Relatore Avv. Giovan Maria Tattarletti Procuratore Pubblico presso il Ministero Pubblico del Cantone Ticino (www.ti.ch/mp) Incontro di studio "Rosario Livatino" “La tutela dei beni culturali” Agrigento 20/21/22 settembre 2004 Le esperienze investigative e giudiziarie di altri paesi. Il caso della Svizzera SOMMARIO I. Introduzione II. Casi pratici 1. DTF 123 II 268 2. DTF 123 II 134 3. Sentenza del 31.01.2003 della I Corte di diritto pubblico del Tribunale federale svizzero (1A.211/2002) III. 4. 5. 6. 7. Normativa vigente Procedura di assistenza Diritto applicabile (CEAG, Convenzione n. 141, LAIMP) Doppia punibilità nell'ambito dei reati in danno dei beni culturali Consegna di beni culturali IV. 8. 9. Normativa de lege ferenda Convenzione UNESCO 1970 Legge federale sul trasferimento di beni culturali (LTBC) V. Conclusione I. Introduzione È un onore per me partecipare a questo incontro di studio in rappresentanza, ancorché non in veste ufficiale, della Svizzera. Quanto dirò si fonda su decisioni e normative esistenti o in via di introduzione, ma essendo il diritto materia soggetta ad interpretazione, le mie parole costituiscono, per così dire, un'opinione personale, non vincolante e senza pretesa di essere esaustiva. La Svizzera è considerata una delle principali piazze mondiali del commercio di oggetti d'arte. Essa è anche spesso sospettata di fungere da piattaforma per il traffico illegale di tali oggetti. L'importazione e l'esportazione di beni culturali non sono infatti disciplinate a livello federale e la Svizzera non ha nemmeno aderito, salvo che per la ratifica della Convenzione dell'Aia del 14.05.1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, a strumenti internazionali volti a combattere il trasferimento illecito di beni culturali. Attualmente gli unici strumenti a disposizione per combattere eventuali abusi sono il Codice penale e, per i reati di portata transfrontaliera, le disposizioni sull'assistenza internazionale in materia penale contenute nella relativa legge federale e nelle convenzioni internazionali. Nel presente esposto mi limiterò ad esporre, in primo luogo, la normativa vigente in materia di assistenza internazionale in materia penale per quanto concerne l'importazione illecita di beni culturali, questo tema essendo di maggior interesse - ritengo - nell'ambito di un convegno ospitato da un Paese esportatore per eccellenza. Non verrà quindi trattato il tema dell'esportazione dalla Svizzera di beni culturali. La normativa vigente verrà illustrata dapprima a mano di esempi concreti, tratti da tre sentenze della massima istanza giudiziaria svizzera, il Tribunale federale (di seguito: TF) sito a Losanna (www.bger.ch). In seguito verranno illustrati i concetti e le norme di legge applicati nei casi concreti previamente esposti. Infine esporrò quella che può essere definita "la musica del futuro". Le Camere federali, ossia il Parlamento svizzero, hanno infatti recentemente approvato sia la ratifica della Convenzione UNESCO del 14.11.1970 concernente le misure da adottare per interdire ed impedire l'illecita importazione , esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali, sia l'adozione di una legge federale sul trasferimento internazionale dei beni culturali. L'entrata in vigore di questa legge è prevista per il prossimo anno. Nel mio esposto cercherò quindi di illustrare brevemente le conseguenze derivanti dall'entrata in vigore di queste nuove normative. II. Casi pratici 1. DTF 123 II 134 Nel dicembre 1994 un Giudice istruttore francese ha inoltrato domanda di assistenza giudiziaria internazionale alla Svizzera nell'ambito di un procedimento aperto in Francia per il furto di un quadro. Il Magistrato francese ha richiesto l'esecuzione di diversi atti istruttori, tra cui il sequestro del quadro. Nel giugno 1996 il Giudice istruttore di Ginevra ha ordinato la consegna alle Autorità francesi del quadro nonché dei verbali di interrogatorio effettuati nel quadro della procedura rogatoriale. Dopo che la Camera d'Accusa del Cantone di Ginevra ha respinto un primo ricorso sostenendo che XY, persona alla quale il quadro era stato sequestrato, non aveva reso verosimile di averlo acquistato in buona fede, l'interessato ha presentato ricorso di diritto amministrativo dinanzi al TF, chiedendo che la decisione della Camera d'Accusa venisse annullata, che il quadro non venisse consegnato alle Autorità francesi rispettivamente che, nel caso di una consegna, venisse fornita una garanzia. Il TF ha respinto il ricorso con le seguenti motivazioni. Il TF ha dapprima constatato che in ambito di assistenza internazionale sono applicabili le disposizione della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20.04.1959 (di seguito: CEAG), alla quale hanno aderito sia la Francia che la Svizzera. Le disposizioni del trattato primeggiano su quelle di diritto interno, ovvero la legge federale sull'assistenza internazionale in materia penale del 20.03.1981 (di seguito: LAIMP), disposizioni che restano tuttavia applicabili alle questioni che non sono regolate esplicitamente o implicitamente dal diritto convenzionale oppure laddove il diritto interno è più favorevole all'assistenza rispetto al diritto convenzionale. La domanda rogatoriale essendo tra l'altro volta ad ottenere la consegna del quadro rubato, il TF ha pure preso in considerazione l'applicazione della Convenzione no. 141 del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato dell'08.11.1990 (di seguito: Convenzione n. 141). Prima di esaminare concretamente se XY potesse opporsi alla decisione impugnata facendo valere di aver acquisito in buona fede il quadro rubato, il TF ha dapprima illustrato le norme applicabili in materia di consegna del prodotto di un reato nel quadro di una procedura di assistenza internazionale. Il TF ha così constatato che la CEAG non disciplina la consegna di oggetti che costituiscono il prodotto di un reato. Esaminando la Convenzione n. 141, il TF ha rilevato che la stessa costituisce una convenzione speciale che completa la CEAG e che ha come scopo segnatamente il miglioramento della cooperazione internazionale in materia di assistenza nelle indagini nonché sequestro e confisca di valori patrimoniali di origine illecita (v. art. 7). In particolare il TF ha richiamato l'art. 13 di tale Convenzione, secondo cui lo Stato rogato può o eseguire la decisione di confisca pronunciata da un tribunale dello Stato rogante oppure avviare una procedura indipendente di confisca secondo il proprio diritto interno in vista della consegna dei valori patrimoniali allo Stato rogante. Dopo aver passato in rassegna i motivi di rifiuto e rinvio della cooperazione in base agli art. 18 e 19 della Convenzione n. 141, il TF ha infine rilevato che, indipendentemente dall'applicabilità o meno al caso concreto di tale Convenzione, quest'ultima non impediva alla Svizzera di accordare l'assistenza in base alle norme eventualmente più favorevoli del proprio diritto interno, quali segnatamente l'art. 74a LAIMP, secondo cui la consegna può intervenire in ogni stadio del procedimento estero, di regola su decisione passata in giudicato ed esecutiva dello Stato richiedente (art. 74a cpv. 3 LAIMP). Passando all'esame del caso concreto, il TF ha quindi constatato che il quadro rubato oggetto della domanda presentata dalla Francia costituiva senza dubbio il prodotto di un reato ai sensi dell'art. 74a cpv. 2 lett. b LAIMP, essendo stato rubato ad una persona determinata e in circostanze di tempo e di luogo precise. Secondo il TF, la circostanza che al momento non ci fosse ancora una decisione di confisca dell'Autorità francese non era determinante, posto che giusta il citato art. 74a cpv. 3 LAIMP il diritto interno svizzero permette di derogare ad una tale esigenza. Non restava quindi che esaminare se vi fossero dei motivi di reiezione della domanda di assistenza giusta l'art. 74a cpv. 4 LAIMP (in relazione all'art. 18 della Convenzione n. 141) o se fosse necessario sospendere l'esecuzione della consegna del quadro alle Autorità francesi giusta l'art. 74a cpv. 5 LAIMP (in relazione all'art. 19 della Convenzione n. 141), oppure ancora se convenisse ammettere solo parzialmente la domanda rogatoriale, condizionandola ad opportune riserve (art. 20 della Convenzione n. 141). Il TF ha poi dato atto che la Camera d'Accusa aveva ritenuto che XY non aveva reso verosimile la tesi secondo cui aveva acquisito in buona fede il quadro litigioso. La Camera d'accusa aveva infatti considerato che al momento dell'acquisto l'interessato, uomo d'affari e conoscitore d'arte, non si era preoccupato né dell'autenticità né delle provenienza del quadro; inoltre, XY si era assunto il rischio di trattare con degli sconosciuti e non si era premurato di raccogliere informazioni sulla regolarità dell'importazione del quadro in Svizzera (certificato d'importazione, pagamento dei dazi doganali). Dal canto suo, il TF ha ritenuto che secondo l'art. 74a cpv. 4 lett. c LAIMP spetta all'acquirente di rendere verosimile la propria buona fede. In tal senso l'onere della prova grava sull'acquirente. Secondo il TF, l'autorità incaricata dell'esecuzione della rogatoria e chiamata a decidere in merito alla consegna di un oggetto deve limitarsi ad esaminare se le allegazioni dell'acquirente sono sufficientemente precise e comprovate per ammetterne la verosimiglianza. In particolare, secondo il TF, la norma legale in questione non esige che l'autorità (e il giudice) dell'assistenza stabilisca, alla stessa stregua del