L'UOMO NEI RACCONTI BIBLICI Ho accolto molto volentieri l'invito a presenziare a questo evento di conclusione e di consegna dei diplomi per il Master di 2° livello, dall'importante e significativo titolo: Antropologia e Bibbia: percorsi interdisciplinari e multiculturali in relazione al codice simbolico delle Scritture. Desidero per questo ringraziare l'Università degli Studi di Verona nella persona del Rettore prof. Mazzucco, qui rappresentato dal pro-Rettore prof.ssa Bettina Campedelli, e la Facoltà Teologica del Triveneto nella persona del suo Preside Prof. d. Andrea Toniolo. Intendo anche rivolgere un saluto riconoscente al Prof. Mario Lombardo, già Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia e Direttore del corso di Master, e al Prof. Mario Longo, Preside della Facoltà di Scienze dell'Educazione: sono a conoscenza dell'interesse e delle energie che hanno speso per la realizzazione di questa lodevole iniziativa che merita un sincero plauso e un vivo incoraggiamento per un possibile prosieguo. È un caso piuttosto unico, nel panorama universitario italiano, questa iniziativa culturale che ha visto la sinergia di una Università Statale e di una Facoltà Teologica per la progettazione e la realizzazione di un Master che ha visto impegnati docenti delle due Istituzioni in un percorso e in un confronto interdisciplinare che risulta sempre fecondo. Dei suoi risultati ha potuto certamente beneficiare il significativo gruppo di laureati, che hanno partecipato al Master, che oggi ricevono il riconoscimento del loro lavoro con la consegna del diploma e che potranno spendere le competenze ora acquisite negli ambiti della formazione scolastica, dell'impegno sociale, culturale e artistico in cui sono impegnati. È poi per me di particolare interesse e rilevanza che al fondo dei percorsi attuati si sia voluto collocare quel codice universale, e di particolare valore per la cultura occidentale, che sono le Scritture ebraico-cristiane. I miei trascorsi, non dimenticati, di docente di queste Scritture Sacre, mi hanno permesso di apprezzare le ricchezze storiche, letterarie, culturali e religiose che questi testi racchiudono. Essi opportunamente studiati e rivisitati nella storia degli effetti che hanno prodotto sulla letteratura, sulle varie espressioni artistiche, sul pensiero filosofico e pedagogico, costituiscono per l'umanità un patrimonio dal quale una seria formazione culturale non può facilmente prescindere. È stato infine frutto di una intuizione singolarmente felice e di attenta sensibilità alle problematiche attuali scegliere di porre al centro di tutto il percorso l'uomo. La domanda sull'uomo, infatti, con i suoi risvolti filosofici, sociali, etici e religiosi, è certamente al cuore del confronto e del dibattito nel nostro tempo. Su questa questione aperta, le Scritture ebraico-cristiane, con gli effetti da esse generati, hanno un peculiare apporto da offrire. La storia, nel suo complesso, e le singole storie che queste Sacre Scritture narrano hanno sempre come con-protagonista l'uomo nella sua concretezza. E' un uomo segnato dall'esperienza del suo limite e della sua fallibilità; destinato ad umanizzarsi nel contesto della cultura, mediante il suo lavoro, le sue espressioni artistiche e il suo faticoso progresso. E' un uomo capace di aspirazioni profonde alla libertà, alla terra, allo shalom, alla speranza di un futuro qualitativamente nuovo; pronto a meravigliarsi di fronte alla complessità della realtà creata, ma anche a lanciare i suoi interrogativi ed ad esprimere la propria angoscia di fronte alla presenza del male, all'esperienza del dolore, e alla tragedia della morte . Ma accanto al con-protagonista che è l'uomo, anche il protagonista assoluto, e talora silenzioso, di queste storie, che è Dio, si rivela (per riprendere l'espressione di un noto teologo) come un “Dio di uomini”. Egli prende a cuore la storia dell'uomo; vi partecipa al punto che la sua iniziativa può essere espressa con un singolare linguaggio antropomorfico e antropopatico (parla, agisce, prova collera, gelosia, compassione ecc.) che