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PRIMO PIANO
Martedì 3 Luglio 2012
Facciamolo senatore a vita per togliercelo dai piedi. È la parola d’ordine di amici e nemici
Statuifichiamo Silvio Berlusconi
In questo modo gli si taglia anche la strada per il Quirinale
DI
ANTONIO CALITRI
U
no scranno da senatore
a vita per impedire a
Silvio Berlusconi di
entrare nella prossima
partita politica. L’annuncio
dell’ex premier di voler tornare
a guidare il centrodestra alle
elezioni del 2013 toglie il sonno
a tutti. Non solo ai congiurati
del suo partito che puntavano
su Angelino Alfano per poi
controllarne le mosse; anche
Pier Luigi Bersani e Pier
Ferdinando Casini sono preoccupati per eventuali sorprese
che gli rovinino i progetti della nuova allegra macchina da
guerra che sarebbe già partita
per le prossime cariche istituzionali a disposizione. E che
dire di Gianfranco Fini che
solo con l’uscita del Cavaliere
può sperare di recuperare qualche consenso nella sua area naturale? Così, da qualche giorno,
più lui alza il tiro con incursioni, ricette e proposte, più i suoi
cercano di trovare soluzioni.
E, in sintonia con l’altra parte
dello schieramento che osteggia questo rientro, si fa avanti
l’ipotesi di utilizzare il metodo
Andreotti ovvero quello di spingere il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a
nominarlo senatore a vita per
impedirgli la nuova discesa in
campo. Ma allo stesso tempo di
tranquillizzarlo garantendogli
una specie di salvacondotto per
restare a Roma protetto dalle
prerogative e barriere parlamentari, psicologicamente ancora più forti con un senatore
a vita.
Capita la strategia di Alfano
e dei suoi nuovi colonnelli, da
Ignazio La Russa a Maurizio Gasparri, da Raffaele Fitto
a Franco
Frattini, da
Maria Stella Gelmini
a Giorgia
Meloni e
Silvio Berlusconi
tanti altri fino a poco fa a lui
fedelissimi, di volerlo emarginare quasi fosse un Umberto
Bossi qualsiasi, Berlusconi
ha deciso di non farsi da parte
ma anzi, di rilanciare. E solo
la settimana scorsa, prima ha
annunciato di essere di nuovo in campo come candidato
premier, poi come ministro
dell’economia di un governo a
guida Alfano, infine domenica
più chiaramente ha scandito
che «ci sarò ancora io in campo, sono inondato da lettere
di gente che me lo chiede». E
che voglia davvero tornare a
guidare il centrodestra dopo
averlo rifondato e tagliato
molti attuali parlamentari che considera dei rami
secchi, puntando invece
su una strategia grillina e volti nuovi, fa rabbrividire i suoi. Ma fa
preoccupare anche
l’altra parte dello
schieramento che
ormai ha già
fatto progetti
di spartizione
di tutto quello che sarà
disponibile,
dal Quirinale
al governo alle
presidenze della
Camera e del Senato. E ora teme,
come accadde quando
scese in campo nel
1994, che con qual-
SCOVATI NELLA RETE
Non sappiamo se questi avvisi siano veri
o inventati. Se sono inventati, sono stati inventati
molto bene. Li pubblichiamo in questo momento
di afa. Si dice infatti che l’umorismo rinfreschi
la mente. Almeno quella, di questi tempi.
Le prossime riforme debbono
essere a prova di furbetto
DI
SERGIO LUCIANO
Una domenica di autostrada e strada statale sui tornanti
delle Alpi marittime, tra Liguria e Piemonte, cinquecento
chilometri di «percorso misto». Tra le varianti, una gazzella
dei Carabinieri e due della Polizia stradale a pattugliare
la statale. Bene. In tutti e tre i casi, i veicoli che arrivavano dall’opposto senso di marcia, lampeggiavano con gli
abbaglianti, un modo per dire: «Occhio, amici, rallentate
che c’è la pula!». Un modo italiota (non meridionale, ma
nazional-popolare) per fare catenaccio contro le regole,
comunella ai danni della disciplina, per furbettare contro
norme e divieti. No, presidente Monti, forse quest’Italia
non le piace, e forse ha pure ragione a non gradirla, ma
siamo fatti così. Ne tenga conto, per le prossime riforme.
Devono essere a prova di furbo. Anzi, di furbetto.
