Corso di Strumentazione per la Fisica delle Alte

Corso di Strumentazione per
la Fisica delle Alte Energie
Davide Pinci – INFN Roma
Testi di riferimento 1 G. Knoll “Radiation Detection and Measurement” (semiconduttori)
2 W. R. Leo “Techniques for Nuclear and Particle Physics Experiments” (generale)
3 W. Blum, L. Rolandi, “Particle Detection with Drift Chambers” (rivelatori a gas)
4 T. Ferbel (editor) “Experimental techniques in high energy physics” (calorimetri, rivelatori Cherenkov)
5 Particle Data Group (2005).
Davide Pinci – INFN Roma
Interazione tra radiazione e materia
Davide Pinci – INFN Roma
Cinematica relativistica ✗
✗
✗
✗
✗
Useremo sempre il sistema in cui h/2 = c = 1;
Poichè mc2 e pc sono energie, se poniamo c=1 resterà un unica dimensione che è l'energia che misureremo in eV: energia acquisita da una carica elettronica (e=1,6 10­19 C) accelerata dal campo di 1 V  1 eV = 1.6 10­19 C x 1 V = 1,6 10­19 J;
Multipli saranno: keV, MeV, GeV,TeV;
Per tornare a s o cm è comoda la relazione (hc/2197 MeV fm (fm=10­15m);
(hc/220.4 GeV2 mb (barn b=10­24 cm2)
Esercizi: (1) ∆MB = 0.5 ps­1 ∆MB = 3 x 10­4 eV (2) JJkeV s
(3) massa elettone = 500 keV massa elettone = ? kg
(4) 60 kg = ? eV
Davide Pinci – INFN Roma
Cinematica relativistica ✗
Tempo e spazio formano un “quadrivettore” x=(t,x);
✗
Una particella ha Energia E2=m2+p2;
✗
La metrica dello spazio di minkowsky è:
g=
✗

1
0
0 −1
0
0
0
0
0
0
−1
0
0
0
0
−1

Energia e vettore impulso p formano un quadrivettore p=(E, p) il cui modulo quadro è definito: p2= E2­p2= m2;
✗
Si definiscono le quantità:
✗
✗
Davide Pinci – INFN Roma
v/c = velocità di una particella ≤ 1 (1 solo per m=0)
≥ 1 (∞ per m=0)
Cinematica relativistica ✗
Nel passaggio tra due sistemi di riferimento uno in moto con velocità f rispetto all'altro il quadrimpulso p è visto nel riferimento fermo come p*:
✗
✗
Trasfomazioni di
Lorentz
✗
✗
✗
✗
✗
✗
Esercizi:
(5) Dimostrare che per una particella valgono p em (da cui p/m e quindi p = mmv)
(6) Il prodotto di due quadrivettori è un invariante relativistico
Il tempo t visto da un riferimento fermo è pari a t' (t' tempo nel rif in moto)
Il cammino medio di una particella di vita media c
(7) Calcolo del cammino libero medio del B (LHCb e Babar)
(8) Massimo e minimo angolo di apertura di due mu dal B
Davide Pinci – INFN Roma
Passaggio di radiazione nella materia
✗
✗
Tutti i rivelatori dipendono da come la radiazione interagisce con la materia di cui il rivelatore stesso è fatto;
Introduciamo il cammino libero medio :
✗
P(x) probabilità di non aver interagito dopo x;
✗
wdx probabilità di avere un'interazione tra x ed x+dx;
✗
Da semplici argomenti dimensionali sarà: w[cm­1]=[cm­3][cm2] ✗
P(x+dx) = P(x)(1­wdx) P(x) + (dP/dx)dx = P(x)­P(x)wdx
✗
dP=­wPdx
✗ P(x)=P e­wx la probabilità di sopravvivere scende 0
✗
esponenzialmente
La distanza media percorsa tra due urti sarà:
 xP(x)dx /  P(x)dx = 1/w = 1/
Il cammino libero medio scende linearmente con densità e sezione d'urto del processo
✗
✗
Davide Pinci – INFN Roma
Particelle elettricamente cariche
✗
✗
✗
Due effetti principali:
1. Perdita d'energia
2. Deflessione dalla traiettoria di incidenza
I processi principali di interazione sono (in ordine di importanza):
1. Collisioni anelastiche con gli elettroni degli atomi;
2. Urti elastici con i nuclei;
3. Emissione di luce Cerenkov;
4. Emissione di radiazione di frenamento (bremmstrahlung);
5. Collisioni anelastiche con i nuclei;
Dividiamo il tutto in due:
(a) Particelle cariche pesanti (più dell'elettrone, dal muone in poi...)
(b) Elettroni e positroni;
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Interazioni con elettroni atomici
✗
Si puo' fare un conto semplice: il muone ha massa (105 MeV) 200 volte maggiore dell'elettrone (0,511 MeV). In un urto tra due corpi di massa molto differente vale:
Davide Pinci – INFN Roma
Particelle cariche pesanti
✗
✗
A causa della piccola frazione d'energia rilasciata per urto, una particella carica pesante sarà in grado di dar luogo ad un altissimo numero di interazioni con gli elettroni atomici del mezzo;
La sezione d'urto di tali processi e' altissima 10­16 cm2 (108 b) e l'energia trasferita all'elettrone atomico può dar luogo ad:
✗
✗
1. Eccitamento: l'elettrone viene portato ad un livello d'energia più elevato dal quale riscende cedendo fotoni di bassa energia (< eV)
2. Ionizzazioni: l'elettrone è strappato all'atomo con conseguente creazione di una coppia elettrone­ione positivo
In questo secondo caso l'energia cinetica dell'ellettrone può essere cosi elevata da consentirgli di viaggiare nel mezzo ionizzare ulteriori atomi: raggio 
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Calcolo classico di Bohr
✗
Si può avere un'idea della dipendenza della perdita di energia per ionizzazione dalle principali caratteristiche del mezzo e della particella partendo da un calcolo classico:
m
b
M, v, ze
Energia ceduta all’ elettrone
Davide Pinci – INFN Roma
L’ impulso che l’ ettrone subisce e’ :
Supponiamo che sia Ne la densità di elettroni. L'energia ceduta agli ✗
elettroni presenti in una corona compresa tra b e b+db sarà
A questo punto vanno cercati i limiti di integrazione:
✗
✗
✗
Per bmin è massimo il trasferimento d'energia:
bmax è legato alla distanza massima alla quale il tempo caratteristico ✗
dell'interazione b/v è minore del periodo di rivoluzione dell'elettrone T=1/:
Davide Pinci – INFN Roma
✗
✗
La formula di Bohr fornisce una buona descrizione della perdita di energia per particelle molto pesanti e lente (tipo le particelle );
Vale la pena comunque di osservare:
La ionizzazione specifica cresce col quadrato della carica della particella incidente.
A basse velocità (ed Energie) della particella incidente il termine 1/v2 fa si che la ionizzazione specifica sia molto elevata;
Ad alte velocità (ed Enegie) della particella incidente, si ha una risalita logaritmica (quindi debole) della ionizzazione specifica;
La ionizzazione specifica cresce linearmente con la densità del mezzo
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La formula di Bethe­Bloch
✗
✗
✗
✗
✗
✗
✗
La formula completa, che tiene conto degli effetti quantistici che insorgono per particelle veloci e la Bethe­Bloch
K = costante che dipende da massa e raggio classico dell'elettrone
Z = carica del nucleo del mezzo
A = massa atomica del mezzo
I = energia media di eccitazione del mezzo hla della formula di Bohr)
Tmax = la massima energia cinetica trasmessa all'elettrone
 = velocità della particella
Davide Pinci – INFN Roma
✗
✗
Cosi come è scritta la Bethe­Bloch è in grado di descivere la perdita di energia di pioni con energia compresa tra 6 MeV e 6 GeV con una precisione dell'1%
Per energie più alte o più basse altri processi vanno considerati:
Alte Energie (effetto densità): al crescere della velocità dell'elettrone il suo campo elettrico si “schiaccia” e si “allarga” per effetti relativistici e le interazioni a grande distanza crescono con il ln bg. Tuttavia il mezzo si polarizza e si oppone al campo elettrico rallentando la risalita logaritmica.
Basse Energie (effetto di shell): se la velocità della particella incidente diviene confrontabile con quella di rivoluzione degli elettroni, l'assunzione di elettrone stazionario rispetto alla particella in moto cade ed un termine correttivo ­C/Z va incluso nelle parentesi quadre. C è una costante che dipende dal materiale
Davide Pinci – INFN Roma
✗
Andamento di ­dE/dx calcolato per muoni su rame
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Dipendenza da M
✗
✗
✗
La dipendenza dalla massa della particella è introdotta ad alta energia da Tmax=2me(c
con buona approssimazione si può ritenere il dE/dx funzione della sola velocità 
particelle con uguale velocità hanno una rate simile di perdita di energia per ionizzazione.
Il minimo si ha per
✗
= P/E = 3 ~ 3.5
Davide Pinci – INFN Roma
Particelle al minimo di ionizzazione (mip):
muoni da 300 MeV
✗
pioni da 400 MeV
✗
protoni da 3 GeV
✗
K?
✗
B?
✗
Identificazione di particelle da dE/dx
✗
La dipendenza del dE/dx dalla sola velocità  della particella fa si che, in funzione dell'impulso il dE/dx sarà funzione della massa della particella:
Noto l'impulso è possibile dalla misura
di dE/dx risalire all'identità della particella
Soprattutto ad alte energie è una misura imprecisa ed è poco utilizzata
Davide Pinci – INFN Roma
Dipendenza da Z
✗
✗
✗
Apparte l'idrogeno la dipendenza da Z è debole;
Si assiste ad una diminuzione del dE/dx al crescere di Z
Al minimo di ionizzazione la rate si dimezza da Z=5 a Z=100
Davide Pinci – INFN Roma
Elettroni  (raggi )
✗
✗
✗
✗
Nel caso in cui l'elettrone prodotto abbia un'energia sufficientemente elevata (100 keV) questo può produrre della ionizzazione secondaria.
Si parla di elettroni o raggi 
altamente ionizzanti
Sono fenomeni rari: 1 particella da 500 MeV in un detector al silicio produce un raggio ogni circa 300 m;
Gli elettroni sono prodotti a grande angolo rispetto alla traccia ionizzante.
Davide Pinci – INFN Roma
Unità g/cm2
✗
✗
✗
Possiamo scrivere:
✗
In “I” c'è la dipendenza dal mezzo. E' logaritmica quindi “trascurabile”
✗
Il rapporto (Z/A) non varia molto per Z non troppo diversi (Z/A=0.5 per l'ossigeno e 0.38 per l'uranio, ma 0.99 per l'idrogeno!);
Possiamo riscrivere:
✗
✗
✗
✗
✗
La dipendenza dal mezzo del dE/dx si puo' calcolare dalla densità.
Esercizi:
(9) Energia persa da un muone in 1 km d'aria (1.2 g/l) = 24 MeV
(10) Energia persa da un muone per giungere in fondo al detector per muoni di LHCb: 80 cm di Pb (11,3 g/cm3) + 4 m di Fe (7,9 g/cm3) = 8 GeV
Davide Pinci – INFN Roma
Curva di Bragg
✗
Quando una particella attraversa la materia perde energia:
✗
1 All'inizio si ha rilascio d'energia un po' al di sopra del minimo di ionizzazione dovuto alla risalita logaritmica;
✗
2 Il dE/dx transiterà quindi per il minimo
✗
3 Il dE/dx cresce rapidamente nella regione in cui il  della particella è minore di 3
✗
4 Infine la particella sarà catturata dagli atomi del mezzo
Davide Pinci – INFN Roma
Scattering coulombiano multiplo
✗
✗
✗
✗
Una particella carica che attraversi un mezzo è soggetta a varie collisioni che ne deviano il percorso.
La maggior parte di queste sono dovute ad interazioni coulombiane con i nuclei del mezzo (massa elevata, non c'è trasferimento di energia);
Il risultato è che la particella, dopo un certo percorso:
sarà deviata dalla sua direzione originale plane
✗
✗
✗
✗
✗
✗
✗
✗
✗
si troverà spostata rispetto alla sua iniziale traiettoria: yplane
Davide Pinci – INFN Roma
Teoria di Moliere
✗
La sezione d'urto della singola collisione elastica con il nucleo è data dalla formula di Rutherford:
✗
✗
✗
I piccoli angoli di deflessione sono i più probabili, ma ci sono delle code a grandi angoli non trascurabili.
Nel caso di piccoli angoli, si può approssimare la distribuzione della proiezione dell'angolo di deflessione sul piano planedi deflessione ad una gaussiana
✗
✗
Dopo un percorso x si ha (X0 è una caratteristica del mezzo che vedremo):
✗
✗
✗
✗
Esercizio: (11) effetti del MS negli esercizi (9) e (10) Davide Pinci – INFN Roma
Fluttuazioni della perdita d'Energia
✗
✗
✗
L'energia media persa da una particella carica in un mezzo per unità di lunghezza è data con buona approssimazione dalla Bethe­Bloch
Qual'è la funzione che descrive la distribuzione di probabilità di una data perdita d'energia in uno spessore x?
Il calcolo è complicato. Si è soliti separare due casi:
✗
Grande numero di ionizzazioni: il teorema del limite centrale ci porta a dire che la pdf possa essere una gaussiana con valore medio calcolato dalla Bethe­Bloch e calcolata da Bohr per casi non relativistici:
✗
✗
✗
✗
Può estendersi ai casi relativistici con
Davide Pinci – INFN Roma
✗
Piccolo numero di ionizzazioni: questa approssimazione vale per spessori sottili o per il passaggio di radiazione in gas. La differenza principale è che in media la perdita di energia sarà piccola, ma ci possono essere pochi eventi (collisioni head­on) in cui c'è grande trasferimento di energia.
Energia persa più probabile m.p. Davide Pinci – INFN Roma
Luce Cherenkov
✗
✗
✗
Se una particella carica viaggia in un materiale ad una velocità maggiore di quella della luce nel materiale stesso (c > c/n n) viene emessa della radiazione elettromagnetica chiamata luce Cherenkov. La particella carica passando nel mezzo lo polarizza.
Nel caso di particella “lenta” la polarizzazione è simmetrica e non si genera un dipolo elettrico “macroscopico”. Nel caso di particelle veloci si genera un'asimmetria avanti­dietro che dà luogo ad un dipolo elettrico variabile nel tempo che irraggia.