non ne intacca l'assoluta trascendenza; si fa al culmine in tutto solidale con l'umanità nella storia unica del suo Figlio Gesù Cristo. La storia e le storie che le Sacre Scritture narrano sono, dunque, per dirla con il sottotitolo di un'opera recente, una grandiosa “messa in intrigo” dell'uomo e di Dio (cf. AA.VV., Bible et litterature. L'homme et 1 Dieu mis en intrigue, Namur 1999). Queste Scritture, che sono per loro essenza antropologiche e teologiche, legano, dalla prima all'ultima pagina, l'uomo con il suo Dio. Per questa natura delle Scritture, è sempre possibile sviluppare una “antropologia biblica” sistematica, delineandone le strutture portanti. Si può allora guardare all'uomo come creatura, nelle sue dimensioni costitutive di spirito-corporeo, di essere relazionale, di realtà aperta al dialogo con Dio in quanto “a sua immagine, della sua destinazione ad umanizzarsi nella socialità, nel rapporto con la terra, mediante il lavoro, l'arte e la cultura. Si può riflettere sulla storia della colpa e sulla potenza di un peccato anche collettivo o “del mondo” che ne segna fortemente le scelte personali e influenza la sua libertà: Si può delineare l'uomo nuovo che nasce in Gesù Cristo, mediante il quale è offerta a ciascuno e all'intera umanità un'esistenza riconciliata, rinnovata e aperta alla speranza di un compimento e di una salvezza definitiva che non mancherà di coinvolgere il cosmo stesso. Un impianto di questo genere è quello abitualmente presentato da un'antropologia biblica classica e tradizionale Una riflessione di questo tipo è stata certamente proposta nell'antropologia dell'A.T. e del N.T. offerte nei corsi del Master. Essa delinea un affresco poderoso dell'uomo, della sua storia e del suo destino che però può dare talora il senso della staticità e sembra lasciare come spettatore esterno e non coinvolto il lettore che desidera immergersi nella grande storia e nelle singole storie narrate dalle Scritture. Io preferirei, perciò, dato il carattere episodico del mio intervento, offrire anche solo qualche elemento di riflessione “sull'uomo” che prenda l'avvio e rispetti il carattere eminentemente, anche se non esclusivamente, “narrativo” delle Scritture ebraico-cristiane. Proprio questo carattere prevalentemente narrativo delle Scritture sembra costituire un singolare portale di accesso per il lettore che nelle storie raccontate viene coinvolto e da esse è invitato a comprendersi e a rifigurare in modo nuovo la sua esistenza e la sua esperienza umana. La riscoperta attuale della dimensione narrativa delle Scritture, l'utilizzo di un metodo di analisi narrativa, l'emergere di un'ermeneutica della narrazione sollecitano a ripensare quella che potremmo chiamare “un'antropologia narrativa”. 1. Per un'antropologia biblica “narrativa” Il primo aspetto che vorrei brevemente mettere in luce è la feconda circolarità che può crearsi tra i racconti presenti nelle Scritture e la ricchezza delle nostre esperienze umane. Questa circolarità può essere così sinteticamente enunciata. Le Scritture, se sono prese non come un'entità fissata e rigida, ma nella dinamicità della storia e delle storie che esse raccontano, possono dare accesso alla molteplicità delle esperienze vissute che in esse sono messe in gioco. Viceversa, le molteplici esperienze che abitano quegli umani, che siamo noi, costituiscono un prezioso terreno di accoglienza per le interpellazioni che i racconti presenti nelle Scritture ci lanciano. Questa feconda circolarità si fa particolarmente evidente nei racconti del Primo o Antico Testamento. In essi è messa in scena l'esistenza umana, in tutta la gamma delle sue sfumature, in modo tale che la nostra esperienza vi si trova riflessa come in uno specchio e in modo tale che questa nostra esperienza diventa una porta d'ingresso per la comprensione di ciò che nei racconti biblici entra in gioco e che tende a riconfigurarci e ad aprire possibilità nuove alla nostra esperienza. Per usare il linguaggio di P. Ricoeur potremmo dire che la nostra esperienza costituisce una “prefigurazione” delle esperienze di