CHE COSA FU IL FASCISMO Per molto tempo si è interpretato il fascismo italiano come reazione al socialismo e alla liberal-democrazia, secondo tre alternative: una sorta di malattia morale che ha intaccato lo sviluppo dell’Italia liberale (visione liberal-conservatrice, di Benedetto Croce); l’autobiografia di una nazione segnata da molte contraddizioni post-risorgimentali (visione liberale-radicale, di Piero Gobetti); una reazione di classe generata dal conflitto tra borghesia e classe operaia e sfociata in un regime rivoluzionario di massa (visione marxista, di Palmiro Togliatti). Più recentemente, De Felice (1975), ha parlato di una rivoluzione operata da ceti “emergenti”, distinguendo tra il “fascismo movimento” – legato alle istanze innovatrici della piccola borghesia – e il “fascismo regime”, frutto del compromesso tra il Duce e i gruppi dirigenti tradizionali. La tesi di De Felice è stata contestata, tra gli altri, da Ernesto Ragionieri – che ha parlato del fascismo come espressione del capitalismo italiano, immaturo e incapace di autentiche “rivoluzioni” –, da Giorgio Candeloro – che ha ripreso l’idea del fascismo come regime di conservazione sociale e di reazione – e da Guido Quazza, che ha visto nel fascismo la sintesi delle frustrazioni della mentalità piccolo-borghese e delle velleità della grande borghesia agraria e industriale. Infine, Emilio Gentile, studioso contemporaneo, parla del fascismo come di un fenomeno di reazione di classe, connotato originalmente da una visione mistica della politica, un nazionalismo radicale e una idea di violenza come forza rigeneratrice, e in ciò capace di apparire la risposta alle aspirazioni dei ceti medi.