Appunti di Antenne - Libero Community Siti Personali

A ppunti di A ntenne
Ca pi t o l o 1 0 – Ra di o pr o pa g a z i o ne ( I I )
P ROPAGAZIONE TROPOSFERICA ................................................................................... 1
Mezzo a stratificazione piana: legge di Snell........................................................ 1
Mezzo a stratificazione sferica: legge di Snell generalizzata ................................. 4
Troposfera terrestre .............................................................................................. 5
Orizzonte geometrico ed orizzonte radio .............................................................. 7
Terra equivalente ............................................................................................. 11
Profilo del collegamento e visibilità radio .......................................................... 12
Teoria di Fresnel: principio di Huygens-Fresnel ................................................... 14
Ellissoidi di Fresnel.......................................................................................... 15
Antenne situate su un suolo piano e conduttore: visibilità radio + interferenza ....... 23
Diagrammi di copertura .................................................................................... 27
Limiti dell’ottica geometrica ............................................................................. 32
Coefficiente di riflessione al suolo .................................................................... 32
Ulteriori osservazioni sui diagrammi di copertura............................................... 33
Antenne situate su un suolo sferico (cenni) ........................................................... 34
Osservazioni sull’affievolimento (fading) .............................................................. 34
Propagazione per onde di superficie (cenni) ......................................................... 35
P
ossffeerriiccaa
po
op
nee ttrro
on
gaazziio
paag
op
Prro
M
neellll
Sn
dii S
naa:: lleeggggee d
piiaan
nee p
Meezzzzoo aa ssttrraattiiffiiccaazziioon
Al fine di introdurre i concetti fondamentali circa la propagazione troposferica,
riprendiamo rapidamente alcuni concetti già visti in precedenza, relativi alla
propagazione di raggi elettromagnetici (cioè onde elettromagnetiche ad alta
frequenza) in mezzi isotropi non omogenei, cioè con indice di rifrazione
n (r ) =
µ( r ) ε ( r )
µ0ε0
scalare ma variabile con la posizione ( 1).
Il primo esempio che riprendiamo è quello di un mezzo a stratificazione piana,
nel quale cioè l’indice di rifrazione è nella forma n=n(z):
1
Se l’indice di rifrazione, oltre ad essere variabile con la posizione, fosse anche un vettore (in particolare un tensore),
allora parleremmo di mezzo non isotropo oltre che non omogeneo.
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
z
n=n(z)
In questo caso, possiamo a scrivere che il gradiente dell’indice di rifrazione vale
∇n =
∂n r
∂n r
∂n r
dn r
aZ
aX + aY + aZ =
∂x
∂y
dz
∂z
r
Da qui scaturisce che il prodotto vettoriale tra il versore a Z e lo stesso gradiente
∇n sia nullo:
r
a Z × ∇n = 0
In questa equazione, possiamo sostituire l’espressione
dall’equazione iconale precedentemente introdotta: abbiamo che
r
d 
dr 
∇n ( r ) =  n (r )  
→
dl 
dl 
di
∇n
fornita
r
r d 
dr 
a Z ×   n (z)   = 0
dl  
 dl 
La derivata rispetto alla coordinata curvilinea può anche essere portata fuori dal
prodotto vettoriale (essendo quest’ultimo un operatore lineare), per cui abbiamo che
r
d r 
dr  
 a Z ×  n (r )   = 0
dl 
dl  

Richiedere che la derivata di una funzione, rispetto ad una coordinata curvilinea,
sia nulla equivale a richiedere che tale funzione sia costante rispetto alla suddetta
coordinata: scriviamo perciò che
r
r 
dr  r
a Z ×  n (z )  = k
dl 

r
dove appunto k è un vettore costante lungo il raggio.
Ricordando inoltre che
r
dr r
= s , possiamo scrivere che
dl
r r r
n (z) ⋅ (a Z × s ) = k
r
r
ortogonale alla direzione di k . Dal punto di vista dei moduli, invece, da quella
In base alle proprietà del prodotto vettoriale, il vettore s si trova su un piano
relazione discende che
n sin φ = cos t
Autore: Sandro Petrizzelli
2
Propagazione troposferica
r
r
dove φ è con l’angolo formato dai versori s e a Z (quest’ultimo ha modulo unitario
per definizione). Quella ottenuta è la nota legge di Snell, in base alla quale, in
corrispondenza di una superficie piana di discontinuità tra due mezzi aventi diverso
indice di rifrazione, la rifrazione di un eventuale raggio incidente (con angolo φ) è
tale per cui il prodotto nsinφ
φ rimane costante nel passaggio dall’uno all’altro mezzo:
z
φr
r
aZ
φ
r
s
raggio
n2
n1
φi
Un’ovvia conseguenza della legge di Snell è la seguente: se il raggio
elettromagnetico incide, con un angolo φ i , sulla discontinuità tra due mezzi
dielettrici tali per cui n 2 <n 1 , risulta φ r >φ
φ i , il che significa che il raggio rifratto (o
trasmesso) emerge più inclinato del raggio incidente. Se allora consideriamo un
mezzo a stratificazione piana composto da diversi strati, ciascuno con indice di
rifrazione costante e via via minore, la situazione è quella illustrata nella figura
seguente:
n4
n3
n2
n1>n2>n3>n4
n1
In tal modo, si giunge al punto in cui la curvatura del raggio è tale che
quest’ultimo torni a dirigersi verso il basso: infatti, è noto che esiste un angolo di
incidenza, detto angolo critico, in corrispondenza del quale non si ha più
rifrazione ma solo riflessione (detta perciò riflessione totale). Come vedremo, nel
caso di un mezzo a stratificazione sferica, questo meccanismo consente di
estendere l’orizzonte radio di una antenna oltre l’orizzonte geometrico.
3
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
M
Meezzzzoo aa ssttrraattiiffiiccaazziioon
nee ssffeerriiccaa:: lleeggggee d
dii S
Sn
neellll ggeen
neerraalliizzzzaattaa
Un altro mezzo non omogeneo è quello a stratificazione sferica, in cui cioè
esiste un punto (che immaginiamo coincida con l’origine del nostro sistema di
riferimento) attorno al quale l’indice di rifrazione varia in modo radiale, per cui
n=n(r)=n 0 ⋅ r:
n=n(r)
r
s
raggio
r
ar
In questo caso, il gradiente dell’indice di rifrazione vale
∇n =
r
∂n (r) r
ar = n0 ⋅ ar
∂r
r
Questo risultato comporta che il prodotto vettoriale tra il versore a r e lo stesso
gradiente ∇n sia nullo:
r
a r × ∇n = 0
Sostituendo in questa equazione l’espressione di ∇n fornita dall’equazione
iconale, abbiamo che
r
r d 
dr  
a r ×   n (r )   = 0
dl  
 dl 
Portando la derivata rispetto alla coordinata curvilinea fuori dal prodotto
vettoriale, otteniamo
r
d r 
dr  
 a r ×  n (r )   = 0
dl 
dl  

Da qui scaturisce che la funzione all’interno delle parentesi deve essere costante
rispetto alla coordinata curvilinea:
r
r 
dr  r
a r ×  n (r )  = k
dl 