cui i racconti biblici vogliono parlarci, ma che la “configurazione” particolare dell'esperienza presente nei racconti biblici sollecita la nostra immaginazione creativa ad una “rifigurazione” nuova della nostra esistenza e delle nostre umane esperienze. Per restare sul terreno più concreto della narrazione biblica del Primo Testamento, non è difficile rilevare che il lungo racconto che va dalla Genesi ai libri dei Re non fa che costruire pazientemente un ritratto dell'umanità, dell'Adam originario. Questo personaggio collettivo e rappresentativo dell'intera umanità che domina le prime pagine della Bibbia non tarda ben presto ad assumere dei tratti caratteristici attraverso i racconti del percorso fatto da singoli personaggi, da 2 gruppi e da un intero popolo. La trama di questi racconti permette di immergersi nell'esplorazione paziente dell'infinita complessità dell'umano. La Genesi privilegia gli aspetti individuali delle grandi figure dei patriarchi ed entra nelle pieghe della vita familiare, con i problemi della discendenza, della successione, dei difficili rapporti, delle gelosie tra fratelli. Il seguito del racconto tende a situare i personaggi nel quadro più collettivo di un popolo che va strutturandosi, che cerca la libertà, un'identità, la terra tra pericolose vicissitudini e lotte violente. Da Giosuè ai libri dei Re lo spettro dell'umano si allarga al campo politico e alle relazioni esterne. E' un quadro grandioso in cui gli attori presentano situazioni, problematiche e interrogativi che sono del tutto vicini a quelli di molti essere umani, nonostante loro particolarità culturale che li segna inevitabilmente e malgrado la rappresentazione stilizzata che li caratterizza. Ogni lettore può quindi entrare in questo grande racconto e nelle singole narrazioni trovandovi riflessi aspetti della sua esistenza personale e sociale e vedendovi rispecchiate sfumature diverse del proprio vissuto umano. Egli può incontrare nel materiale narrativo della Bibbia la presentazione della reale vita umana: le multiformi relazioni familiari; la pratica del potere; la violenza, nelle sue manifestazioni, cause e conseguenze; l'amore e l'amicizia; la giustizia, la vendetta e il perdono; la collera, la paura e la gelosia; la tristezza e la gioia. È una ricchezza e complessità di vita, esposta senza compiacimenti ma con sorprendente lucidità, che assomiglia alla nostra e che domanda di essere ripensata. Ma come tutti i racconti, anche le narrazioni bibliche non sono pura fotografia e riproduzione dei fatti e dei vissuti. Essi si dispiegano facendo un largo ricorso alla “finzione”. Parlare di finzione non significa negare il possibile sottofondo storico delle storie raccontate nelle Scritture. Come sottolinea P. Ricoeur, ogni racconto anche storico si elabora come un intreccio tra storico e fittizio e quindi ogni racconto comporta necessariamente una parte fittizia. La finzione è data dalla libertà che colui che racconta ha di utilizzare tutta una serie di strategie narrative: ad esempio può presentarsi come un narratore onnisciente che riesce collegare eventi accaduti in luoghi e tempi diversi e può dirci le reazioni e gli atteggiamenti interiori degli attori che nessuno può conoscere; può caratterizzare in modo differente i suoi personaggi; può giocare sulla temporalità anticipando e posticipando alcune informazioni; può narrare la storia da diversi punti di vista. In breve, possiamo dire che la stessa storia può essere narrata in modo diverso e la diversità è data proprio dalla dimensione di “finzione” che la caratterizza. L'elemento “fittizio” dei racconti è importante perché - come si esprime R. Alter, uno dei primi studiosi della narratologia biblica - “è proprio attraverso la finzione che noi lettori impariamo. Nella finzione, creata dalla proiezione inventiva del narratore, noi incontriamo infatti un fondo esperienziale analogo al nostro, ma lo troviamo riconfigurato, ridefinito, riordinato, rivisitato secondo una comprensione più profonda e secondo una scala di valori diversa. Tutto ciò crea delle potenzialità senza pari