La tempesta - Persinsala Teatro

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Persinsala Teatro
Francesca Brancaccio
febbraio 14, 2011
Umberto Orsini va in scena a Como diretto da Andrea De Rosa,
in un’interpretazione solo metateatrale del capolavoro
shakespeariano. Tanti concetti, trovate ad effetto, onirici
richiami a Lynch, estetismi, incomprensibili velocità e davvero
poco della bella tragedia.
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Gli ingredienti, quelli giusti, ci sono tutti.
Un testo classico, importante, drammaturgicamente perfetto, con cui si
sono cimentati registi di ogni nazione e periodo, e del quale restano nella
storia mirabili interpretazioni, teatrali e cinematografiche, una per tutte
quella, indimenticabile, di Giorgio Strehler del 1978. Uno spettacolo coprodotto da alcuni tra i più rinomati teatri stabili d’Italia, quelli di Napoli,
Modena, Roma; un attore famoso, maturo e di riconosciuta bravura come
Umberto Orsini nel ruolo di Prospero, e un altro, Rino Cassano, noto al
grande pubblico per la sua collaborazione come insegnante nella
trasmissione televisiva Amici, nei panni di Ariel. Le scene e i costumi sono
affidate ad Alessandro Ciammarughi, che dello spazio scenico de La
Tempesta si è già occupato nel 2006, per la messinscena dell’omonimo
dramma giocoso musicato da Henry Purcell e Carlo Galante; le musiche
sono originali, e la regia del suono è affidata a Hubert Westkemper, uno
dei maggiori sound designer in Europa.
Malgrado tutto ciò, purtroppo, lo spettacolo è deludente, insipido.
Le magnifiche sfumature insite nell’opera sheakspeariana, le ambiguità
dei personaggi e delle situazioni, l’impossibilità di un giudizio definitivo
sulla crudeltà o la magnanimità dell’animo dei personaggi, tutto questo
nella regia di Andrea De Rosa si perde, si appiattisce. Di Prospero,
eliminati il mago, il tiranno schiavista e il padre geloso, cancellato l’animo
tormentato tra il desiderio di vendetta e la speranza di un futuro sereno
per lui e sua figlia, combattuto tra il piacere di creare illusioni magiche – e
teatrali – e la voglia di riposarsi in pace tra gli uomini come un normale
anziano, resta solo un teatrante; di Ariel nient’altro che un servo fedele,
senza aneliti di libertà o aloni di mistero; Caliban è ridotto a essere umano
penoso e stupido, quasi un ritardato mentale, e le sue parole, seppur
minacciose, non vengono mai prese sul serio.
La scena è spoglia: solo un letto, un sipario e delle rocce sabbiose.
Nient’altro. Di tutte le visioni evocate da Prospero e ricreate da Ariel, della
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natura selvaggia dell’isola, della grotta di Prospero, delel paure dei
personaggi non resta nient’altro che una, seppur bella, minimale
immagine metateatrale. Questa l’unica chiave di lettura scelta dal regista:
il teatro nel teatro, la rappresentazione nella rappresentazione, l’arte
attoriale, la finzione. Interessante, certo: ma insufficiente rispetto alla
ricchezza del testo originale, che, proprio per assecondare questa scelta
interpretativa, è stato mutilato di masque, dialoghi, intere scene e
addirittura del primo atto, quello della tempesta, ridotta a puro suono
nell’immaginazione onirica di Miranda – idea tra l’altro già approfondita da
Derek Jarman nela sua versione cinematografica del1979 con esiti
decisamente più interessanti e senza il bisogno di privare per questo il
testo del suo inizio.
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Alcuni quadri sono incantevoli (quello d’apertura è addirittura
agghiacciante, e anche la comparsa della tavola imbandita è qualcosa di
completo, sacro, che ricorda allo stesso tempo la fotografia di Kubrik e
l’esoterismo di Jodorwsky), gli esiti sonori sono a tratti emozionanti, come
lo scrosciare della tempesta sognata o il tenerio sussurrare dei due
giovanissimi innamorati, ma tutto risulta svuotato del significato che
avrebbe potuto avere se la ricchezza del testo fosse stata esplorata, e
rappresentata, nella sua completezza. Gli attori sono statici, come del
resto lo sono anche i cambi di scena e le luci; Ariel si muove solo
verticalmente, con un effetto che se la prima volta stupisce e la seconda si
lascia ammirare, poi perde intensità, comunicatività e senso, gli altri si
muovono cauti, scordinati e partecipano alla distruzione di tutto ciò che ne
La Tempesta c’è di piacevolmente – per la vista e per l’intelletto –
incantato, di magico, lasciando una visione totalmente piatta, e creando,
nel tentativo di rappresentare qualcosa di moderno, un susseguirsi di
significanti che hanno perso il significato, di simboli ciechi, solo estetici. In
tutta questa lentezza e fissità, una sola cosa corre disperatamente: la voce
di Umberto Orsini, che trascina le parole ad una velocità tale da rendere il
discorso i inafferrabile e a tratti decisamente monotono.
Tra tagli, citazioni impensabili (perché tra Miranda e Ferdinando, Ariel
conficca una spada come re Artù tra Lancillotto e Ginevra?), complicazioni
inutili (il letto che, diventato ingombrante, ascende al cielo) ed ermetici
simbologie, la trama finisce per confondersi e diventa totalmente oscura
per chi non conosca già approfonditamente il testo. Certo, disseminati
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nell’ora e mezza di spettacolo ci sono effetti che catturano l’attenzione e
toccano le corde dell’emozione e dello stupore, e il finale a sorpresa
giocato sull’istrionismo di Orsini lascia addirittura a bocca aperta; ma non
basta, e la bella tragedia finisce ridotta a pretesto per sperimentare ed
esplorare trovate e immagini.
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«La Tempesta somiglia a un labirinto» dichiara Andrea De Rosa. «Come in
una casa di specchi, ogni volta che intravedi una via d’uscita, questa
uscita si rivela essere dalla parte opposta a quella che avevi immaginato.
[…] Finché capisci che ciò che conta non è l’uscita e che non c’è nulla da
afferrare. Stare ad ascoltare le domande che il testo ti pone e restarci
dentro (restare dentro alle domande, al labirinto) è l’unica via». Bello, e
vero. Ma per realizzare un labirinto di specchi per lo spettatore, il Dedaloregista deve aver ben chiara l’architettura di ciò che crea, altrimenti si
precipita tutti, pubblico e attori, in una caotica e imprecisa dimensione in
cui persino il piacere di perdersi finisce perduto.
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Sociale
via Bellini, 3 – Como
La tempesta
di William Shakespeare
con Umberto Orsini (Prospero), Flavio Bonacci (Antonio), Nino Bruno (Ferdinando), Rino Cassano (Ariel),
Francesca Feletti (Sebastiano), Carmine Paternoster (Trinculo), Rolando Ravello (Calibano), Enzo Salomone
(Gonzalo), Federica Sandrini (Miranda), Francesco Silvestri (Alonzo) e Salvatore Striano (Stefano)
traduzione Andrea De Rosa, Claudio Longhi e Umberto Osini
adattamento e regia Andrea De Rosa
spazio scenico Alessandro Ciammarughi, Andrea De Rosa e Pasquale Mari
scene e costumi Alessandro Ciammarughi
luci Pasquale Mari
suono Hubert Westkemper
musica Giorgio Mellone
coproduzione Teatro Stabile di Napoli, ERT Fondazione Modena Teatro, Teatro Eliseo Roma
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