The Pops, Shakermaker suggerisce quello che McGee intende per mix di punk-rock e psichedelia. La canzone prosegue con una certa monotonia e senza particolari stacchi per cinque minuti. La ritmica è inflessibile. La chitarra solista di Noel disegna arpeggi che rimandano direttamente a Flying, strumentale dei Beatles incluso in MAGICAL MISTERY TOUR. La componente psichedelica è gonfiata da un testo senza senso, fatto di successioni irrazionali di immagini prese qua e là dalla vita di tutti i giorni. Chi vuole trovare un significato alle parole di Shakermaker, però, rischia di rimanere deluso perché lo stesso autore ha dichiarato più volte che non parla di niente, che il testo è fatto di scene osservate andando in giro e che è stato concluso in fretta e furia su pressione di Liam. I’d like to be somebody else and not know where I’ve been I’d like to build myself a house out of plasticane 22 DEFINITELY MAYBE Shake along with me I’ve been driving in my car with my friend Mr. Soft Mr. Clean and Mr. Ben are living in my loft Vorrei essere qualcun altro e non sapere dove sono stato Vorrei costruirmi una casa di plastilina Trema con me Ho guidato la mia macchina con il mio amico Mr. Soft Mr. Clean e Mr. Ben stan vivendo nel mio appartamento In realtà la canzone è piena di rimandi all’infanzia di Noel. Lo shaker maker, ad esempio, era un gioco per bambini in voga negli anni Settanta che permetteva di “creare” dei pupazzi, per cui Noel andava pazzo7. Mr. Clean è il nome di un detergente (oltre che una canzone dei Jam, uno dei gruppi preferiti di Noel), mentre Mr. Ben è una marca di salse da cucina. Mr. Sifter sold me songs When I was just sixteen Now he stops at traffic lights But only when they’re green Mr. Sifter mi vende canzoni Da quando ho sedici anni Ora si ferma ai semafori Ma solo quando sono verdi Mr. Sifter è Sifter Records, un negozio di dischi di Manchester dove i Gallagher erano soliti comprare dischi e parlare di musica con il proprietario Peter Howard. La seconda parte della strofa, invece, non ha nessun riferimento biografico particolare se non il fatto di essere stata scritta sul retro di un taxi proprio alla fermata di un semaforo. Non si può certo dire che Noel Gallagher pecchi di modestia dichiarando che la canzone non parla di niente. La musica, invece, dice tutt’altro. La melodia e l’attacco della canzone (“I’d 23 BE MYSELF like to…”) sono un calco svergognato della celeberrima I’d Like To Teach The World To Sing, canzone dei New Seekers diventata famosa in tutto il mondo grazie alla pubblicità della CocaCola. Questo plagio può essere parzialmente giustificato dal fatto che la melodia, così popolare negli anni Settanta, sia inconsapevolmente entrata in testa a Noel8. Ma perché perdere l’occasione di far parlare di sé? Dopo essersi resi conto della somiglianza, gli Oasis hanno cominciato a far circolare voci sull’esistenza di una versione della canzone il cui verso iniziale recitava I’d like to but the world some coke (inutile rimarcare il doppio senso) beccandosi minacce di azioni legali da parte della potente corporation. La reazione di Noel, in vero spirito New Mancunian, non era certo conciliante: “Magari perderemo metà delle royalties, ma chi se ne fotte. Se qualcuno in giacca e cravatta pensa di potersene venire fuori a dirci che dobbiamo cambiare una canzone che suoniamo ormai da due anni, è pazzo”9. Questa controversia si è rivelata poi falsa proprio perché la band non aveva mai inciso una versione del brano con il verso incriminato. Noel aveva manipolato la stampa – e, in particolare, il «New Musical Express» – per creare scalpore e accrescere la curiosità nei confronti del nuovo singolo. L’elemento autobiografico della canzone è esplicitato dal video (diretto da Mark Szaszy). Mentre la band si esibisce nel giardino sul retro di una casa tipicamente mancuniana – secondo alcune fonti si tratta dell’abitazione di Bonehead, il secondo chitarrista della band, secondo altre è invece il retro della casa in cui i Gallagher si erano spostati dopo la nascita di Liam10 – vengono mostrate immagini di loro che giocano a calcio nello stesso parco in cui, da ragazzi, trascorrevano pomeriggi rincorrendo (o meglio, cercando di, visto che i Gallagher già ai tempi erano