Davide Pinci – INFN Roma
✗
La radiazione elettromagnetica generata forma un fronte d'onda coerente con superficie conica avente asse lungo la traiettoria della particella, vertice nella particella ed apertura  r = ct/n
h sin= r   sin = 1/n 

sin = 1/n cosc = 1/n
h = ct
✗
La luce Cerenkov è emessa con un angolo c = arccos (1/n);
✗
Il numero di fotoni emessi per unità di energia per unità di cammino è:
Nel visibile si hanno circa 490 sin2c fotoni al centimetro
(13) Calcolare il numero di fotoni
emessi per effetto Cerenkov da un
elettrone di 10 MeV in 1 m d'acqua;
Davide Pinci – INFN Roma
Teoria semiclassica
✗
Supponiamo di avere una particella di massa m che attraversi un materiale interagendo con questo con scambi di fotoni di bassa energia tanto da poter trascurare effetti sulla sue velocità o traiettoria
m v
m v

 k
✗
✗
✗
La conservazione del quadrimpulso impone p = k + p' e quadrando abbiamo: m2=m2+2(E ­k•p)  E = k•p  mmk•v  k•v La relazione di dispersione dice che per un fotone in un mezzo vale:
2 – (kc)2/
Da cui sostituendo si ottiene che cos2c/v)2 e quindi: cos
Davide Pinci – INFN Roma
Radiazione di transizione
✗
✗
La radiazione di transizione è emessa da una particella carica che attraversi la superficie di separazione tra due materiali con differenti costanti dielettriche. Le differenti costanti dielettriche fanno si che la polarizzazione sia differente nei due materiali. Si crea un dipolo elettrico che varia bruscamente al passaggio della particella da un mezzo all'altro.
L'energia irraggiata al passaggio tra il vuoto e un mezzo con costante  è data da: ✗
✗
✗
✗
L'angolo di emissione dei fotoni rispetto alla traiettoria della particella ed il numero totale dei fotoni emessi vanno come 1/.
Una particella con  = 103 irraggia fotoni con energia 2 ­ 20 keV (raggi X)
Il numero di fotoni prodotti è proporzionale al quadrato della carica:
Davide Pinci – INFN Roma
Interazione dei fotoni
✗
✗
✗
✗
L'interazione dei fotoni con la materia è molto diversa da quanto visto per le particelle cariche. I processi principali sono:
1. Effetto fotoelettrico
2. Scattering Compton
3. Produzione di coppie e+e­
Questo permette subito due osservazioni:
I fotoni sono più penetranti delle particelle cariche: le sezioni d'urto di questi processi vanno da 104 a 10­2 barns. Sono molto più piccole di quelle di scattering con elettroni atomici.
Un fascio di fotoni non è degradato in energia ma in intensità: questo è legato al fatto che i suddetti processi fanno scomparire il fotone entrante o lo deviano sensibilmente dalla direzione iniziale. Quindi i fotoni che riescono ad andare diritti sono solo quelli che non hanno interagito col mezzo. Hanno l'energia iniziale, ma il fascio avrà intensità ridotta
Davide Pinci – INFN Roma
Effetto fotoelettrico
✗
✗
Un fotone di energia E viene assorbito da un elettrone atomico che viene emesso con energia Ee = E­Eleg dove Eleg è l'energia di legame dell'elettrone al nucleo.
Il processo è dominante solo per basse energie del fotone (da 10 keV a 10 MeV)
Importante notare la dipendenza dalla potenza quinta della Z del nucleo del mezzo e la discesa veloce con l'energia del fotone
Davide Pinci – INFN Roma
Effetto Compton
✗
✗
Probabilmente uno dei processi meglio compresi della QED
Un fotone urta contro un elettrone e gli fornisce energia sufficiente ad essere ionizzato dall'atomo. Il fotone viene deviato di un angolo  e perde energia ceduta all'elettrone (si trascura Eleg).
Il calcolo esatto della sezione d'urto venne effeuato da Klein­Nishina.
La sezione d'urto va da 1 barn 10­2 barn per E da 10 KeV a 100 MeV
σ /Z [cm2]
L'angolo di emissione del fotone è legato all'energia persa dalla relazione
The photon energy, hv’ [MeV]
Davide Pinci – INFN Roma
Effetto Compton: il fotone emesso
Il fotone viene deviato di un angolo  e perde energia ceduta all'elettrone (si trascura Eleg).
✗
L'angolo di emissione del fotone è legato all'energia persa dalla relazione:
✗
In figura lo spettro di emissione del fotone:
✗
picco centrale di fotoni non scatterati che non hanno perso energia
✗
picco di fotoni che hanno perso energia diffusi a 30o
✗
Davide Pinci – INFN Roma
Gli elettroni Compton
✗
✗
L'energia ceduta dal fotone è passata all'elettrone che viene ionizzato.
L'elettrone uscente avra' quindi un'energia
✗
✗
✗
✗
✗
✗
Che in funzione di  potrà andare da 0 ad un massimo (per  Davide Pinci – INFN Roma
Produzione di coppie
✗
A più alte energie (>1.022 MeV) un fotone può, in presenza di un nucleo rinculante che consenta la conservazione del quadrimpulso, creare una coppia e+e­.
✗
✗
✗
✗
La sezione d'urto può approssimarsi:
✗
✗
✗
✗
✗
✗
✗
Dipendenza quadratica da Z e solo logaritmica dall'energia del fotone:
1 MeV 1 barn
100 MeV  30 barn
Davide Pinci – INFN Roma
Sezione d'urto totale per fotoni
✗
La sezione d'urto totale sarà la somma delle tre viste finora (più altre minori) che conteranno diversamente nelle diverse regioni di energia:
✗
✗
✗
✗
Fotoelettrico per E <100 keV
Compton per 100 keV<E<10 MeV
Creazione coppia per E>10 MeV
✗
✗
Il minimo della sezione d'urto totale si ha in presena della “finestra Compton” quando il fotoelettrico è sceso e la produzione di coppie è ancora vicina al valore di soglia.
Davide Pinci – INFN Roma
Coefficiente di attenuazione
✗
L'attenuazione dell'intensità del fascio di fotoni può essere descritta da un'esponenziale: I(x)=I0exp(­x) con  che sarà il coefficiente di attenuazione ed è legato alle sezioni d'urto dei processi suddetti ed ai materiali:
✗
✗
✗
✗
L'utilizzo di un coefficiente di attenuazione lineare è limitato dal fatto che esso dipende dalla densità del materiale (anche se il materiale stesso no cambia). Per questo viene utilizzato un coefficiente di attenuazione di massa definito come 
Noto il coefficiente di attenuazione di massa, l'andamento dell'intensità di un fascio di fotoni si può ottenere come: I(x)=I0exp(­)x;
Il prodotto x è detto “mass thickness” si misura in gcm­2;
Davide Pinci – INFN Roma
Interazioni di elettroni e positroni
A basse energie elettroni e positroni perdono energia nei materiali attraverso processi di ionizzazione (come le particelle più pesanti) ai quali vanno però sommati gli effetti di processi tipo Bhabha (e+e­⇒e+e­) o Moller ✗
(e­e­⇒e­e­).
✗
Mentre ad alte energie la ionizzazione cresce logaritmicamente (Bethe­
Bloch) un altro processo diviene importante: la Bremsstrahlung
Davide Pinci – INFN Roma
Energia critica Ec
✗
✗
La perdita di energia per ionizzazione cresce solo logaritmicamente con l'energia della particella ionizzante, mentre a più elevate energie processi come la bremmstrahlung danno luogo a perdite d'energia proporzionali all'energia stessa dell'elettrone;
Si definisce energia critica Ec l'energia alla quale le perdite di energia dovute ai due processi sono uguali.
✗
L'energia critica decresce con la Z del materiale. Una buona approssimazione dell'andamento è data da:
✗
Ec = 10 MeV in Pb
✗
Ec = 20 MeV in Cu
Davide Pinci – INFN Roma
La bremsstrahlung
✗
✗
Una carica accelerata emette radiazione. Questo vale anche per una particella carica in presenza del campo elettrico di un nucleo atomico
I diagrammi di Feynman che prendono parte al processo sono molto simili a quelli della creazione di coppie:
✗
✗
✗
Di nuovo si può approssimare la sezione d'urto di questo processo
La massima energia irraggiata è pari a quella dell'elettrone stesso con uno spettro che scende con h.
L'angolo di emissione del fotone è proporzionale a me/Ee
Davide Pinci – INFN Roma
Considerazioni sulla bremmstrahlung
✗
✗
In realtà facendo i conti la sezione d'urto totale per bremmstrahlung è 9/7 maggiore di quella di creazione di coppie
La dipendenza da 1/m2 fa si che questo processo sia rilevante solo per elettroni e positroni. Il muone ha massa 200 volte maggiore e quindi irraggia per bremmstrahlung 40.000 volte meno;
✗
✗
✗
✗
✗
✗
✗
La sezione d'urto cresce con Z2: il cammino libero medio è 304 m in aria 36 cm in acqua 1,76 cm in ferro
0,56 cm nel piombo.
Davide Pinci – INFN Roma
✗
✗
✗
✗
✗
La sezione d'urto quasi non dipende dall'Energia dell'elettrone.
La perdita di energia per unità di cammino (dE/dx) sarà il prodotto tra il numero di “irraggiamenti” per unità di cammino e l'energia persa per singolo irraggiamento;
Il numero di “irraggiamenti” per unità di cammino (dN/dx) sarà il prodotto tra la densità di centri di irraggiamento  e la sezione d'urto del processo di irraggiamento ;
Poichè la massima energia cedibile nel singolo irraggiamento è pari all'energia dell'elettrone possiamo supporre che l'energia ceduta in media per irraggiamento (dE/dN) sarà proporzionale all'energia dell'elettrone
Quindi il dE/dx è proporzionale ad E ed integrando si ottiene che l'energia rilasciata scende esponenzialmente Davide Pinci – INFN Roma
Lunghezza di radiazione
✗
✗
La quantità X0 è detta lunghezza di radiazione e rappresenta il cammino in cui l'energia di un elettrone si riduce di un fattore e per effetto della bremmstrahlung.
(11) Esercizio: mostrare che se il cammino è misurato in X0 la variazione di E non dipende dal mezzo.
(12) Calcolare l'energia di uscita di un elettrone da 1 GeV da 1 cm di Fe (X0= 1.76) Davide Pinci – INFN Roma
Lunghezza di radiazione
✗
✗
✗
✗
Cammino necessario ad un elettrone per perdere una frazione e della sua energia per bremmstrahlung o per attenuare di un fattore e un fascio di fotoni per creazione di coppia;
I diagrammi e le sezione d'urto sono simili. C'è solo un fattore 9/7=1,28.
Quindi X0 è la scala giusta per descrivere entrambi e fenomeni che per energie del fotone sopra il MeV e dell'elettrone sopra i 10 MeV sono i due principali.
E' funzione del materiale ed in particolare è proporzionale a Z­2
Davide Pinci – INFN Roma
Cascate Elettromagnetiche
✗
✗
✗
✗
✗
Al di sopra di 1­10 MeV d'energia i due principali meccanismi di perdita d'energia sono:
✗
Bremmstrahlung (produzione di fotoni) per elettroni e positroni; ✗
Creazione di coppie e+e­ per i fotoni;
I due processi possono quindi comporre una cascata, detta, cascata elettromagnetica: Un elettrone entra in un materiale. In presenza del campo elettrico dei un nuclei produce fotoni per bremmstrahlung i quali a loro volta produrranno coppie e+e­ che irraggeranno altri fotoni e cosi via...
L'energia delle particelle create nelle varie reazioni sarà sempre più bassa, ma il numero totale delle particelle prodotte crescerà.
La valanga si arresta quando l'energia delle particelle porta a preferire processi diversi dall'irraggiamento e la produzione di coppie
Davide Pinci – INFN Roma
Sviluppo longitudinale di una cascata e.m.
✗
✗
✗
Il processo di cascata è chiaramente un processo statistico, ma possiamo analizzarne le principali caratteristiche.
Lo sviluppo longitudinale è legato ai due fenomeni in gioco è sarà quindi strettamente collegato alla X0 del materiale;
Possiamo cotruire un semplice modello con tre ipotesi :
✗
Sia un fotone che un elettrone percorrono sempre un X0 prima di ✗
✗
✗
interagire con un nucleo;
In ogni interazione l'energia della particella “madre” si divide equamente tra i prodotti;
La valanga si arresta quando le particelle hanno energia minore di Ec;
In questo modello avremo, ad esempio;
0. Un fotone iniziale di energia E0 percorre un cammino X0;
1. Produce una coppia e+e­ con energie E0/2 che camminano X0;
2. Irraggiano un fotone ciascuno con energia E0/4 e sia i fotoni sia la coppia e+e­ percorrono un'altra X0;
Davide Pinci – INFN Roma
✗
Dunque in generale, al passaggio n avremo:
✗
2n particelle;
✗
Ognuna con energia E0/2n;
✗
✗
✗
✗
La valanga è lunga nX0;
Quando la valanga si arresta l'energia disponibile alle ultime particelle sarà tale che E0/2ntot=Ec ntot= ln(E0/Ec)/ln2 dove ntot è il numero di passaggi compiuti;
Il numero totale di particelle prodotte sarà N=2ntot=E0/Ec;
La valanga si sarà sviluppata per ntotX0=X0ln(E0/Ec)/ln2 quindi la lunghezza della valanga cresce con il logaritmo dell'energia della particella incidente;
Modellino semplice che però spiega solo la prima parte (salita esponenziale) del rilascio di energia.
Davide Pinci – INFN Roma
La cascata e.m. ✗
✗
In uno sciame elettromagnetico gran parte dell'energia è trasportata dai fotoni con energia bassa (1MeV) che riescono a “passare” nelle finestre Compton. Il loro “lento” assorbimento determina una coda “esponenziale” nella energia rilasciata.
Per questo il numero di elettroni+positroni presenti è sempre inferiore al numero di fotoni;
La maggior parte di energia è rilasciata al materiale dalla ionizzazione degli elettroni. Per questo la lunghezza totale delle tracce cariche è proporzionale ad E0/(dE/dx)ionizz
Davide Pinci – INFN Roma
Parametrizzazione Longo­Sestili
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Misurato in unità di lunghezze di radiazione (t=x/X0)lo sviluppo longitudinale di uno sciame e.m. è poco dipendente dal materiale.