Giudice civile, se l'acquirente fosse effettivamente in buona fede; esatto è unicamente un esame di verosimiglianza. Nel caso concreto il TF ha constatato che la Camera d'Accusa aveva legittimamente ritenuto che XY non aveva apportato la prova richiesta dall'art. 74a cpv. 4 lett. c LAIMP. A mente del TF, in particolare, l'interessato non aveva reso verosimile ai sensi di tale norma di aver preso, prima della transazione, tutte le precauzioni elementari che dovrebbe invece adottare un prudente acquirente di un'opera d'arte di grande valore. XY non aveva segnatamente dimostrato di aver preso le necessarie precauzioni per assicurarsi dell'origine del quadro e della regolarità della sua importazione in Svizzera; in particolare non aveva fatto esaminare l'opera da un esperto, il quale avrebbe potuto certificarne la provenienza, né aveva preso le misure idonee per accertarsi che l'opera non fosse stata rubata o smarrita. Infine, secondo il TF, le condizioni concrete della transazione e il prezzo di vendita di molto inferiore al valore di mercato non erano tali da accreditare la tesi di XY. Il TF ha concluso constatando che l'assistenza doveva essere accordata, dovendosi ancora solo determinare a quale titolo il quadro rubato andava consegnato allo Stato rogante. Al riguardo il TF ha ritenuto che nel caso concreto non vi fosse motivo di attendere una decisone definitiva ed esecutiva dello Stato estero per restituire l'oggetto rubato al suo avente diritto, posto che il proprietario del quadro rubato era noto. Secondo il TF non era neppure necessario subordinare l'esecuzione della domanda a condizioni particolari, dato che l'acquirente (e ricorrente) aveva beneficiato in Svizzera delle garanzie procedurali previste dall'art. 6 n. 1 CEDU e, d'altro canto, aveva ancora facoltà di far valere i propri interessi in Svizzera o all'estero nei confronti di tutti gli intermediari implicati nella vendita del quadro. In conclusione il TF ha sottolineato che laddove la domanda rogatoriale concerne la consegna di un bene culturale, il giudice dell'assistenza deve tenere conto dell'interesse pubblico internazionale connesso con la protezione di tali beni; in tal senso il TF ha citato sia la Convenzione UNESCO del 14.11.1970 sia la Convenzione UNIDROIT del 24.06.1995, sostenendo che le norme di cui a queste convenzioni costituiscono l'espressione di un "ordre public international" in vigore o in via di formazione. 2. DTF 123 II 268 A seguito di una rogatoria presentata dalla Procura di Latina, nel settembre 1995 il Giudice istruttore di Ginevra ha ordinato la perquisizione di locali affittati da una società panamense presso il porto franco di Ginevra, locali suscettibili di contenere oggetti d'arte antica rubati in Italia. Contemporaneamente è stato ordinato il sequestro degli oggetti. Le fotografie degli oggetti sequestrati sono state consegnate agli inquirenti italiani presenti alla perquisizione. Lo stesso mese è stata aperta una procedura penale a Ginevra contro ignoti per ricettazione. Nel novembre 1995 la Procura di Latina ha inoltrato un'ulteriore domanda di assistenza nell'ambito di un procedimento penale aperto nei confronti di XY, un mercante d'arte italiano rivelatosi essere l'avente diritto della citata società panamense, sospettato di ricettazione. Un primo esame delle fotografie aveva permesso di identificare tre capitelli appartenenti al Comune di Roma, che erano stati rubati in una zona archeologica di Ostia Antica rispettivamente presso la Villa Celimontana a Roma. Nel marzo 1996 l'Autorità rogante ha completato la sua domanda producendo un rapporto della Sovraintendenza di Roma per l'Etruria meridionale, dal quale emergeva che gli oggetti sequestrati, di un grande valore archeologico, provenivano al 90% da furti effettuati nelle zone archeologiche del Lazio. Secondo tale rapporto, si trattava di materiale di un grande valore artistico e scientifico. L'Autorità rogante ha quindi richiesto la consegna di tutti gli oggetti sequestrati. Nel giugno 1996 il Giudice istruttore ginevrino, entrando in materia sulla domanda di consegna formulata dell'Autorità rogante, ha disposto il sequestro degli oggetti depositati presso il porto franco di Ginevra ed il loro trasferimento a disposizione dell'Autorità rogante, i fatti esposti nella rogatoria potendo essere qualificati come furto rispettivamente come ricettazione. Nel novembre 1996 la Camera d'Accusa ha annullato la citata ordinanza di consegna, in quanto a suo avviso, tenuto conto degli avvisi prodotti dai ricorrenti, non appariva altamente verosimile che gli oggetti sequestrati provenissero da un reato. A mente della Camera d'Accusa, il rapporto prodotto dall'Autorità rogante era soggetto a cauzione, di modo che le condizioni di una consegna restituzione a titolo di prodotto di un reato non apparivano al momento realizzate. Secondo la Camera d'Accusa conveniva dapprima istruire la procedura nazionale al fine di conoscere ovvero stabilire la provenienza degli oggetti e, così facendo, determinare se gli acquirenti fossero in buona fede. Contro tale decisione della Camera d'Accusa è insorto dinanzi al TF con ricorso di diritto amministrativo l'Ufficio federale di polizia (di seguito: UFP), chiedendo in via principale la consegna allo Stato rogante dei tre capitelli e degli altri oggetti archeologici scoperti a Ginevra, a condizione che non ne fosse ordinata la confisca in Svizzera, e subordinatamente il mantenimento del sequestro e la consegna degli oggetti come mezzi di prova, a condizione che lo Stato estero si impegnasse a restituirli al termine del suo procedimento. Il TF ha respinto il ricorso con le seguenti motivazioni. Dopo aver passato in rassegna gli argomenti ricorsuali dell'UFP e le osservazioni dei resistenti, i quali si opponevano ad una consegna sia a titolo di prodotto di un reato sia come mezzo di prova, il TF si è chiesto se, in assenza di una decisione di confisca pronunciata nello Stato rogante, fosse possibile una consegna immediata degli oggetti sequestrati nell'ambito della procedura rogatoriale (NB: non essendo oggetto della decisione impugnata, il TF non ha di principio esaminato la possibilità di una trasmissione come mezzo di prova). Il TF ha quindi richiamato la normativa applicabile e segnatamente l'art. 74a LAIMP, il quale permette la consegna degli oggetti o beni sequestrati a scopo conservativo in ogni stadio del procedimento estero, di regola su decisione passata in giudicato ed esecutiva dello Stato richiedente. Il TF ha in particolare precisato che l'espressione "di regola" è stata impiegata dal legislatore al fine di permettere una procedura rapida e poco formalista nei casi in cui una restituzione si impone con ogni evidenza, per esempio allorquando non vi è alcun dubbio circa la provenienza illecita dei beni sequestrati e sulla fondatezza di una consegna all'avente diritto. Il TF ha tuttavia pure evidenziato che in base al citato disposto, l'Autorità rogata dispone di un ampio potere di apprezzamento, in vista di decidere, dopo valutazione coscienziosa dell'insieme delle circostanze, se e a quali condizioni può aver luogo una consegna. In particolare, secondo il TF, l'Autorità rogata può esigere informazioni complementari dall'Autorità rogante o fissare a quest'ultima un termine per l'apertura di una procedura formale di confisca. Secondo il TF, nel caso concreto non si era confrontati a una situazione tale da giustificare una consegna immediata degli oggetti sequestrati a titolo di prodotto di un reato. Il rapporto presentato dall'Autorità rogante italiana non permetteva infatti di stabilire con certezza la provenienza esatta di ciascuno degli oggetti sequestrati, la loro eventuale origine delittuosa ed il loro legittimo proprietario. Il TF ha evidenziato che in base al citato rapporto alcuni pezzi proverrebbero da scavi clandestini mentre altri sarebbero stati rubati successivamente alla loro estrazione; per una parte, circa il 10%, gli oggetti sarebbero di origine greca. In merito ai tre capitelli il TF ha rilevato che la situazione appariva più chiara, gli stessi essendo stati rubati in date precise e in zone archeologiche determinate; anche riguardo a questi oggetti il TF ha tuttavia rimarcato come non fosse nota l'identità degli autori dei furti. Dal rapporto presentato dall'Autorità rogante non si evinceva d'altronde che XY avesse partecipato direttamente ai reati, solo l'infrazione di ricettazione essendogli rimproverata; né erano note le circostanze in cui egli o la sua società avessero acquistato gli oggetti sequestrati. Il TF ha concluso affermando che nella fattispecie non si trattava semplicemente di ristabilire una situazione iniziale priva di ambiguità; non era pertanto possibile procedere ad una consegna allo Stato rogante dell'insieme degli oggetti sequestrati. Secondo il TF una siffatta consegna avrebbe potuto aver luogo, date le circostanze, solo in base ad un giudizio definitivo ed esecutivo pronunciato in Italia, al termine di una procedura suscettibile di permettere a XY, se del caso, di far valere la propria buona fede. Il TF ha inoltre rilevato che a ragione la Camera d'Accusa aveva tenuto in considerazione anche la pendenza nel Canton Ginevra di una procedura penale, tale procedura interna essendo di ostacolo ad una consegna immediata ai sensi dell'art. 74a cpv. 4 lett. d LAIMP, il quale prevede appunto che possono essere trattenuti in Svizzera gli oggetti o i valori (sequestrati nell'ambito di una procedura rogatoriale) necessari per un