Pinellocchio
Pin era un giovane un po’ scemo che non si muoveva mai dal suo paese. Quando
stava in casa passava molte ore a guardare la televisione. Un giorno il suo occhio destro –
che non ne poteva più di vedere le cose del mondo sempre da dietro ad un vetro – decise
che sarebbe andato per il mondo a vedere quelle cose, ché s’era stufato che le vedessero per
lui gli obiettivi delle telecamere. Voleva andarle a vedere per capire se erano davvero fatte
come si vedono in televisione, che lui poco ci credeva. Comunicò la sua decisione a Pin e
gli disse: «Voglio andare in giro per il mondo a vedere le cose che si vedono in televisione
perché tu, caro Pin, non mi porti mai da nessuna parte!» Pin era un po’ scemo ma aveva un
gran cuore e decise, allora, di lasciar andare il suo occhio destro. «Tanto – pensava – mi rimane quello sinistro per vedere».
Fu così che una notte d’estate, mentre Pin dormiva, si alzò una brezza e l’occhio che voleva viaggiare fu sollevato in alto, leggero come il polline, e iniziò il suo viaggio. Si lasciava trasportare dalle correnti e non opponeva resistenza, così come aveva visto fare agli uccelli nei tanti documentari sul volo visti in televisione. Come prima tappa era diretto a Milano e ci arrivò subito e facilmente, tanto conosceva la geografia, sempre grazie ai programmi che aveva visto. All’occhio di Pin piacevano le belle ragazze, ragazze splendide,
così belle che facevano le top model. Andò quindi ad una sfilata d’alta moda e poté finalmente appagare il suo desiderio di vedere gambe mozzafiato, scollature da capogiro, dita
esili e delicate, visi da far piangere per quanto sono belli, capelli morbidi e profumati e
ammalianti… insomma l’occhio di Pin si sentiva come un topo capitato in un negozio di
formaggi. Si era ubriacato per aver visto tanta bellezza tutta insieme. Tanto si ubriacò e si
stonò che si addormentò nella sala delle sfilate. Al suo risveglio si trovò solo. Prese la strada per uscire ma si ritrovò nei camerini. «Giacché mi trovo qui – pensò – ora do una spiata
veloce». Sbirciò nel primo camerino e riconobbe una bella e fluente chioma di capelli rossi
e ricci che aveva visto in passerella… solo che se la ritrovò appesa e abbandonata su di una
sedia. «Anche se usano le parrucche, a volte, le top model sono bellissime lo stesso» pensò
tra sé mentre spostava il suo sguardo dalla sedia allo specchio che aveva di fronte. Sullo
specchio c’era la faccina un po’ bruttina di una delle modelle che si stava struccando il fo ndotinta che veniva via a pezzi. Il nostro piccolo occhio pensò che magari qualcuna non bellissima a volte capita tra le top model e cercò, allora, un altro camerino. E ne trovò uno, con
la porta semichiusa, nel quale intravedeva un rolex d’oro al polso di un signore grande e
grasso e molto ben vestito, persino troppo, che maltrattava una modella urlando che se fos1
se ingrassata anche solo di un altro etto l’avrebbe cacciata via e la ragazza aveva un viso
brutto per la paura. Cambiò ancora camerino e vide un gruppo di cinque modelle sdraiate e
con gli occhi persi e che si stavano passando delle pasticche che l’occhio di Pin capì subito
non trattarsi di medicinali. In un altro camerino ancora vide altre due modelle che urlavano,
piangevano, si disperavano, si graffiavano, si sputavano e si tiravano l’un l’altra i capelli.
«Mamma mia che casino! – pensò l’occhio di Pin – sulla passerella le modelle sembrano
tutte belle, compite e allegre. Ma dietro nei camerini sono tutte tristi, arrabbiate e brutte» E
non sapeva se credere ai suoi occhi o, meglio, a se stesso, visto che lui era un occhio.
Decise, allora, di proseguire il suo viaggio e andò sulle Alpi che erano molto più alte,
molto più belle e molto più grandi di come le aveva viste in televisione. E si divertì tantissimo a sorvolarle, a guardarle, a mirarle, a contemplarle che quasi si era scordato di voler
andare in giro per il mondo a veder cose. Salì sulla montagna più alta e vide un gruppo di
sciatori che scendevano giù zigzagando, in un modo un po’, anzi, molto disordinato e facevano anche un gran baccano. E fu così che in un istante furono travolti da una valanga. E
allora tutte le montagne si voltarono verso l’occhio di Pin chiedendo commiserazione per la
stupidità di quelle persone.