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Un'utile parametrizzazione del profilo longitudinale dell'energia rilasciata in funzione di t=x/X0 è:
Il massimo rilascio si ha per tmax=(a­1)/b. La funzione è in grado di descrivere gli sciami elettromagnetici da 1 a 100 GeV in materiali vari (dal carbonio all'uranio). Il massimo si ha per (y=E0/Ec):
✗
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Con C=+0.5 e Ce=­0.5. Lo sciame generato da un fotone primario ha uno sviluppo ritardato di una X0 rispetto a quello generato da un elettrone
In 25 X0 è di solito contenuta l'energia fino a qualche centinaio di GeV.
Davide Pinci – INFN Roma
Sviluppo laterale di un cascata e.m.
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Lo sviluppo laterale dello sciame intorno alla direzione di volo del primario è determinato inizialmente dall'angolo di emissione del fotone nella bremmstrahlung me/pe e dall'angolo tra elettrone e positrone nella creazione di coppie e+e­me/E
✗
✗
Successivamente è lo scattering coulombiano multiplo a determinare la larghezza dello sciame.
La larghezza è poco dipendente dal materiale se il raggio dello sciame è misurato in raggi di Moliere: RM= (21MeV/Ec)X0 = 7 (A/Z) g cm­2
In un cilindro di raggio pari a 3RM è SPACAL
contenuto il 99% dell'energia di uno sciame.
In generale RM è dell'ordine di qualche RM=2 cm
centimetro.
3 RM
Davide Pinci – INFN Roma
Emulsioni nucleari
Davide Pinci – INFN Roma
Emulsioni nucleari
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Praticamente il primo rivelatore di particelle visto che nel 1986 Bequerel oservo' “strane” tracce su una lastra fotografica esposta a composti di< Uranio;
Solo nel 1909, Mugge scoprì che tali tracce erano dovute alla ionizzazione rilascita da particelle cariche nelle lastre;
Nel 1911 iniziarono i primi studi di Reinganum sulle particelle  con emulsioni nucleari;
1925 Blau scopri anche anche fotoni potevano rilasciare tracce e le emulsioni vennero usate per lo studio di raggi cosmici;
Davide Pinci – INFN Roma
Emulsioni: principio di funzionamento
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Il principio di funzionamento è identico a quello delle fotografie: grani di AgBr (bromuro d'argento) sono sospesi in una gelatina. La luce (nelle fotografie) o particelle cariche possono ionizzare il composto per effetto fotoelettrico o interazione coulombiana.
Gli elettroni ionizzati vengono portati nella banda di conduzione e si muovono liberamente nel cristallo fino ad essere catturati in zone del reticolo in cui si formano zone di accumulazione di carica negativa verso cui vengono attratti gli ioni Ag+. Gli ioni Br­ vengono neutralizzati dalle lacune lasciate dagli elettroni. Il processo di “sviluppo” consiste nell'evidenziare gli ioni Ag+ mediante un debole riduttore che produce ossido d'argento
Davide Pinci – INFN Roma
Emulsioni: formazione dell'immagine
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Il processo di sviluppo rivela la presenza di zone ad elevata densità d'argento che vengono viste ad occhio come dei filamenti sottili neri.
1 m
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L'allineamento delle zone annerite permette di ricostruire l'immagine e quindi alla traccia della particella.
Davide Pinci – INFN Roma
Emulsioni: una traccia
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Esempio di una traccia;
Sono 3 le principali caratteristiche osservabili di una traccia su emulsione:
1) Lo spessore
2) La lunghezza
3) La direzione
Lo spessore: è strettamente legato alla densità del rilascio di energia da parte della particella. Maggiore è lo spessore della traccia, maggiore è il numero di grani “sviluppati” per unità di lunghezza e quindi maggiore sarà il rilascio di energia per unità di cammino (dE/dx). Questo, dalla Bethe­Block fornisce informazioni sulla carica ed il rapporto p/m () della particella.
Davide Pinci – INFN Roma
Esempio di analisi di un evento
Emulsione esposta a raggi cosmici di alta energia in alta quota
Nucleo di Zolfo ionizzato: particella ad elevata massa (32 GeV) e alta carica Particelle lente di carica unitaria: producono elevata ionizzazione a causa della risalita del dE/dx a basse velocità
Zona di interazione con un atomo dell'emulsione stessa
Particelle cariche leggere di carica unitaria. Piccolo dE/dx denotato da intervalli tra i grani sviluppati
Davide Pinci – INFN Roma
Frammento nucleare di più bassa massa che continua in avanti
Esempio di un evento storico
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1947: Scoperta del pione nei raggi cosmici ad alta quota.
1950 Premio Nobel a Cecil F. Powell
Particella carica chiamata  rallenta
e decade a riposo
Si determinò che tale particella dovesse avere massa pari a 970 volte la massa dell'elettrone. Più tardi si capì che si trattava del K. Il pione di bassa energia interagisce “forte” con un nucleo dell'emulsione
Il  decade in 3 pioni in P
Davide Pinci – INFN Roma
Mesoni con beauty
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Dopo la scoperta del quark b nel 1977, diversi esperimenti con emulsioni nucleari cercarono di produrre eventi di decadimento di mesoni con beauty per misurarne la vita media. Uno di questi fu WA75 al CERN che sfruttava un fascio estratto di pioni da 350 GeV.
Con un cammino di 4430 m si calcolò la vita media del mesone B0:
c = 4430 m
Dallo studio della cinematica del processo si stimò per il B0 un'impulso di 160 GeV
4430m/(E/m)c = 5.6 10­13 s
Sbagliato di un fattore 3 ( = 1.536 10­12 s)
Davide Pinci – INFN Roma
Emulsioni in esperimenti attuali
Le emulsioni sono ancora utilizzate in esperimenti in cui ci sia necessità di un'ottima risoluzione spaziale (1 m) ed in cui la rate di eventi sia tale da non renderle illegibili neutrini;
✗
Esempi recenti sono stati: ✗
Direct Observation of NeUtrino Tau (DONUT)
✗
Protoni da 800 GeV contro una targhetta
per produrre mesoni charmati con successivo
decadimento D 
✗
I neutrini interagiscono con i nuclei delle
emulsioni dando vita ad un nuovo 
✗
Fondamentale un'ottima risoluzione
spaziale per evidenziare il cammino del  che
può essere dell'ordine di qualche centianio
di micron.
✗
Davide Pinci – INFN Roma
Emulsioni in esperimenti futuri: OPERA
✗
Espermento presso i laboratori del Gran Sasso per la misura di comparsa di  in un fascio di  proveniente da CERN.
Davide Pinci – INFN Roma
✗
Come nel caso di DONUT occorre un detector:
✗
Massivo: alta probabilità di interazione neutrino­nucleone
✗
Alta risoluzione spaziale: evidenziare il cammino di un  (decimi di mm) ed il successivo “kink” di un muone;
Si è scelta la tecnologia delle emulsioni nucleari intervallate da 1 mm di materiale assorbente (Pb)
Dai punti rilasciati sulle superfici delle emulsioni si possono ricostruire i segmenti delle tracce prodotte nel vertice di interaizione neutrino­nucleone e le tacce prodotte da un possibile vertice secondario di decadimento del 
Davide Pinci – INFN Roma
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Uno spettrometro per muoni evidenzia la presenza in un evento di un possibile muone proveniente dal decadimento di un  e la successiva analisi delle emulsioni permette di evidenziare vertici secondari di decadimento.
Davide Pinci – INFN Roma
✗
La risoluzione spaziale intrinseca è data dalla quantità e dalla grandezza dei grani sensibili presenti nell'emulsione:
✗
Più grani = più punti per evidenziare una traccia
✗
Più piccoli = maggiore risoluzione spaziale
Davide Pinci – INFN Roma
✗
✗
E' anche possibile effettuare misure di impulso di particelle cariche sfruttando lo scattering multiplo
Dalla misura della differenza in angolo tra due segmenti si può ricavare la curvatura della traccia dovuta allo scattering multiplo e da questa l'impulso iniziale.
y

x
(14) Dimostrare che vale p/p = 
(15) Calcolare
(16) Dimostrare che p/p cresce linearmente con p
Limite intrinseco nella misura dell'impulso di 1 GeV per tracce diritte
Davide Pinci – INFN Roma
Rivelatori a semiconduttore
Davide Pinci – INFN Roma
Rivelatori a semiconduttore
Brevi cenni sui semiconduttori
✗
In un reticolo cristallino periodico, esistono bande d'energia ben definite per gli elettroni:
✗
Banda di valenza: corrisponde all'energia di quegli elettroni che sono legati a precisi siti nel reticolo
✗
Banda di conduzione: energia di quegli elettroni che sono liberi di muoversi all'interno del reticolo. ✗
La proprietà principale dei semiconduttori è la vicinanza tra banda di valenza e banda di conduzione: 1 eV;
✗
Negli isolanti tale separazione è dell'ordine di 5 eV;
✗
Il numero di elettroni è tale da riempire, negli isolanti e nei semiconduttori, tuti i livelli della banda di valenza;
✗
In assenza di eccitamento termico, in entrambi i casi, la banda di valenza è piena e la banda di conduzione vuota.
✗
I materiali non mostrano alcuna conduttività elettrica; ✗
Davide Pinci – INFN Roma
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✗
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Ad una temperatura diversa da zero, un elettrone può acquisire un'energia sufficiente a passare dalla banda di valenza alla banda di conduzione, lasciando una lacuna (hole) nella banda di valenza che si comporterà a tutti gli effetti come una carica positiva libera di muoversi;
La probabilità di creare una coppia elettrone­lacuna (e­h) è legata alla distribuzione di Boltzmann:
p(T) = CT3/2exp(­Eg/2kT)
k = 10­4 eV/K
Dunque la probabilità di creare dei portatori di carica scende esponenzialmente con Eg: differenza di energia tra le due bande;
Applicando un campo elettrico E ai capi di un semiconduttore, i due portatori di carica inziano a migrare con velocità proporzionali al campo stesso: vh=hE
ve=eE
✗
Con e e h : mobilità elettronica e delle lacune.
✗
Velocità dell'ordine di 106­107 cm/s si hanno per campi di 100V/cm
Davide Pinci – INFN Roma
Semiconduttori drogati
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Importante effetto è quello che hanno, all'interno del reticolo cristallino eventuali impurità. La densità di portatori negativi (elettroni) ed il numero di portatori positivi (lacune) in un semiconduttore puro saranno uguali: pi=ni (i=intrinseco)
Supponiamo ora di drogare un semiconduttore tetravalente (silicio o germanio) con impurità pentavalenti (azoto, fosforo). Gli atomi andranno a sostituire quelli del semiconduttore nel reticolo, ma dei 5 elettroni di valenza, solo 4 potranno prendere posto nei legami covalenti con gli altri atomi ed uno sarà molto debolmente legato alla struttura cristallina;
Si formerà un livello energetico intermedio tra le due bande, molto vicino alla banda di conduzione, per cui all'elettrone che lo occupa basterà un piccolo salto d'energia per finire in conduzione
A questo punto la densità di elettroni di conduzione sarà la somma tra la densità degli intrinseci e la densità gli elettroni del donatore che è pari alla densità del donatore stesso; Davide Pinci – INFN Roma
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In un silicio puro la densità dei portatori di carica è circa 1010 cm­3
L'aggiunta di un'impurità con densità di 2 parti per milione porta il numero di elettroni liberi a 1017 cm­3
La conduttività del semiconduttore drogato è quindi molto più elevata di quello intrinseco, e, in questo caso, il numero di portatori di carica negativa (elettroni) è maggiore di quello delle lacune, che in parte saranno riempite dagli elettroni liberi e si ridurranno a circa103 cm­3
Per questo si diranno gli elettroni portatori maggioritari e le lacune portatori minoritari;
Il semiconduttore si dice drogato di tipo n.
Un processo del tutto analogo è quello di drogare il semiconduttore con impurità trivalenti (alluminio, gallio) le quali daranno luogo nel reticolo a delle lacune in bande di conduzione molto vicine alla valenza e quindi molto vicine alla possibilità di muoversi e trasportare carica;
Tali atomi si dicono accettori ed il semiconduttore si dice drogato di tipo p
Davide Pinci – INFN Roma
Elettroni del donore, poco legati al reticolo.
Sono in grado di generare un livello energetico intemedio, molto vicino alla banda di conduzione
Lacune dell'accettore. Gli atomi trivalenti riescono
a strappare elettroni dalla banda di valenza creando un vacanza in grado di condurre
Davide Pinci – INFN Roma
Radiazione ionizzante su un semiconduttore
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L'effetto primario di particelle ionizzanti in un semiconduttore è quello di produrre un certo numero di coppie e­h;
Una quantità di grande interesse per le applicazioni di rivelazione e misura delle particelle è l'energia di ionizzazione: &. Senza entrare nei dettagli dei meccanismi questa nel silicio vale circa 3 eV
In un gas l'energia necessaria a creare una coppia ione­elettrone è 30 eV
Se si tiene conto che la densità di un gas è 1000 volte inferiore a quella di un semiconduttore, è facile capire che il numero di portatori di carica creato in quest'ultimo è molto più alto molto minori le fluttuazioni relative che sono spesso le principali responsabili dei limiti sulla risoluzione in energia di un rivelatore.
Va detto che il valore di & cresce al decrescere dalla temperatura. Nel silicio si passa da 3.6 eV a 300 K a 3.7 a 77 K.
Davide Pinci – INFN Roma
Il fattore di Fano
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Oltre al valor medio di dei portatori di carica create, anche le sue fluttazioni rivestono un interesse perchè strettamente correlate alla risoluzione in energia di un rivelatore.
Queste sono minori di quello che ci si aspetterebbe da una semplice distribuzione di Poisson. Questo sarebbe applicabile se le ionizzazioni lungo la traccia fossero indipendenti e porterebbe a dire che il quadrato delle fluttuazioni del numero di ionizzazioni: 2n= n = E/&.
In realtà si introduce un fattore di correzione (<1) detto fattore di Fano F (Fano, 1947, Phys. Rev. 72, 26):
2n= Fn = FE/&
Il motivo dell'esistenza di tale fattore non è ancora del tutto chiaro e soprattutto non è semplice. Lo ritroveremo anche nei rivelatori a gas.
Per i semiconduttori vale circa 0.1 a 77 K sia per il silicio che per il germanio
Davide Pinci – INFN Roma
La giunzione p­n
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Supponiamo di creare una giunzione tra due semiconduttori drogati di tipo p ed n. I rispettivi portatori di cariche (h ed e) saranno inizialmente liberi di migrare anche attraverso la giunzione. Elettroni liberi migreranno dal n al p e lacune libere dal p in quello di tipo n.