fervidi fumatori non certo attenti alla propria resistenza atletica) un pallone. A un certo punto, si vede Liam brandire una copia di Red Rose Speedway di Paul McCartney proprio nel negozio Sifter Records mentre per pochi secondi viene mostrato un filmato amatoriale di Noel all’età di sei anni. 24 DEFINITELY MAYBE Si continua quindi sul canovaccio della fuga, rafforzando l’atmosfera escapista e post-adolescenziale che permea tutto DEFINITELY MAYBE. Del resto, il “disco dell’incoscienza” non può prescindere da brani come questo, che sembra essere stato scritto perché c’era bisogno di una canzone pronta per le prove della band. 25 LIVE FOREVER Canzone simbolo non solo della band, ma di un’intera generazione di fan – che l’hanno votata in massa fino a farla eleggere, nel 2006, la più grande canzone di tutti i tempi sulle pagine di «Q Magazine» – Live Forever si impone da subito come un classico. Quando Noel comincia a farla ascoltare, tutti hanno la stessa reazione: sconfinata ammirazione. Pare che proprio dopo aver sentito una versione embrionale di questo pezzo, nel 1991, Liam chiese per la prima volta al fratello di entrare nella sua band. Quando McGee ebbe il demo, non poté fare a meno di telefonare all’autore dall’altra parte del mondo (era in vacanza alle Hawaii, in quel momento la Creation andava decisamente forte) per dirgli quanto fosse entusiasta della canzone. Nel recensire il brano, John Mulvey dell’«NME» scrisse: “Si ha l’impressione che i Gallagher credano di poter far girare il mondo a proprio piacimento – cosa che oggigiorno possono fare”11. Insomma, non si pecca di indulgenza nel considerare Live Forever uno dei momenti fondamentali della musica degli anni 26 DEFINITELY MAYBE Novanta. Gli addetti ai lavori e il pubblico cominciarono a prendere sul serio gli Oasis anche come autori di canzoni. Non a caso, questo fu il loro primo singolo a entrare nella Top 10. La genesi del pezzo dimostra come Noel fosse in grado di prendere ispirazione da qualunque cosa in qualsiasi momento. Costretto a letto per un infortunio sul lavoro – si era rotto il piede mentre lavorava per una ditta di costruzioni – una sera si ritrovò a suonare la chitarra sopra EXILE ON MAIN STREET dei Rolling Stones12. Arrivato a Shine A Light rimase colpito dal modo in cui Mick Jagger cantava la parola maybe. Il resto è storia: […] chissà perché, la parola gli rimase particolarmente in testa: prese la chitarra e cominciò a suonare alcuni accordi, ripetendola più e più volte. Quindi scoprì che se lasciava una pausa tra due accordi e inseriva la parola magari proprio in quello spazio, ne veniva fuori qualcosa di buono. Ecco come Noel compose Live Forever, la sua prima canzone destinata a diventare un classico, ed ecco come scoprì di essere non solo un autore di indiscusso talento, ma che adesso poteva finalmente prendersi sul serio; in occasione di tutti i suoi precedenti tentativi compositivi, era stato abbastanza onesto e intelligente da rendersi conto di non avere ancora raggiunto quello standard che cercava e si aspettava, di raggiungere. Composta Live Forever, ebbe la certezza di avere un futuro. Era una sensazione strana, che non aveva mai provato in vita sua13. Quella parola, quel maybe che ormai nella musica pop rimanda a Live Forever, è presente all’inizio di ogni strofa e ogni ritornello (anche se, tecnicamente, non esiste nessun ritornello: il giro è pressoché identico, così come l’andamento e la struttura, c’è solo un sovrapporsi di strumenti e di cantato – come il falsetto di Noel che si unisce per cantare il titolo della canzone). È il filo conduttore. È la curiosa incertezza in una canzone che dichiara la granitica convinzione di vivere per sempre, scavalcare le barriere, andare oltre. Quel maybe suona come un piccolo e ironico Grillo Parlante, un’inevitabile presa di coscienza sul fare i conti con la realtà. Partire dalla realtà. 