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che altra diavoleria, possa invece portare tanti giovanissimi
agli scranni parlamentari e lui
se vittorioso, puntare dritto al
colle più alto di Roma. Un fantasy che in queste notti roventi
si sta trasformando in incubo
ricorrente per più di metà di
Parlamento. Gli incontri dei
congiurati del Pdl per trovare soluzioni che gli taglino la
strada sembrano non portare a
nulla. Gran parte di questi incontri si conclude riconoscendo
che l’ex premier è più forte di
loro e che andare allo scontro
diretto si rischia il bagno di
sangue E allora? Da qualche
giorno sembra che in aiuto dei
«congiurati» voglia accorrere il
Pd. Che, con un suggerimento
che in molti tra i democratici
dicono sia opera di Massimo
D’Alema, prevedrebbe un patto tra i vari antagonisti del cavaliere, Bersani, Casini, Fini e
Alfano per spingere Napolitano
a nominarlo senatore a vita segnalando però pubblicamente,
come avvenne per Andreotti,
che è una nomina protettiva.
Una maniera che lo toglierebbe
dalla prossima campagna elettorale e poi, velleità o no, da
qualsiasi gioco quirinalizio.
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I PARTITI NON HANNO CAPITO CHE COMBATTONO COL VENTO
Si prendono a cornate per stabilire
chi potrà accoppiarsi col bel Pierferdi
DI
C
ISHMAEL
ome pugili suonati, quando non soltanto
è suonato il gong dell’ultimissimo round,
ma sono state spente le luci in sala,
sprangate le porte, e tutti gli spettatori
sono ormai rientrati a casa da ore, i politici stanno
ancora scambiandosi pugni sul ring. Non si sono
accorti che l’incontro è finito, né che per loro non
ce ne sarà un altro per molto, molto tempo. Non
sono più loro, i vecchi combattenti, a prendere e
dare cazzotti sul ring mentre la folla, divisa in
tifoserie, inneggia dalla platea al suo campione.
Sono altri poteri, più forti ma soprattutto diversi
dalla politica nazionale, di basso profilo, a disegnare la trama, sempre più fitta e più complessa, degli
eventi. Forse sono addirittura poteri nuovi, nati
dalle emergenze, figli se non indesiderati almeno
imprevisti della globalizzazione, un processo che
secondo il giornalista e storico dell’economia Naya
Chanda, autore di Destini comuni, Scheiwiller
2009, è cominciato cinquantamila anni fa, agli
albori del neolitico, ed è oggi alla stretta finale.
Ormai i politici, quando non sono espressione diretta e dichiarata di questi poteri, come per esempio i cosiddetti tecnici, contano meno di niente,
proprio come le nostre prime linee parlamentari,
ridotte definitivamente a puro folklore. Mentre
le forze vive del capitalismo moderno, che vivono d’alleanze momentanee, in vista d’uno scopo,
quindi tornano a separarsi, come le navi dei pirati
dopo l’arrembaggio e un giorno o due di bisboccia,
i politici si occupano di cose come la «foto di Vasto»
o il congresso della lega (l’Umberto è finito… no,
l’Umberto tornerà). Si prendono a cornate come
alci in amore per stabilire chi potrà accoppiarsi col
bel Pierferdi alle prossime elezioni (di qui, forse,
anche l’improvviso interesse di Gianfranco Fini,
nemico storico dei gay, per il matrimonio omosessuale, una conquista di civiltà). Nichi Vendola
e Tonino Di Pietro si fanno una foto di Vasto in
due e intanto sono la Casa Bianca e la grande
finanza a decidere il destino economico dell’Europa e dell’Italia e loro due non ci possono mettere
becco (anche perché non saprebbero che dire, salvo
ridicoli paroloni e patetiche minacce di galera).
Mentre l’euro si sta giocando l’avvenire, mentre
la Germania studia con calma le sue prossime
mosse, e intanto ha già incassato la promessa che
nessun paese dell’eurozona ricorrerà allo scudo
antispread senza chiedere il permesso ai banchieri
tedeschi, Angelino Alfano non sa più che pesci
prendere perché, proprio come nell’Inno di Garibaldi, si scopron le tombe e le Buonanime son
mezze risorte (e allora Forza Italia, che è tempo di
credere e abbiamo tutti un fuoco dentro il cuore).
Pier Luigi Bersani non è ancora convinto, da
parte sua, di potersi misurare con Tonino Di Pietro
e Matteo Renzi alle primarie di coalizione, e così
continua a prendere tempo. Queste le ambasce
della politica. Pura fiction. Intanto, nel mondo
reale, sono altri che riconoscono e risolvono (ma
anche complicano) i problemi.
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