Il moto degli elettroni dall'n al p lascerà dietro di se degli atomi ionizzati positivi fermi nel reticolo cristallino. Allo stesso modo, lo spostamento delle lacune lascerà nella zone p atomi trivalenti che hanno catturato un quarto elettrone e che quindi saranno cariche negative anche esse intrappolate nel reticolo cristallino. Sui due lati della giunzione si creano zone con carica spaziale diversa da zero. In particolare sarà positiva la regione svuotata dagli elettroni nel tipo n e negativa la regione svuotata dalle lacune nel tipo p.
La migrazione si interrompe quando la differenza di potenziale tra le due zone cariche crea una barriera di potenziale al moto di ulteriori cariche libere. Davide Pinci – INFN Roma
La giunzione p­n
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Nella regione di svuotamento (depletion) non ci sono più cariche libere di muoversi;
Le cariche libere al di là della regione di svuotamento centrale non riescono più a sorpassare la barriera di potenziale al centro generata dalle cariche “scoperte” lasciate nei siti reticolari (circa 1V);
A questo punto si può pensare di applicare una differenza di potenziale esterna alla giunzione.
Davide Pinci – INFN Roma
Giunzione polarizzata inversamente
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Supponiamo di applicare una differenza di potenziale esterna ai due capi della giunzione: potenziale maggiore al semiconduttore di tipo n.
Le lacune libere del semiconduttore di tipo p migreranno verso l'elettrodo negativo lasciando scoperti ulteriori siti reticolari con carica positiva
✗
a
b
d
Gli elettroni liberi del semiconduttore di tipo n migreranno verso l'elettrodo positivo lasciando scoperti ulteriori siti reticolari con carica negativa
La regione centrale di svuotamento aumenterà in dimensioni. Si può calcolare la dimensione e la capacità:
d=a+b=(2V/eN)1/2 C=/d=(eN/2V)1/2
N = concentrazione del dopante
=costante dielettrica del semiconduttore
Davide Pinci – INFN Roma
Giunzione (diodo) come rivelatore
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Il passaggio di una particella ionizzante nella regione di svuotamento creerà una serie di coppie e­h libere di muoversi che inizieranno a migrare verso gli elettrodi, inducendo un segnale elettrico.
La regione di svuotamento può estendersi da 102­103 m per tensioni di bias 102­103V.
Poichè la carica totale dovrà essere zero, i prodotti tra la profondità delle due regioni di svuotamento (a e b) e le densità di cariche “scoperte” dovranno essere uguali: Nda=Nab. Poichè il livello di drogaggio è molto più elevato nel tipo n sarà Nd>>Na e quindi b>>a. La regione di svuotamento di estenderà molto più nel tipo p che nel tipo n.
Al fine di raccogliere la carica prodotta, sarebbe necessario impiantare elettrodi ai capi del diodo. In realtà, per un semiconduttore, non è possibile dar luogo ad un contatto “ohmico” depositando direttamente del metallo sulla superficie
Davide Pinci – INFN Roma
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Infatti, si è visto che il contatto diretto con un metallo dà luogo ad un riaggiustamento dei livelli energetici degli elettroni tale da creare un regione svuotata (e quindi isolante) che si estende nel semiconduttore;
Per prevenire questo, vengono utilizzati dei semiconduttori “fortemente” drogati come interfaccia per i metalli:
n+
p+
strato metallico
strato metallico
regione sensibile
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L'elevata densità di cariche libere fa si che anche in contatto con metalli semiconduttore fortemente drogati siano in grado di restare dei buoni conduttori della carica creata nella regione sensibile
Davide Pinci – INFN Roma
Caratteristiche di funzionamento
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Corrente di perdita: quando ad una giunzione viene applicata un ddp esterna dell'ordine di qualche centinaio di V, una corrente di qualche A può essere osservata. Questa può essere divisa in:
La corrente di “volume” può essere determinata dalla creazione di cariche libere per effetto della temperatura. Tale corrente può quindi essere ridotta lavorando a basse temperature. Nel germanio, ad esempio, a causa del piccolo valore di Eg (0.6 eV) l'effetto della temperatura è tale da richiedere necessariamente temperature di qualche decina di K
La corrente “superficiale” è invece dovuta ad impurità o umidità depositate sul diodo. E' fortemente dipendente dalla tecnica usata nella fabbricazione e soprattuto nell' incapsulamento. E' fondamentale monitorare la corrente di perdita poichè essa influenza l'effettiva ddp applicata ai capi del diodo. Inoltre brusche variazioni di tale grandezza sono spesso sintomi di malfunzionamento del diodo stesso.
Davide Pinci – INFN Roma
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Rumore e risoluzione in energia
Le principali fonti di rumore in un diodo sono:
i. Fluttuazioni della corrente di “volume” dette shot noise. Come abbiamo visto può essere ridotto con le basse temperature
ii. Fluttuazioni della corrente di superficie;
iii. Rumore Johnson associato alle resistenze esterne ed ai contatti del diodo stesso;
Tutte queste sono fonti di rumore che, sommate in quadratura, influiscono sulla risoluzione in Energia del diodo.
Tempo di salita del segnale
E' la somma di tue effetti:
i. Tempo di transito delle cariche, ovvero il tempo necessario alla migrazione delle cariche verso gli elettrodi. E' minimizzato da campi elettrici elevati e piccole regioni di svuotamento. Nell'assunzione di mobilità () costanti si può mostrare che tc = 0.5d2/V
ii. Plasma time. Per particelle pesantemente ionizzanti (frammenti nucleari) la densità di creazione di coppie lungo la traccia è così elevata da formare una specie di plasma in cui le cariche esterne
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sono in grado di schermare il campo elettrico rallentando la migrazione delle cariche interne. Questo genera un ritardo nell'inizio del segnale che vale circa 1­3 ns per particelle  e 2­5 ns per frammenti nucleari.
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Il tempo di salita finale è fortemente influenzato dalla combinazione rivalatore­amplificatore. La costante di tempo è legata al prodotto RC essendo R la resistenza di ingresso dell'amplificatore vista dal segnale. Questa è la serie della resistenza di ingresso propria dell'amplificatore e la resistenza del diodo che è sostanzialmente data dalla resistenza della zona non svuotata o parzialmente svuotata. Per questo motivo, nei casi in cui è richiesto un tempo di salita breve, si preferisce usare diodi completamente svuotati. Davide Pinci – INFN Roma
Danno da radiazione
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Il corretto funzionamento di un rivelatore a semiconduttore è strettamente legato alla quasi­totale perfezione del reticolo cristallino. La presenza di difetti può infatti creare delle trappole per elettroni o lacune impedendone il libero movimento.
L'efficienza di raccolta della carica decresce all'aumentare della radiazione assorbita a causa dell'aumento dei siti con difetti.

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Il parametro 
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Il danno da radiazione può dar luogo a variazioni nella struttura cristallina del silicio tali da modificarne le proprietà elettriche tipo la resistività;
Per parametrizzare l'andamento dell'aumento della corrente di bias di polarizzazione inversa, viene introdotto il parametro  definito come

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Il rivelatore al silicio di LHCb
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LHCb è un esperimento che opererà sui fasci collidenti di LHC, ma ha una struttura tipica dei rivelatori per esperimenti a targetta fissa.
Diverse stazioni di sensori al silicio di forma semicircolare diposte
attorno alla linea dei fasci
Davide Pinci – INFN Roma
Le stazioni sono distanti tra loro circa 3 cm nella regione attorno alla zone di interazione
ed il doppio più a valle
Ogni semi­stazione ha due faccie: una è suddivisa in 2048 strips di sensore a raggio fisso (sensori ) ed un in 2048 strip ad angolo fisso (sensori r)
Davide Pinci – INFN Roma
Il sensore
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Vediamo quale è la forma scelta per il sensore:
Regione svuotata. La gran parte è formata con silicio di tipo n (n­bulk). Il passaggio di una particella ionizzante crea coppie elettrone­
lacuna che iniziano a migrare verso gli elettrodi (n+ e p+)
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Impianti di silicio “fortemente” drogato.
Su di un lato il segnale viene letto in strip e questo fornisce l'informazione spaziale
In un sensore n­bulk lo svuotamento avviene a partire dalla giunzione con gli impianti n+ e si estende verso la zona con gli impianti p+. L'eventuale presenza di una regione non svuotata crea una zona resistiva in cui le cariche hanno difficoltà a muoversi.
Se le strip vengono disposte sul lato p come in figura (configurazione p­on­n), tale difficoltà si riflette in un segnale che risulta essere distribuito su più strip.
Davide Pinci – INFN Roma
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Per questo motivo si è scelta alla fine la configurazione n­on­n in cui ad essere suddivisa in strip è la parte n+.
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Davide Pinci – INFN Roma
Ne risente positivamente anche l'efficienza di raccolta della carica prodotta.
Performances: cammino libero dei mesoni B
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Possiamo provare a farci un'idea delle performance di risoluzione spaziale del rivelatore di vertice di LHCb;
: cammino libero di un mesone B che decade
z1
r1
r2
z2
Asse del fascio (z)
Essendo:
L'errore sul cammino libero del mesone è inversamente proporzionale al quadrato dellimpulso trasverso. Inoltre, il termine davanti a tutto comporta l'ottimizzazione: 1r2 = 2r1
allora sarà: =√2 1cm (160 m/√12) (50/2.5)2 /1 m = 200 m
a questa in realtà va aggiunto il contributo dovuto allo scattering multiplo più un contributo dovuto all'incertezza sulla posizione del punto di interazione = 300 m
Davide Pinci – INFN Roma
Performances: m
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Una delle misure più importanti di esperimenti quali LHCb è la misura della frequenza di oscillazione nel sistema di mesoni neutri. Tale frequenza è pari alla differenza tra B0 ed B0;
Si può calcolare che l'errore sulla misura di m E' quindi fondamentale mantenere bassa l'incertezza sulla vita media del B: Questa si misura dal cammino libero medio essendo = c
E' facile calcolare che 200m/5mm=4% e quindi essendo =1.5 ps per LHCb si attende un  di circa 50 fs.
Davide Pinci – INFN Roma
Rivelatori al Germanio
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I rivelatori basati su diodi al Germanio sono molto utilizzati nella spettrometria x e .
Un elevato numero di coppie prodotte (a causa del basso valore di Eg) e la necessità di lavorare a basse temperature con conseguente riduzione del rumore termico consentono una risoluzione in energia non difficilmente ottenibile con altre tecnologie
Davide Pinci – INFN Roma
Scintillatori e fotorivelatori
Davide Pinci – INFN Roma
Rivelatori a scintillazione
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La rivelazione della luce di scintallazione prodotta in alcuni materiali da particelle ionizzanti è senz'altro una delle tecniche più “antiche” e più diffuse nell'ambito della fisica nucleare e subnucleare. Particella ionizzante
Rivelatore di luce
Fotoni emessi dal mezzo a seguito dell'interazione con la particella
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Possiamo, prima di entrare nei dettagli, riassumere le proprietà fondamentali che un materiale scintillante ideale deve possedere:
Davide Pinci – INFN Roma
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1. Convertire energia cinetica della particella in una buona quantità di luce “rilevabile”;
2. La conversione deve essere lineare, cioè la produzione di luce proporzionale alla quantità di energia rilasciata;
3. Il mezzo deve essere perfettamente trasparente alla luce prodotta;
4. Il tempo caratteristico del processo che dà luogo alla produzione di luce deve essere corto, in modo da fornire segnali veloci;
5. Il coefficiente di rifrazione del mezzo deve essere molto vicino a quello del vetro (1,5) cosicchè si possano formare accoppiamenti ottici efficienti con i rivelatori di luce di scintillazione;
Non esiste un solo materiale che possieda contemporaneamente tutte queste caratteristiche. Esistono anzi diversi “tipi” di materiale scintillante:
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Scintillatori inorganici: spesso ottenuti da cristalli alogeno­alcalini (Ioduro di Sodio il più diffuso) sono molto lineari ed hanno una buona produzione di luce (light yield) ma sono lenti.
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Scintillatori organici: sono invece più veloci ma hanno una bassa produzione di luce. Sono anche più leggeri e quindi non consentono un buon contenimento della radiazione ionizzante.
Davide Pinci – INFN Roma
Scintillazione, fluorescenza e fosforescenza
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Una particella carica che attraversi un mezzo, lascia dietro di sè una scia di molecole eccitate. Una parte di queste (dell'ordine del 1­2%) rilasciano l'energia acquisita attraverso fotoni ottici (scintillazione):
(17) Qual'è il valore dell'energia dei fotoni visibili in eV?
Nel processo di fluorescenza l'iniziale eccitazione avviene a seguito dell'assorbimento di un fotone con successiva emissione di un fotone di maggior lunghezza d'onda (minore energia). Questo processo avviene in molecole complesse ed i due spettri di emissione ed assorbimento sono spesso abbastanza larghi da avere delle zone di sovrapposizione. Capita quindi che una parte della luce emessa possa essere riassorbita
Davide Pinci – INFN Roma
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Il riassorbimento o autoassorbimento è chiaramente un effetto indesiderabile che comporta una trasparenza efficace ai fotoni di fluorescenza minore e riduce le dimensioni “utili” dei cristalli.
La differenza tra i valori di picco degli spettri di emissione ed assorbimento è detta “Stokes' shift”. Accade molto spesso che maggiore sia lo Stokes' shift e minore è la probabilità di riassorbimento nel materiale.
Dunque è spesso preferibile utilizzare
materiali con un grande “Stokes' shift”
(strategia “better red than dead”);
Davide Pinci – INFN Roma
Scintillatori organici
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Negli scintillatori organici, il processo di fluorescenza nasce da transizioni nei livelli energetici ci una singola molecola. Esso è quindi indipendente dallo stato fisico in cui la molecola si trova (liquido, vapore, in soluzione). Questa cosa non accade nei cristalli inorganici in cui e' la struttura stessa del reticolo cristallino a dar luogo ai processi di emissione di luce.
Il principale processo di emissione di luce è legato all'eccitamento di elettroni che occupano il cosiddetto orbitale .
Si tratta di elettroni di valenza che non appartengono più ad un singolo atomo della molecola, ma che sono in qualche modo liberi. Per questi sono possibili diversi livelli energetici relativi a stati con spin 0 (singoletti S0, S1, S2...) o spin 1 (tripletti T1, T2...). A temperatura ambiente tutti gli elettroni si trovano nello stato S0.