Ormai rattristato l’occhio proseguì il suo viaggio. Decise di andare a Parigi a conoscere
da vicino la Tour Eiffel. Si fermò a pochi metri da essa ma se n’andò via subito, pensando
che mai aveva visto una cosa più stupida di quella. Si tuffò, allora, nei divertimenti e nelle
meraviglie di Eurodisney. Più che i pupazzi e le attrazioni, però, il nostro occhio guardava i
bamb ini che tuttavia non erano mai contenti o soddisfatti e sempre pretendevano nuovi giochi, nuovi divertimenti e non sapevano mai bene cosa volessero esattamente e che per questo cacciavano fuori sempre capricci. Fu in quel momento che l’occhio di Pin si ricordò della favola di Momo – che aveva visto al cinema – in cui una ragazzina era molto più contenta di possedere una bambola di pezza invece di tutti i giocattoli fantasmagorici e strapubblicizzati della televisione.
Uscì infastidito dal parco tematico per andare a vedere l’opera forse più nota e guardata
al mondo: La Gioconda di Leonardo Da Vinci. Pensò: «Chissà che opera meravigliosa,
grande, importante e carismatica che sarà» Ma nel museo fece fatica a trovarla e quando finalmente la vide gli sembrò appena un quadretto, tanto era piccola. Insomma gli sembrava
insignificante e, in fondo, a lui non comunicava alcunché di misterioso: era una donna su
un fondale di nebbiolina e di rocce. Gli procurava piacere a guardarla, questo sì, e basta.
Andò, allora, in stazione e s’infilò in un treno accanto al finestrino tutto eccitato perché
pensava di vedere chissà quali meraviglie, ricordandosi delle rare volte in cui Pin lo aveva
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portato in un treno piccolo e che camminava piano. Ma quando il treno partì dalla stazione
di Parigi non riuscì a vedere altro che sagome indefinite che si susseguivano ad una velocità
pazzesca tanto che a guardar fuori gli giravano gli occhi o, meglio, si girava su se stesso,
visto che lui era un occhio. Cercò, quindi, di rivolgere il suo sguardo all’interno del treno e
si mise a guardare le persone e si accorse che non solo nessuno incrociava il suo sguardo
ma che le persone neanche si guardavano tra loro. E in quel momento l’occhio girovago si
sentì molto solo e si ricordò di Pin e dell’altro occhio. E fu allora che dai suoi occhi o, meglio, da lui stesso – visto che era un occhio – scese una lacrima.
Giunse in un grande porto, anzi nel porto più grande del mondo e lo riconobbe subito,
non perché c’era stato, ma perché lo aveva visto spesso in televisione: era il porto di Amsterdam. E vide grandi bastimenti, container che scendevano e salivano appesi a grandi gru
e navi e imbarcazioni di ogni tipo e banchine e moli e uffici e tanta ma tanta gente. Eppure
non provò alcun interesse per tutte queste cose fino a quando non si accorse dei gabbiani
sul mare che restò a fissare per tanto tempo.
Mentre guardava i gabbiani si ricordò che ad Amsterdam ci sono le prostitute nel qua rtiere a luci rosse. «Potrò vedere qualche bella donna» pensò, ed ecco fatto che l’occhio curioso si ritrovò su di una strada dove stavano le prostitute in vetrina, proprio come aveva visto in televisione. Si fermò davanti ad alcune vetrine: le donne erano belle, curate ed anche
affascinanti. Ma erano tutte molto tristi. Si mise a parlare con alcune di loro e notò, subito,
che non appena raccontava la sua storia le prostitute ridevano e diventavano simpatiche e a
loro volta raccontavano tante belle storie. L’occhio di Pin pensò che dopotutto forse erano
meno belle delle modelle ma erano sicuramente più interessanti e più dolci. E si fece accarezzare anche da una di loro.
Addolcito da questa carezza e dalla notte si mise a cantare per un viale alberato e fu allora che scorse la luna: era una piacevole sorpresa seppure la luna ad Amsterdam, come nel
suo paese, rimanesse sempre uguale a se stessa. E l’occhio di Pin non si capacitava come
potesse avvenire una cosa del genere. Decise di vederci più chiaro. Maturò, allora, il desiderio di andare a guardare la Luna più da vicino, magari sulla sua superficie stessa. Bisognava partire per l’America e andare a Houston, da dove partono gli space shuttle.