r
dove appunto k è un vettore costante lungo il raggio.
r
dr r
Ricordando inoltre che
= s e ponendo n(r)=n⋅r, possiamo concludere che
dl
r r r
n ⋅ r ⋅ (a r × s ) = k
Autore: Sandro Petrizzelli
4
Propagazione troposferica
In termini di moduli, da qui scaturisce che
n ⋅ r ⋅ sin φ = cos t
r
r
dove φ è l’angolo formato dai versori s e a r . Questa è la cosiddetta legge di Snell
generalizzata, che sarà di fondamentale importanza nei discorsi relativi alla
propagazione ionosferica.
Troposfera terrestre
La troposfera è la regione dell’atmosfera più vicina alla superficie terrestre, nella
quale perciò si osservano i principali fenomeni climatici (nubi, precipitazioni,
venti).
La troposfera è un mezzo nel quale l’andamento dell’indice di rifrazione è retto
dalla seguente equazione:
n (r ) = C ⋅ (r − R T ) + n 0
con C<0 e n 0 ≅1
dove h=r-R T è in pratica l’altezza dal suolo, in quanto R T è il raggio della Terra,
mentre r (supposto maggiore di R) è la distanza dal centro della Terra stessa:
tropopausa
h
r=h+RT
RT
Terra
troposfera
Si tratta dunque di un mezzo a stratificazione sferica in cui, per h=0, l’indice di
rifrazione non è nullo, ma vale n 0 , e poi va diminuendo man mano che ci si
allontana (radialmente) da h=0. Esso vale 0 in corrispondenza di h 0 :
n (h 0 ) = 0 
→ h 0 = −
n0
C
(si tenga conto che C è negativa).
In questo caso, quindi, il gradiente dell’indice di rifrazione vale
5
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
∇n =
Se
ora
usiamo
l’equazione
r
∂n (r) r
ar = C⋅ ar
∂r
iconale
nella
forma
1
1
=
(∇n(r ) • nr ρ )
ρ n (r )
e
vi
sostituiamo l’espressione del gradiente di n(r) appena determinato, otteniamo
r r
1
1
=
(
C ⋅ar • nρ )
ρ C ⋅ h + n0
r
dove ricordiamo che n ρ è in ogni punto il versore del raggio di curvatura della
r
r
traiettoria: se allora indichiamo con φ l’angolo formato tra i versori a r e n ρ ,
deduciamo che
1 C ⋅ cos(φ + 90°)
C ⋅ sin φ
=
=−
C ⋅ h + n0
C ⋅ h + n0
ρ
Essendo in un mezzo a stratificazione sferica, vale la legge di
generalizzata, per cui sappiamo che n ⋅ r ⋅ sin φ = cos t : sostituendo, otteniamo
Snell
cos t
1
C ⋅ sin φ
C ⋅ cos t
C ⋅ cos t
n⋅r = −
=−
=−
=−
ρ
C ⋅ h + n0
C ⋅h + n0
(C ⋅ h + n 0 ) ⋅ n ⋅ r (C ⋅ h + n 0 )2 ⋅ r
C⋅
Nella maggior parte dei casi, i raggi che vanno dal trasmettitore al ricevitore sono
localizzati in uno ridotto spessore: se lo indichiamo con ∆ r, possiamo esprimere r
tramite l’espressione generale
r = R T + r0 + ∆r
dove il raggio della Terra è notoriamente R T =6300 km mentre r 0 è l’altezza del
trasmettitore:
TX
RX
∆r
r0
Essendo R T molto elevato, possiamo sicuramente trascurare ∆r rispetto ad esso,
per cui r≅
≅ R T +r 0 e quindi
1
C ⋅ cos t
≅−
ρ
(C ⋅ (r − R T ) + n 0 )2 ⋅ (R T + r0 )
Non solo, ma nella troposfera, come vedremo meglio tra poco, il valore della
costante C è generalmente molto piccolo (dell’ordine di 10 -8 in modulo, negativo in
segno) e quindi l’indice di rifrazione si approssima comunque al valore n 0 , che a
sua volta è ≅1. Da quella espressione, perciò, ricaviamo che
Autore: Sandro Petrizzelli
6
Propagazione troposferica
1
C ⋅ cos t
C ⋅ cos t
≅− 2
≅−
ρ
R T + r0
n 0 ⋅ (R T + r0 )
In base a questa espressione, i raggi elettromagnetici nella troposfera, sono, con
buona approssimazione, a curvatura ρ costante, ossia sono degli archi di
circonferenza. L’entità di questa curvatura, in base alle approssimazioni fatte,
dipende dalla costante C, anche se in realtà bisogna tener conto dell’andamento
dell’indice di rifrazione (e quindi della quota alla quale ci troviamo). Andiamo allora
ad indagare meglio sulla curvatura dei raggi.
O
Orriizzzzoon
nttee ggeeoom
meettrriiccoo eed
d oorriizzzzoon
nttee rraad
diioo
Per i discorsi che ci accingiamo a fare, è opportuno utilizzare la seguente
espressione dell’indice di rifrazione dell’atmosfera in funzione della temperatura:
n = 1+ A
Ptot
P'
+B 2
T
T
In questa formula, ricavata per valori medi su lunghi intervalli di tempo e grandi
porzioni di spazio, T è la temperatura, P tot è la pressione totale e P’ è la pressione
parziale del vapor d’acqua; A e B sono invece coefficienti di proporzionalità,
entrambi negativi.
Dato che sia la pressione sia la temperatura sono funzioni della quota, ha senso
calcolare la derivata di n rispetto al parametro r (=distanza del generico punto di
osservazione dal centro della Terra):
dn
d P 
d  P' 
d 1
d 1 
 1 dPtot
 1 dP'
+ Ptot
+ P'
= A  tot  + B  2  = A
 + B 2
=
dr
dr  T 
dr  T 
dr T 
dr T 2 
 T dr
 T dr
 1 dPtot Ptot dT 
 1 dP' 2P' dT 
= A
− 2
− 3
 + B 2

T dr 
 T dr T dr 
 T dr
Si dice che l’atmosfera in un dato punto è in condizioni standard quando
sussistono le seguenti due condizioni:
n ≅ 1 − 3.93 ⋅ 10 −8 ⋅ h
dn
≅ −3.93 ⋅ 10 −8
dr
In pratica, in condizioni standard l’indice di rifrazione è unitario sulla superficie
della Terra e poi decresce linearmente, con tasso 3.93⋅10 -8 , all’aumentare della
quota.
Sulla base di questa definizione, se ne considerando poi altre due:
•
condizioni super-standard (o condizioni di super-rifrangenza):
•
condizioni sub-standard(o condizioni di sub-rifrangenza):
7
dn
< −3.93 ⋅ 10 −8
dr
dn
> −3.93 ⋅10 −8
dr
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
Dire che dn/dr assume un valore (negativo) maggiore o minore in modulo
significa dire che la variazione di n con l’altezza è, rispettivamente, più veloce o più
lenta.
In condizioni standard, abbiamo poco fa evidenziato che il valore di dn/dr è
negativo in segno e molto piccolo in valore assoluto; si tratta della costante C
introdotta prima.
Un caso assolutamente particolare è quello in cui risulta
dn
= 0 : in questo caso,
dr
infatti, l’equazione iconale ci dice che i raggi elettromagnetici sono rettilinei (cioè a
dn
> 0 , allora i raggi sono incurvati verso
dr
curvatura infinita). Se invece risulta
l’alto; infine, se
dn
< 0 (condizioni standard e super-standard), i raggi sono
dr
incurvati verso il basso.
La figura seguente mostra quanto appena descritto:
dn
>0
dr
raggio e.m.
raggio e.m.
dn
=0
dr
raggio e.m.
dn
<0
dr
Terra
Se dn/dr=0, un eventuale raggio elettromagnetico, che parte orizzontale dal
trasmettitore (cioè φ =π
π /2), rimane orizzontale. Al contrario, se siamo in condizioni
standard o super-standard, grazie alla disomogeneità della troposfera e quindi alle
rifrazioni subite dal raggio nella sua propagazione attraverso strati con indice di
rifrazione sempre minore (fenomeno della rifrazione troposferica), il raggio si
incurva verso il basso.
Autore: Sandro Petrizzelli
8
Propagazione troposferica
ϕ1
n1>n2>n3>n4
ϕ2
Legge di Snell
ϕ3
n1
n2
n3
n 1 sin ϕ1 = n 2 sin ϕ 2 = n 3 sin ϕ3 = .... = n n sin ϕ n
n4
Schematizzazione del meccanismo di incurvamento dei raggi: in prima approssimazione,
è possibile immaginare la regione di mezzo in questione percorsa dal raggio come la
sovrapposizione di diversi strati (stratificazione piana), ciascuno con un indice di
rifrazione costante. In tal modo, è possibile applicare la legge di Snell all’interfaccia tra
ciascuno strato ed il successivo: tale legge, se l’indice di rifrazione va via via
diminuendo, impone che il raggio subisca una curvatura sempre maggiore
In particolare, negli usuali collegamenti terrestri (nei quali la quota h è
piccola), si può assumere che si “lavori” in condizioni standard: in questo caso,
facendo i conti tramite la formula
1
C ⋅ sin φ
C ⋅ sin φ
=−
≅−
ρ
C ⋅ h + n0
n0
in cui porre C=-3.93⋅10 -8 , n 0 ≅1 e φ≅π/2 (il raggio parte orizzontale da TX), si trova
ρ≅−
1
≅ 25000 km ≅ 4R T
C
Abbiamo cioè un raggio di curvatura pari circa a 4 volte il raggio della Terra:
standard
super-standard
Terra
9
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
Ovviamente, se siamo in condizioni super-standard, la curvatura diminuisce,
come indicato in figura.
Queste considerazioni aiutano a comprendere che esiste una differenza tra
l’orizzonte geometrico e l’orizzonte radio di una antenna trasmittente. L’orizzonte
geometrico è quello che si ottiene mandando dal trasmettitore un immaginario
raggio rettilineo che risulti tangente alla superficie della Terra:
OG
Terra
Il punto O G (orizzonte geometrico) è quello più lontano che un trasmettitore
potrebbe raggiungere se l’atmosfera fosse omogenea, ossia se dn/dr=0 e quindi i
raggi elettromagnetici fossero tutti rettilinei.
Al contrario, sfruttando la disomogeneità dell’atmosfera (dn/dr≠0) e la possibilità
di lavorare in condizioni standard (dn/dr<0 ma piccolo in modulo) o superstandard (dn/dr<0 ma più grande in modulo), l’incurvamento dei raggi permette
che questi raggiungano un punto O’ G (orizzonte radio) più lontano di O G :
h
OG
RT
O'G
Terra
Ci poniamo allora l’obbiettivo di andare a ricavare la posizione dell’orizzonte
geometrico (il più semplice da individuare) e dell’orizzonte radio.
Per quanto riguarda l’orizzonte geometrico, inteso in questo caso come
distanza di O G dal trasmettitore, basta fare qualche semplice considerazione
geometrica sull’ultima figura: si vede infatti che
TO G =
Autore: Sandro Petrizzelli
(R T + h )2 − R 2T
= h 2 + 2hR T ≅ 2hR T
10
Propagazione troposferica
dove abbiamo tenuto conto che h (che in questo caso coincide con l’altezza del
trasmettitore) è molto più piccola di R T .
In base all’espressione ottenuta, risulta evidente che l’orizzonte geometrico
dipende solo dall’altezza del trasmettitore (oltre che ovviamente dal raggio della
Terra). Questo deriva proprio dal fatto che non è stata in alcun modo considerata la
disomogeneità dell’atmosfera.
Il discorso si fa invece più complicato per la determinazione della distanza del
punto O’ G dal trasmettitore. Anche se un procedimento analitico è comunque
perseguibile, solitamente si adotta un altro approccio, che andiamo a descrivere nel
prossimo paragrafo.
T
Teerrrraa eeqqu
uiivvaalleen
nttee
L’idea di fondo è quella di utilizzare una trasformazione conforme per passare
dalla situazione reale (in cui i raggi elettromagnetici sono incurvati) ad una
situazione in cui invece questi raggi risultano rettilinei. Questo risultato lo si
ottiene molto semplicemente nel modo seguente:
1 trasformaz ione 1
1
  → −
ρ
ρ ρ rif
1
1
1
si passa ad una curva trasformata,
−
,
ρ
ρ ρ rif
1
ottenuta tramite sottrazione di una curva di riferimento
. Quest’ultima è fatta
ρ rif
In pratica, dalla curva iniziale
in modo tale che la curva trasformata sia una retta, il che significa che deve
1
1
−
= 0 , ossia ovviamente ρ =ρ
ρ rif .
ρ ρ rif
Quindi, dato un generico raggio elettromagnetico con curvatura ρ, la
trasformazione prevede l’uso di una circonferenza di riferimento con raggio
pari proprio a ρ.
risultare
Naturalmente, perché il tutto sia congruente, non bisogna trasformare solo i
raggi elettromagnetici, ma tutte le superfici presenti; tra queste spicca proprio la
superficie terrestre, per la quale abbiamo quanto segue:
1
1
1
ione
trasformaz