27 BE MYSELF Maybe I don’t really want to know How your garden grows cos I just want to fly Lately did you ever feel the pain In the morning rain as it soaks it to the bone? Forse non voglio veramente sapere Come cresce il tuo giardino, perché io voglio solo volare Ultimamente hai mai avvertito il dolore Nella pioggia del mattino che ti bagna fino alle ossa? Il brano, una ballata piena d’ottimismo che si contrappone al nichilismo grunge per ammissione dello stesso autore (che l’ha scritta in parziale contraddizione al brano dei Nirvana I Hate Myself And I Want To Die), si apre con una dedica a Peggy Gallagher, madre dei due fratelli. Il giardino infatti, era il luogo in cui la donna si rifugiava e in cui riusciva a trovare la pace dalla travagliata relazione con Thomas Gallagher14. Quest’ultimo, infatti, non solo non si faceva mai vedere, attardandosi nei pub e con altre donne senza dar mai il becco d’un quattrino per mandare avanti la baracca (costringendo così Peggy a trovarsi un lavoro e lasciare solo per parecchio il tempo l’ultimo nato Liam), ma quando era in casa picchiava figli e moglie. Dalla testimonianza di Peggy Gallagher: Ce l’aveva con Noel, non c’è dubbio. Non so perché; forse perché era molto più affezionato a me. Comunque, neanche Paul e Liam venivano trattati coi guanti; se c’era uno pronto a rendergli la pariglia, quello era proprio Liam: se ne stava là e tu potevi leggergli in faccia Non osare toccare mia madre. Noel, però… insomma, era quello che veniva trattato peggio di tutti. […] Ricorderò sempre che un giorno mi disse: “Non appena sarò in grado di rendergliele, mamma, ti giuro che lo ammazzo di botte”. Una sera suo padre gliene dette tante e poi tante. Non ricordo perché, forse perché, prima di uscire, Thomas gli aveva detto: “Alle nove a casa”. Noel era una testa dura e lo faceva apposta a tornare a casa più tardi, oppure, anche se tornava puntuale, aspettava fuori 28 DEFINITELY MAYBE casa finché suo padre non era uscito. Comunque, non era l’entità del ritardo a essere importante: anche se tardava solo di cinque minuti, le buscava comunque, e non era un semplice ceffone, ma autentici pestaggi, schiaffi, pugni, calci, che gli mollava senza battere ciglio. Ovviamente, sfogava su di noi i sensi di colpa che aveva per quello che faceva fuori casa. Gli dissi per anni: “Perché non te ne vai di casa?”. Ti giuro che se lo avesse fatto, probabilmente i suoi figli un briciolo di rispetto per lui l’avrebbero avuto; invece non se ne andava preferendo restare a terrorizzarli […]15. E ancora: Ovunque andassi, veniva anche Liam, che così vedeva che suo padre mi picchiava. Quando arrivava, Noel diceva: “Che ti è successo, mamma? Come te lo sei fatto quell’occhio nero?”, e io rispondevo: “Oh, niente, ho sbattuto contro una porta”. Cercavo di mascherare la cosa, capisci, ma era chiaro che Noel sapeva cos’era accaduto. E anche Paul16. Vista quindi la rabbia per la propria condizione, Noel sognava una vita migliore e di raggiungerla attraverso la musica. Per questo si dichiarava lontano all’autocommiserazione grunge. Lui non voleva morire, ma vivere per sempre e fare musica tutta la vita. Maybe I just want to fly I want to live I don’t want to die Maybe I just want to breath Maybe I just don’t believe Maybe you’re the same as me We see things they’ll never see You and I are gonna live forever Forse io voglio solo volare Voglio vivere, non voglio morire Forse voglio solo respirare Forse io semplicemente non ci credo Forse io e te siamo uguali 29 BE MYSELF Vediamo cose che gli altri non vedranno mai Tu e io vivremo per sempre Il ritornello agisce su due livelli. Alla classica retorica rock del “noi contro loro” (We see things they’ll never see) si unisce questo slogan corale, questa sensazione di immortalità, questa ventata di ottimismo che non solo cerca di creare un contatto con l’ascoltatore (diversamente da altre canzoni di DEFINITELY MAYBE in cui, come vedremo e abbiamo visto, il testo è un puro accessorio), ma di indurlo a pensare che sì, alla fine tutto è possibile. E grazie alla musica. Come dichiara Liam: “Volevo una band in grado di suonare musica capace di mandarti fuori di testa senza drogarti”. E non a caso, Paolo Hewitt riporta un episodio in cui un drogato DOC come Bobby Gillespie dei Primal Scream usa il titolo della canzone degli Oasis come slogan per accomiatarsi dai fratelli dopo che la sua bodyguard personale l’ha portato via da un after-party particolarmente turbolento17. Noel stesso dichiara che Live Forever è stato il primo brano serio che abbia scritto. “[…] i primi due singoli degli Oasis avevano fatto