per la comprensione e la rappresentazione dell'essere umano e della sua esperienza, ivi compresa la complessità della sua vita interiore, difficilmente percepibili ad un soggetto nella sua vita reale. In breve, il racconto ci dispiega davanti un mondo del testo, con i suoi valori, i suoi percorsi di trasformazione, le possibilità nuove che esso ci apre. Esporsi con la lettura a questo mondo nuovo dispiegato nel racconto, significa lasciarsi interpellare da esso. L'appello è innanzi tutto a distanziarci dalla nostra esperienza reale, che talora rischiamo di pensare come unica e come vera una volta per tutte e a riconoscere la nostra condizione di pellegrini che sono sempre alla ricerca della propria identità. Ma l'ulteriore appello è a far funzionare la nostra immaginazione creativa, a provare a pensarci secondo i nuovi percorsi, secondo le modalità nuove di esistenza, secondo le nuove possibilità di esperienza che il mondo del racconto ci apre. L'uomo nuovo nasce nell'immaginazione, e nell'eventuale desiderio che essa suscita, prima ancora che nella volontà e nella decisione che lo trasformano e lo rifigurano. Occorre che, per la mediazione delle storie narrate, ci sia offerta la possibilità di immaginare in modo nuovo la nostra esistenza e la nostra esperienza umana e che questa immaginazione susciti in noi la speranza e il desiderio di poter essere e vivere così perché una tale immaginazione e un tale 3 desiderio prendano corpo e siano messi al vaglio della quotidiana esperienza e si traducano in percorsi e stili di vita. Vorrei che al riguardo potessimo concretamente pensare ai percorsi di trasformazione nei quali come lettori siamo coinvolti attraverso i racconti dei grandi personaggi biblici come Abramo, Mosè, Davide, ai tanti racconti di personaggi minori che punteggiano la narrazione evangelica, allo stesso percorso faticoso dei discepoli di Gesù. Quale nuova e profonda comprensione dell'esistenza questi racconti ci offrono, quali possibilità di esperire una trasformazione della nostra vita e delle qualità nostra umanità essi ci dischiudono! Pensiamo a quei singolari racconti, a quelle metafore in forma narrativa, che sono le parabole. Esse ci aprono al mondo nuovo della gratuità, della riconciliazione, della pazienza creativa, al di là del mondo ordinario della semplice giustizia retributiva, se non anche della violenza e dell'intolleranza. Il decidersi per questo mondo nuovo, l'inoltrarsi ad esperire nuovi percorsi di vita è, nella visione credente, frutto della grazia divina che apre il cuore alla conversione. Ma il coinvolgersi in un lettura attenta e feconda dei racconti biblici, con le loro strategie e le loro istanze prammatiche, significa coinvolgersi – secondo il linguaggio di P. Ricoeur – in quelle metamorfosi ludiche che ci lasciano immaginare dei cambiamenti possibili, i quali non sono ancora reali conversioni, ma delineano “soglie di conversione”: quelle soglie sulle quali ciascuno è chiamato a decidersi, per il dubbio o per la fede, per l'obbedienza o la disobbedienza, per la speranza o la disperazione, per l'una o l'altra delle possibilità costitutive del mio essere. Ho lasciato alla fine quello che è l'aspetto più peculiare del racconto biblico che è un racconto teologico. La trama di ogni racconto e di tutto il racconto biblico, preso nel suo complesso, narra dell'incontro, in diverse modalità, tra Dio e gli uomini e diventa così per i lettori un possibile luogo di incontro con Dio. Alla svolta del racconto, può sempre fare irruzione Dio. E' lui il protagonista che con la sua parola di promessa apre all'uomo la speranza di un futuro qualitativamente nuovo. E' lui che guida, più o meno velatamente, i percorsi di trasformazione verso una nuova qualità di vita, verso esperienze prima non intraviste. E' lui che invita l'uomo all'incontro. Il lettore che si coinvolge nella trama dei racconti biblici si espone a questa dimensione teologica del racconto. Posto dal racconto sulle tracce dell'agire divino, il lettore è messo nella condizione di aprirsi a questo incontro inatteso che suscita