→
−
RT
R T ρ rif
Da qui si ricava che
ρ − RT
ρ R
1
1
1
1
=
−

→
= rif

→ R eq = rif T
R eq R T ρ rif
R eq
ρ rif R T
ρ rif − R T
Abbiamo ancora una circonferenza, ma di raggio R eq e non più R T .
Dobbiamo ora stabilire quali raggi elettromagnetici ci interessa rendere rettilinei.
Possiamo allora senz’altro ritenere che il nostro collegamento funzioni in
condizioni standard dell’atmosfera, nel qual caso abbiamo visto che il raggio di
curvatura dei raggi elettromagnetici vale circa 4R T : abbiamo perciò che
11
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
ρ = ρ rif = 4R T 
→ R eq =
4
RT
3
Il risultato ottenuto è dunque quello per cui, con riferimento ad atmosfera in
condizioni standard, lo spazio trasformato prevede che la Terra sia ancora una
circonferenza, ma di raggio pari a 4/3 volte quello reale:
h
O'G
4RT /3
Terra equivalente
A questo punto, è chiaro che l’orizzonte geometrico in questo “spazio
trasformato” corrisponde all’orizzonte radio nello “spazio reale”, per cui possiamo
subito applicare la formula vista in precedenza e scrivere che
TO' G =
(R
+ h) − R
2
eq
2
2
eq
2
4
8