L'energia fornita dal passaggio di una particella carica ha l'effetto di promuovere gli elettroni a livelli energeti eccitati (S1, S2, T1, T2). Con tempi dell'ordine del picosecondo, attraverso conversioni interne, elettroni dagli stati più elevati vengono riportati nel primo eccitato S1. Davide Pinci – INFN Roma
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Dunque, il passaggio di una particella carica crea in breve tempo una popolazione di elettroni nel primo stato eccitato. L'emissione di luce di fluorescenza è data dalla transizione tra lo stato S1 ed uno dei livielli S0
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T2
fosforescenza
S1
assorbimento
S2
fluorescenza
S2
degradazione interna
rotovibrazionali dello stato S0.
T1
Se  rappresenta i tempo di decadimento nella transizione S1­S0 (10­12 s), l'intensità della luce di fluorescenza avrà un andamento temporale:
I(t) = I0e­t/
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La vita media dello stato T0 è spesso molto più lunga (10­3 s) e, come si vede, i fotoni di fosforescenza hanno più bassa energia.
Davide Pinci – INFN Roma
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L'efficienza di scintillazione è definita come la frazione di energia depositata nel materiale che risce ad essere convertita in luce
A causa dei diversi modi di de­eccitamento che non danno luogo ad emissione di luce questa purtruppo è bassa e molta parte di energia finisce in moti rotovibrazionali delle molecole (calore)
In molti casi una piccola dose di scintillatore è aggiunto ad un substrato (o solvente, bulk) che può essere solido o liquido. L'energia rilasciata viene ceduta principalmente al solvente. Trova quindi poi una strada fino alle molecole di scintillatore che producono la luce.
Spesso è aggiunta anche una terza componente che ha il compito di assorbire la luce emessa e rimetterne con differente lunghezza d'onda. Questo rende molto più difficile che la luce venga riassorbita dallo scintillatore stesso ed aumenta la trasparenza effettiva.
Tali sostanze sono spesso indicate come “wave length shifter”
Davide Pinci – INFN Roma
Tipi di scintillatori organici
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Cristalli organici puri: Antracene è uno dei materiali più diffusamente utilizzati ed ha la più elevata efficienza di scintillazione (luce emessa/energia rilasciata). Lo Stilbene produce meno luce, ma ha una migliore linearità ed è utilizzato quando dalla forma del segnale prodotto si voglia distinguere tra elettroni ed altre particelle cariche.
Soluzioni con scintillatori organici liquidi: uno scintillatore viene disciolto in un opportuno solvente. Negli esperimenti in cui è necessario equipaggiare larghe aree, contenitori con liquido scintillate sono la unica soluzione. L'eventuale presenza di impurezze può però inficiare il trasporto di luce e quindi questi scintillatori sono utilizzati in contenitori sigillati. Sono “imbattibili” per misurare la radiazione emessa da sostanze che vengono immerse nello scintillatore stesso. La loro efficienza di conteggio è praticamente pari al 100%. Vengono usati, ad esempio, per la datazione con 14C.
Davide Pinci – INFN Roma
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Scintillatori plastici: se uno scintillatore è disciolto in un solvente che viene poi a polimerizzare, il risultato è una “soluzione solida” detta scintillatore plastico. Un esempio è lo stirene. Questo tipo di materiale è molto semplice da ottenere, lavorare e maneggiare e per questo e' largamente utilizzato. La trasparenza può raggiungere valori tali per cui l'intesità luminosa si dimezza dopo metri e questo consente di poter utilizzare questi rivelatori su larghe aree.
Rivelatore di Kamland riempito a scintillatore liquido
Davide Pinci – INFN Roma
Esempi di scintillatore plastico
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Ecco una tabella con le principali caratteristiche di scintillatori organici (plastici e liquidi)
Davide Pinci – INFN Roma
Emissione di luce
Per la maggior parte degli scintillatori organici in commercio (Antracene, Stilbene, liquidi e plastici) la risposta di luce è lineare per energie al di sopra di 125 keV.
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La risposta a particelle pesanti ( o protoni) è sempre minore rispetto a quella per particelle cariche più leggere.
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A basse energie c'è un fattore quasi 10
che tende a diminuire ad energie maggiori.
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L'emissione di luce può essere espressa
dal parametro dL/dx: energia emessa sotto
forma di luminescenza per unità di lunghezza
mentre dE/dx è l'energia rilasciata per unità
di cammino.
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Un relazione molto usata è la legge di Birks che si basa sull'idea che un'elevata densità di ionizzazione crei dei danni nelle molecole che finisco per limitare l'emissione di luce (quenching)
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Davide Pinci – INFN Roma
La legge di Birks
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Dunque l'efficienza di ionizzazione decresce per particelle di alta energia.
Si può suppore che:
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La densità di molecole danneggiate sia proporzionale alla densità di ionizzazione attraverso una costante di Birks B.
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Una frazione k delle molecole danneggiate comporti del quenching
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In assenza di quenching ci sia linearità completa dL/dx = S dE/dx. Questo si traduce nella formula di Birks:
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Particelle leggere (elettroni) non c'è quenching:
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Particelle pesanti () c'è “molto” quenching:
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Risulta quindi che: in generale kB = 0,01 cm/MeV
Davide Pinci – INFN Roma

Legge di Craun e Smith
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Un'estensione più generale della legge di Birks è ricavata da Craun dall'analisi dei molti dati raccolti da Smith et al. sulla risposta di scintillatori organici:
Per particelle fortemente ionizzanti, questa espressione riesce a tener conto di effetti di saturazione secondari.
In generale si riesce ad ottenere una risoluzione sull'energia della particella incidente dell'ordine del 10­15%.
Davide Pinci – INFN Roma
Discriminazione della forma dell'impulso
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Come abbiamo detto il segnale risulta essere una sovrapposizione di una componente veloce (fluorescenza) ed una lenta (fosforescenza). Entrambe hanno un'andamento esponenziale:
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Di solito la componente lenta è poco rilevante a meno che non si intenda utilizzarla per l'identificazione della particella incidente. Infatti la componente lenta è estremamente sensibile alla densità di ionizzazione (dE/dx) e quindi alla natura della radiazione.
Gli scintillatori organici (cristalli puri di stilbene o scintillatori liquidi e plastici) si prestano bene al pulse shape discrimination.
Davide Pinci – INFN Roma
Scintillatori inorganici
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Il meccanismo di scintillazione in questo caso è strettamente correlato alle proprietà del reticolo. Gli elettroni hanno bande d'energia discrete (valenza e conduzione) e l'assorbimento di energia da radiazione incidente permette il passaggio da una banda all'altra. In cristalli puri, la successiva ricaduta dell'elettrone nella banda di valenza darebbe luogo a fotoni di troppo elevata energia per essere “visti” (5­10eV).
Per aumentare la probabilità di emissione di un fotone ottico vengono aggiunte impurezze (dette attivatori) nel cristallo che creano delle bande intermedie per gli elettroni. Il passaggio di radiazione ionizzante crea una coppia elettrone lacuna. L'elettrone inizierà a migrare libero nella banda di conduzione mentre la lacuna riuscirà a ionizare un sito attivatore. Quando l'elettrone viene ricatturato dal sito verrà emesso un fotone di bassa energia. Questo processo ha un tempo caratteristico di circa 10­7 s. Al contrario degli organici, in generale una sola componente temporale è quello che si osserva
Davide Pinci – INFN Roma
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La presenza degli attivatori fà si che il cristallo sia praticamente trasparente ai fotoni creati.
C'è comunque la possibilità che l'elettrone torni alla banda di valenza attraverso dei processi interni che non danno luogo ad emissione di luce. In questo caso si ha un fenomeno di quenching molto simile a quello visto negli scintillatori organici.
Una misura dell'efficienza di scintillazione può essere offerta da un semplice ragionamento: “in generale creare una coppia e­h costa 3 volte la larghezza della gap. Nello ioduro di sodio circa 20 eV. Dunque, una particella che rilascia 1 MeV crea 5 104 coppie. Varie misure hanno mostrato che nello ioduro di sodio l'efficienza di scintillazione è pari al 12%. Cioè di 1 MeV (106 eV) circa 12 104 eV vengono “trasformate in fotoni” i quali hanno un energia media di 3 eV. Dunque in tutto vengno creati 4 104 fotoni. Quindi circa ogni coppia e­h dà luogo fotone.
Davide Pinci – INFN Roma
Proprietà di alcuni scintillatori inorganici
Davide Pinci – INFN Roma
Ioduro di Sodio con Tallio (NaI(Tl))
Nel 1948 Hofstadter dimostrò che l'aggiunta di impurezze di Tallio nella mescola dello ioduro di sodio davano luogo ad un cristallo in grado di produrre una enorme quantità di luce comparata a quella degli scintillatori organici fino ad allora utilizzati.
Da allora questo materiale ha avuto un ruolo di primo piano fino ad oggi.
L'elevata produzione di luce consente un'ottima risoluzione in Energia
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La risposta è lineare per quasi 3 ordini di grandezza (keV­GeV)
Davide Pinci – INFN Roma
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I principali aspetti negativi di questo tipo di scintillatori sono:
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Igroscopia: questo cristallo è igroscopico (come l'NaCl) e quindi per evitare che si deteriori deve essere utilizzato sigillato.
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Risposta temporale: la costante di tempo principale è pari a 230 ns più una seconda (dovuta a processi di fosforescenza di 0.1 s che contribuisce a circa il 10% della luce emessa).
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Dipendeza dalla temperatura: sia la quantità di luce emessa che la risposta temporale dipendono fortemente dalla temperatura e questo rende inutilizzabile questo cristallo in presenza di alte temperature.
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Bassa densità: la bassa densità (inferiore a 4 g/cm3) fa si che in caso di particelle di alta enegia sia necessario un grosso volume per avere un buon contenimento.
(18) Calcolare quanti cm di NaI(Tl) occorrono per contenere lo sciame generato da un elettrone da 1 GeV
(19) Calcolare quanti cm di NaI(Tl) occorrono per contenere un muone da 1 GeV
Davide Pinci – INFN Roma
La raccolta di luce
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In generale sarebbe bene raccogliere la maggior parte della luce prodotta nello scintillatore. Due sono i principali limiti:
I. Il riassorbimento dello scintillatore stesso
II. Perdita nelle interfacce verso i rivelatori di luce
In generale questo secondo effetto è il peggiore. Poichè la luce è emessa isotropicamente soltanto una piccola parte dei fotoni emessi viaggia direttamente verso il “lettore”. Tutti gli altri devono subire una o più riflessioni fino alla raccolta. Dalle leggi dell'ottica geometrica sappiamo che esiste un angolo critico (formato con la normale all'interfaccia) c = arcsin (n1/n0) al di sopra del quale il fotone sarà riflesso e non riuscirà ad uscire. Per ricatturare i fotoni che “sfuggono” gli scintillatori sono di solito rivestiti di materiale riflettente.
Al contrario, nell'interfaccia verso il “lettore” si vorrebbe la completa trasmissione.
Davide Pinci – INFN Roma
Trasmissione e trasporto di luce
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Idealmente si vorrebbe che l'indice di rifrazione incontrato dai fotoni fosse costante in modo da avere un angolo critico pari a 90o;
Di solito l'indice di rifrazione degli scintillatori plastici o liquidi è effettivamente vicino a quello del vetro (1,5) di cui sono fatte le finestre di apertura dei rivelatori di luce;
In questi casi è necessario un “accoppiatore ottico” con indice di rifrazione opportuno per evitare che ci sia aria (n=1,0) in mezzo;
Riflessioni interne sono invece attese in caso degli scintillatori inorganici che hanno indici di rifrazione più elevati (1,8­2,0).
Molto spesso (sempre) è impossibile accoppiare il “lettore” direttamente allo scintillatore per motivi geometrici o altri (presenza di campi magnetici). In questo caso la luce prodotta verrà trasportata attraverso delle guide di luce.
Queste funzionano sul principio della riflessione interna. Materiali trasparenti con elevato indice di rifrazione in modo tale che solo fotoni
Davide Pinci – INFN Roma
con elevato angolo di incidenza riescono ad uscire.
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In generale, in presenza di lunghi scintillatori, i fotoni che escono, avendo in media subito un elevato numero di riflessioni interne, hanno direzione quasi parallela a quella dello scintillatore stesso.
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Indipendentemente dalla forma della guida di luce, il flusso di fotoni per unità di area per unità di angolo solido non può mai essere maggiore di quello che si ha all'ingresso. ✗
Se il “fascio di fotoni” incontra una guida di luce in cui la superficie della sezione ortogonale alla direzione dei fotoni va diminuendo, ci sarà una perdita di luce. Per questo motivo si è soliti utilizzare guide di luce a sezione costante.
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In questo caso si parla di guide di luce adiabatiche le quali massimizzano l'efficienza del trasporto.
Davide Pinci – INFN Roma
Fotomoltiplicatori
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La debole luce prodotta (in generale qualche centinaio di fotoni) nei vari tipi di scintillatori dovrà poi essere trasformata in un segnale elettrico in grado di essere rivelato ed acquisito.
In generale il compito di questa trasformazione è svolto da fotomoltiplicatori o (ultimamamente) da fotodiodi.
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Davide Pinci – INFN Roma
Il principio di funzionamento dei fotomoltiplicatori (PM) è il seguente:
i. I fotoni vengono “trasformati” in elettroni mediante effetto fotoelettrico sul fotocatodo
ii. Gli elettroni accelerati vengono utilizzati per estrarre elettroni secondari
iii. Con un meccanismo a valanga il numero di elettroni aumenta enormemente (106)
iv. Gli elettroni raccolti danno il segnale elettrico
Davide Pinci – INFN Roma
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Il fotocatodo: l'assorbimento del fotone e la successiva emissione dell'elettrone avviene per effetto fotoelettrico sulla finestra di ingresso del fototubo. Di solito il fotocatodo è realizzato da un metallo alkalino spalmanto su una finestra di vetro trasparente ai fotoni. Il lavoro di estrazione rappresenta la soglia minima di energia richiesta al fotone ed è dell'ordine di 3­4 eV. L'energia dovuta all'agitazione termica (kT) è dell'ordine di 0,025 eV. Visto l'elevato numero di elettroni, la probabilità di emissione spontanea di elettroni è dell'ordine di 100 Hz/m2. Si definisce efficienza quantica (QE) il rapporto: n emessi/n incidenti
La QE ha una dipendenza dalla lunghezza d'onda ed al massimo vale 20­30%.