cambiamenti imprevisti. Ma poiché questa silenziosa presenza e questo agire divino che traspare dai racconti non fa parte dei fatti narrati, ma rileva da quello che abbiamo chiamato “fittizio”, cioè dal punto di vista credente e confessante da cui il narratore si pone, allora questa presenza e questo agire non si impongono in modo costrittivo, ma, nel gioco del racconto, si propongono e si dispongono verso la nostra libertà perché essa decida se vuole aprirsi o meno a questo incontro. Questa sintetica, e forse difficoltosa, riflessione che ho proposto aveva lo scopo di lasciar intravedere come al di là di un'antropologia biblica di tipo sistematico, si possa pensare ad un'antropologia biblica che si potrebbe qualificare come “ermeneutica”, nella misura in cui essa si propone di pensare l'uomo e l'umano in dialogo con i racconti biblici che proprio dell'uomo e delle sue esperienze umane continuamente narrano. Questi racconti, infatti, sono il luogo nel quale prende corpo un senso che si propone al lettore; sono il luogo dove si elabora un mondo che domanda al lettore di essere abitato, un mondo che lo apre a nuove possibilità e nel quale dei valori sono promossi e dei contro-valori vengono denunciati; sono il luogo, infine, dove l'uomo, fatto ad immagine di Dio, è incessantemente posto a confronto con il suo Dio, con la sua grazia e con il suo appello. 2. I personaggi biblici come guida Alla riflessione di carattere generale che ho offerto vorrei aggiungere ancora qualche nota particolare. Ho già avuto modo di accennare all'importanza dei personaggi nelle storie narrate dalle 4 Scritture Sacre. I processi di identificazione con essi o di presa di distanza da essi, che i procedimenti narrativi utilizzati continuamente sollecitano nel lettore, diventano per lui una guida per ricomprendersi e per rifigurarsi nelle possibilità nuove che il mondo del racconto gli apre. Per questo vorrei soffermarmi a mettere in luce brevemente che cosa caratterizza questi personaggi biblici rispetto ai personaggi della letteratura antica e come questo loro carattere singolare possa diventare di aiuto al lettore per ripensare e ridefinire i percorsi e le possibilità nuove che si aprono per la sua esistenza. Nel mondo antico i personaggi era sostanzialmente assoggettati alla trama del racconto. Ciò che contava realmente - e quindi diventava apprezzabile sia dal punto di vista estetico che da quello etico – erano le loro azioni, indipendentemente da chi le poneva. Queste loro azioni venivano a caratterizzarli in modo schematico secondo una tipologia quasi standardizzata. I personaggi diventavano così dei “tipi” (typoi), per cui possiamo incontrare il codardo e l'eroe, il sapiente e lo stolto, la madre e la cortigiana e via dicendo: Essi venivano ad allinearsi sul fronte contrapposto di personaggi esemplari e di personaggi meschini, gli uni esposti all'ammirazione e all'imitazione; gli altri abbandonati al biasimo e al rifiuto. Della loro vicenda il lettore conosce già l'esito, pur rimanendo interessato alle varie peripezie che lo scrittore riesce ad inanellare nella sua trama. In essi tutto è palese e tutto è scontato. L'eroe classico, rispetto alla sua sorte ha a disposizione svariati e sorprendenti rinvii, ma alla fine l'esito resta comunque scontato ed inevitabile. Egli non può sottrarsi al fato. Tutt'al più egli può solo dilazionarlo. Il personaggi biblico, in coerenza con il modo di scrivere degli antichi, è anch'esso caratterizzato come dall'esterno. Manca in esso quella caratterizzazione di tipo introspettivo, con l'analisi dei sentimenti e delle emozioni, a cui ci ha abituato invece il romanzo moderno. Anche il carattere del personaggio biblico, perciò, si costruisce attraverso ciò che dice e attraverso ciò che fa. Ma, pur in questa somiglianza, la differenza del personaggio biblico da quello classico resta sostanziale e decisiva su un versante che diventa estremamente significativo per il lettore e per il suo coinvolgimento nella storia narrata. I personaggi che popolano la narrazione biblica non sono abitualmente descritti con