intuire che sarebbe potuto accadere qualcosa di speciale, Live Forever fu l’inconfutabile prova che qualcosa era accaduto: in pratica, si trattò di un disco storico”18. Maybe I will never be All the things that I want to be But now is not the time to cry Now’s the time to find out why I think you’re the same as me We see things they’ll never see You and I are gonna live forever Forse non sarò Tutto quello che voglio essere Ma non è il momento di piangere Ora è il momento di capire perché Penso che tu sia come me 30 DEFINITELY MAYBE Vediamo cose che loro non vedranno mai Tu e io vivremo per sempre Noel prende le distanze da un certo tipo di attitudine. Forse non riuscirà a realizzare tutti i suoi sogni, forse resterà con un pugno di mosche in mano ma già solo il fatto di provarci, di avere un contatto con qualcosa di diverso da “loro”, essere in grado di scegliere di fare musica, scrivere canzoni per persone che, come lui, non si accontentano di campare col sussidio e accettare lavoretti saltuari giusto per dimostrare ai propri vecchi di non essere dei falliti, lo rende felice. Ma il fatto che Noel prenda le distanze dal grunge non vuol dire che non lo apprezzi. Anzi. Pur non amando in senso assoluto il guitar rock americano, l’autore degli Oasis stima moltissimo Kurt Cobain come scrittore di canzoni pop. Il suo sconcerto riguarda solo il coté autodistruttivo e autolesionista. Noel non scriverebbe mai un pezzo sul fatto di odiare se stessi e di volersi uccidere, semmai scriverebbe di quanto è bello comporre pezzi da far cantare a migliaia di persone e guadagnare un sacco di soldi. Per Noel, la musica è una via per scappare da Manchester e farsi una nuova vita, non un modo per vomitare bile e frustrazioni. A chiusura del cerchio, il giorno in cui Cobain decise di spararsi, gli Oasis si stavano esibendo dal vivo e Noel ritenne doveroso tributare al leader dei Nirvana un giusto omaggio dedicandogli proprio Live Forever. 31 UP IN THE SKY La sfortuna di una canzone può dipendere anche da come è posizionata in scaletta. Nick Hornby, attraverso il suo alter-ego Rob Fleming in Alta Fedeltà, stila una lista di regole per l’allestimento di una perfetta compilation che possiamo applicare anche agli album originali. È giusto che un brano come Live Forever sia in terza posizione. Dopo due brani che caricano e preparano l’atmosfera, l’esplosione epica di un singolo potenzialmente (ai tempi) generazionale risulta avere un impatto maggiore. Ma che ne è di quello che viene subito dopo? Non ha senso mostrare subito gli altri assi (come Supersonic – tra l’altro già pubblicato come 7” – Bring It On Down e Slide Away) e allora ecco un brano interlocutorio, minore, che non ha mai avuto troppa fortuna e non viene mai citato nei sondaggi dei fan. Up In The Sky. Hey you! Up in the sky Learning to fly 32 DEFINITELY MAYBE Tell me how high Do you think you’ll go Before you start falling Hey you! Up in a tree You wanna be me But that couldn’t be Cos the people here they don’t hear you calling How does it feel when you’re inside me? Ehi tu, lassù nel cielo Che stai imparando a volare Dimmi quanto in alto pensi di poter andare Prima di cominciare a cadere Ehi tu, là sull’albero Vorresti essere me Ma questo non può succedere Perché le persone qui non sentono che le stai chiamando Come ti senti quando sei dentro di me? Liam canta un robusto rock’n’roll in 4/4 scritto da Noel che si ispira alle cose di cui sembra essere convinto in quei giorni. Gli Oasis sono destinati ad avere successo e a suscitare le invidie della gente, soprattutto di Manchester. Gente che vorrebbe essere al loro posto senza riuscirci, gente che per quanto possa andare in alto, è destinata a cadere proprio perché cadere è nel loro destino. Non sono destinati al successo, a differenza dei fratelli Gallagher che non solo vivranno per sempre, ma diventeranno le più grandi rockstar del mondo. Ricordando la sera in cui ha ingaggiato la band, Alan Mc Gee dice di Liam Gallagher: “Ti guardavi in giro e ti fissavi su questo tizio – questo succedeva prima che la roba sportiva diventasse una fottuta moda – che se ne stava seduto in Adidas come un giovane Weller, capito, e non potevi fare a meno di pensare: ‘Questo tipo è maledettamente figo’”19. E questo prima ancora di sentirli suonare. 