Davide Pinci – INFN Roma
Moltiplicazione degli elettroni: il processo di moltiplicazione avviene attraverso il fenomeno di emissione secondaria. Gli elettroni uscenti dal fotocatodo sono accelerati con campi elettrici e mandati ad urtare la superficie di un elettrodo detto dinodo (ossidi di berillio o manganese). Il passaggio di questo elettrone primario eccita gli elettroni del materiale che ricevono energia sufficiente per essere emessi con un energia cinetica di 1 eV. L'energia necessaria per l'estrazione è al solito 2­3 eV. Un elettrono primario accelerato da una ddp di 100 V è quindi in grado di produrre circa 30 secondari. Solo una frazione piccola (20­30%) riesce però ad uscire. ✗
Si definisce : n secondari/n primari
che è dell'ordine di 10. ✗
Davide Pinci – INFN Roma
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Dunque per ottenere elevati guadagni vengono utilizzati diversi N dinodi in cascata ottenendo un guadagno totale
G = N
Essendo  la frazione di fotoelettroni catturati dal primo dinodo (circa 1).
Al primo ordine si può supporre  sia proporzionale alla ddp tra il dinodo colpito e quello precedente: = kVd  G=a(kVd)N.
Davide Pinci – INFN Roma
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Il partitore: in generale le ddp tra i dinodi sono attenute attraverso un partitore da una ddp totale V:
(a) HV positivo sull'elettrodo di raccolta (Anodo) e Fotocatodo a terra. Il segnale in uscita dovrà essere accoppiato capacitivamente. Questo rallenta il segnale in uscita.
(b) HV negativo sul Fotocatodo ed Anodo a terra. Il segnale può essere raccolto direttamente, ma l'alta tensione sul Fotocatodo può generare impulsi spurii.
In entrambi i casi, negli ultimi stadi dove la carica in gioco è alta si usano
delle capacità in parallelo ai dinodi per rifornire rapidamente la carica persa.
Davide Pinci – INFN Roma
Linearità di un fototubo
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E' importante che il guadagno di un PM sia costante. Questo dipenda da due fattori:
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che avrà una deviazione standard pari alla sua radice quadrata (Poisson) ed una varianza relativa ()2 pari a 1/In totale sarà:
(1)+(1)2+(1)3+...(1)N = 1) effetto piccolo per  >>1.
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Fluttuazioni della alimentazione del PM. Da quanto visto risulta: ln G=n ln(kVd) → dG/G = n (dVd/Vd) =n (dV/V)
Una variazione dell'1% sulla tensione del partitore in un PM a 10 stadi dà luogo ad una variazione del 10% sul guadagno.
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A questi effetti vanno poi sommate variazioni dovute alla temperatura ed effetti di saturazione in caso di alto flusso di radiazione (alta corrente nel partitore).
Infine, la presenza di un campo magnetico devia le traiettorie degli elettroni diminuendo il guadagno fino a tal punto dal renderli inutilizzabili.
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Davide Pinci – INFN Roma
Le diverse configurazioni di dinodi
Davide Pinci – INFN Roma
I fotomoltiplicatori a multianodo
L'utilizzo di micro­strutture per la moltiplicazione degli elettroni consente di mantenere “memoria” del punto in cui il fotone ha convertito sul fotocatodo.
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Se il segnale indotto dagli elettroni viene letto su un anodo segmentato in strip o pad è possibile ricreare un'immagine in 2 dimensioni.
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Davide Pinci – INFN Roma
Fotodiodi
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Si tratta di strumenti a stato solido (semiconduttori) in grado di trasformare un segnale luminoso (fotoni) in elettrico (elettroni). A causa delle loro ridotte dimensioni, insensibilità ai campi magnetici e crescenti prestazioni stanno sostituendo i fotomoltiplicatori tradizionali.
Fotodiodi convenzionali: il fotone (3­4eV) che giunge sulla giunzione p­n inversamente polarizzata nella regione di svuotamento è in grado di formare una coppia e­h (1­2 eV). Il processo ha un'elevata efficienza a causa della densità del semiconduttore. La QE ottenibile è dell'ordine di 60­80%. L'assenza di moltiplicazione dà luogo segnale è in generale dato da un centinaio di elettroni. Questo rende maggiori le fluttuazioni e minore (di circa un fattore 2) la risoluzione in energia rispetto ai PM.
Davide Pinci – INFN Roma
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Fotodiodi a valanga: il problema della poca carica prodotta è stato risolto con fotodiodi in grado di moltiplicare il numero di elettroni primari creati dall'assorbimento dei fotoni. I primari vengono accelerati nella regione di svuotamento danno luogo a dei secondari che fanno lo stesso.
Il guadagno ha una fortissima dipendenza dalla tensione di alimentazione che deve quindi essere tenuta estremamente stabile.
Davide Pinci – INFN Roma
Calorimetria elettromagnetica ed adronica
Davide Pinci – INFN Roma
Calorimetria
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Si intende misura dell'energia delle particelle prodotte in una reazione.
Le energie in gioco sono cosi basse che non danno luogo a variazioni di temperatura apprezzabili:
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Quanta energia (in J) è immagazzinata in LHC?
E=1014 protoni x 1012 eV = 108 J
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Quanta acqua potrebbe essere scaldata di 100 K con tale energia?
M=E/(cT)= 108 J / (4,18 J/gK) 100 K = 240 kg
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Quanto sale la temperatuta di 1 l d'acqua che assorbe una particella da 1 GeV?
T = E/cM = 4 10­14 K
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Quindi misurare la temperatura di un bersaglio non è un buon modo per risalire all'energia della particella.
Quello che in generale si fa è far interagire la particella con un mezzo assorbente ed studiare i prodotti di tale interazione: la calorimetria è uno strumento “distruttivo” tutta l'eneriga della particella viene assorbita. Davide Pinci – INFN Roma
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In un calorimetro avvengono principalmente due processi.
1 Assorbimento­Interazione
La particella iniziale dà luogo a processi di produzione di particelle secondarie in cascata (cascate elettromagnetiche o adroniche);
Le particelle secondarie prodotte saranno in numero ed energia proporzionali all'energia della particella iniziale;
Queste daranno luogo a processi di ionizzazione o eccitamento degli atomi o molecole del mezzo incontrato producendo:
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Carica elettrica libera (ionizzazione)
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Luce di scintillazione o Cerenkov (eccitamento)
2 Rivelazione
La carica o la luce prodotta viene raccolta mediante oppurtuni rivelatori;
Dalla misura della quantità totale di particelle secondarie prodotte e della loro energia si può risalire all'energia della particella incidente;
Dall'analisi della forma delle cascate prodotte e dalla loro posizione si può risalire all'identità della particella primaria e la sua traiettoria.
Davide Pinci – INFN Roma
Risoluzione in energia
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Torniamo al modellino semplice di Rossi sulla cascata elettromagnetica:
numero totale di particelle secondarie prodotte
lunghezza totale del cammino delle particelle secondarie prodotte
Durante il loro cammino le particelle secondarie interagiscono con il mezzo rilasciando energia rivelabile.
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La fluttuazione di quest'ultima determina al primo ordine la risoluzione del calorimetro:
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La risoluzione in energia relativa di un calorimetro è inversamente proporzionale alla radice quadrata dell'energia della particella ed alla lunghezza di radiazione (media) del calorimetro ✗
Davide Pinci – INFN Roma
Calorimetri omogenei
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Le due principali funzioni di un calorimetro (assorbimento­interazione e rivelazione) possono essere svolti da uno stesso materiale abbastanza “massivo” da permettere un elevato numero di interazioni e sensibile ai prodotti di queste. In questo caso si parla di calorimetri Omogenei: ✗
Scintillatori ad elevata densità per la luce di scintillazione.
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Vetri al piombo per la luce Cerenkov
Offrono le migliori risoluzioni in energia poichè tutti prodotti dei processi di interazione vengono rivelati
Non sono sempre utilizzabili poichè ad elevate energie fanno fatica a garantire un buon contenimento delle valanghe ed hanno un coto più elevato
Calorimetro di OPAL: vetro al piombo
Davide Pinci – INFN Roma
Calorimetri a campionamento
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Possono essere diversi la parte assorbente e la parte sensibile. In queso caso si parla di calorimetro a Campionamento (o Sampling) poichè in generale sono costruiti da una serie di strati assorbenti inframmezzati da strati sensibili.
La parte assorbente è spesso costituita da strati sottili (qualche mm) di metallo ad elevata densità (Fe, Pb, U).
La parte sensibile da scintillatori, rivelatori a gas, rivelatori a liquidi nobili.
Davide Pinci – INFN Roma
Fluttuazioni di sampling
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Nel caso del calorimetro a campionamento la risoluzione in energia è peggiore per due effetti:
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non tutta l'energia rilasciata è rivelabile (solo quella rilasciata negli strati sensibili). La lunghezza effettiva delle tracce rivelabili sarà Teff rivelatore
assorbitore
Da questa si può calcolare la fluttuazione di energia:
C'è un contributo in più dovuto al sampling che va come h/d. L'energia rilasciata nelle zone non sensibili è persa e cresce con h/d
Davide Pinci – INFN Roma
h
d
Fluttuazioni di path length e di Landau
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La lunghezza efficace (Teff) dipende anche dall'angolo con cui le particelle secondarie prodotte entrano nella zona sensibile
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Soprattutto gli elettroni di bassa energia possono avere anche angoli grandi
L'energia depositata (per ionizzazione) in uno strato “sottile” di rivelatore ha un funzione di distribuzione di probabilità di Landau (code con elevata ionizzazione):
Davide Pinci – INFN Roma
Cascate adroniche
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Le interazioni con la materia degli adroni di alta energia (carichi o neutri) sono determinate da processi nucleari anelastici:
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Eccitazione e rottura del nucleo
Con produzione di frammenti e Particelle secondarie
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Per alte energie (>1GeV) la sezione d'urto dipende debolmente dall'energia e dal tipo di particella incidente (pioni, K, p). inel=0A0,7 essendo 0 = 35 mb
Analogamente a quanto fatto per le cascate e.m. Si può definire un cammino libero medio per interazioni nucleari anelastiche.
la lunghezza di interazione: I= A/(NAtot)  A1/3
Davide Pinci – INFN Roma
La lunghezza di interazione
Per ferro e piombo si ottiene:
Fe: X0 = 13.9/7.87 = 1.77 cm I = 132/7.87 = 16.8 cm
Pb: X0 = 6.4/11.35 = 0,56 cm I = 194/11.35 = 17.1 cm
Davide Pinci – INFN Roma
Lo sviluppo longitudinale
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La profondità dello sviluppo di una cascata adronica cresce logaritmicamente con l'energia della particella primaria.
Se misurata in lunghezze di interazione questa è abbastanza indipendente dal materiale In una decina di lunghezze di interazione è contenuto il 99% dell'energia di un adrone di qualche centinaio di GeV
Davide Pinci – INFN Roma
Le cascate adroniche sono più lunghe e più larghe di quelle elettromagnetiche
Davide Pinci – INFN Roma
Neutroni e neutrini
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I neutroni interagiscono con in nuclei solo attraverso le interazioni forti. E' necessario, per rivelarli, che nell'interazione vengano prodotte particelle cariche.
Questo può avvenire attraverso reazioni elastiche o conversioni:
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A queste reazioni si aggiunge la possibilità di fissione nucleare prodotto dai neutroni su opportuni nuclei del bersaglio.
L'energia dei neutrini è invece praticamente inosservabile nei normali rivelatori da fascio. L'efficienza di rivelazione di un neutrino in 1 m di ferro è di 5 10­17.
In un rivelatore ermetico, con copertura sull'intero angolo solido, l' energia e l'impulso portati via da un neutrino sono ricavabili come differenza da quelli totali dell'enegia dei fasci. Davide Pinci – INFN Roma
Le due componenti di una cascata adronica
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In una cascata adronica gran parte delle particelle prodotte è costituita da pioni. In particolare il 0 decade in due fotoni i quali danno luogo ad una cascata e.m.
La frazione di energia che finisce nella componente e.m. varia in modo del tutto casuale.
Davide Pinci – INFN Roma
La compensazione
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Dato un adrone di una fissata energia, poichè il rivelatore è molto più sensibile all'energia della componente e.m. La risposta al passaggio di un adrone può variare molto:
Rh = ehEh+eeEe
eh ed ee le efficienze alle due componenti ed Eh ed Ee le energie delle due componenti.
Il rapporto Eh/E = Eh/(Eh+Ee) dipende al primo ordine dal numero di pioni neutri:
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La risposta del calorimetro diventa non lineare con l'energia
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Un calorimetro in cui ee=eh si dice compensato.
Davide Pinci – INFN Roma
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Sono state sviluppate diverse tecniche di compensazione nei calorimetri adronici:
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Aumentare eh Uso di Uranio per produrre energia da fissione nucleare
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Uso di parte sensibile ad elevata presenza di protoni per sfruttare le interazioni elastiche n+p­>n+p;
Diminuire ee
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Davide Pinci – INFN Roma
Uso di un assorbitore ad elevato Z e di un rivelatore a basso Z per diminuire il numero di interazioni fotoelettriche dei fotoni di bassa energia Calorimetria adronica esempi
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In alcuni un'ottima compensazione è stata raggiunta (1,00 0,02):
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ZEUS: scintillatore + uranio impoverito
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D0: Argon liquido + uranio impoverito
In questi casi una risoluzione sull'energia di circa il 40%/√E è stata ottenuta.
E' chiaro che in generale la risoluzione ottenibile è almeno un ordine di grandezza peggiore di quella di un calorimetro elettromagnetico. Su LHC sarà anche peggio: CMS rame+scintillatore plastico (6I)
Davide Pinci – INFN Roma
L'esperimento CMS
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CMS sarà uno dei due esperimenti “general purpose” che opereranno sul collisore per protoni LHC.
Davide Pinci – INFN Roma
Il calorimetro EM di CMS
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Particolare cura è stata usata nel progettare e costruire il calorimetro elettromagnetico (utile per rivelare il decadimento dell'Higgs in 2 ):
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Calorimetro omogeneo (il materiale assorbente che dà luogo alla valanga è anche sensibile ai prodotti della valanga stessa)
✗
Utilizzati cristalli inorganici PWO (PbWO4: tungstenato di piombo) ✗
ottime proprietà assorbenti (lunghezza di radiazione ed angolo di Molière) e velocità di risposta;
Letto con fotodiodi a valanga (APD) per le ridotte dimensioni e la possibilità di operare in campo magnetico;
Davide Pinci – INFN Roma
I cristalli di PWO
Nella tabella sono indicate le principali caratteristiche del PWO
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L'elevata densità e l'elevata Z del tungsteno (74) consentono un piccola lunghezza di radiazione e raggio di Molière:
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25 X0 si possono ottenere con soli 23 cm di cristallo. Buon contenimento ✗
longitudinale degli sciami e buona risoluzione in Energia
Si ha un buon contenimento laterale: buona risoluzione angolare e bassa probabilità di sovrapposizione di due sciami.