procedimento penale pendente in Svizzera o suscettibili di essere confiscati in Svizzera. Il TF ha in particolare respinto le argomentazioni ricorsuali dell'UFP fondate sulla Convenzione n. 141. Al riguardo il TF ha ricordato che tale Convenzione non impedisce alla Svizzera quale Stato rogato di sospendere l'esecuzione delle misure sollecitate in una rogatoria, allorquando queste ultime arrischiano di portare pregiudizio ad un procedimento interno svizzero. D'altro canto, la Convenzione non obbliga neppure la Svizzera a consegnare dei beni o valori in assenza di una decisione giudiziaria di confisca pronunciata nello Stato rogante. La Convenzione permette al contrario allo Stato richiesto, nella misura in cui esso non esegua una decisione di confisca pronunciata dalle sue stesse autorità, di esigere dallo Stato rogante una decisione giudiziaria di confisca (v. art. 13 n. 1 lett. a della Convenzione n. 141), la quale deve essere allegata alla domanda rogatoriale di consegna (v. art. 27 n. 3 della Convenzione n. 141). Il TF ha nondimeno fatto notare che la procedura rogatoriale non andava abbandonata fino a definizione della procedura aperta in Svizzera. Al contrario, in virtù del principio della celerità (art. 17a LAIMP), conveniva che l'Autorità rogata, parallelamente all'istruzione da essa condotta, prendesse tutte le misure compatibili con quest'ultima per far progredire anche la procedura rogatoriale. In tal senso, l'Autorità rogante poteva essere immediatamente informata che, dietro riserva dell'esito della procedura penale svizzera, una consegna all'Italia degli oggetti sequestrati sarebbe stata subordinata alla pronuncia di un giudizio italiano di confisca. Il TF ha pure osservato che la pendenza di un procedimento penale interno non impediva al Giudice istruttore di eventualmente statuire su una domanda di consegna come mezzo di prova presentata ulteriormente dall'Autorità rogante. Nel febbraio 1997 la Procura di Latina ha inoltrato una nuova domanda rogatoriale, tendente ad ottenere la consegna degli oggetti sequestrati come mezzi di prova da usare nell'ambito del procedimento italiano aperto per titolo di ricettazione contro XY. Preso atto di tale richiesta, il TF ha affermato che spettava in primo luogo al Giudice istruttore pronunciarsi su questa richiesta, decidendo in particolare se una siffatta consegna giusta l'art. 74 cpv. 1 LAIMP fosse possibile o se, invece, fosse preferibile sospenderla, ai sensi dell'art. 74 cpv. 1 LAIMP, in considerazione delle necessità e dello stato di avanzamento del procedimento penale svizzero. Il TF ha in particolare evidenziato la necessità di prendere in considerazione, visti i rischi legati al trasporto degli oggetti sequestrati, la possibilità di autorizzare gli inquirenti esteri a recarsi a Ginevra per procedere al loro esame. Dopo aver ribadito anche in questo contesto che un'eventuale restituzione totale o parziale degli oggetti sequestrati agli aventi diritto avrebbe potuto avvenire solo su decisione definitiva ed esecutiva di un tribunale italiano riferita ad oggetti determinati ed identificati, il TF ha concluso sottolineando la necessità di una stretta collaborazione tra le autorità dell'assistenza, nel triplice scopo di facilitare lo svolgimento delle procedure penali in corso, di permettere a tempo debito la restituzione degli oggetti archeologici sequestrati ai loro aventi diritto e di contribuire così alla realizzazione degli obiettivi fissati dalla Convenzione europea per la salvaguardia del patrimonio archeologico del 16.01.1992 (entrata in vigore per la Svizzera il 28.09.1996). 3. Sentenza del 31.01.2003 della I Corte di diritto pubblico del Tribunale federale svizzero (1A.211/2002) Nell'ambito di un procedimento italiano aperto contro numerose persone sospettate di associazione a delinquere e ricettazione di beni culturali archeologici, una Procura italiana ha emesso un ordine di arresto internazionale nei confronti di XY, residente in Svizzera. In base a tale ordine di arresto XY è stata arrestata in Svizzera e posta in detenzione estradizionale nell'ottobre 2001. In occasione della sua audizione, XY si è opposta all'estradizione nelle forme semplificate all'Italia. Nel corso del medesimo mese è stata esperita, in presenza degli inquirenti italiani, la perquisizione dell'abitazione e degli uffici di XY con contestuale sequestro di oggetti antichi. Nel novembre 2001 la Camera d'Accusa del Tribunale federale ha accolto un ricorso di XY, rilasciandola previo deposito dei documenti di identità. Con decisione del settembre 2002 l'Ufficio federale di giustizia ha accolto la richiesta di estradizione nel frattempo presentata dall'Ambasciata italiana a Berna, tendente appunto ad ottenere l'estradizione di XY nonché la consegna degli oggetti sequestrati. Contro tale decisione di estradizione è insorta XY dinanzi al TF, chiedendo l'annullamento della decisone impugnata e la reiezione della domanda di estradizione. Il TF ha accolto il ricorso con le seguenti motivazioni. Dopo aver evidenziato che la domanda di estradizione si giudica in primo luogo in base alla Convenzione europea di estradizione del 13.12.1957 (CEEstr) nonché in base al suo secondo Protocollo del 17.03.1978, ai quali hanno aderito sia la Svizzera che l'Italia, e che anche in ambito estradizionale entra in considerazione il diritto svizzero, e segnatamente la LAIMP (e relativa ordinanza: OAIMP), laddove la citata Convenzione non regola determinate questioni, il TF ha esposto il contenuto della domanda di estradizione, secondo cui in Italia erano attive due associazioni criminali, scopo delle quali sarebbe stato quello di ricettare e trasferire illegalmente all'estero oggetti archeologici provenienti da varie regioni italiane. Intermediari in Italia e all'estero avrebbero inoltre messo in vendita gli oggetti (in parte di grande valore economico e storico), che in precedenza erano stati ritrovati in scavi clandestini rispettivamente da tombaroli locali; la provenienza illecita di tali oggetti sarebbe stata occultata tramite false conferme di acquisto e vendita rilasciate da gallerie d'arte di svariati paesi, tra cui la Svizzera. In questo ultimo paese, secondo quanto esposto nella domanda, vi sarebbero proprietari di gallerie ed insospettabili specialisti d'arte, il cui compito sarebbe stato quello di riciclare gli oggetti provenienti dagli scavi clandestini, rispettivamente di inserire gli stessi nel mercato legale degli oggetti d'arte. In merito a XY, il TF ha rilevato che la domanda di estradizione la indica quale proprietaria di una galleria e quale persona di contatto del capo di una delle due associazioni criminali rispettivamente quale ricettacolo terminale di oggetti archeologici pregiati; suo compito sarebbe in particolare stato quello di occultare le tracce della provenienza illecita degli oggetti. In quanto gallerista XY avrebbe inoltre avuto contatti con commercianti d'arte internazionali e case d'asta nonché disposto di una rete diffusa di fornitori italiani attivi nel commercio illecito di beni archeologici. Il TF ha poi riassunto le posizioni dell'Ufficio federale di Giustizia e di XY. Secondo il primo, il comportamento descritto nella domanda di estradizione poteva costituire una ricettazione ai sensi dell'art. 160 CP, mentre che il reato di associazione a delinquere rimproverato in Italia non poteva essere fatto coincidere con la fattispecie di organizzazione criminale giusta l'art. 260ter CP. Dal canto suo, XY lamentava in particolare l'insufficiente descrizione del comportamento incriminato, stante l'assenza di precise indicazioni quanto alla quantità, alla qualità e al valore degli oggetti da lei asseritamente ricettati, rispettivamente quanto alle modalità con cui gli oggetti provenienti dagli scavi clandestini sarebbero giunti in Svizzera e ivi sarebbero stati rivenduti, come pure l'assenza del requisito della doppia punibilità ed il carattere sproporzionato, costitutivo a suo dire di una ricerca indiscriminata di prove ("fishing expedition"), della richiesta di perquisizione e sequestro contemplata nella domanda di estradizione. Il TF ha in seguito rilevato che una domanda di estradizione deve contenere una descrizione delle azioni per le quali viene chiesta l'estradizione; in particolare vanno indicati, nel modo più preciso possibile, tempo e luogo di commissione nonché la qualifica giuridica. Il TF ha precisato che dall'Autorità richiedente non può essere pretesa una descrizione della fattispecie oggetto del suo procedimento priva di lacune e contraddizioni, in quanto ciò non si concilierebbe con il senso e lo scopo di una procedura di assistenza, con cui lo Stato rogante chiede appunto collaborazione al fine di chiarire punti ancora oscuri. Secondo il TF è pertanto sufficiente che le indicazioni contenute nella domanda di estradizione (e nei suoi eventuali complementi) permettano all'Autorità rogata di esaminare se sussistano sufficienti indizi di un reato suscettibile di portare all'estradizione oppure motivi per respingere la domanda; non può per contro essere preteso che l'Autorità richiedente dimostri con prove conclusive i propri sospetti. L'Autorità richiesta non è in particolare tenuta ad esaminare questioni relative allo svolgimento dei fatti o alla colpevolezza, né a procedere ad un apprezzamento delle prove; essa è bensì vincolata dalla descrizione dei fatti contenuta nella domanda, nella misura in cui tale descrizione non contenga errori, lacune o contraddizioni manifesti. Prendendo