33 BE MYSELF Hey you! Wearing the crown Making no sound I heard you feel down Well that’s too bad Welcome to my world Ehi tu, che ti metti la corona Senza fare rumore Mi han detto che ti senti giù Be’, male Benvenuto nel mio mondo È una pressione a cui devi resistere. Ti può stritolare e gli Oasis stanno cominciando a sentirlo. I tour per la promozione di DEFINITELY MAYBE sono massacranti e acuiscono il lato riottoso della ghenga. È in quelle occasioni che nasce la fama privata dei Gallagher: due bastardi di Manchester che non si fanno alcun problema a prendere a pugni qualunque cosa gli si para davanti. You’ll need assistance with the things that you have never ever seen It’s just a case of never breathing out Before you’ve breathed it in Ti servirà una mano con le cose che non hai mai visto [prima d’ora Ricordati che non puoi resprirare Se prima non hai inspirato Liam, la più grande rockstar del decennio, si propone già come guida del torbido mondo dello show business. Ovvi, qui, i riferimenti al sesso e alla droga (che ritroviamo un po’ ovunque se ci basiamo sui doppi sensi di espressioni come “tell me how high do you think you’ll go before you start falling” oppure “Stealing the light I heard that the shine’s / Gone out of your life”) come a dire: se non sei pronto per questa roba, stanne fuori. 34 DEFINITELY MAYBE La vista di cui possono godere gli Oasis, lassù nel cielo, sembra niente male. L’accoglienza che la critica e il pubblico sta riservando al loro esordio va oltre ogni più rosea previsione di McGee20 e i giochi sembrano farsi seri per davvero. Ma gli Oasis ne hanno viste tante. Il loro atteggiamento strafottente, proprio di chi può essere spaventato da ben poche cose, è un antidoto che sembra funzionare. Quello che stanno cominciando a vedere, è effettivamente il loro mondo. 35 NOTE. DEFINITELY MAYBE 1. Paolo Hewitt, Come ho resuscitato il Brit Rock, Roma, Arcana, 2001, pp. 112-113. 2. Paolo Hewitt, Oasis. Fuori di testa, Firenze, Tarab, 1997, capitoli 1-6. 3. Luca Bonanni, Gli Oasis e il Brit-Pop, Genova, Lo Vecchio, 2006, p. 52. 4. Peter Hook, The Hacienda: How Not To Run A Club, London, Simon & Schuster, 2009 e Mick Middles, Factory: The Stroy Of The Record Label, London, Virgin Books, 2009. 5. Bonanni, op. cit., p. 52-53 6. Ibidem, corsivi nostri. 7. http://www.bbc.co.uk/dna/h2g2/A13275227 8. Hewitt, Oasis. Fuori di testa, cit., p. 56. 9. Ivi, p. 184. 10. Ivi, p. 185. 388 NOTE 11. http://www.nme.com/reviews/oasis/7502 12. http://www.blender.com/guide/68580/greatest-songsever-live-forever.html 13. Hewitt, Oasis. Fuori di testa, cit., p. 88. 14. Cfr. Luca Bonanni, op. cit., p. 58. 15. Hewitt, Oasis. Fuori di testa, cit., p. 61. 16. Ibidem. 17. Ivi, p. 206. 18. Ivi, p. 205. 19. Hewitt, Come ho resuscitato il Brit Rock, cit., pp. 111-112. 20. Ivi, p. 112. 21. Hewitt, Oasis. Fuori di testa, cit., p. 151. 22. http://www.nme.com/reviews/oasis/7503 23. Hewitt, Come ho resuscitato il Brit Rock, cit., p. 112. 24. Hewitt, Oasis. Fuori di testa, cit., p. 167. 25. Ivi, p. 180. 26. Ibidem. 27. http://it.wikipedia.org/wiki/Supersonic_(Oasis) 28. Hewitt, Oasis. Fuori di testa, cit., p. 167. 29. “Uscire con Bono e Johnny Depp vuole dire far parte della serie A. Questa lista cambia, e cambia spesso. Quando tra i tuoi amici puoi annoverare Bono, Depp e, giusto per fare un nome, Naomi Campbell, e un altro, Kate Moss, significa che sei in serie A. Questa catalogazione è un meccanismo che i media usano per quantificare l’importanza delle persone famose, per soppesarle e misurarle come le verdure che tu e io dobbiamo andare a comperarci da soli […] La cosa fondamentale dell’appartenenza alla serie A è che te ne infischi di tutto, o per lo meno hai l’espressione ‘infischiarsene’ nel tuo repertorio di comportamenti. Se invece ‘ti preoccupi’, che sia in pubblico o in privato, ti ritroverai a guardare quelli della serie A dall’esterno. Noel Gallagher se ne infischiava alla grande. Noel Gallagher è di serie A”, Ian Robertson, Oasis. What’s The Story, Milano, Mondadori, 1997, pp. 194-195. 30. Hewitt, Oasis. Fuori di testa, cit., p. 167. 31. Ivi, p. 168. 389 Stampato presso le Arti Grafiche Cecom srl Bracigliano (Sa) per conto di Arcana Edizioni Srl