 4
4
hR T
=  R T + h  −  R T  = h 2 + 2h ⋅ R T ≅
3
3

 3
3
Come previsto, questa distanza è maggiore di quella dell’orizzonte geometrico, di
2
(cioè circa 1.15).
3
In definitiva, abbiamo ottenuto un semplice modello in cui il generico raggio
elettromagnetico è rettilineo e si tiene conto della rifrazione troposferica
(dovuta appunto alla disomogeneità in termini di indice di rifrazione)
attribuendo alla Terra una curvatura equivalente, pari alla differenza tra la
curvatura effettiva e quella del raggio elettromagnetico considerato .
un fattore
P
Prrooffiilloo d
deell ccoolllleeggaam
meen
nttoo ee vviissiibbiilliittàà rraad
diioo
Considerando nuovamente l’espressione dell’orizzonte radio ottenuta poco fa,
possiamo evidentemente scrivere che
(
3 ⋅ TO'G
h=
8R T
)
2
In base a questa espressione, possiamo dare la seguente interpretazione
dell’orizzonte radio: consideriamo un piano tangente alla Terra equivalente
(supposta perfettamente liscia in superficie) in un punto P qualsiasi, ad esempio
quello in cui è situato il nostro trasmettitore; successivamente prendiamo un altro
Autore: Sandro Petrizzelli
12
Propagazione troposferica
punto Q della superficie terrestre equivalente, che si trovi a distanza TO'G da P
(non in linea retta, ma lungo la superficie):
P
piano tangente
h
TO' G
Q
4RT /3
Terra equivalente
(
3 ⋅ TO'G
Allora, l’altezza h =
8R T
)
2
corrisponde all’abbassamento del punto Q rispetto
al piano tangente alla Terra in P.
Questo discorso ci consente di tener conto di eventuali corrugazioni della
superficie terrestre (colline, montagne, ecc.) al fine di stabilire se un trasmettitore
ed un ricevitore sono in visibilità radio tra loro. Si procede nel modo seguente:
•
in primo luogo, si fissa l’altezza h di TX ed RX e la distanza d (non in linea
retta, ma lungo la superficie terrestre) alla quale si trovano;
•
in secondo luogo, tramite la formula h =
3⋅ d2
, si converte la superficie sferica
8R T
della Terra equivalente in una superficie piatta;
•
su questa nuova “Terra equivalente”, si riportano le quote reali del suolo
(dedotte ad esempio da una carta topografica della zona geografica che si sta
considerando). Si ottiene così un diagramma del tipo seguente, noto come
profilo del collegamento:
TX
RX
Terra equivalente
piatta
4RT /3
Terra equivalente
sferica
13
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
Tracciando il raggio rettilineo orizzontale che congiunge TX ed RX, si può ora
stabilire se sussiste la visibilità radio oppure no. Come? Ci sono due possibilità:
•
la prima e più evidente possibilità è quella in cui una o più corrugazioni (ad
esempio la cima di una o più montagne) intercettano il raggio che congiunge
TX ed RX: in questo caso, si dice che TX ed RX non sono in visibilità radio, per
cui andrà aumentata la loro quota se si vuole stabilire il collegamento;
•
la seconda possibilità è invece quella in cui nessuna corrugazione intercetta il
raggio, come nell’ultima figura; in questo caso, si sarebbe istintivamente
portati a dire che c’è visibilità radio, ma in realtà la risposta non può essere
così immediata: infatti, le ipotesi che stiamo adottando sono quelle dell’ottica
geometrica, che non sempre fornisce una adeguata approssimazione della
realtà. In altre parole, il semplice fatto che il raggio congiunga TX ed RX senza
ostacoli non implica la visibilità radio, mentre è vero il contrario, come detto nel
punto precedente.
Per stabilire se c’è visibilità radio in una situazione come quella riportata
nell’ultima figura, bisogna ricorrere alla teoria della diffrazione di Fresnel, che è
oggetto del prossimo paragrafo.
Teoria di Fresnel: principio di HuygensHuygens - Fresnel
Fino ad ora abbiamo applicato, nei discorsi sulla propagazione delle onde
elettromagnetiche nell’atmosfera, solo i concetti propri dell’ottica geometrica:
quest’ultima è tale per cui i vari risultati ottenuti dipendano solo dai valori assunti,
punto per punto del raggio elettromagnetico, dal valore dell’indice di rifrazione. In
tal modo, però, il modello non tiene conto delle disomogeneità che possono essere
presenti all’esterno del raggio elettromagnetico.
Quindi, l’ottica geometrica, pur consentendo una valida rappresentazione dei
fenomeni di riflessione e rifrazione, non è in grado di interpretare il fenomeno
della diffrazione .
Rigorosamente, la diffrazione di un’onda (sia essa elettromagnetica, come ad
esempio la luce, oppure acustica 2) è quel fenomeno per cui l’onda, dopo aver
superato un ostacolo le cui dimensioni siano paragonabili alla lunghezza d’onda,
non si propaga più in linea retta. Questo fa sì che, dopo l’ostacolo, non si formi
una zona in cui l’onda è completamente assente (la cosiddetta zona d’ombra),
cosa che invece avverrebbe se la propagazione avvenisse in linea retta.
Ad esempio, nel caso delle onde sonore, è possibile udire una voce anche se chi
parla è in una stanza diversa dalla nostra, in quanto le onde aggirano in parte lo
spigolo della porta.
Nel caso della luce, invece, è più difficile scorgere gli effetti della diffrazione, in
quanto la lunghezza d’onda è molto piccola rispetto agli oggetti che ci
circondano; tuttavia, se si illumina un oggetto opaco (e con un bordo netto) con
una luce monocromatica proveniente da una sorgente puntiforme, si osserva,
nell’ombra prodotta su uno schermo, una serie di sottilissime frange
alternativamente chiare e scure nella zona corrispondente al bordo. E’ noto,
inoltre, che la diffrazione di un’onda luminosa attraverso una serie di fenditure
sottili e la successiva interferenza tra le onde diffratte permettono di scomporre
la luce nel suo spettro.
2
Le onde acustiche (o sonore) sono notoriamente onde di pressione.
Autore: Sandro Petrizzelli
14
Propagazione troposferica
L’interpretazione più corretta del fenomeno della diffrazione è quella fornita dal
principio di Huygens-Fresnel, che andiamo ad illustrare.
Consideriamo un generico trasmettitore TX che irradia e prendiamo in esame un
generico fronte d’onda del campo irradiato, ossia una superficie S 1 nei cui punti
l’onda assume sempre la stessa fase. La forma di questo fronte d’onda dipende in
generale dal tipo di trasmettitore: ad esempio, per una sorgente puntiforme avremo
delle superfici sferiche. Se ci mettiamo a grande distanza dalla sorgente, invece, i
fronti d’onda sono sostanzialmente dei piani, in quanto le onde sono tipiche onde
piane uniformi.
Ad ogni modo, a prescindere dalla forma di S 1 , supponiamo che ciascun punto di
S 1 sia un radiatore isotropo, che quindi irradia a sua volte onde sferiche:
TX
fronte
d 'onda
in t
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
fronte
d 'onda
in t+dt
Quindi, se S 1 è il fronte d’onda all’istante t e ciascun punto P i di S 1 irradia onde
sferiche, il fronte d’onda S 2 nell’istante t+dt sarà ottenuto come l’inviluppo delle
suddette onde sferiche appunto in t+dt; in particolare, se v i è la velocità di fase nel
punto P i , dovremo considerare, per il generico P i , la sfera di raggio r i =v i dt:
l’inviluppo di tali sfere è il nuovo fronte d’onda, così come la somma vettoriale delle
varie onde sferiche è il campo totale. Quest’ultima affermazione costituisce il
principio di Huygens-Fresnel.
Questa descrizione mostra che, al contrario di quanto avviene usando l’ottica
geometrica, la previsione dell’evoluzione del campo presuppone la conoscenza delle
caratteristiche del mezzo in tutta la regione interessata dai raggi che partono da
una intera superficie equifase e giungono al ricevitore RX. Al fine di ottenere
risultati congruenti con la realtà, ma senza dover condurre ragionamenti
complicati, si cerca tuttavia di delimitare una regione sufficientemente ristretta da
TX ad RX che approssimi al meglio il risultato generale. Questo porta ad introdurre
i cosiddetti ellissoidi di Fresnel.
E
Elllliissssooiid
dii d
dii F
Frreessn
neell
Consideriamo un TX ed un RX a distanza geometrica d uno dall’altro, in un
mezzo supposto isotropo ed omogeneo (per cui i raggi si propagano in linea retta
partendo dalle sorgenti):
15
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
fronte d'onda
s ferico
TX
R1
RX
R2
d
Supponiamo che il TX sia un radiatore isotropo, per cui emette onde sferiche, il
che significa che i fronti d’onda in ogni istante sono superfici sferiche, centrate
appunto in TX. Consideriamo il generico fronte d’onda che intercetta il segmento
TX-RX a distanza R 1 da TX ed R 2 da RX (per cui d=R 1 +R 2 ).
Successivamente, consideriamo superfici sferiche centrate in RX e aventi raggio
R2 + k
λ
, dove k è un intero positivo. Così facendo, otteniamo delle sfere (dette
2
sfere di Fresnel) che intersecano i fronti d’onda emessi da TX.
La regione di fronte d’onda delimitata dall’intersezione del fronte d’onda stesso
con una sfera di Fresnel prende il nome di zona di Fresnel. Si tratta di una calotta
sferica avente centro sulla congiungente TX-RX e raggio ρ k (della circonferenza di
base) che determineremo tra poco:
TX
RX
1° zona di Fresnel
2° zona di Fresnel
3° zona di Fresnel
4° zona di Fresnel
Consideriamo ad esempio la k-sima sfera di Fresnel, che dà quindi origine, sul
fronte d’onda, alla k-sima zona di Fresnel. Se guardiamo la situazione in sezione,
otteniamo un punto P k come intersezione tra la suddette sfera ed il fronte d’onda:
Autore: Sandro Petrizzelli
16
Propagazione troposferica
Pk
TX
R1
RX
R2
d
sfera
k-sima
I punti di intersezione P k , P k+1 , P k+2 e così via tra un generico fronte d’onda e le
varie sfere di raggio R 2 + k
λ
hanno una caratteristica importante: se consideriamo
2
ciascuno di tali punti come un radiatore isotropo e consideriamo i raggi
elettromagnetici che partono da ciascuno di essi per giungere in RX, è evidente che
tali raggi percorrono distanze via via crescenti di λ/2. Ad esempio il raggio che
parte da P k percorre una distanza R 2 + k
P k+1 percorre una distanza R 2 + (k + 1)
λ
.
2
λ
fino ad RX, mentre quello che parte da
2
Pk+1
Pk
TX
RX
sfera
k-sima
sfera
(k+1)-sima
Dato che queste due distanze differiscono di λ/2, i corrispondenti raggi si
sommano in opposizione di fase (in quanto un percorso di λ/2 corrisponde ad uno
sfasamento di π).
Questo discorso può essere preso proprio come definizione delle sfere di
Fresnel: sono porzioni del fronte d’onda emesso da TX tali che, passando da
17
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
una all’altra, la differenza di cammino ottico fino ad RX sia di mezza
lunghezza d’onda ( 3).
Le zone di Fresnel consentono una formulazione alternativa del principio di
Huygens-Fresnel: infatti, possiamo esprimere tale principio dicendo che il campo
totale in RX è la somma dei contributi provenienti dalle diverse zone di
Fresnel, dove il contributo di ciascun elemento dipende dalla distanza da RX e
dall’angolo che la normale all’elemento considerato forma con la congiungente
l’elemento stesso con RX .
Adesso concentriamoci su P k : geometricamente, con riferimento alla “vista in
sezione” della penultima figura, possiamo scrivere che
λ
λ

TPk + RPk = R 1 + R k = R 1 +  R 2 + k  = d + k
2
2

Questa equazione dice semplicemente che il punto P k , intersezione della k-sima
sfera di Fresnel con il fronte d’onda che avanza, si sposta su una ellisse, detta
appunto ellissoide di Fresnel, i cui fuochi sono TX ed RX.
Consideriamo allora il punto Q k proiezione di P k sull’asse orizzontale:
k-sima
sfera di Fresnel
Pk
TX
Qk
RX
fronte d'onda
in movimento
da TX verso RX
Se indichiamo con ρ k la distanza tra P k e Q k , abbiamo che
ρ 
d = R 1 + R 2 = R 1 1 −  k 
 R1 
2




ρk
λ



+ R 2 + k  1−
2
R +kλ 

 2


2
2
Se scegliamo di considerare solo i valori più piccoli di k, ossia consideriamo solo
i primi ellissoidi di Fresnel), ρ k risulta molto minore sia di R 1 sia di R 2 , per cui
possiamo approssimare le due radici quadrate nel modo seguente:
3
Da notare che il cammino ottico da TX ad una qualsiasi zona di Fresnel è sempre lo stesso, in quanto esse appartengono
tutte allo stesso fronte d’onde, per cui la definizione può essere modificata dicendo che i cammini ottici che differiscono di
λ/2 sono quelli che vanno da TX ad RX passando per le zone di Fresnel.
Autore: Sandro Petrizzelli
18
Propagazione troposferica
2




 