Davide Pinci – INFN Roma
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Alta velocità di risposta: la maggior parte della luce (95%) viene emessa in meno di 25 ns che è il tempo che intercorre tra due eventi successivi. Questo riduce di molto l'occupancy del calorimetro.
Buona trasparenza ai fotoni emessi con lunghezza di attenuazione che supera i 3 m.
Uno svantaggio è dato dalla bassa produzione di fotoni. Circa l'1% di quelli prodotti dallo ioduro di sodio e circa il 10% di quelli prodotti dal BGO con cui era fatto il calorimetro di L3.
Davide Pinci – INFN Roma
I fotorivelatori: APD
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La luce prodotta viene trasformata in segnale elettrico attraverso dei fotodiodi a valanga (APD). Saranno utilizzati 2 APD per cristallo.
Davide Pinci – INFN Roma
Le prestazioni
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In generale la risoluzione in energia di un calorimetro e.m. viene presentata nella forma:
La somma in quadratura di 3 termini:
­ a: Termine stocastico. L'idea è che si abbia una produzione di un numero di fotoelettroni proporzionale all'energia della particella incidente N=kE con distribuzione poissoniana attorno al suo valore medio e fluttuazioni pari a N=√N = √(kE). Quindi dalla misura di N (cioè dalla quantità di luce raccolta) si può risalire all'energia: E=N/k che avrà un'icertezza E = N/k = E/√k. Quindi la risoluzione in energia sarà inversamente proporzionale alla radice dell'energia stessa con costante di proporzionalità a=1/√k. Inoltre, maggiore è k (maggiore il numero di fotoni ad una data energia) migliore sarà la risoluzione in energia.
Davide Pinci – INFN Roma
­ b: Termine di noise. Come si vede non dipende dall'energia ed è dovuto sia al rumore del fotorivelatore (PM o fotodiodo) e dell' elettronica di successiva sia alla sovrapposizione di due eventi fisici nella stessa regione
­ c: A questo termine (che dà in pratica luogo ad una parte che cresce linearmente con l'energia) contribuiscono tutti quegli effetti fortemente correlati all'enrgia stessa come: errori di (inter)calibrazione, mal contenimento degli sciami, effetti di temperatura o danni da radiazione che mutano la risposta di una parte del calorimetro rispetto al resto.
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Per il calorimetro di CMS, nella fase di bassa luminosità, varrà:
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Ecco come apparirà lo spettro di massa dei due fotoni di decadimento di un Higgs con massa 130 GeV.
Davide Pinci – INFN Roma
Rivelatori a gas
Davide Pinci – INFN Roma
Ionizzazione del gas
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Una particella carica che attraversa il gas lascia dietro di se una scia di atomi ionizzati. Il cammino libero medio  (distanza media tra due ionizzazioni) sarà inversamente proporzionale al prodotto .
Il numero di ionizzazioni dopo un cammino L avrà distribuzione poissoniana attorno al valore medio n=L/.
P(n,k) = (nk/k!) e­n
Quindi la probabilità di non avere alcuna ionizzazione sarà P(0) = e­n
La funzione di distribuzione di probabilità del cammino l effettuato tra due urti sarà esponenziale con valor medio :
f(l)dl=P(1/0)P(dl/
f(l)1/e­l/
ne risulta che anche la varianza di l sarà 
Davide Pinci – INFN Roma
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Il numero di ionizzazioni al cm cresce con la Z del gas: vale 5 per l'idrogeno e l'elio, 20 per azoto, ossigeno ed aria e 30 per l'argon (a pressione atmosferica)
Tale numero è linearmente proporzionale alla densità del gas
In media si può assumere che l'energia necessaria alla creazione di una coppia sia di circa 30 eV
Davide Pinci – INFN Roma
Distribuzione della cluster size
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✗
Una descrizione efficace della ionizzazione nel gas deve tener conto del numero di elettroni prodotti direttamente o indirettamente dalla particella ad ogni interazione con le molecole del gas.
Come abbiamo visto infatti a volte gli elettroni liberati hanno un'energia sufficiente a produrre ionizzazione secondaria (raggi ).
Il loro cammino è breve e la densità di ionizzazione elevata a causa della loro bassa energia (< keV);
A tutti gli effetti è come se i secondari fossero prodotti nel punto di ionizzazione a formare un cluster.
Gas
Ar
He
CO2
Davide Pinci – INFN Roma
P(1)
66
77
72
P(2)
15
12
14
P(3)
6
5
4
P(4)
4
2
2
✗
Un andamento che può essere approssimato ad esponenziale con valor medio 3.
Il moto di una particella carica nel gas ✗
✗
✗
✗
✗
✗
Il moto di una particella di carica q e di massa m in un mezzo in presenza di un campo elettrico E discende dall'equazione:
m (dv/dt) = eE­kv
Dove k descrive la forza d'attrito proporzionale alla velocità della particella.
Il rapporto m/k=t ha le dimensioni di un tempo. Per t>>t la componente “transiente” della soluzione omogenea (m (dv/dt) = ­kv) scompare;
Per t>>t l'equazione ha una soluzione costante:
v = (et/m)E = E e vale dv/dt = 0
Dove m è definita come la mobilità della carica nel gas:
✗
È inversamente proporzionale alla massa della particella;
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È direttamente proporzionale alla costante t;
✗
È direttamente proporzionale alla carica della particella
Davide Pinci – INFN Roma
Un modellino microscopico
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✗
Nella realtà elettroni e ioni in un gas non sentono un attrito “continuo”, ma alternano tratti di moto libero e urti contro le molecole del gas;
Deriva degli elettroni
Un elettrone dopo aver subito una collisione si muoverà in una direzione casuale, indipendente dalla direzione che aveva prima dell'urto, a causa della piccola massa rispetto a qualla degli atomi con cui urta. Tale velocità avrà componenti a valore medio nullo in tutte le direzioni. A questa si sovrappone una velocità diretta nella direzione del campo E. Se t è l'intervallo medio di tempo tra due collisioni, tale velocità media sarà: v = (eE/m)t. Ed apparirà come la velocità di deriva macroscopica degli elettroni.
Per elettroni che si muovono con velocità istantanea u vale:
1/t = Nu
Quindi la velocità media di deriva v = (e/mu)(E/N) Davide Pinci – INFN Roma
✗
Si hanno due importanti conseguenze:
1 La velocità media di deriva dipende dal rapporto E/N (campo ridotto), cioè dal rapporto tra il campo elettrico e la densità del gas. 2 Il tutto dipende dalla sezione d'urto elettrone­atomo che ha una forte dipendenza dall'energia dell'elettrone stesso  Questa ha dei minimi detti di Ramsauer (per l'argon a 0,1 eV). Elettroni con energie dell'ordine dei minimi di Ramsauer avranno quindi un'elevato cammino libero medio. A cause di ciò la loro energia crescerà fino a portarli in regimi (eccitamento dell'atomo) in cui la sezione d'urto torna ed essere elevata (10 eV per l'argon). Il tutto risulta in una velocità di deriva bassa. L'utilizzo di miscele con gas molecolari permette di ottimizzare: il CH4 o il CF4 hanno sezioni d'urto di eccitamento basse (0,03 eV). Riescono quindi a mantenere gli elettroni in regimi di energia vicini al minimo di Ramsauer permettendo un incremento della velocità di deriva.
Tipiche velocità di deriva per gli elettroni sono dell'ordine di 1­10 cm/s.
Davide Pinci – INFN Roma
Velocità di deriva degli elettroni
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A parità di campi elettrici, anche piccole variazioni nelle proporzioni di una miscela di gas o l'aggiunta di piccole percentuali di opportuni elementi è in grado di cambiare sensibilmente la velocità di deriva degli elettroni
Davide Pinci – INFN Roma
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Mobilità degli ioni
A causa della loro massa elevata gli ioni hanno un comportamento molto diverso da quello degli elettroni. In un cammino libero medio gli ioni acquisiscono per effetto del campo E un energia simile a quella degli elettroni, ma l'urto con oggetti di massa comparabile o uguale fa si che gran parte di questa si perda nell'urto. All'uscita dall'urto lo ione riacquista velocità grazie al campo esterno e la componente random che c'era negli elettroni è trascurabile. La conseguenza è che il processo di diffusione è molto più piccoo di quello che si ha per gli elettroni.
Inoltre la mobilità degli ioni (definita allo stesso modo) non varia molto con il campo elettrico e la densità poichè non varia molto l'energia media degli ioni. Per i gas nobili si ha circa 1 cm2/Vs (tranne l'He che ha 10 cm2/Vs)
È simile il valore della mobilità di ioni di CH4, CF4, CO2 in Argon.
(22) Calcolare la velocità di deriva di uno ione Ar+ sottoposto ad un campo di 1 kV/cm. Davide Pinci – INFN Roma
Diffusione
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Poichè nel loro moto gli elettroni e gli ioni urtano contro le molecole del gas, la direzione della loro velocità di deriva devia dalla direzione del campo E. Nel caso più semplice, tale deviazione è isotropa ed una nuvola elettronica che è puntiforme all'istante t=0 ed inizia a derivare nella direzione z, all'istante t avrà una funzione di distribuzione di densità gaussiana:
n = 1/(4Dt)3/2 exp (­r2/4Dt) essendo D il coefficiente di diffusione ed r2 = x2+y2+(z­vt)2.
D si può esprimene in termini dei parametri microscopici:
D = (2/3)(t/m)
Ricordandoci della mobilità che era  = (e/m)t si ottiene:
 = (3/2) (De/)
Quindi l'energia dell'elettrone si può conoscere a partire dalla misura del rapporto D/.
Se prendiamo solo elettroni termici = (3/2)kT si ottiene D/ = kT/e (formula di Nernst­Townsend o Einstein)
Davide Pinci – INFN Roma
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✗
✗
L'energia degli elettroni determina la larghezza della nuvola (inizialmente puntiforme) dopo un tempo t che abbia percorso una distanza L:
x2 = 2Dt = 2DL/E = 4L/3eE
Dunque, per tenere basso l'effetto della diffusione bisogna cercare gas in cui gli elettroni accelerati restino con bassa energia:
✗
In Argon anche un campo di 1V/cm è in grado di portare gli elettroni ad energie più elevate di quella termica (“gas caldo”);
✗
In CO2 gli elettroni restano ad energia termica anche per campi dell'ordine del kV/cm (“gas freddo”);
La ragione è legata al fatto che in un gas molecolare come la CO2 la presenza dei gradi di liberta rotovibrazionali fa si che la sezione d'urto elettrone atomo non sia trascurabile a bassa energia. Gli elettroni riescono quindi a perdere energia più facilmente.
Davide Pinci – INFN Roma
Anisotropia nella diffusione
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Degli studi effettuati negli anni '60 hanno permesso di migliorare la comprensione dei fenomeni di trasporto di carica nei gas, evidenziando, anche sperimentalmente, come il fenomeno di diffusione nella direzione parallela al campo elettrico (longitudinale) sia differente da quello nel piano trasverso.
L'idea è che la mobilità degli elettroni all'interno della nuvola non sia constante nella direzione di moto. Essa assume valori differenti tra i bordi della nuvola e la zona centrale. In media risulta che la diffusione longitudinale sia minore di quella trasversale. Si introducono quindi due coefficienti di diffusione DL e DT e vale:
n=1/(4DLt) 1/(4DTt) exp [­(x2+y2)/4DTt ­(z­vt)2/4DLt]
Davide Pinci – INFN Roma
Davide Pinci – INFN Roma
L'attachment per gli elettroni
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Durante la deriva, gli elettroni liberi possono essere assorbiti dal gas dando luogo alla formazione di ioni negativi. Mentre alcuni gas (i nobili) possono formare ioni negativi solo per collisioni ad alta energia (10 eV), ci sono molecole che possono assorbire elettroni di bassa energia.
Tra i vari elementi fortemente elettronegativi spiccano:
✗
Gli alogeni (3 eV);
✗
L'ossigeno (0,5 eV);
Spesso a seguito dell'assorbimento dell'elettrone la molecola si spacca (attachment dissociativo).
La frequenza di assorbimento F = uN = kN è proporzionale alla densità del gas.
La s dipende dall'energia (di solito decresce). In composti di alogeni può raggiungere valori di 10­16 cm2.
Davide Pinci – INFN Roma
Il tubo proporzionale
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Il più semplice rivelatore a gas è costituito da un condensato cilindrico riempito di un opportuno gas:
Il campo decresce con 1/r
La capacità per unità di lunghezza dipende solo da parametri geometrici ~ 1/ln(b/a)
Davide Pinci – INFN Roma
Amplificazione della ionizzazione
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In assenza di un campo magnetico, un elettrone libero si muoverà radialmente. Nel caso l'elettrone venga attratto verso il filo, quando sarà abbastanza vicino, tra due successive collisioni con le molecole del gas riuscirà ad acquistare sufficiente energia (eV) da poter ionizzare esso stesso le molecole del gas. Un secondo elettrone sarà liberato nell'urto. In queso modo si può dar luogo ad un processo di moltiplicazione a valanga.
In un gas in condizioni standard, il cammino libero medio è dell'ordine di qualche micron. Sarà quindi necessario un campo di 104 V/cm per dar inizio al processo di moltiplicazione.
Davide Pinci – INFN Roma
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Il numero delle cariche continua a crescere nelle successive generazioni fintanto che gli elettroni non vengono raccolti sul filo.
Il processo dura qualche nanosecondo e la regione interessata è profonda meno di 100 m.
Davide Pinci – INFN Roma
Il regime proporzionale
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Il sistema semplice appena descritto viene indicato come “filo proporzionale”.
Infatti il numero di elettroni secondari prodotti infondo alla valanga e raccolti sul filo è determinato dal numero di generazioni e dal numero di elettroni prodotti ad ogni generazione.
Tali parametri sono legati:
✗
alla geometria e configurazione elettrica del sistema (distanza dal filo del “campo di innesco”);
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alle caratteristiche del gas (sezioni d'urto, densità...);
Fissate queste condizioni il numero di elettroni secondari raccolti sarà proporzionale al numero di elettroni primari prodotti da una particella nel gas.
Davide Pinci – INFN Roma
I fotoni
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Un ruolo importante è giocato dai fotoni, abbondanti anche più degli elettroni. Una parte di essi avrà energia sufficiente per ionizzare il gas. I fotoni possono essere emessi in qualunque direzione, viaggiare anche ortogonalmente alla direzione in cui si sviluppa la valanga e ionizzare il gas, vicino al filo, ma fuori dalla valanga che li ha prodotti.