trattati eclatanti, sorprendenti e tanto meno eroici. Il loro tono resta dimesso e quasi quotidiano. Eppure su questo sfondo - che peraltro si avvicina all'esistenza del comune lettore che abitualmente non è un eroe - si staglia un tratto peculiare e significativo. Il futuro di questi personaggi non è già segnato fatalisticamente, ma resta un futuro aperto. La loro identità non dipende da una tipologia predefinita, ma si gioca e va definendosi nell'interazione con gli altri e in definitiva con l'Altro assoluto che è Dio. E' in questa relazione dialogica che l'identità del personaggio biblico si costruisce dinamicamente ed è in forza di questa interazione che il suo futuro rimane aperto e disponibile. In definitiva, è l'appello divino, è la forza di una parola “altra “ a creare questo dinamismo. Dio – che con molta discrezione si affaccia nei racconti veterostamentari e alla fine si fa presente nel nascondimento dell'umanità di Gesù – si propone come istanza decisiva perché il personaggio del racconto evolva da ciò che è a quello che potrebbe diventare. Che cosa fa evolvere in modo impensato Zaccheo, da ricco ed odiato capo dei pubblicani a “figlio di Abramo”, se non quell'appello decisivo “scendi, perché oggi devo fermarmi a casa tua”? Che cosa trasforma degli umili pescatori, intenti al loro lavoro quotidiano, in “pescatori di uomini”, testimoni fondanti della prima chiesa, se non quell'imperativo urgente: “Venite dietro a me?”. Si potrebbero moltiplicare gli esempi di queste evoluzioni impensate di personaggi biblici, a cui l'appello divino ha aperto possibilità inedite. Ma questa evoluzione dei personaggi, che ha la sua origine dalla parola “altra” e dall'appello divino, non avviene mai in modo magico. Essa si gioca nella responsabilità della risposta, e precisamente di quella risposta data dal personaggio tra le tante possibili. E' a motivo di questa specifica e precisa risposta responsabile data dal personaggio, che esso diventa interessante per il 5 lettore: Egli infatti viene ad offrire al lettore una possibilità di essere anch'egli in modo nuovo e di orientare pure lui, in modo inatteso, il proprio futuro: una possibilità che appare plausibile perché il racconto la descrive e la narra come già avvenuta. Quello che nel racconto è avvenuto, può accadere anche per il lettore. In ultima istanza, si potrebbe dire che il personaggio biblico non diventa “prescrittivo” nella sua esemplarità - come l'eroe che si deve imitare - ma diventa invece “descrittivo” di una possibilità di vita nuova che resta aperta e disponibile anche per il lettore. Sta a lettore decidere se desidera anche per sé questa novità di vita e perciò avviare quel “dialogo” con l'assolutamente Altro che può trasformare la sua identità in divenire e il suo futuro ancora aperto, come nel racconti biblici ha già trasformato la vita di tanti personaggi. Il personaggi biblico diventa così la guida e il faro che illumina le possibilità per ciascuno di noi-lettori di un'esistenza rinnovata. 3. Conclusione Mi sono avventurato, con questi spunti di riflessione, in campo del tutto nuovo ed aperto, quello della narrazione biblica e delle sue possibilità di delineare la visione di un'antropologia biblica, più viva e più esistenziale. Il mio intento era, in fondo, quello di sollecitare ciascuno ad entrare con attenzione e curiosità in questa singolare e potente narrazione, che sono le Scritture Sacre, per avvertire innanzi tutto quanta ricchezza di umanità si può respirare in essa, ma anche per lasciarsi coinvolgere in quelle possibilità di un'esistenza rinnovata e trasformata che dalle sue trame e dai suoi personaggi continuamente traspaiono, così che alla fine possa sorgere il desiderio o almeno la nostalgia di incontrare il volto di quel “Dio di uomini” che per questa umanità nuova si è speso e che in Gesù Cristo si è impegnato definitivamente a far sorgere. Se questo mio intervento ha anche soltanto sollevato una sana curiosità e vi ha portato sulla soglia di questo percorso, ne sono felice e sono grato per l'opportunità di questo significativo incontro. 6