2
2


 1ρ   




ρk
ρ
ρk
λ
λ
1
  = R 1 − 1 k  + R 2 + k − 1
d ≅ R 1 1 −  k   +  R 2 + k  1 − 

2  2  R + k λ   
2 R1  
2 2 R +kλ
 2  R 1   
 2

2

2  
2



2
Ora, se λ è molto minore delle distanze geometriche R 1 ed R 2 , possiamo
trascurare il termine kλ/2 presente a denominatore e approssimare
d ≅ R1 −
1 ρ 2k
λ 1 ρ 2k
+ R2 + k −
2 R1
2 2 R2
Dato che d=R 1 +R 2 , deduciamo che deve risultare
0=−
1 ρ 2k
λ 1 ρ 2k
+k −
2 R1
2 2 R2
da cui si ottiene che
ρk = k
λ
1
1
+
R1 R 2
Il massimo valore di questa quantità si ha quando R 1 =R 2 =d/2 e prende
propriamente il nome di raggio k-simo di Fresnel:
ρk = k
λd
4
Al variare di k, quindi, otteniamo i vari raggi di Fresnel, ciascuno identificativo di
un determinato ellissoide di Fresnel. Ad esempio, il raggio del primo ellissoide di
Fresnel è evidentemente
ρ1 =
λd
4
In pratica, ciascun raggio di Fresnel ρ k individua una precisa zona di Fresnel, di
cui la figura seguente propone la “solita” vista in sezione:
k
TX
RX
19
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
Ogni zona di Fresnel, trovandosi su un fronte d’onda, corrisponde ad un insieme
di radiatori isotropi le cui onde sferiche contribuiscono a determinare il campo
totale in RX. Allora, faremo vedere che solo la prima zona di Fresnel è importante ai
fini di valutare il campo in RX.
Facciamo infatti il seguente ragionamento. Supponiamo per prima cosa che TX
ed RX si trovino in condizioni di spazio libero, per cui il campo irradiato da TX
giunge indisturbato in RX. Indichiamo con E 0 il campo misurato in RX in queste
condizioni.
Supponiamo invece di considerare, dato il generico fronte d’onda sferico, una
generica calotta sferica di raggio h, non necessariamente coincidente con una zona
di Fresnel:
calotta
sferica
h
TX
R1
R2
h
RX
d
Indichiamo con E il campo, misurato in RX, dovuto a tutte e sole le sorgenti di
Huygens-Fresnel presenti nella calotta sferica in questione. In pratica, è come se
stessimo includendo TX ed RX in un involucro cilindrico con raggio h e stessimo
valutando il campo in RX prodotto da tutte e sole le sorgenti presenti in tale
involucro:
h
RX
TX
h
Confrontando i valori di E e di E 0 al variare del rapporto tra h e ρ 1 , si ottiene il
seguente andamento:
E/E0
2
1
1
Autore: Sandro Petrizzelli
1.41
1.73
h ρ1
2
20
Propagazione troposferica
Questa figura dice sostanzialmente che il campo E risulta tanto più prossimo e
stabile sul valore E0 in spazio libero quanto più larga è la calotta sferica in esame,
il che significa, in altre parole, che tutte le zone di Fresnel sono rilevanti ai fini
della valutazione del campo in RX.
Adesso ripetiamo lo stesso “esperimento”, supponendo però che ci sia un piano
diffrattore al di sotto di TX ed RX:
calotta
sferica
h
TX
R1
R2
h
RX
Il diagramma che si ottiene in questo caso è il seguente:
E/E0
1
h ρ1
1
Come si vede, anche questa volta il rapporto E/E 0 converge ad 1, dopo una serie
di oscillazioni, all’aumentare di h/ρ 1 , con la differenza però, questa volta, che la
convergenza è molto più rapida, tanto che la condizione stabile E=E 0 si raggiunge
già praticamente quando h=ρ 1 , cioè includendo solo le sorgenti nella prima zona di
Fresnel. Quindi, mentre in assenza del piano rifrattore sono importanti le sorgenti in
tutte le zone di Fresnel, in presenza del piano rifrattore contano solo quelle nella
prima zona di Fresnel (corrispondente cioè a ρ 1 ).
Questo ci consente allora di tornare alla questione da cui eravamo partiti e cioè
alla necessità di capire in quali condizioni si verifichi la visibilità radio tra TX ed
RX in quei casi in cui il raggio diretto TX→RX non intercetta alcuna corrugazione
della superficie terrestre:
21
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
TX
RX
Terra equivalente
piatta
4RT /3
Terra equivalente
sferica
In base a quanto trovato, la visibilità radio si può considerare verificata
quando le corrugazioni non intercettano sia il raggio diretto TX→RX sia anche
il primo ellissoide di Fresnel (con raggio ρ 1 ) .
Facciamo un esempio numerico per comprendere quanto appena detto.
Supponiamo che la frequenza di lavoro sia 100 MHz, cui corrisponde notoriamente
una lunghezza d’onda di 3 m. Supponiamo inoltre che TX ed RX siano distanti
d=100 km. Il raggio del primo ellissoide di Fresnel vale allora
ρ1 =
λd
3 ⋅ 100 ⋅10 3
=
≅ 230 m
4
4
Allora, le corrugazioni presenti tra TX ed RX devono trovarsi al di sotto di 230 m
dalla congiungente TX ed RX:
TX
RX
230 m
Terra equivalente
piatta
Evidentemente, se diminuiamo la frequenza di lavoro, ossia aumentiamo λ,
aumenta anche ρ 1 e cioè è richiesta una maggiore distanza del raggio diretto dalle
corrugazioni, il che si ottiene, a parità di corrugazioni, elevando ulteriormente le
antenne. Per questo motivo, collegamenti radio di questo tipo vengono effettuati alla
più alta frequenza possibile.
Del resto, una analisi più rigorosa dovrebbe includere anche gli effetti della
diffrazione e della diffusione, per cui i limiti appena esposti non sono poi così
rigidi.
Autore: Sandro Petrizzelli
22
Propagazione troposferica
Antenne situate su un suolo piano e conduttore:
visibilità radio + interferenza
Facciamo un ulteriore passo avanti rispetto ai discorsi fatti nei precedenti
paragrafi: dobbiamo infatti tener conto che, generalmente, anche in presenza di
visibilità radio, il ricevitore RX non viene raggiunto solo dal raggio diretto
proveniente dal TX, ma anche da uno o più raggi riflessi dal suolo. Tali raggi
determinano perciò fenomeni di interferenza. Per studiare tali effetti, si può
analizzare il caso semplice di antenne situate su di un suolo piano e conduttore ed
in visibilità radio tra loro. La figura seguente mostra proprio una antenna
trasmittente, posta ad una altezza h 1 dal suolo, ed una antenna ricevente, posta
ad una altezza h 2 dal suolo, distanziate di una distanza pari a d:
RX
diretto
R1
TX
riflesso
h2
h1
R2
d
immagine
di T X
Si suppone che le altezze delle due antenne dal suolo siano sufficientemente
maggiori della lunghezza d’onda di lavoro (anche 100 volte più grandi), il che
ovviamente è realistico se quest’ultima è piccola, ossia se la frequenza è elevata.
Come mostrato in figura, l’onda elettromagnetica raggiunge l’antenna ricevente
tramite due distinti raggi: il raggio diretto, che percorre una distanza R 1 in linea
retta, ed il raggio riflesso dal suolo, il cui percorso è lungo R 2 ( 4). I due raggi,
quindi, si sommano in corrispondenza di RX e tale somma può produrre effetti
diversi a seconda della differenza di fase tra i due raggi stessi, la quale differenza
di fase dipende dal fatto che i percorsi seguiti sono in generale di lunghezza
diversa:
differenza di fase = k 0 ∆R =
2π
(R 2 − R 1 )
λ0
A seconda, quindi, dell’entità della differenza R 2 -R 1 , potremo avere una
interferenza costruttiva o distruttiva in corrispondenza del ricevitore. Studiamo
allora la situazione a livello analitico.
Dobbiamo semplicemente quantificare i due campi che incidono sull’antenna
ricevente, tenendo conto delle distanze percorse e delle caratteristiche di
trasmissione e di ricezione delle due antenne coinvolte. Ad esempio, se supponiamo
che l’antenna trasmittente sia un dipolo in λ/2, sappiamo bene che il campo
4
Stiamo trascurando invece ogni effetto di diffusione e/o diffrazione delle onde sul suolo. La diffusione è quel fenomeno
per cui, quando una radiazione incontra ostacoli di dimensioni paragonabili alla propria lunghezza d’onda, viene deviata in
tutte le direzioni; nel caso della luce, ad esempio, si ottiene una intensità di luce diffusa che è proporzionale alla quarta
potenza della lunghezza d’onda. La diffrazione, invece, prevede che, dopo aver incontrato i suddetti ostacoli, l’onda
elettromagnetica cessi di propagarsi in linea retta.
23
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
elettromagnetico da esso irradiato in zona lontana, a distanza r, è dato dalle
seguenti espressioni:
π