posizione sulla domanda, dopo aver ricordato che gli Stati contraenti sono di principio obbligati ad estradare reciprocamente le persone ricercate dalla giustizia e che oggetto di estradizione sono reati che secondo il diritto dello Stato richiedente e dello Stato richiesto sono puniti con una pena privativa della libertà personale di almeno un anno, il TF ha dato innanzitutto ragione all'Ufficio federale di giustizia laddove quest'ultimo aveva sostenuto che la domanda di estradizione non conteneva elementi sufficienti per ritenere la sussistenza di un'organizzazione criminale ai sensi del diritto svizzero (art. 260ter CP). A mente del TF, un gruppo di persone che commette congiuntamente dei reati di ricettazione o di falsità in documenti non costituisce ancora un'organizzazione criminale ai sensi del diritto svizzero, ancorché in base al diritto italiano sia considerato un'associazione a delinquere ai sensi dell'art. 416 cpv. 1 del Codice Penale Italiano. Con riferimento al rimprovero mosso a XY di aver avuto contatto con uno dei capi delle associazioni a delinquere ovvero di esserne stata la persona di riferimento, rispettivamente di aver avuto contatti commerciali con un'altra persona attiva nel commercio illegale di oggetti archeologici, il TF ha poi evidenziato che nella domanda (e nei relativi allegati) non erano contenuti ulteriori concreti elementi suffraganti il sospetto che l'interessata avesse scientemente collaborato nell'occultamento della provenienza illegale degli oggetti archeologici di valore esportati dall'Italia. In particolare, secondo il TF, non era affermato che XY avesse allestito personalmente false attestazioni di provenienza o che avesse commesso altri falsi documentali; neppure veniva sostenuto ch'essa avesse saputo che parte degli oggetti d'arte da lei posti in vendita fosse stata ottenuta tramite un reato. Inoltre, il TF ha evidenziato che gli oggetti per i quali XY si sarebbe resa responsabile di ricettazione non erano stati concretamente menzionati e specificati nella domanda di estradizione. In quest'ultima non era neppure illustrato che XY avesse ricettato in Italia degli oggetti o che ne avesse personalmente esportati illegalmente; per contro veniva fatto valere che la galleria di XY era un terminale degli oggetti antichi esportati illegalmente dall'Italia, dei quali l'interessata curava in Svizzera l'occultamento della provenienza illegale rispettivamente la rivendita. Il TF ha quindi esaminato l'art. 160 n. 1 CP, secondo cui è punibile per ricettazione chi segnatamente acquista, occulta o aiuta ad alienare una cosa che sa o deve presumere ottenuta da un terzo mediante un reato contro il patrimonio. Al riguardo il TF ha evidenziato che la ragione della punibilità del ricettatore risiede nel fatto che con il suo comportamento egli protrae e consolida la situazione illegale creata dal reato a monte della ricettazione; inversamente, il ricettatore impedisce o rende comunque più difficile il ripristino della situazione legale. Secondo il TF, nel caso concreto, quale reato a monte della ricettazione entrava in particolare in considerazione il reato di appropriazione semplice ai sensi dell'art. 137 n. 1 CP, secondo cui chi, per procacciare a sé o ad altri un indebito profitto, si appropria una cosa mobile altrui, è punito con la detenzione o con la multa. In tal senso il TF ha richiamato una sua precedente sentenza (1A.215/2000) concernente una domanda di estradizione proveniente dalla Turchia per presunta ricettazione di oggetti d'arte antichi provenienti da scavi illegali. In quel precedente il TF aveva infatti considerato che, giusta l'art. 724 cpv. 1 CC, i reperti archeologici provenienti da scavi (clandestini) sono, se di rilevante pregio scientifico, di proprietà del cantone nel cui territorio vengono rinvenuti; per il ritrovatore essi sono dunque oggetti mobili altrui, di modo che, qualora egli se ne appropria, commette un'appropriazione indebita. In questo contesto il TF ha sottolineato che la circostanza che gli oggetti antichi rinvenuti in occasione di scavi clandestini siano o meno di rilevante valore scientifico deve essere ad ogni modo chiarita mediante una perizia. Sotto il profilo soggettivo, il TF ha ritenuto che le circostanze illustrate nella domanda di estradizione, secondo cui XY, quale commerciante d'arte specializzata rispettivamente quale numismatica, aveva offerto in vendita oggetti archeologici antichi, in parte provenienti dall'Italia, ed aveva avuto contatti con case d'asta internazionali, non fossero suscettibili di fondare il sospetto nei suoi confronti di atti illegali. In particolare, il TF ha rilevato che l'Autorità richiedente non sosteneva esplicitamente che XY avesse saputo o dovuto sapere che parte degli oggetti d'arte da lei posti in vendita provenisse da un reato; neppure veniva sostenuto che i commercianti d'arte italiani sospettati fossero noti a XY quali ricettatori o intermediari, né che XY avesse dovuto per altri motivi sapere che le era stata offerta merce ottenuta mediante un reato. Per converso, il TF, ha evidenziato le prese di posizioni di autorità, esperti del settore e organizzazioni professionali attestanti il particolare rigore rispettivamente il notevole livello professionale ed etico di XY nel chiarire la provenienza di oggetti antichi. Date queste circostanze il TF ha ritenuto perlomeno dubbia la sussistenza dell'aspetto soggettivo del reato di ricettazione. Sotto il profilo oggettivo, il TF ha considerato problematico che la domanda (e i relativi allegati) non contenessero elementi più precisi in merito agli oggetti per i quali XY si sarebbe resa punibile di ricettazione. Con riferimento al voluminoso ordine di arresto emanato dall'Autorità richiedente, il TF ha evidenziato che in relazione a XY era stato accennato unicamente ad alcune statue del periodo dell'Imperatore Adriano e ad alcune dozzine di antiche monete romane che sarebbero state estratte nel maggio 2001 in luogo non meglio indicato. Il TF ha pure criticato che nella decisione impugnata dell'Ufficio federale di giustizia nulla era stato indicato in merito alle migliaia di monete e centinaia di figure di terracotta sequestrate presso gli uffici di XY. In particolare non era stato sostenuto che le statue sequestrate risalissero al citato periodo né che vi fosse altrimenti un nesso materiale con gli oggetti menzionati nella domanda di estradizione; in base alle perizie agli atti, inoltre, solo una piccola parte delle monete sequestrate sarebbe stata coniata nell'attuale territorio italiano. In conclusione il TF ha dunque ritenuto, stanti le lacune illustrate e considerato altresì che nel caso concreto faceva pure difetto una perizia idonea a comprovare il rilevante valore scientifico degli oggetti sequestrati, che non era adempiuto il requisito della doppia punibilità. III. Normativa vigente A livello federale la Svizzera non conosce normative specifiche concernenti l'importazione e l'esportazione di beni culturali. Alcuni Cantoni, tra cui il Canton Ticino (v. art. 29 della legge cantonale sulla protezione dei beni culturali), prevedono specifiche norme d'esportazione destinate alla protezione del loro patrimonio. Nel settore doganale, pure di competenza della Confederazione, i beni culturali sono considerati alla stregua di comuni beni di consumo; non vi è alcuna base legale specifica per un loro controllo al confine. La protezione del patrimonio archeologico è disciplinata dall'art. 724 cpv. 1 CC, che prevede che gli oggetti senza padrone, di rilevante pregio scientifico per la loro rarità naturale e per la loro antichità, si ritengono proprietà del cantone nel cui territorio sono scoperti. Molti cantoni hanno emanato norme di diritto pubblico che pure rivendicano la proprietà degli beni scoperti sul loro territorio (per il Ticino: v. art. 38 della legge cantonale sulla protezione dei beni culturali). La Svizzera non dispone di norme di diritto pubblico che permettano di controllare e gestire il commercio internazionale di beni culturali. Le norme estere sull'esportazione non sono di principio riconosciute. Le pretese di rimpatrio formulate da Stati esteri sono quindi destinate all'insuccesso. In tale contesto si sono rivelati particolarmente problematici i termini brevi previsti dal diritto svizzero per pretendere la restituzione di beni rubati. Giusta l'art. 934 cpv. 1 CC, una cosa mobile smarrita o sottratta contro la volontà del suo legittimo possessore, che è stata acquistata in buona fede, non può più essere rivendicata trascorsi cinque anni. Il cpv. 2 del medesimo articolo di legge prevede inoltre che se la cosa è stata acquistata all’asta pubblica, in un mercato, o da un negoziante di cose della medesima specie, essa può del pari essere rivendicata contro il primo od ogni successivo acquirente di buona fede, ma solo dietro compenso del prezzo sborsato. Tale termine quinquennale è troppo breve in quanto, coniugato con l'assenza di controlli sull'importazione e sull'esportazione e con la possibilità di acquistare in buona fede beni rubati o altrimenti sottratti, favorisce l'uso della Svizzera quale luogo di (prima) vendita o di deposito, in vista della successiva rivendita all'estero; a questo riguardo è in particolare noto l'uso di depositi doganali (cosiddetti porti franchi), quale luogo di temporaneo immagazzinamento. Le norme attualmente a disposizione per contrastare eventuali abusi sono limitate; sostanzialmente si tratta di norme contenute nel Codice penale, suscettibili di dar luogo ad assistenza giudiziaria nel caso di reati di portata transfrontaliera. L'applicazione delle disposizioni penali in combinazione con quelle concernenti l'assistenza consente di ottenere risultati positivi in casi ben circoscritti, segnatamente laddove si tratta di beni culturali rubati individualizzati; per converso, difficoltà di applicazione si manifestano laddove, come nel caso di reperti provenienti da scavi clandestini, un'individualizzazione è più difficile oppure laddove vi sono sì indizi di reato, ma gli elementi per una condanna penale per un reato intenzionale sono insufficienti. L'interazione delle norme penali con le disposizioni concernenti l'assistenza internazionale in materia penale sarà oggetto dei prossimi paragrafi. 