Dalla ionizzazione secondaria avrà luogo una seconda valanga.
Se il numero di fotoni è troppo elevato il numero di valanghe può aumentare (a valanga!) ed il rivelatore può danneggiarsi (breakdown).
Un semplice principio di stabilità può essere calcolato a partire dal numero di fotoni prodotti nph e dalla probabilità q che questi generino una valanga. La condizione per il breakdown è nphq > 1.
Davide Pinci – INFN Roma
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Se indichiamo con x il numero di fotoni generati da un elettrone della valanga, si ha breakdown se xneq > 1.
La presenza nel gas di una componente “organica” (CH4, C2H6, iso­C4H10) o comunque molecolare (CO2) in grado di assorbire i fotoni prodotti senza l'emissione di elettroni, ma attraverso l'eccitamento di gradi di libertà rotovibrazionali, consente di ridurre il valore di q e quindi di aumentare ne.
✗
Ad esempio il diseccitamento di atomi di Ar avviene mediante l'emissione di fotoni da 11,6 eV al di sopra dell'energia necessaria per fare fotoelettrico sul rame (7,7 eV).
L'utilizzo di CO2 che ha livelli rotovibrazionali attorno a 10 eV consente di assorbire tali fotoni senza danno.
Davide Pinci – INFN Roma
La carica spaziale
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Gli elettroni prodotti nella valanga creano una carica negativa distribuita spazialmente (carica spaziale) in grado di schermare il campo prodotto dal filo. Questo può avere due effetti:
Rate capability: si indica cosi il flusso di particelle sostenibili (rilevabili). La presenza di effetti di carica spaziale può impedire o ridurre lo sviluppo della valanga prodotta da una seconda particella che passi nella stessa regione troppo ravvicinata temporalmente. Affichè tale particella sia in grado di dar luogo ad un fenomeno di valanga sarà necessario attendere che la regione interessata sia stata liberata dagli elettroni (e soprattutto dagli ioni);
Limitata proporzionalità: se la quantità di carica prodotta è elevata questa può frenare il processo di moltiplicazione della valanga stessa. In particolare è la componente positiva dovuta ai lenti ioni e creare una zona (tra loro ed il filo) in cui il campo è più basso. Al contrario, nella regione tra gli ioni ed il catodo il campo sarà più elevato:
Davide Pinci – INFN Roma
I Se i fotoni UV sono riassorbiti nel gas in maniera efficiente (quenching) allora questi possono dar luogo a valanghe secondarie molto vicine alla prima. In particolare l'elevato campo lontano dal filo dovuto alla carica spaziale degli ioni fa si che si crei una serie di valanghe prodotte in punti sempre più lontani dal filo. Questo è quello che viene definito un regime di streamer. I fotoni possono essere prodotti anche nella zona di basso campo vicino alla “testa” della valanga dove il basso campo elettrico può dar luogo a ricombinazioni. Il numero di elettroni raccolti cresce sempre più lentamente all'aumentare del numero di primari (proporzionalità limitata). Il fatto che le valanghe vengano innescate sempre più lontane dal filo consente al processo di autoestinguersi.
II Nel caso in cui i fotoni prodotti possono coprire distanze dell'ordine delle dimensioni del rivelatore stesso valanghe possono essere create ovunque. In questo caso il rivelatore lavore in regime di Geiger e soltanto la diminuzione (anche temporanea) del campo sul filo può interrompere un processo che si autoalimenta (assenza di proporzionalità). Davide Pinci – INFN Roma
Fattore di moltiplicazione: guadagno
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Il processo di moltiplicazione è descritto attraverso il primo coefficiente di Townsend 
dN = Nds
Tale coefficiente è determinato dalle sezioni d'urto di ionizzazione degli elettroni che acquisiscano sufficiente energia tra due urti successivi. Dipende, in modo complesso: ✗
dall'energia dell'elettrone e dunque dal campo elettrico. Cresce con il campo poichè la sezione d'urto aumenta con l'energia superato un certo valore di soglia;
✗
dalla densità  del gas. Se essa aumenta, mantenendo invariata l'energia (e dunque le sezioni d'urto) degli elettroni (dunque mantenendo fisso E/) allora  varia proporzionalmente poichè il cammino libero medio scala con ;
(E/,) = (0/0)  = f(E/)
Davide Pinci – INFN Roma
Il guadagno di un filo proporzionale
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In una geometria come quella del filo proporzionale il campo elettrico cresce radialemente.
Il guadagno è dato dall'integrale del coefficiente di Townsend fatto a partire da un rmin (la distanza alla quale si innesca il fenomeno) fino al raggio del filo a.
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In particolare dato l'andamento 1/r del campo il gradiente dE/ds sarà proporzionale ad E2 e quindi:
Con  densità di carica presente sul filo.
Davide Pinci – INFN Roma
Formula di Diethorn
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Per il calcolo “analitico” del guadagno di un filo proporzionale può essere usata la formula di Diethorn. Si basa sull'idea che  sia linearmente proporzionale al campo elettrico:
 = E
Dall'integrazione si ottiene:
Si può mostrare che  rappresenta l'inverso della differenza di potenziale necessaria a produrre un elettrone nella valanga (V) moltiplicato il ln2.
Resta da inserire la dipendenza dalla densità. Vale Emin()=Emin(0)(0)
Davide Pinci – INFN Roma
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La formula di Diethorn è stata usata per “parametrizzare” il guadagno di rivelatori a fili. Ha mostrato di funzionare meglio di altre più classiche e molto usate in passato come quella di Rose­Korff.
Davide Pinci – INFN Roma
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La tabella mostra alcuni dei valori di Emin e V misurati da Hendricks et al per valori di guadagno nel range 102 – 105.
Come si vede anche piccole variazioni nelle percentuali delle componenti danno luogo a larghe variazioni nei valori dei parametri. La formula di Diethorn resta un'ottima formula per la descrizione analitica del guadagno in funzione di due soli parametri, ma essi (o l'equivalente coefficiente di Townsend (E)) vanno misurati.
Davide Pinci – INFN Roma
Dipendenza del guadagno da T e P
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La conoscenza della dipendenza del guadagno in funzione di paramentri ambientali quali temperatura e pressione è di cruciale importanza quando questi abbiano ampie variazioni.
La formula di Diethorn può essere riscritta evidenziando la dipendenza dalla densità del gas e quindi dalla sua temperatura T e pressione P
Si può calcolare che le varizione di guadagno per piccole variazioni di T e P possono essere espresse:
Misura storica (Pinci et al.) dalla quale si ricava un valore di  = 5,11
Davide Pinci – INFN Roma
Variazioni locali di guadagno
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Un altro parametro che può variare dando luogo a delle fluttuazioni di guadagno è la densità di carica d. Questa può dipendere:
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Imperfezioni geometriche del filo
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Fluttuazioni della tensione di alimentazione
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Effetti di carica spaziale vicino al filo
La dipendenza del guadagno che ne risulta è:
In pratica si ricava che dG/G = (1,5 ± 0,5) • 10 d
effetto della carica spaziale
Dopo che gli elettroni sono stati raccolti, i più lenti ioni positivi sono ancora distribuiti nella regione attorno alla valanga. Ai campi attorno al filo (105 V/cm) la loro velocità è dell'ordine di 105 cm/s e scende linearmente con la distanza dal filo (come il campo). Il tempo necessario per raggiungere un qualche punto ad una distanza R è dato da:
Davide Pinci – INFN Roma
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La carica spaziale impiegherà centinaia di microsecondi a raggiungere il catodo, schermando il campo sul filo. Possiamo immaginarla come un sottile strato di carica che circonda il filo.
Supponiamo * essere la densità lineare della carica su tale strato e ' la densità di carica sul filo a causa della perturbazione degli ioni.
Allora il campo all'interno dello strato sarà:
E' = '/20r (r<R)
Mentre il campo all'esterno sarà:
E = ('+*)/20r (r>R) ✗
La tensione V applicata al filo sarà tale che:
✗
Dalla quale si ricava:
✗
La densità di carica effettiva sul filo è minore di quella che si avrebbe senza carica spaziale. Quella nominale si riottiene per * = 0.
Davide Pinci – INFN Roma
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La carica spaziale determina una diminuziona della moltiplicazione data da:
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Dove il fattore di schermo dipendente dal tempo è dato da:
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Essendo R(0) pari al raggio del filo a il fattore di schermo è all'inizio pari ad 1 e poi decresce nel tempo.
Il valore di * è dato dalla carica (positiva) prodotta in una valanga (100 elettroni primari per un guadagno di 104) diviso la lunghezza della valanga (1mm): Ne/L = 1,6 10­10 C/m.
Questo va confrontato con il valore della densità di carica nominale che è dell'ordine di 1,2 10­8 C/m.
dG/G = 0,2 (T)
Davide Pinci – INFN Roma
Effetto dell'attachment
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Come abbiamo visto la presenza di molecole elettronegative può dar luogo a processi di riassorbimento degli elettroni creati.
In questo caso, analogamente al coefficiente di Townsend si può introdurre on coefficiente di attachment che dipende del campo elettrico E per cui varrà:
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✗
Si definisce quindi un coefficiente di Townsend efficace
Davide Pinci – INFN Roma
Fluttuazioni della carica raccolta
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Il numero di elettroni raccolti è dato da: Q = N0M
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Dove N0 è il numero di elettroni primari prodotti dato dal rapporto tra ✗
✗
l'energia rilasciata e l'energia necessaria alla produzione di una coppia E/W
M è il guadagno medio di ogni elettrone A = (1/N0) i Ai
La fluttuazione sarà quindi: Q2/Q2 = N02/N02 + M2/M2 e quindi:
Q2/Q2 = N02/N02 + (1/N0)A2/A2
✗
✗
✗
Il primo contributo può essere stimato supponendo che il numero di coppie create abbia una distribuzione di Poisson per cui:
N02/N02 = 1/N0
In realtà a causa del fattore di Fano, la risoluzione è migliore di cosi:
N02/N02 = F/N0
Dove F è 0,05­0,20.
Davide Pinci – INFN Roma
Fluttuazioni statistiche del guadagno
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In media, in un contatore proporzionale, il numero finale di elettroni raccolti è proporzionale al numero di coppie create nel gas dalla particella ionizzante;
Evento per evento tale numero fluttuerà a causa della natura stocastica del processo.
Supponiamo che ogni elettrone iniziale sviluppi la sua propria valanga senza che questa risenta delle valanghe prodotte dagli altri:
N = n1+n2+n3+....+nk
Quale che sia la funzione di distribuzione P(n) delle varie ni con valore medio n e varianza  il teorema del limite centrale assicura che N avrà distribuzione Gaussiana avente un valore medio ed una varianza:
N = kn e S2 = k2
Davide Pinci – INFN Roma
Distribuzione di Yule­Furry
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La statistica di Yule­Furry è stata sviluppata, nell'ambito della fisica delle alte energia, per descrivere lo sviluppo delle cascate elettromagnetiche.
Supponiamo che sia P(n,t) la probabilità di avere n elettroni al passo t (una specie di tempo proprio del processo): P(0,1) = 1.
La probabilità di produzione di un elettrone in un intervallo t è: nt
La probabilità di n elettroni andrà con la potenza (nt)n
La probabilità di avere n elettroni al tempo t+t sarà funzione della probabilità al tempo t:
P(n,t+t) = P(n,t)(1­nt)+P((n­1),t)(n­1)t
(P(n,t+t) – P(n,t))/t = P(n,t)(­n)+P((n­1),t)(n­1)
Al limite per t che va a zero:
dP(n,t)/dt = P((n­1),t)(n­1)– P(n,t)(n
Al primo passaggio si ottiene:
dP(1,t)/dt =– P(1,t)P(1,t) = et
Davide Pinci – INFN Roma
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Ed in generale:
P(n,t) = e­t(1­e­t)n­1
Funzione di distribuzione di probabilità avente valor medio e sigma:
n = et
2 = et(et­1)
Da cui si può riscrivere:
P(n) = (1/n)(1­1/n)n­1
Da dove è completamente scomparso il “tempo proprio” t.
Per n molto grande si può riscrivere:
P(n) = (1/n)e­n/n
2 = n2
Nella distribuzione di Yule­Furry:
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La media è uguale all'r.m.s (come nella Poisson, in cui entrambi sono uguali a √n, f.d.p. che si ottiene supponendo che la probabilità di incremento è costante e non proporzionale ad n);
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La distribuzione esponenziale favorisce valori piccoli;
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Il valore medio cresce esponenzialmente (ed anche la );
Davide Pinci – INFN Roma
Distribuzione di Polya
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Misura di guadagno di singolo elettrone con sovrapposta funzione di distribuzione di Furry In realtà la distribuzione di Furry (esponenziale) dimostra di funzionare bene solo in casi semplici ed in particolare a bassi campi elettrici;
Per campi elevati si dimostra poco flessibile e non è in grado di descrivere gli spettri di guadagno misurati.
Byrne introdusse una funzione più generale, con più gradi di libertà detta Polya la quale ha valor medio e varianza:
n: x
2 = n(1+bn)
La varianza presenta un termine di scala b.
La principale caratteristica della Polya è che essa può avere un massimo non in zero. Questo è adatto a descrivere situazioni in cui un campo elevato fa si che la probabilità di avere guadagni bassi o nulli sia piccola.
Davide Pinci – INFN Roma
In pratica, le fluttuazioni nel guadagno di un singolo elettrone sono principalmente legate alle prime fasi dello sviluppo della valanga. Dove il campo è più basso, i piccoli numeri in gioco danno maggiore risalto alle fluttuazioni che poi si propagano per tutta la valanga.
Davide Pinci – INFN Roma
Misura della posizione
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Esistono diversi modi di misurare la coordinata di una traccia in un rivelatore a fili:
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Misura del tempo di deriva: nota la velocità di deriva degli elettroni dalla differenza tra l'istante in cui una traccia passa per il rivelatore e l'istante i cui gli elettroni giungono sul filo si può risalire alla coordinata sul piano ortogonale al filo (r);
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Misura del rapporto tra i segnali indotti su differenti elettrodi (pad): il segnale indotto sarà più elevato sulle pad vicine alla valanga. Questo consente di misurare la coordinata lungo il filo (y);
Misura del rapporto di ampiezza o differenza di tempi dei segnali alle estremità del filo: noto il fattore di smorzamento lungo il filo o il tempo di propagazione del segnale è possibile da misure sui due estremi risalire alla posizione della traccia lungo il filo (y);
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