Dell’aereo, però, l’occhio di Pin aveva paura. Occorreva, quindi, che partisse con un transatlantico e così fece. Tornò al porto e si ficcò nella stiva della prima nave in partenza per
gli Stati Uniti d’America. La stiva era tutta buia e per di più era chiusa cosicché fu costretto
al buio più completo e quindi il viaggio si prospettava molto noioso per uno, come l’occhio
di Pin, abituato a guardare molto. «Vorrà dire che mi metterò a dormire e farò un lungo so3
gno fino all’arrivo» pensò. Mentre socchiudeva la sua palpebra si accorse che c’era uno
strano tonfo… ma certo era puzza di carbone. Si trovava in una grande stiva che trasportava
carbone. E dalla fioca luce che penetrava dal portello superiore scorgeva tantissime sagome
tra loro così diverse del noto minerale. «Da dove venite?» chiese l’occhio di Pin ad alcuni
pezzettini proprio vicini a lui. «Dal Belgio» risposero quelli in coro. «Ma allora provenite
dalle miniere del Belgio, proprio dove è stato il nonno del mio amico Pin di cui io sono
l’occhio destro. Sapete – cominciò a raccontare l’occhio – il nonno di Pin è stato a Marcinelle dove molti anni fa morirono molti minatori italiani. Ora per fortuna quella miniera è
chiusa e forse le miniere di oggi sono un po’ più sicure ma se sapeste le storie che mi ha
raccontato il nonno di Pin… e le cose che i suoi occhi hanno visto o, meglio, a volte non
hanno visto tanta era la polvere che spesso finiva nei polmoni e faceva morire di cancro»
«Oh invece sappiamo molto bene quello che ci stai dicendo. Fosse per noi volentieri resteremmo nel sottosuolo che è casa nostra ma siamo costretti ad uscire nostro malgrado per
andare a finire nelle centrali. Anche nostro cugino il petrolio volentieri avrebbe fatto a meno di uscire dalle cavità in cui si trova. E già perché un tempo quando fummo alberi e pia nte e foreste il mondo lo abbiamo già veduto e conosciuto. Ma questa è la volontà degli uomini a cui no i non riusciamo a sottrarci». Stavano ancora parlando quando si udì aprire il
portellone e si vide un accecante raggio di sole tagliare il nero della stiva e del carbone.
Siccome si era messo a chiacchierare non si era accorto di quanto tempo fosse passato: un
intero mese gli era sembrato di pochi minuti! Potenza del raccontare e ascoltar storie!
Appena sceso dalla nave pensò di fare prima tappa alla fabbrica dei sogni, un vero paradiso per un occhio: Hollywood. E ci andò davvero a Hollywood ma vide solo set di soap
opera che lui odiava. Deluso e un po’ sconsolato se ne andò per uno dei viali di Hollywood
quando vide dentro un camion – avvolto dentro un sacco di plastica – un pupazzo del quale
fuoriusciva solo la faccia… una faccia conosciuta per averla vista tante volte in televisione… era la faccia di Saddam Hussein. Incuriosito da questa faccenda entrò nel camion e si
nascose. Il camion si fermò e furono scaricati i pupazzi semoventi: erano tanti e c’erano anche quelli di Bin Laden. L’occhio di Pin pensò che forse dovevano organizzare un programma satirico o qualcosa di simile. Tutti i pupazzi furono portati in un grande set dove
l’occhio di Pin riconobbe – con grande meraviglia e sorpresa – molte delle ambientazioni di
video di Saddam Hussein e di Bin Laden durante le guerre in Afghanistan e in Irak. Con
maggiore sorpresa scoprì che i video di quei due erano stati girati proprio a Hollywood.
L’occhio di Pin, allora, cominciò a sentirsi molto confuso e tanto non credeva a quello che
vedeva che si stropicciava gli occhi, o, meglio, stropicciava se stesso, visto che era un oc4
chio. Mentre era intento a stropicciarsi vide che molti altri occhi erano fuggiti da altrettanti
corpi per andare a vedere le cose del mondo e, quindi, fu allora che capì che, in fondo, la
sua non era stata un’idea tanto strana. E ciascuno di questi occhi aveva tante e tante storie
da raccontare: chi aveva visto la gente pregare davanti al muro del pianto a Gerusalemme,
chi aveva scrutato le stelle dai telescopi di nascosto, chi aveva visto il Taji Mahal in India,
chi aveva visto gli ultimi indigeni che non avevano mai avuto contatti con gli uomini, chi
aveva visto davvero la balena bianca. Ma la cosa più incredibile l’avevano vista proprio a
Hollywood nel 1969, l’anno in cui alcuni americani sarebbero sbarcati sulla luna. Questa
storia la raccontavano alcuni tra gli occhi più anziani. C’era allora un regista molto bravo,
maniacale fino alla follia, che aveva ricostruito alcuni ambienti lunari e non solo per Odissea nello Spazio, che poi girò. E forse – dicevano questi occhi – il vero sbarco sulla luna
non sarebbe avvenuto sulla luna ma qui a Hollywood. «Questo significa che l’allunaggio
sarebbe stata la più grande balla mai raccontata con i mezzi di comunicazione» disse
l’occhio di Pin. «No! – asserirono perentori all’unisono un gruppo di bocche e di orecchie,
anch’esse girovaghe per il modo e capitate a Hollywood – qualche decennio fa un altro regista era riuscito con una trasmissione radiofonica a far credere a tutti che erano sbarcati gli
alieni sulla terra, solo che poi lo disse che era uno scherzo».