4. Procedura di assistenza La procedura di assistenza internazionale in materia penale costituisce attualmente, in Svizzera, lo strumento principale per contrastare e combattere il trasferimento illecito di beni culturali provenienti dall'estero. In particolare è grazie ad una domanda di assistenza che le Autorità estere possono ottenere, se del caso, il sequestro di beni culturali sottratti mediante un reato ed esportati in Svizzera, rispettivamente la consegna di tali beni come mezzo di prova oppure a scopo di confisca o di restituzione. Obiettivo principale dell'assistenza internazionale è quello dell'estradizione nel senso etimologico del termine – ossia del trasferimento dal territorio di uno Stato al territorio di un altro Stato di quanto è necessario per la conduzione di un procedimento, ovvero l'estradizione di persone, di mezzi di prova e di oggetti/beni a fini di confisca o restituzione. Rientrano infatti nell'assistenza, anzitutto, l'estradizione di persone accusate o condannate, l'acquisizione di mezzi di prova che si trovano in territorio estero (ad esempio la consegna di documenti o di verbali di audizione) nonché il sequestro di beni ed oggetti che costituiscono il provento di un reato. In tutti i casi di assistenza internazionale, al procedimento nazionale in favore del quale viene chiesta l'assistenza, viene quindi ad affiancarsi un procedimento pendente all'estero nell'ambito del quale l'autorità estera richiesta (rogata) procede all'esame della domanda proveniente dall'autorità richiedente (rogante) e, se la domanda viene accolta, procede pure all'esecuzione della medesima, trasmettendo poi i relativi atti di esecuzione all'autorità rogante. Ne discende che il procedimento aperto all'estero, ovvero nello Stato richiesto, ha carattere accessorio o ausiliario rispetto al procedimento principale a favore del quale viene appunto chiesta e fornita l'assistenza. Dal carattere ausiliario di questa procedura di assistenza discende il principio secondo cui non spetta all'autorità rogata di curarsi del merito del procedimento straniero; salvo errori, lacune o contraddizioni manifesti, l'autorità rogata è quindi vincolata all'esposto dei fatti contenuto nella domanda rogatoriale e non esamina censure e argomentazione riguardanti la colpevolezza o l'innocenza della persona perseguita nel procedimento straniero. Ciò vale sia nel campo dell'estradizione, sia in quello della cosiddetta piccola assistenza, ove si tratta segnatamente di raccogliere prove per il "procedimento a monte" o di sequestrare il prodotto o ricavo di un reato. Come dimostrano i casi pratici sopra illustrati, la procedura rogatoriale in Svizzera può essere piuttosto complessa e lunga, ancorché, beninteso, non in ogni caso vengono adite tutte le istanze, segnatamente ricorsuali, previste dalla legislazione in materia. Nei casi di una domanda concernente la cosiddetta piccola assistenza, l'iter di una rogatoria può essere brevemente riassunto come segue. La domanda di assistenza può essere indirizzata all'Ufficio federale di giustizia, il quale dopo un esame sommario procede a trasmetterla al competente Ministero pubblico cantonale (o in casi particolari al Ministero pubblico della Confederazione), o direttamente al Ministero pubblico cantonale competente territorialmente (art. 78 LAIMP). Quest'ultimo procede quindi all'emanazione di una decisione di entrata in materia ed esecuzione (salvo che la domanda di assistenza debba essere respinta per carenza dei presupposti materiali e formali), con la quale vengono ordinati gli atti di esecuzione richiesti (art. 80a LAIMP). L'ammissibilità della domanda di assistenza è data in particolare allorché è adempiuto il presupposto della doppia punibilità (v. paragrafo 6 del presente esposto), ad esclusione (di principio) di reati di carattere politico, militare, fiscale o concernenti la politica monetaria, commerciale e economica (art. 3 LAIMP). La decisione sull'ammissibilità di una domanda non essendo soggetta a ricorso immediato, essa può essere contestata nell'ambito del ricorso eventualmente presentato contro la decisione di chiusura della procedura rogatoriale. Con la decisione di entrata in materia viene pure esaminato e deciso se può pure essere autorizzata la presenza di inquirenti esteri all'esperimento degli atti istruttori, in particolare di perquisizioni ed audizioni di testimoni o di accusati (art. 65a LAIMP); tale facoltà assume particolare rilievo nell'ambito di rogatorie riferite a beni culturali, potendo in tal caso l'Autorità richiedente accreditare (anche) degli esperti o consulenti scientifici per facilitare l'esecuzione della rogatoria, segnatamente per individuare beni culturali oggetto o altrimenti connessi con la domanda rogatoriale. Una volta esperiti gli atti richiesti, si procede alla cernita di quanto raccolto: si tratta di un processo di selezione imposto dalla giurisprudenza del TF che ha come scopo quello di individuare gli atti estranei alla rogatoria o comunque inutili per l'Autorità richiedente, in vista della loro estromissione. In seguito il Ministero pubblico procede, salvo consenso degli aventi diritto ad una consegna semplificata degli atti raccolti (art. 80c LAIMP), all'emanazione di una decisione di chiusura della procedura rogatoriale, con cui viene pure essere deciso il destino degli atti e beni raccolti (art. 80d LAIMP). Di norma gli atti pertinenti ed utili alla rogatoria, aventi segnatamente valore di prova, vengono immediatamente trasmessi; più complesso è il caso di beni e valori patrimoniali costituenti il prodotto di un reato: questi possono segnatamente essere trattenuti fino ad emanazione di una decisione di confisca nello Stato estero (v. paragrafo 7 del presente esposto). La decisione di chiusura apre le porte ad un eventuale ricorso dinanzi alla Corte cantonale competente (in Ticino: la Camera d'accusa), con il quale possono essere fatti valere i motivi che si oppongono all'accoglimento della rogatoria ed alla trasmissione all'Autorità richiedente degli atti raccolti (art. 80e LAIMP). Possono per contro essere impugnate immediatamente le decisioni incidentali anteriori alla decisione di chiusura che sono suscettibili di produrre un pregiudizio immediato ed irreparabile, quali le decisioni concernenti il sequestro di beni e valori nonché le decisioni che autorizzano la presenza di persone (in particolare degli inquirenti esteri) che partecipano al procedimento estero. Contro la decisione della Camera d'accusa è dato ricorso al Tribunale federale, la cui sentenza è definitiva (art. 80f LAIMP). A crescita in giudicato della decisione di chiusura, possono essere trasmessi all'Autorità rogante gli atti (e eventualmente i beni) ivi indicati. La trasmissione, previa apposizione del principio della specialità, avviene direttamente e/o nelle vie ministeriali tramite l'UFG. Contrariamente alla procedura di (piccola) assistenza testé descritta, nel cui ambito l'UFG svolge soprattutto un compito di vigilanza (con diritto di presentare ricorrere contro le decisioni prese), le domande di assistenza finalizzate all'ottenimento dell'estradizione di una persona sono prioritariamente di competenza dell'UFG, il quale si avvale della collaborazione delle competenti autorità cantonali, e segnatamente dei Ministeri pubblici, per l'esecuzione di atti che preparano e precedono la decisione d'estradizione, in particolare degli interrogatori delle persone poste in detenzione estradizionale finalizzati ad informare queste ultime sui motivi del loro arresto (art. 52 LAIMP), a verificare l'eventuale esistenza di un alibi palese suscettibile di giustificarne la liberazione (art. 53 LAIMP) e a raccogliere il loro eventuale consenso ad un'estradizione semplificata (art. 54 LAIMP). 