cos cos θ  − jk 0 r
Z I
2
e
Eθ = − j 0 0
2π
sin θ
r
π

cos cos θ  − jk 0 r
E
I
2
e
Hϕ = − θ = j 0
Z0
2π
sin θ
r
dove θ è l’angolo secondo cui il dipolo “vede” il punto di misura del campo.
Se ci vogliamo mettere in un caso del tutto generale, possiamo allora affermare
che il campo prodotto da una generica antenna trasmittente a distanza R 1 è nella
forma
e − jk 0 R1
E = E0
f1 (θ1 )
4πR 1
dove E 0 è una costante in generale complessa, mentre f 1 (θ) tiene conto delle
proprietà direzionali dell’antenna trasmittente.
RX
θ '1
TX
h1
θ '2
θ1
θ2
h2
ψ
d
Naturalmente, stiamo considerando il campo corrispondente al solo raggio
diretto, ossia stiamo trascurando le riflessioni al suolo. Quando questo campo
incide sull’antenna ricevente, ai morsetti di quest’ultima verrà indotta una tensione
nella forma
e − jk 0 R 1
Vdir = E 0
f1 (θ1 )f 2 (θ'1 )
4πR 1
dove ovviamente f 2 (θ) tiene conto delle proprietà direzionali dell’antenna ricevente e
θ’ 1 è l’angolo sotto cui l’antenne ricevente vede l’antenna trasmittente:
Autore: Sandro Petrizzelli
24
Propagazione troposferica
Se adesso vogliamo considerare il campo corrispondente al raggio riflesso,
possiamo sfruttare il principio delle immagini ed immaginare tale campo come
prodotto da una antenna situata ad altezza –h 1 e identica all’antenna trasmittente,
come evidenziato nell’ultima figura. Così facendo, possiamo affermare che la
tensione prodotta in uscita dall’antenna ricevente a seguito dell’incidenza del raggio
riflesso sarà del tipo
Vrifl
e − jk 0 R 2
= E0
f1 (θ 2 )f 2 (θ' 2 ) ⋅ ρ e jφ
4πR 2
dove ovviamente abbiamo posto R 2 al posto di R 1 , abbiamo considerato i due nuovi
angoli θ 2 e θ’ 2 sotto cui le due antenne si “vedono” vicendevolmente ed abbiamo
incluso un termine ρ e j φ corrispondente al coefficiente di riflessione al suolo: esso
tiene conto, in pratica, che il raggio che subisce riflessione viene attenuato (in
quanto parte di esso viene trasmesso all’interno del suolo stesso) e sfasato.
Andiamo adesso a sommare le due tensioni, in modo da ottenere la tensione
totale in uscita dall’antenna:
V = Vdir + Vrifl = E 0
= E0
e − jk 0R1
e − jk 0R 2
f1 (θ1 )f 2 (θ'1 ) + E 0
f1 (θ 2 )f 2 (θ' 2 ) ⋅ ρe jφ =
4πR 1
4πR 2
 R

f (θ )f (θ' )
e − jk 0R1
f1 (θ1 )f 2 (θ'1 ) 1 + 1 e − jk 0 ( R 2 −R 1 ) 1 2 2 2 ⋅ ρe jφ  =
4πR 1
f1 (θ1 )f 2 (θ'1 )
 R2

 R

f (θ )f (θ' )
= Vdir 1 + 1 e − jk 0 ( R 2 −R1 ) 1 2 2 2 ⋅ ρe jφ 
f1 (θ1 )f 2 (θ'1 )

 R2
Abbiamo scritto la tensione in questo modo per evidenziare il fatto che la
tensione totale prodotta è pari a quella V dir dovuta al solo raggio diretto, cui si
aggiunge un termine pari al prodotto di V dir stessa per il coefficiente
R 1 − jk 0 ( R 2 −R1 ) f1 (θ 2 )f 2 (θ'2 )
e
⋅ ρe jφ
R2
f1 (θ1 )f 2 (θ'1 )
Ritenendo che R 1 ed R 2 siano molto prossimi tra loro, possiamo eliminare la
frazione R 1 /R 2 (ma non possiamo toccare invece la differenza R 2 -R 1
25
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
nell’esponenziale). Inoltre, nelle situazioni pratiche, le altezze h 1 ed h 2 delle due
antenne sono molto piccole rispetto alla separazione orizzontale d tra le antenne
stesse: questo comporta che i quattro angoli coinvolti nelle precedenti relazioni
siano a loro volta abbastanza piccoli; di conseguenza, le funzioni f 1 ed f 2 si possono
ritenere praticamente costanti sull’intervallo dei valori considerati per i vari angoli.
Da qui scaturisce evidentemente che risulta
f1 (θ 2 )f 2 (θ' 2 )
= 1 , per cui deduciamo
f1 (θ1 )f 2 (θ'1 )
che, in prima approssimazione, il coefficiente di proporzionalità è
e − jk 0 ( R 2 −R 1 ) ⋅ ρe jφ
Questo coefficiente tiene dunque conto dell’attenuazione e dello sfasamento
dovuti alla riflessione nonché dello sfasamento dovuto alla differenza di percorso
tra raggio diretto e raggio riflesso.
Generalmente, si pone
F = 1 + e − jk 0 ( R 2 −R 1 ) ⋅ ρe jφ
in modo da poter scrivere che
e − jk 0 R1
V = E0
f1 (θ1 )f 2 (θ'1 ) ⋅ F
4πR 1
Il coefficiente F prende il nome di fattore di guadagno del percorso (path-gain
factor): esso mostra sostanzialmente che il campo all’antenna ricevente differisce
dal valore che avrebbe in condizioni ideali di propagazione in spazio libero, ossia in
assenza di riflessioni. In pratica, si può vedere F come il fattore di schiera della
schiera costituita dall’antenna trasmittente e dalla sua immagine rispetto al suolo
( 5).
Possiamo adesso fare qualche semplice manipolazione algebrica sull’espressione
di F. Ad esempio, se applichiamo il teorema di Pitagora per esplicitare le distanze
R 1 ed R 2 , troviamo che
R 1 = d 2 + (h 1 + h 2 )
2
R 2 = d 2 + (h 2 − h 1 )
2
Dato che le altezze h 1 ed h 2 sono molto piccole rispetto alla separazione
orizzontale d tra le antenne stesse, possiamo approssimare
1 (h 2 − h 1 )
2
d
2
1 (h 1 + h 2 )
R2 ≅ d +
2
d
2
R1 ≅ d +
La differenza tra i due percorsi è dunque
2h h
1 (h 1 + h 2 ) 1 (h 2 − h 1 )
R 2 − R1 =
−
= 1 2
2
d
2
d
d
2
5
2
L’antenna immagine ha inoltre un livello relativo di eccitazione, rispetto all’antenna trasmittente reale, pari a ρejφ.
Autore: Sandro Petrizzelli
26
Propagazione troposferica
e quindi il coefficiente F vale
F = 1+ e
− jk 0
2 h1h 2
d
⋅ ρ e jφ
Adesso ipotizziamo che avvenga una riflessione totale al suolo, il che significa
porre ρ e j φ =-1: si ottiene che
F = 1+ e
= 2 ⋅ sin
− jk 0
2 h1h 2
d
⋅ (−1) = 1 − e
− jk 0
2 h1h 2
d
=e
− jk 0
h1h 2
d
hh
hh
− jk 0 1 2 
− jk 0 1 2 
 jk 0 h1dh 2
k 0 h 1h 2 
d
d
−
=
e
e
e