A questo punto l’occhio di Pin si sentì molto confuso e non sapeva più a chi credere. Gli
altri occhi, le bocche e gli occhi girovaghi gli raccontarono i mille trucchi e le mille astuzie
per camuffare la realtà e farla sembrare un’altra cosa. E gli dissero di stare molto attento,
lui che era un ingenuo che c’erano molti impostori da quelle parti. In particolare gli dissero
di stare attento ad un predicatore che… non fecero in tempo a finire la frase che tutti scapparono. L’occhio di Pin, invece, non si mosse. Gli si avvicinò, allora, un uomo molto curato, molto ben vestito e che aveva un aspetto molto affabile. «Non ci si può fidare degli amici, eh? – prese a dirgli – ti lasciano sempre nel mome nto del bisogno. Io, invece, conosco
qualcuno con la q maiuscola che ti conosce da sempre e che ti vuole molto bene. Io so chi
sei. Tu sei l’occhio di Pin». Detto questo l’uomo sparì lasciando per terra un biglietto da visita con un indirizzo. Gli occhi, le orecchie e le bocche ricomparvero e lo ammonirono a
stare attento a quell’uomo perché molto malvagio e capace di tutto. Ma l’occhio di Pin era
stato conquistato dai suoi modi e decise di andarlo a trovare, tanto più che era riuscito a sapere misteriosamente persino che lui era l’occhio di Pin.
Si recò presso lo studio del predicatore in un bel grattacielo nel cuore di New York –
non senza aver dato un’occhiata a ground zero – che lo ricevette con molta cordialità e cominciò a parlargli con molta favella, come era suo solito. Gli disse, tra le tante cose, che gli
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voleva bene e che aveva grandi progetti per lui e, nel frattempo, parola dopo parola, discorso dopo discorso, pausa dopo pausa, il predicatore si avvicinava sempre di più all’angolo di
scrivania dove l’occhio si era poggiato.
Questa era stata l’ultima immagine che teneva in mente quando si risvegliò. Era tutto
indolenzito e gli mancava l’aria perché era stato rinchiuso in un vasetto di vetro. Davanti a
lui c’era anche uno specchio e gli prese uno spavento perché quando si specchiò si trovò
nero. Era stato questo l’effetto del pugno che il predicatore gli aveva dato per stordirlo e per
ficcarlo in quel cavolo di contenitore. Si sentiva come una reliquia. Stette così fermo per
giorni finché non scomparvero i lividi effetto del pugno che aveva ricevuto. Da quella volta
l’occhio di Pin fu mostrato a grandi convention dal predicatore che riusciva a convincere
centinaia di migliaia di persone che quello era l’occhio di Dio, mandato sulla terra a scrutare i cuori degli uomini. Fu così che almeno per un intero anno l’occhio di Pin vide in faccia
la credulità degli uomini. Un giorno, però, riuscì a scappare. Un uragano, infatti, frantumò
i vetri di una finestra e buttò per terra il vasetto di vetro in cui era prigioniero. Ripresosi
dallo spavento (per poco un tagliente pezzo di vetro non lo aveva reso cieco), si ficcò nel
primo aereo in partenza per l’Italia (la paura di essere ripreso dal predicatore era più forte
della paura dell’aereo), nel primo treno in partenza per la sua regione, nel primo treno per la
sua provincia, nel primo autobus per il suo paese, nella prima macchina diretta nella sua
frazione e fece finalmente ritorno alla casa di Pin.
Era una notte d’estate, mentre Pin dormiva, si alzò una brezza e l’occhio che aveva finito di viaggiare fu sospinto nella sua cavità e si fece una bella dormita assieme a Pin.
All’indomani Pin fu così felice di risvegliarsi di nuovo con il suo occhio che si mise a correre subito per le strade – ché per tutto il tempo senz’occhi era rimasto in casa – a raccontare tutto quello che aveva visto il suo occhio. Tutta la gente del paese restava a sentirlo divertita e stupefatta ma nessuno gli credeva perché Pin era un po’ scemo e guardava troppa
televisione. Allora lui giurava che quelle cose le aveva viste con un occhio solo o, meglio,
che le aveva viste il suo occhio per lui per tutto il tempo che se ne era andato in giro per il
mondo. Da quella volta le gente in paese prese a chiamarlo Pinellocchio, un po’ per via della storia dell’occhio e un po’ perché, come Pinocchio, raccontava sciocchezze e bugie. Ma
Pin non se la prendeva e anzi seguitava sempre a raccontare tutte le avventure del suo occhio, tanto si divertiva a raccontarle.
Giuseppe Vitale
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