5. Diritto applicabile (CEAG, Convenzione n. 141, LAIMP) Le norme che disciplinano l'assistenza internazionale sono disseminate tanto nel diritto internazionale convenzionale, quanto nel diritto interno. In ambito internazionale alcune convenzioni sono a carattere universale, altre a carattere regionale, altre ancora di tipo bilaterale; alcune disciplinano tematiche specifiche, altre hanno carattere generale. Come traspare già dai casi pratici sopra esposti, in questa sede vanno menzionate soprattutto la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20.04.1959 (CEAG) e la Convenzione europea di estradizione del 13.12.1957 (CEEstr). A queste si aggiunge in particolare la Convenzione no. 141 del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato dell'08.11.1990 (Convenzione n. 141), che il TF ha considerato una convenzione speciale che completa la CEAG in un determinato settore: quello della consegna di oggetti e beni che costituiscono il prodotto di un reato. Dal giugno 2003 è pure in vigore l'Accordo del 10.09.1998 tra la Svizzera e l’Italia che completa la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e ne agevola l’applicazione (di seguito: Accordo del 10.09.1998 tra Svizzera e Italia). Tale accordo non rivoluziona la portata della collaborazione tra i due Stati; nondimeno esso contiene alcune norme interessanti. Tra queste, l'art. XXI, che potrebbe essere utile anche nell'ambito della lotta al trasferimento illecito di beni culturali, nella misura in cui prevede che, nell’ambito di fatti oggetto di procedimenti penali in ciascuno dei due Stati, le autorità giudiziarie interessate, eventualmente accompagnate da organi di polizia possono, previa informazione al Ministero di Grazia e Giustizia Direzione Generale degli Affari Penali Ufficio II e all’Ufficio federale di polizia, operare congiuntamente in seno a gruppi d’indagine comuni. In effetti, laddove si tratta di accertare l'esistenza di strutture di persone che, a prescindere da eventuali nessi o contatti con la criminalità organizzata, interagiscono tra loro, con ripartizione di compiti e competenze, nell'intento di trasferire ed immettere sul mercato internazionale dell'arte beni culturali rubati o rinvenuti in scavi clandestini, potrebbero giovare indagini comuni volte a comprendere le esatte relazioni intercorrenti tra tali persone, a interrompere così il flusso tra coloro che procurano la merce e coloro che la rivendono e a recuperare l'oggetto o il provento dei reati. Secondo costante giurisprudenza del TF le disposizioni convenzionali primeggiano su quelle del diritto interno. Quest'ultimo, contemplato nella legge federale sull'assistenza internazionale in materia penale del 20.03.1981 (LAIMP) e nella relativa ordinanza (OAIMP), resta tuttavia applicabile alle questioni che non sono regolate esplicitamente o implicitamente dal diritto convenzionale oppure laddove esso è più favorevole all'assistenza rispetto al diritto convenzionale. È questo il caso, ad esempio, delle norme che disciplinano la restituzione, come vedremo nel capitolo specifico (v. paragrafo 7 del presente esposto). 6. Doppia punibilità nell'ambito dei reati in danno dei beni culturali Il principio della doppia punibilità (astratta) prevede che l'assistenza è accordata unicamente qualora il reato perseguito nello Stato rogante è punibile sia secondo il diritto di questo Stato, sia secondo quello dello Stato richiesto. In ambito estradizionale, a questa prima condizione si aggiunge quella secondo cui il reato perseguito deve essere passibile, in entrambi gli Stati, con una pena o con una misura di sicurezza privative della libertà della durata fissata nei pertinenti trattati; in base alla CEEstr la durata deve essere di almeno un anno, rispettivamente di almeno quattro mesi qualora l'estradizione richiesta sia finalizzata all'esecuzione di una pena (art. 2 n. 1 CEEstr). L'esigenza della doppia punibilità garantisce che lo Stato richiesto non presti assistenza per dei fatti che a suo giudizio non costituiscono reato. Essa ha pertanto carattere generale, indipendentemente dalla circostanza che sia prevista o meno nella pertinente convenzione. In genere il requisito della doppia punibilità è comunque esplicitamente menzionato nelle convenzioni internazionali. Fa segnatamente eccezione la CEAG, il cui art. 5 cpv. 1 lett. a permette nondimeno agli Stati di formulare una riserva a questo proposito. La Svizzera ha fatto uso di tale facoltà, subordinando alla condizione della doppia punibilità l'esecuzione di ogni commissione rogatoria che esige l'applicazione di un qualsiasi misura coercitiva. Non solo. Anche nel suo diritto interno, la Svizzera ha previsto l'esigenza della doppia punibilità quale condizione alla concezione dell'assistenza; ciò è il caso sia per l'estradizione (art. 35 cpv. 1 lett. a LAIMP) sia per l'altra (piccola) assistenza (art. 64 cpv. 1 LAIMP). Per ammettere che la condizione della doppia punibilità è realizzata è sufficiente che i fatti illustrati nella domanda di (piccola) assistenza siano sussumibili sotto (almeno) una fattispecie penale, ovvero ne adempiano le caratteristiche, prevista dal diritto dello Stato richiesto qualora quest'ultimo fosse stato competente a reprimere tali fatti (principio della doppia punibilità astratta). In sostanza, nell'ambito dell'esame della doppia punibilità, l'autorità d'esecuzione si limita a trasporre la fattispecie illustrata nella domanda rogatoriale come se questi fatti si fossero svolti in Svizzera, ritenuto che l'autorità di esecuzione non si discosta dai fatti esposti nella domanda rogatoriale, salvo in caso di errori, lacune o contraddizioni manifesti. L'esame della punibilità sotto il profilo del diritto svizzero comprende segnatamente gli elementi costitutivi oggettivi e soggettivi, ad esclusione invece delle condizioni particolari di punibilità o di processabilità, quali ad esempio la prescrizione o la sussistenza di una valida querela. Per quanto concerne i beni culturali, svariate sono le norme penali del diritto svizzero che possono essere prese in considerazione nel contesto dell'esame della doppia punibilità. Vanno in particolare menzionati gli articoli del Codice penale sull'appropriazione semplice (art. 137 CP in combinazione con l'art. 724 CC), sul furto (art. 139 CP), sulla ricettazione (art. 160 CP) e sul riciclaggio di denaro (art. 305bis CP). Inoltre, per quanto concerne l'illecita esportazione, l'art. 76 della legge federale sulle dogane. Teoricamente potrebbe entrare in linea di conto pure il reato di organizzazione criminale (art. 260ter CP), ma in pratica la sua presa in considerazione si scontra con le particolari esigenze poste dal diritto svizzero alla realizzazione dei requisiti oggettivi e soggettivi di questo reato; al riguardo va evidenziato che, come esposto dal TF (v. caso pratico n. 3), il reato di organizzazione criminale ex art. 260ter CP non coincide con quello di associazione per delinquere previsto dall'art. 416 del Codice penale italiano, ma è semmai assimilabile a quello di associazione di tipo mafioso ai sensi del successivo art. 416bis CPI. In genere, una domanda di assistenza relativa ad un bene culturale rubato a un privato o a un ente pubblico o religioso non presenta particolari difficoltà sotto il profilo dell'esame in merito alla sussistenza della doppia punibilità, quest'ultima essendo data con riferimento alle norme sul furto (art. 139 CP), sulla ricettazione (art. 160 CP) e/o sul riciclaggio (art. 305bis CP). In questi casi può tutt'al più essere problematico l'aspetto della consegna dell'oggetto sequestrato in Svizzera in esecuzione di una rogatoria (v. paragrafo 7 del presente esposto). Sotto il profilo della doppia punibilità pone invece maggiori difficoltà il caso dei reperti provenienti da scavi clandestini. In questi casi, infatti, presa a sé stante o come reato a monte di un'eventuale ricettazione, la norma svizzera di riferimento è quella riferita al reato appropriazione semplice (art. 137 CP) in combinazione con l'art. 724 cpv. 1 del Codice Civile, secondo cui gli oggetti senza padrone, di rilevante pregio scientifico per la loro rarità naturale e per la loro antichità, si ritengono proprietà del Cantone nel cui territorio sono scoperti. Come evidenziato dal TF nel caso pratico n. 3, affinché in questi casi possa essere ritenuta adempiuta la condizione della doppia punibilità è necessario che una perizia attesti il rilevante pregio scientifico dei reperti. Poiché l'esatta quantità e qualità di questi ultimi non è sovente (ancora) nota all'Autorità rogante al momento della presentazione di una domanda di assistenza, ne discende che difficilmente potrà in questi casi essere inoltrata una perizia o addirittura essere data una descrizione precisa degli oggetti ricercati. Ciò, a sua volta, potrebbe portare a considerare lacunosa la domanda di assistenza, con possibili conseguenze negative sia sotto il profilo dell'ammissibilità della stessa (v. caso pratico n. 3) sia sotto il profilo della consegna degli oggetti allo Stato richiedente (v. caso pratico n. 2). Per ovviare a questi rischi, segnatamente nel caso di inchieste concernenti reperti provenienti da scavi clandestini suscettibili di dar luogo a richieste di assistenza, appare pertanto consigliabile che, come suggerito dallo stesso TF nei casi pratici esposti, le Autorità dell'assistenza mantengano un rapporto di stretta collaborazione. Ciò può essere concretizzato, tra l'altro, nei seguenti modi. In primo luogo, programmando l'inchiesta, se del caso avvalendosi pure di un gruppo d'indagine comune (art. XXI dell'Accordo del 10.09.1998 tra Svizzera e Italia), in modo da identificare nel modo più preciso possibile le persone coinvolte, i ruoli delle stesse, i canali di trasferimento e vendita nonché i reperti stessi. In secondo luogo, presentando domande di assistenza il più mirate possibile, evitando richieste generalizzate che potrebbero sconfinare in una ricerca indiscriminata di prove ("fishing expedition"); al riguardo è auspicabile un previo contatto tra l'Autorità richiedente l'assistenza e l'Autorità chiamata ad esperire gli atti d'esecuzione richiesti. In terzo luogo, chiedendo allo Stato richiesto l'autorizzazione affinché propri esperti o consulenti scientifici partecipino all'esecuzione degli atti istruttori (in particolare, alle perquisizioni), con l'obiettivo di identificare direttamente in loco quanto rilevante e connesso con i fatti di cui al procedimento, scartando invece immediatamente quanto irrilevante ed inutile. In quarto luogo, procedendo in accordo con l'autorità dello Stato richiedente all'espletamento di una perizia volta a stabilire se i reperti sequestrati siano di pregio scientifico (ritenuto che in base agli art. 20 CEAG e XXIII dell'Accordo del 10.09.1998 tra Svizzera ed Italia, le spese peritali sono a carico dello Stato richiedente). In quinto luogo, mantenendo costantemente uno stretto contatto, segnatamente informandosi reciprocamente sullo stato di avanzamento dei rispettivi procedimenti. 