2 j ⋅ sin d  =




k 0 h 1h 2
d
Questa espressione mostra ancora più chiaramente che gli effetti di interferenza
possono portare a risultati diversi in ricezione: ad esempio, qualora l’argomento del
Seno risulti essere un multiplo dispari di π/2, il valore assoluto risulta pari ad 1 e
quindi F=2, il che significa che l’intensità del segnale prodotto dall’antenna
ricevente risulta addirittura raddoppiato (interferenza costruttiva). Viceversa, se
l’argomento del Seno risulta essere un multiplo pari di π/2, risulta F=0, ossia non
viene prodotto alcun segnale dal ricevitore (interferenza distruttiva). ( 6)
Inoltre, ci si rende conto facilmente, tramite il teorema di Pitagora, che il
prodotto h 1 h 2 è proporzionale all’inverso della distanza d, il che significa che
∝
1
d2
Questo ci dice che, mentre in spazio libero il campo decade come 1/d, in
presenza di riflessioni il campo decade come 1/d 2 , cioè molto più rapidamente .
D
urraa
peerrttu
dii ccoop
mm
mii d
Diiaaggrraam
Continuiamo a considerare l’espressione F = 2 ⋅ sin
k 0 h 1h 2
. Sempre con riferimento
d
alla figura vista in precedenza, poniamo
tan ψ 0 =
h2
d
In pratica, ψ 0 è l’angolo di elevazione dell’antenna RX visto dalla base di TX.
Possiamo allora porre
F = 2 ⋅ sin (k 0 h 1 ⋅ tan ψ 0 )
6
Il caso in cui F=2 è sicuramente un caso favorevole per un sistema di telecomunicazione via radio, in quanto mostra
come un effetto generalmente indesiderato come la riflessione possa in realtà portare dei benefici. In effetti, ci sono altri
motivi per cui la riflessione diventa importante: ad esempio, se supponiamo che, durante il normale funzionamento del
sistema, l’unico raggio diretto da TX ad RX venga improvvisamente attenuato, la presenza dei raggi riflessi fornisce
comunque una certa probabilità che il segnale trasmesso venga ricevuto; al contrario, se non ci fossero i raggi riflessi,
l’eventuale abbattimento del raggio diretto provocherebbe l’andata fuori servizio del sistema.
27
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
Questa relazione viene generalmente disegnata nella forma di un diagramma di
copertura, che mostra la variazione di F con h 2 e d (o, ciò che è lo stesso, di ψ 0 ) in
corrispondenza di prefissati valori di h 1 e λ 0 .
In generale, un diagramma di copertura è un grafico dell’intensità relativa
del campo in funzione della direzione dello spazio vista dall’antenna
trasmittente. E’ quindi analogo al pattern di radiazione di una antenna. In ogni
diagramma di copertura, i parametri fissati a priori sono l’altezza h 1 dell’antenna
trasmittente e la lunghezza d’onda di lavoro λ 0 . Sono invece variabili la distanza d
dall’antenna ricevente e l’altezza h 2 della stessa antenna: questo significa che ogni
coppia h 2 ,d individua un punto dello spazio.
Generalmente, si adotta una tecnica di questo tipo:
•
in primo luogo, si fissa un determinato valore E rif di riferimento per il
campo elettrico (ad esempio 100 µV/m); si individua inoltre la distanza d rif
alla quale si otterrebbe E rif in condizioni di spazio libero;
•
successivamente, si impone che il campo totale (dovuto quindi sia al raggio
diretto sia a quello riflesso) sia pari ad un multiplo, intero o frazionario, di
Erif :
m = 1,2,3,....
1 1 1
m= , ,
2 3 4
E TOT = m ⋅ E rif
•
si risolve quindi l’equazione E TOT = m ⋅ E rif
esplicitando la quantità F/r; si
sostituisce poi l’espressione di F, in modo da esplicitare h 2 in funzione di
d; in tal modo, si ottiene una funzione h 2 =h 2 (d) che può essere
diagrammata nel piano h 2 ,d e che corrisponde ad un preciso valore del
rapporto F/r.
Vediamo di spiegarci più concretamente. Il campo totale, in modulo, è
E TOT
e − jk 0R1
e − jk 0R 2
= E0
f1 (θ1 )f 2 (θ'1 ) + E 0
f1 (θ 2 )f 2 (θ' 2 ) ⋅ ρ e jφ
4πR 1
4πR 2
Nell’ipotesi di un coefficiente di riflessione al suolo pari a –1 e di piccoli valori
degli angoli θ, abbiamo visto che si può scrivere
E TOT = E libero ⋅ F
E libero = E 0
e − jk 0 r
f1 (θ1 )f 2 (θ'1 )
4πr
Poniamo allora
E rif = E 0
e − jk 0 rrif
f1 (θ1 )f 2 (θ'1 )
4πrrif
Imponiamo l’uguaglianza E TOT = m ⋅ E rif :
Autore: Sandro Petrizzelli
28
Propagazione troposferica
E0
e − jk 0 rrif
e − jk 0r
f1 (θ1 )f 2 (θ'1 )
f1 (θ1 )f 2 (θ'1 ) ⋅ F = m ⋅ E 0
4πrrif
4πr
Da questa uguaglianza, semplificando le funzioni
considerazioni fatte in precedenza, ricaviamo che
F = m⋅
f1
ed
f2
in
base
alle
r
rrif
Sostituendo l’espressione di F prima trovata, questa uguaglianza diventa
2 ⋅ sin
k 0 h 1h 2
r
= m⋅
d
rrif
Nella maggior parte dei casi, la distanza diretta r tra TX ed RX è molto prossima
alla sua proiezione d sul piano orizzontale, per cui possiamo approssimare r≅d, in
modo da concludere che
2 ⋅ sin
k 0 h 1h 2
d
= m⋅
d
d rif
Questa equazione è quella della curva h 2 =h 2 (d) corrispondente a valori costanti
E TOT = m ⋅ E rif del campo totale. Al variare di m otteniamo dunque curve h 2 =h 2 (d) a
livello costante di segnale. Vediamo come sono fatte approssimativamente queste
curve.
Consideriamo ad esempio m=1, per cui vogliamo la curva corrispondente ad un
campo totale pari al valore di riferimento (ad esempio 100 µV/m): tale curva
corrisponde all’equazione
2 ⋅ sin
k 0 h 1h 2
d
=
d
d rif
Appare subito evidente che questa equazione non ammette soluzioni se d>2d rif , in
quanto si otterrebbe un modulo del Seno maggiore di 1. Quindi, dobbiamo supporre
d≤2d rif . Vediamo ad esempio cosa succede per d=2d rif : abbiamo che
sin
k 0 h 1h 2
k hh
2d
π
π
=1
→ 0 1 2 = (2n + 1) 
→ h 2 = rif ⋅ (2n + 1)
2d rif
2d rif
2
k 0 h1
2
Abbiamo dunque infiniti ed equispaziati valori di h 2 , in corrispondenza di d=2d rif ,
per i quali si ottiene un campo totale pari al valore di riferimento prescelto:
29
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
h2
Erif
Erif
Erif
Erif
2drif
Se invece prendiamo d<2d rif , l’equazione 2 ⋅ sin
k 0 h 1h 2
d
=
d
d rif
d
ammette, per ogni
valore di d, due distinte soluzioni per h 2 , data la periodicità del Seno: tali due
soluzioni sono del tipo arcsin(α) e π-arcsin(α). Ad esempio, se prendiamo
d
= 0.7 ,
2d rif
otteniamo
 k 0 h 1h 2 
 = arcsin (0.7 ) = 44.43

k 0 h1h 2
 d 1
= 0.7 
→
sin
d
 k 0 h 1h 2  = 180° − arcsin (0.7 ) = 135.57°
 d  2
La doppia soluzione significa che abbiamo dei lobi centrati su ciascuna linea
retta tracciata nella figura precedente, come illustrato di seguito:
h2
Erif
2drif
0.7*2drif
d
Adesso passiamo a vedere il caso in cui m=2 (|E TOT |=2|E rif |):
2 ⋅ sin
k 0 h 1h 2
d
= 2⋅
d
d rif
In questo caso, non ci sono soluzioni per d>d rif , ci sono infinite soluzioni per
d=d rif e ci sono due soluzioni per ciascun valore di d tale che d<d rif :
Autore: Sandro Petrizzelli
30
Propagazione troposferica
d > d rif 
→ nessuna soluzione
d = d rif 
→ sin
k 0 h 1h 2
k hh
d
π
π
= 1
→ 0 1 2 = (2n + 1) 
→ h 2 = rif (2n + 1)
d rif
d rif
2
k 0 h1
2
→ sin
d < d rif 
k 0 h 1h 2
d
=

→ ...(come prima)
d
d rif
Anche in questo caso, quindi, abbiamo dei lobi centrati sulle linee rette
corrispondenti alle infinite soluzioni relative al caso d=d rif . Anzi, la situazione è
particolare: in primo luogo, i vertici di tali lobi si trovano appunto in
corrispondenza di d=d rif ; in secondo luogo, i valori di h 2 corrispondenti d=d rif sono
esattamente gli stessi trovati, nel caso di m=1, in corrispondenza di d=2d rif . In altre
parole, possiamo tracciare un diagramma del tipo seguente:
h2
m=1
m=2
Erif
2Erif
d
2drif
d rif
Se adesso considerassimo, ad esempio, m=1/2, otterremmo quanto segue:
2 ⋅ sin
k 0 h 1h 2 1 d
= ⋅
d
2 d rif
d > 4d rif 
→ nessuna soluzione
d = 4d rif 
→ sin
k 0 h 1h 2
k hh
d
π
π
= 1
→ 0 1 2 = (2n + 1) 
→ h 2 = rif (2n + 1)
4d rif
d rif
2
k 0 h1
2
d < 4d rif 
→ sin
k 0 h 1h 2
d
=