7. Consegna di beni culturali La consegna di oggetti e/o di beni/valori può aver luogo sia in relazione all'estradizione di una persona sia come misura di assistenza specifica. La consegna può avvenire a titolo di mezzi di prova oppure a scopo di confisca o restituzione. La CEAG disciplina la consegna dei mezzi di prova, mentre non regola la consegna di oggetti che costituiscono il prodotto di un reato. Questa seconda tipologia di consegna è tuttavia prevista nel secondo Protocollo addizionale alla CEAG del 08.11.2001 (non ancora ratificato dalla Svizzera) e, in particolare, nella Convenzione n. 141, che, come già anticipato sopra, su questo punto completa la CEAG. In base all'art. 13 della Convenzione n. 141, lo Stato richiesto o esegue la decisione di confisca pronunciata dall'autorità giudiziaria dello Stato richiedente oppure avvia una procedura di confisca secondo il proprio diritto interno (in vista della consegna allo Stato richiedente). Come evidenziato dal TF nei casi pratici illustrati sopra, tale Convenzione non impedisce alla Svizzera quale Stato richiesto di sospendere l'esecuzione delle misure sollecitate in una rogatoria, allorquando queste ultime arrischiano di portare pregiudizio ad un procedimento interno svizzero. D'altro canto, la Convenzione non obbliga neppure la Svizzera a consegnare degli oggetti o valori in assenza di una decisione giudiziaria di confisca pronunciata nello Stato richiedente. La Convenzione permette anzi allo Stato richiesto di esigere dallo Stato richiedente una decisione giudiziaria di confisca, che dovrà essere allegata alla domanda rogatoriale di consegna (v. art. 27 n. 3 della Convenzione n. 141). All'atto della ratifica della Convenzione n. 141 la Svizzera ha apposto alcune riserve, la prima delle quali, riferita all'art. 6 n. 1 della Convenzione n. 141, ne limita l'applicazione ai casi in cui il reato principale è qualificato come crimine secondo il diritto svizzero (v. art. 9 cpv. 1 CP in connessione con le fattispecie penali del Codice penale e del diritto penale accessorio). L'apposizione ditale riserva è stata determinata dalla circostanza che il reato di riciclaggio secondo il diritto svizzero concerne atti suscettibili di vanificare l'accertamento dell'origine, il ritrovamento o la confisca di valori patrimoniali che provengono da un crimine (v. art. 305bis CP). Ne discende che il reato principale, di cui è chiesta la consegna del provento, deve essere un crimine ai sensi del diritto svizzero affinché ci si possa avvalere delle disposizioni previste dalla Convenzione (v. sentenza del 25.07.1997 della Camera dei ricorsi penali del Canton Ticino, in: Rep. 199, pag. 329). Non pongono problemi sotto questo punto di vista i casi di assistenza riferiti a beni culturali rubati (e successivamente ricettati), il furto essendo un crimine ai sensi del diritto svizzero. Per converso appare esclusa l'applicazione della Convenzione n. 141 laddove si tratta di reperti provenienti da scavi clandestini, il reato principale trasposto nel diritto svizzero corrispondendo semmai - come già evidenziato nel paragrafo 6 dedicato alla doppia punibilità - a quello dell'appropriazione semplice, che costituisce un mero delitto. La portata pratica di questa esclusione è comunque limitata. Come rilevato dal TF l'applicabilità o meno della Convenzione n. 141 non impedisce infatti alla Svizzera di accordare l'assistenza in base alle norme eventualmente più favorevoli del proprio diritto interno. È questo il caso delle disposizioni riferite alla consegna, quali segnatamente l'art. 74 LAIMP per quanto attiene la consegna di mezzi di prova e l'art. 74a per quanto concerne la consegna a scopo di confisca o di restituzione. Giusta l'art. 74 cpv. 1 LAIMP, gli oggetti, i documenti o i beni sequestrati a scopo di prova, nonché gli atti e le decisioni sono messi a disposizione dell’autorità estera competente, a sua richiesta, dopo la chiusura della procedura d’assistenza giudiziaria (art. 80d LAIMP). La consegna può essere rinviata fintanto che gli oggetti, i documenti o i beni sono necessari per un procedimento penale pendente in Svizzera (art. 74 cpv. 3 LAIMP), nel qual caso può entrare in considerazione una decisione tendente ad autorizzare l'Autorità richiedente ad esaminare gli oggetti, i documenti o i beni in Svizzera qualora ciò fosse utile per il suo procedimento (v. caso pratico n. 2). Se una terza persona che ha acquisito diritti in buona fede, un’autorità o il danneggiato che dimora abitualmente in Svizzera fanno valere diritti sugli oggetti, sui documenti o sui beni giusta il capoverso 1, questi ultimi sono consegnati soltanto se lo Stato richiedente ne garantisce la restituzione gratuita dopo la chiusura del suo procedimento (art. 74 cpv. 2 LAIMP). Secondo l'art. 74a LAIMP gli oggetti o i beni sequestrati a scopo conservativo, segnatamente il prodotto di un reato o il suo valore di rimpiazzo, possono essere consegnati su richiesta all’autorità estera competente a scopo di confisca o di restituzione agli aventi diritto dopo la chiusura della procedura d’assistenza giudiziaria (art. 80d LAIMP). La consegna può avvenire in ogni stadio del procedimento estero, di regola su decisione passata in giudicato ed esecutiva dello Stato richiedente (art. 74a cpv. 3 LAIMP). Questa norma concede un certo margine di apprezzamento: la consegna allo Stato richiedente non è subordinata all'emanazione di una decisione di confisca nello Stato richiedente, ma può anzi aver luogo anche in assenza di una tale decisione, se non vi ostano motivi ai sensi del cpv. 4 per trattenere in Svizzera gli oggetti o beni, rispettivamente se si giustifica in base alle circostanze concrete di restituire immediatamente questi oggetti all'avente diritto all'estero (v. caso pratico n. 1). Per contro, laddove le circostanze non sono sufficientemente chiare, la consegna può essere ritardata sino ad emanazione di una decisione di confisca nello Stato richiedente; nel frattempo all'Autorità estera potrebbe essere concessa la facoltà di esaminare gli oggetti in Svizzera (v. caso pratico 2). Gli oggetti o i beni possono pure essere trattenuti in Svizzera in particolare se una persona estranea al reato, le cui pretese non sono garantite dallo Stato richiedente, rende verosimile di aver acquisito in buona fede diritti sugli stessi oppure se gli oggetti o i beni sono necessari per un procedimento penale pendente in Svizzera (ad esempio nel contesto di una procedura per ricettazione, v. caso pratico n. 2) o sono suscettibili di essere confiscati in Svizzera (art. 74a cpv. 4 LAIMP); in tal caso la consegna allo Stato richiedente viene rimandata fino a quando la situazione giuridica sia chiarita (art. 74a cpv. 5 LAIMP). In base all'art. 74a cpv. 4 lett. c LAIMP, spetta all'acquirente dimostrare la propria buona fede; qualora egli non sia in grado di dimostrare di aver agito con la diligenza richiesta dalle circostanze (e dalle sue eventuali conoscenze specifiche), egli non potrà quindi validamente sostenere di essere in buona fede ed opporsi alla consegna allo Stato richiedente (v. caso pratico n. 1). In merito alla diligenza da prestare, va rilevato che il TF, esprimendosi su un caso relativo all'acquisto di armi antiche rubate (DTF 122 III 1), ha confermato che un elevato grado di attenzione è giustificato nei rami commerciali particolarmente esposti all'offerta di merce di dubbia provenienza e per la quale sussiste un maggior rischio che sia gravata da vizi giuridici. Una persona non del tutto inesperta del commercio di beni culturali deve quindi considerare il maggior rischio di una provenienza illecita degli oggetti e, pertanto, dar prova di accresciuta diligenza. In tal senso la buona fede è negata non solo nel caso in cui l'acquirente ha agito in malafede, ma anche laddove egli non ha omesso di usare quell'attenzione che era lecito da lui esigere nelle circostanze concrete. IV. Normativa de lege ferenda L'attuale normativa svizzera in materia di beni culturali è, come già evidenziato, lacunosa. Interessi di politica culturale, estera, commerciale ed economica fanno sì che la Svizzera sia interessata ad adeguarsi agli sviluppi giuridici internazionale nell'ambito del trasferimento dei beni culturali. Per colmare le lacune e migliorare la collaborazione nonché la propria immagine sul piano internazionale la Svizzera ha quindi da tempo avviato un processo che dovrebbe dotarla prossimamente di nuovi strumenti legali atti a disciplinare il trasferimento dei beni culturali, rispettivamente a meglio contrastare il traffico illecito di tali beni. 8. Convenzione UNESCO del 14.11.1970 concernente le misure da adottare per interdire ed impedire l'illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali (Convenzione UNESCO 1970) Con la ratifica della Convenzione UNESCO 1970 la Svizzera vuole dare un segnale anche di politica estera, mostrandosi solidale con gli Stati maggiormente colpiti dalla perdita del proprio patrimonio culturale. La Convenzione UNESCO 1970 è un trattato internazionale multilaterale le cui disposizioni non hanno effetto retroattivo e non sono applicabili direttamente (self-executing) ma necessitano di essere recepite nel diritto nazionale. La Svizzera ne sta preparando la ratifica, congiuntamente all'introduzione della legge federale sul trasferimento di beni culturali (LTBC). Obiettivo della Convenzione UNESCO 1970 è il miglioramento della protezione dei beni culturali nei Paesi contraenti e la salvaguardia del patrimonio culturale grazie alla cooperazione internazionale. Essa prevede prescrizioni minime relative ai provvedimenti legislativi ed amministrativi che gli Stati contraenti sono tenuti ad adottare allo scopo di reprimere il traffico, l'importazione e l'esportazione illeciti di beni culturali, di lottare contro furti e scavi clandestini e di disciplinare la restituzione dei beni culturali rubati ed il rimpatrio di quelli illecitamente esportati. Questi obiettivi sono stati fatti propri dalla LTBC, la cui entrata in vigore è prevista nel corso del 2005. Nell'ambito della procedura di consultazione in vista della ratifica della Convenzione UNESCO 1970 e dell'entrata in vigore della legge federale sul trasferimento dei beni culturali è stata esaminata anche la possibilità di una contestuale ratifica della Convenzione UNIDROIT. Per il momento è però stato deciso di soprassedere. 