→ ...(come nei casi precedenti)...
d
4d rif
Valgono perciò le stesse considerazioni dei casi precedenti.
In generale, vengono sempre tracciate curve i cui corrispondenti valori del
segnale differiscono di 3 dB, in più o in meno: ad esempio, si considerando valori di
m pari a 1 2 (cioè 3 dB al di sotto di E rif ) oppure a 2 (cioè 3 dB al di sopra di
Erif ).
In definitiva, con diagrammi di questo tipo, una volta fissati specifici valori di
h 1 e d, siamo in grado di stabilire quanto devono valere h 2 e d per ottenere in
ricezione un prefissato valore del campo totale ricevuto, scelto come multiplo
intero o frazionario di un valore di riferimento E rif .
31
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
In modo intuitivo, possiamo vedere questi diagrammi come un ausilio per
scegliere dove (valore di d) posizionare l’antenna ricevente e a quale altezza (valore
di h 2 ) metterla al fine di ottenere un desiderato valore di campo ricevuto:
h2
RX 1
Erif
RX 2
2drif
d rif
d
In pratica, se prendiamo una antenna come RX 1 di questa figura (cioè con il
vertice all’esterno del lobo prescelto), otteniamo un campo ricevuto inferiore ad E rif ;
se invece prendiamo una antenna come RX 2 (cioè con il vertice all’interno del lobo
prescelto), otteniamo un campo ricevuto superiore ad E rif ; se il vertice dell’antenna
si trova invece esattamente sul lobo, allora il campo ricevuto è proprio E rif .
Detto in altre parole, ogni punto (cioè ogni coppia di valori h 2 ,d) che si trova
sulla curva di un lobo è un punto dello spazio dove l’intensità del segnale ricevuto è
la stessa che si otterrebbe, alla distanza r rif fissata a priori, in condizioni di spazio
libero.
Naturalmente, quando parliamo di “lobo prescelto” intendiamo uno qualsiasi (ce
ne sono infiniti) dei lobi corrispondenti al valore scelto di m, ossia al valore
desiderato per il campo totale ricevuto E TOT .
L
meettrriiccaa
deellll’’oottttiiccaa ggeeoom
miittii d
Liim
Una importante precisazione va fatta a questo punto: l’ottica geometrica, che
stiamo adottando in questi discorsi, ipotizza il mezzo di trasmissione (ad esempio
l’aria) non dispersivo, il che significa che l’unica attenuazione presente su un
raggio che si propaga è quella dovuta alla divergenza sferica. In realtà, è noto che a
questa attenuazione si aggiunge la cosiddetta attenuazione supplementare, di cui
però non ci occupiamo in questa sede.
C
Cooeeffffiicciieen
nttee d
dii rriifflleessssiioon
nee aall ssu
uoolloo
Tutti i discorsi appena conclusi valgono nell’ipotesi che il coefficiente di
riflessione al suolo sia pari a –1 (cioè ρ=1 e φ=π). Questa è una buona
approssimazione, sia per la polarizzazione orizzontale sia per quella verticale,
quando l’angolo ψ 0 è piccolo, dell’ordine di 1° e anche meno. Quando invece ψ 0
aumenta oltre 1° (comunque non oltre i 10° o poco più), allora il coefficiente di
riflessione, pur rimanendo approssimativamente pari a –1 per la polarizzazione
orizzontale, potrebbe differire anche notevolmente da –1 per la polarizzazione
verticale. Bisognerebbe perciò condurre una analisi apposita sui valori assunti da
questo coefficiente.
Autore: Sandro Petrizzelli
32
Propagazione troposferica
U
Ulltteerriioorrii oosssseerrvvaazziioon
nii ssu
uii d
diiaaggrraam
mm
mii d
dii ccoop
peerrttu
urraa
Riprendiamo ancora l’equazione da cui si ricavano i diagrammi di copertura
appena descritti:
2 ⋅ sin
Avendo
visto
in
precedenza
k 0 h 1h 2
d
= m⋅
d rif
d
che
sussiste
l’uguaglianza
quell’equazione può essere anche riscritta nella forma
2 ⋅ sin (k 0 h 1 ⋅ tan ψ 0 ) = m ⋅
tan ψ 0 =
h2
,
d
d
d rif
dove ricordiamo che k 0 =2π/λ 0 .
In questa equazione, la distanza d può essere vista come la coordinata radiale e
l’angolo ψ 0 come l’angolo coordinato in un sistema di riferimento polare.
Il primo membro di quella equazione assume il suo valore massimo quando
k 0 h 1 ⋅ tan ψ 0 =
π
+ nπ
2
ossia quando
tan ψ 0 =
1 π

 λ 1
 + nπ  = 0  + n 
k 0 h1  2

 2h 1  2
n=0,1,2,…
Assume invece il suo valore minimo quando
tan ψ 0 =
λ0 n
h1 2
n=0,1,2,….
In tutti i casi in cui h 1 >>λ 0 ed n è piccolo, si può approssimare tanψ 0 ≅ψ 0 e quindi
le due relazioni diventano
λ0  1

 + n
2h 1  2

λ n
Min → ψ 0 ≅ 0
h1 2
Max → ψ 0 ≅
n=0,1,2,…
n=0,1,2,…
Queste due relazioni mostrano che i vari lobi prima identificati sono molto stretti
ed anche la loro separazione angolare è piccola.
La figura seguente mostra un tipico diagramma di copertura, ottenuto per r rif =2
km e h 1 =100λ 0 :
33
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Antenne” – Capitolo 10 (parte II)
Se r rif è la distanza diretta TX-RX necessaria ad ottenere un dato valore E rif di
campo ricevuto in condizioni di spazio libero, la presenza dell’interferenza ci dice
che la massima distanza è 2r rif , che corrisponde ad una distanza orizzontale pari
evidentemente a d=2r rif ⋅cosψ 0 . Per piccoli valori di ψ 0 , risulta approssimativamente
d≅2r rif ⋅
Antenne situate su un suolo sferico (cenni)
Nei precedenti paragrafi ci siamo occupati dello studio dell’interferenza tra raggi
diretti e raggi riflessi nel caso semplice di un suolo piano e conduttore, con le due
antenne TX ed RX in visibilità radio. In realtà, essendo la superficie terrestre di
forma sferica, dovremmo studiare la situazione in presenza appunto di un suolo
sferico. Non solo, ma, in base alle considerazioni fatte in precedenza a proposito
della rifrazione troposferica e dell’incurvamento dei raggi elettromagnetici,
dovremmo ragionare in quello che abbiamo definito “spazio trasformato”, in cui i
raggi sono rettilinei e la Terra è ancora sferica ma con raggio pari a 4/3 di quello
effettivo. Tuttavia, proprio il fatto di considerare il suolo sferico comporta tutta una
serie di difficoltà analitiche, dovute ad esempio al fatto che risulta più difficile
esprimere la differenza tra i percorsi seguiti dal raggio diretto e dal raggio riflesso
in funzione delle altezze delle antenne e della loro distanza orizzontale (intesa come
la distanza non in linea retta, ma lungo la superficie terrestre equivalente sferica).
Di conseguenza, non ci occupiamo di questa analisi.
Osservazioni sull’affievolimento (fading)
Dai precedenti discorsi risulta evidente che la propagazione delle onde
elettromagnetiche, non avvenendo in uno spazio libero ideale, è influenzata da
diversi fenomeni: riflessione (contro ostacoli di dimensioni maggiori della sua
lunghezza d'onda), rifrazione (nel passaggio da un mezzo trasmissivo ad un altro,
ad esempio aria-cemento) e diffrazione. Di particolare interesse è il fenomeno della
riflessione, che può provocare, come ampiamente visto, degli improvvisi e
momentanei affievolimenti del segnale ricevuto che vengono indicati come fading
(evanescenza). Possono essere di diversi tipi:
Autore: Sandro Petrizzelli
34
Propagazione troposferica
•
fading lento, dovuto alla presenza di grossi ostacoli (colline o grossi
edifici) che creano delle zone d'ombra;
•
fading veloce, dovuto alla presenza di numerose superfici riflettenti che
fanno giungere all'antenna ricevente numerosi segnali, tutti con fasi
diverse (problema del multipath fading). Quando questi sono in opposizione
di fase, determinano un fading profondo;
•
fading di Rice, quando all'antenna giunge un segnale diretto (l'antenna
trasmittente è in visibilità radio) e diversi segnali riflessi.
Per ridurre gli effetti del fading vi sono tre metodi:
•
diversità nello spazio (detta anche antenna diversity) : si utilizzano due
antenne riceventi, poste a qualche lunghezza d'onda di distanza. Dato che i
segnali ricevuti dalle due antenne compiono percorsi diversi e che la
lunghezza d’onda è piccola (per cui piccole differenze di percorso possono
in realtà essere grandi rispetto a λ), è meno probabile che entrambe siano
affette contemporaneamente da fading;
•
diversità di frequenza (o frequency diversity): si trasmette lo stesso
segnale a frequenze diverse; in tal modo, se una frequenza è soggetta a
fading, ad un'altra frequenza esso non si verifica. Questa tecnica è anche
nota come frequency hopping;
•
diversità di polarizzazione: in questo caso, lo stesso segnale viene
trasmesso con due polarizzazioni diverse, verticale ed orizzontale; così
facendo, se è presente un affievolimento su una polarizzazione, è molto
probabile che sull’altra non ci sia e che quindi il segnale sia correttamente
ricevuto.
Propagazione per onde di superficie (cenni)
Nei precedenti paragrafi abbiamo analizzato gli effetti di interferenza tra raggio
diretto e raggio riflesso. Un campo totale dato dalla somma di raggio diretto e
raggio riflesso è spesso detto onda di terra per distinguerlo dal campo che viene
riflesso della ionosfera e viene perciò detto onda di cielo. E’ anche usato il termine
onda spaziale per distinguerlo dalla cosiddetta onda di superficie: quando le
antenne TX e RX sono poste molto vicine al suolo, l’onda spaziale praticamente
scompare in quanto il campo riflesso cancella completamente il campo diretto; in
una situazione di questo tipo, il campo all’antenna ricevente è dovuto solo all’onda
di superficie.
La propagazione per onde di superficie è quella maggiormente utilizzata per
frequenze che vanno da pochi kHz ad alcuni MHz. L’attenuazione di potenza è circa
proporzionale all’inverso della quarta potenza della distanza tra TX ed RX.
In sistemi di questo tipo, le antenne sono generalmente delle grandi torri, i
trasmettitori irradiato da 10 kW fino ad 1 MW di potenza e le classiche distanze
coperte dai collegamenti sono dell’ordine di diverse centinaia di km.
Autore: Sandro Petrizzelli
e-mail: [email protected]
sito personale: http://users.iol.it/sandry
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Autore: Sandro Petrizzelli