9. Legge federale sul trasferimento di beni culturali (LTBC) Si tratta della legge che concretizza gli impegni assunti dalla Svizzera verso la comunità internazionale a seguito della contemporanea ratifica della Convenzione UNESCO 1970. La LTBC disciplina l'importazione di beni culturali in Svizzera, il loro transito, la loro esportazione e il rimpatrio degli stessi da parte della Svizzera (art. 1 cpv. 1). L'importazione di beni culturali non è disciplinata direttamente dalla legge, ma dovrà esserlo mediante convenzioni internazionali bilaterali concluse dalla Svizzera con altri Stati, che prevederanno un inventario dei beni culturali la cui importazione è ammessa solo in presenza di un'autorizzazione d'esportazione rilasciata dallo Stato d'origine (art. 7). I beni culturali importati illecitamente in Svizzera ai sensi delle citate convenzioni bilaterali possono essere fatti oggetto di un'azione di rimpatrio da parte dello Stato dal quale sono stati esportati illecitamente (art. 9 cpv. 1). Tale azione di rimpatrio si prescrive in un anno dopo che le sue autorità sono venute a conoscenza dell'ubicazione e del detentore dei beni culturali, ma al più tardi in 30 anni dopo l'esportazione illecita (9 cpv. 4). Chi ha acquistato beni culturali in buona fede e deve restituirli ha diritto, al momento del rimpatrio, a un'adeguata indennità (art. 9 cpv. 5). Nell'ambito del commercio d'arte e delle aste pubbliche i beni culturali possono essere trasferiti soltanto se la persona che intende trasferirli può presumere, sulla base delle circostanze specifiche, che i beni non sono stati rubati, smarriti o altrimenti sottratti contro la volontà de loro proprietario né scavati illecitamente, né importati illecitamente ossia violando una convenzione bilaterale (art. 16 cpv. 1). Al proposito, il messaggio sul disegno di legge menziona in modo esplicito il concetto di diligenza accresciuta, cui i professionisti del settore sono tenuti ad attenersi, illustrato nel paragrafo 7 del presente esposto. Le persone operanti nel commercio d'arte e nelle aste pubbliche tengono un registro in cui iscrivono i dati (origine, nome e indirizzo del fornitore, descrizione dell'oggetto e prezzo d'acquisto) concernenti l'acquisto di beni culturali; i registri e i documenti giustificati sono conservati almeno 30 anni (art. 17). Tali persone sono altresì tenute a fornire tutte le informazioni necessarie alle autorità doganali e giudiziarie, le quali sono autorizzate ad ispezionare senza preavviso i locali commerciali e i depositi nonché a visionare e se del caso mettere al sicuro i documenti pertinenti (art. 18). Le autorità doganali controllano il trasferimento dei beni culturali al confine; l'immagazzinamento di beni culturali nei depositi doganali è considerato importazione (art. 20). La legge prevede inoltre che le Autorità preposte alla sua esecuzione collaborino con quelle estere nonché con organizzazioni o enti internazionali, sia sotto il profilo amministrativo che da quello giudiziario (art. 23). Per quanto concerne l'assistenza amministrativa, condizionata dal requisito della reciprocità, si tratta in particolare di scambiare informazioni e dati, segnatamente in merito a caratteristiche e destinazione di beni culturali, persone coinvolte nella fornitura o mediazione degli stessi nonché svolgimento delle transazioni sotto il profilo finanziario. La legge, infine, definisce come delitti alcuni comportamenti, quali ad esempio l'importazione, la vendita, la distribuzione, l'acquisto o l'esportazione di beni culturali rubati, smarriti o altrimenti sottratti, oppure l'appropriazione di oggetti rinvenuti durante lavori di scavo ai sensi dell'art. 724 CC; è punibile anche che ha agito per negligenza (art. 24). Altri comportamenti, segnatamente contrari ad obblighi di diligenza ed informazione, sono definiti come contravvenzioni (art. 25). Numerosi sono i miglioramenti apportati rispetto alla situazione attuale, prescindendo dall'effetto preventivo generale che potrà derivare dall'introduzione della nuova normativa. Interessante di primo acchito, in particolare sotto il profilo dell'assistenza, appare essere quanto segue. Innanzitutto, l'obbligo, sanzionato penalmente, per le persone operanti nel commercio d'arte di tenere un registro (ancorché limitato ai beni culturali in senso stretto ai sensi dell'art. 2 cpv. 2 LTBC) dovrebbe rivelarsi positivo per la ricostruzione dell'itinerario percorso dai beni culturali rubati o importati illecitamente. In caso di sospetta violazione della LTBC, il registro potrà essere visionato e sequestrato dalle competenti autorità; ciò anche nell'ambito di una procedura rogatoriale. Esso permetterà pure di meglio valutare le pretese di acquisto in buona fede di un determinato bene culturale; la mancata registrazione potrà essere considerata un indizio di malafede o perlomeno di scarsa diligenza. La facoltà di ispezionare, anche solo a titolo preventivo, i locali commerciali e i depositi, sembra suscettibile non solo di avere un effetto di prevenzione generale, ma anche di consentire l'eventuale ritrovamento "casuale" di oggetti rubati o importati illecitamente, ciò che potrebbe dar luogo non solo a procedimenti penali interni ma anche alla comunicazione spontanea di informazioni alle competenti Autorità estere (art. 67a LAIMP, art. XXVIII dell'Accordo del 10.09.1998 tra Svizzera e Italia), le quali potrebbero in seguito a loro volta inoltrare domanda di assistenza. La circostanza che l'immagazzinamento di beni culturali nei depositi doganali equivale all'importazione, combinata con l'obbligo delle autorità doganali di procedere a controlli al confine rispettivamente con la loro facoltà di ispezionare i depositi, fa inoltre venire meno l'attrazione della Svizzera quale luogo di deposito intermedio o temporaneo. Nel settore dei beni culturali viene inoltre introdotto il concetto di assistenza amministrativa, già previsto da altre leggi federali recenti relative al settore finanziario. In tal modo verrà favorito, grazie anche alla creazione di un Servizio specializzato (art. 19), lo scambio di dati ed informazioni tra gli Stati, ciò che è essenziale per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla legge. I dati forniti possono anche essere utilizzati, se del caso, per una successiva domanda di assistenza giudiziaria; qualora quest'ultima fosse esclusa a causa del genere di reato, i dati potrebbero essere utilizzati direttamente nel procedimento penale estero (art. 23 cpv. 3 lett. c). Infine va salutata l'introduzione di disposizioni penali specifiche. Tali disposizioni non escludono l'applicazione di norme più severe previste dal Codice penale, ma ampliano le attività punibili, ciò che sarà suscettibile di ampliare anche la possibilità di concedere assistenza. Essendo tali attività pure se commesse per negligenza, ne verrà facilitata l'applicazione (anche in ambito di assistenza) rispetto alle norme intenzionali del Codice penale. Saranno in particolare passibili di sanzione l'importazione, la vendita, la distribuzione, la mediazione, l'acquisto o l'esportazione di beni culturali rubati, smarriti o altrimenti sottratti, l'appropriazione di oggetti rinvenuti durante lavori di scavo ai sensi dell'art. 724 CC, l'importazione e l'esportazione illecita di beni culturali o l'indicazione inesatta di questi ultimi all'atto dell'importazione o esportazione, nonché la violazione dell'obbligo di tenere il registro. V. Conclusione Da quanto esposto emerge che già attualmente vi è tutto sommato spazio per una proficua cooperazione internazionale nel comune intento di contrastare il commercio illecito di beni culturali. Tale spazio è destinato ad aumentare grazie ai migliori presupposti offerti dalla legge che dovrebbe entrare in vigore in Svizzera prossimamente. Resta il fatto che i risultati ottenibili dipendono fortemente dall'uso che dello spazio disponibile viene fatto. Il mio augurio ed invito non può essere che quello di sempre cercare di migliorare gli sforzi di reciproca collaborazione, allo scopo di sfruttare al meglio lo spazio d'azione offerto dal quadro legislativo. Lugano, il 17 settembre 2004