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ACLI TRENTINE - PRESIDENZA PROVINCIALE
LE ACLI
E LA
DOTTRINA SOCIALE
DELLA CHIESA
Lo statuto delle ACLI alla luce della DSC
Terzo incontro a cura di don Rodolfo Pizzolli
Articolo 3 dello Statuto delle ACLI
Le ACLI, Movimento educativo e sociale, operano nella propria autonoma responsabilità per favorire la
crescita e l'aggregazione dei diversi soggetti sociali e delle famiglie, attraverso la formazione, l'azione
sociale, la promozione di servizi, imprese sociali e realtà associative.
La formazione aclista, nel considerare la trascendente dignità della persona, sostiene processi volti alla
maturazione di coscienza critica e all'esercizio di responsabilità in una coerente testimonianza di vita cristiana
ecumenicamente aperta al dialogo.
L'azione sociale delle ACLI, a partire dall'esperienza di vita e di lavoro di uomini e di donne, sollecita
l'esercizio di responsabilità e sviluppa opportunità di partecipazione dei cittadini per la crescita della
società civile e la vitalità delle istituzioni.
I Servizi sociali, le Imprese Sociali e le Associazioni specifiche promossi dalle ACLI o ad
esse aderenti costituiscono una rete di esperienze di solidarietà, di autorganizzazione, di
volontariato e di imprenditività sociale per rispondere ai bisogni culturali, materiali e sociali delle
persone:
1. Introduzione
Il nostro terzo incontro, con la sua lettura del terzo articolo dello statuto delle ACLI; ci fa
soffermare su questa dimensione importante della Trascendente dignità della persona. Ci
ricolleghiamo al primo incontro, nel quale, il terzo tema, era la visione integrale della persona Il
primo punto di oggi considera la persona umana. Essa è il cardine ed il primo principio della DSC,
la quale esiste proprio per creare un’azione sociale della Chiesa che abbia come partenza e meta il
rispetto della dignità della persona nei vari mutamenti sociali e per creare una società degna
dell’uomo.
2. In ascolto della Parola
Dal vangelo secondo Luca (13, 10-17)
Una volta stava insegnando in una sinagoga il giorno di sabato.
C’era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi
in nessun modo. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: "Donna, sei libera dalla tua infermità" e le impose le
mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla
folla disse: "Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di
sabato". Il Signore replicò: "Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l’asino dalla
mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto legata diciott’anni, non
doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?"
Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le
meraviglie da lui compiute.
Parola del Signore
Questo non è un brano del Vangelo molto letto (la domenica non lo sentiamo mai), perché
non sembra molto importante ed un po’ banale.
Siamo nel giorno di sabato, il giorno da dedicare a Dio, alla lode, al ringraziamento. E’ il
giorno in cui l’uomo viene liberato dalla fatica, per un riposo che gli permetta di relazionarsi con gli
altri. Pian piano però il sabato è stato rivestito di molte regole umane che ne hanno appesantito il
significato di libertà.
Una donna è schiava da molto tempo ed il male le aveva nascosta la sua dignità e le aveva
tolto la possibilità di relazionarsi con Dio, di guardare in alto per lodarlo, pregarlo, era piegata a
terra, incapace anche di vedere gli altri come fratelli.
2
Gesù interviene per liberare l’umanità da questa situazione disonorevole, ridando la capacità
di camminare a testa alta, da figli di Dio. E ancora una volta Gesù prende l’iniziativa, non aspetta
che sia la donna a chiamarlo; si sa che chi è schiavo da molto tempo può benissimo perdere la
coscienza della sua dignità e quindi la sua situazione gli può divenire abbastanza normale e non
pensa che possa essere liberato. La donna acquista nuovamente consapevolezza del suo essere figlia
di Dio e si mette a glorificarlo.
Gesù fa una cosa fondamentale, ma di sabato; ed ecco il capo della sinagoga deve fare una
riflessione, perché sono state infrante le leggi del sabato, ma non ha il coraggio di rivolgersi a Gesù.
Anche lui avrebbe bisogno di essere liberato, ma lo è già stato. Infatti se noi leggiamo il testo in
italiano Gesù dice: «sei libera», ma secondo i biblisti il testo greco dice: «sei stata liberata». Questo
ci fa capire come Gesù ci ha già liberato prima che noi lo incontriamo.
La liberazione di Gesù fa capire a tutti che anche questa donna «è figlia di Abramo». E’ la
prima volta che ad una donna viene attribuito questo titolo che era solo riservato agli uomini. Gesù
ci fa capire che non possiamo mettere a confronto le cose e le persone, le usanze e la dignità della
persona. E’ una parabola quindi che ci invita alla nostra responsabilità di scelta.
3 . La trascendente dignità della persona
Questo aspetto ci permette di soffermarci su alcune considerazioni che riguardano la
concezione della persona secondo la DSC.
Intanto analizziamo la parola trascendente: essa è presa di pari passo dal pensiero della
Chiesa che definisce tale la dignità umana, in quanto
La dignità della persona manifesta tutto il suo fulgore quando se ne considerano l'origine e la destinazione: creato da
Dio a sua immagine e somiglianza e redento dal sangue preziosissimo di Cristo, l'uomo è chiamato ad essere "figlio nel
Figlio" e tempio vivo dello Spirito, ed è destinato all'eterna vita di comunione beatificante con Dio. Per questo ogni
violazione della dignità personale dell'essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al
Creatore dell'uomo.(CL, n. 37)
Il termine trascendente significa che è al di sopra, viene prima e rimane dopo l’esperienza
storica umana, cioè la dignità della persona non scaturisce e non è legata alle realtà storico umane.
Trascendente perché legata a Dio, che ne è fonte e culmine (trascendente non è da intendere come
una realtà che non rientra nei limiti delle possibilità della conoscenza umana, in quanto la dignità
umana ci è stata rivelata da Dio che l’ha creata e redenta da Cristo).
Già Giovanni XXIII ricordava, che se si ha la fede per considerare « la dignità della persona
umana alla luce della rivelazione divina, allora essa apparirà incomparabilmente più grande, poiché
gli uomini sono stati redenti dal sangue di Gesù Cristo, e con la grazia sono divenuti figli e amici di
Dio e costituiti eredi della gloria eterna (PT, n. 5).
Il CDSC apre le sue riflessioni con delle affermazioni molto importanti che partono
dall’amore di Dio; infatti
Scoprendosi amato da Dio, l'uomo comprende la propria trascendente dignità, impara a non accontentarsi di
sé e ad incontrare l'altro in una rete di relazioni sempre più autenticamente umane. Uomini resi nuovi dall'amore di
Dio sono in grado di cambiare le regole e la qualità delle relazioni e anche le strutture sociali: sono persone capaci di
portare pace dove ci sono conflitti, di costruire e coltivare rapporti fraterni dove c'è odio, di cercare la giustizia dove
domina lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Solo l'amore è capace di trasformare in modo radicale i rapporti che gli
esseri umani intrattengono tra loro. Inserito in questa prospettiva, ciascun uomo di buona volontà può intravedere i vasti
orizzonti della giustizia e dello sviluppo umano nella verità e nel bene (CDSC, n.4)
Queste riflessioni ci fanno percepire quello che la teologia sociale ha sempre ribadito come
essenziale per l’impegno sociale del cristiano, affinché esso sia fondato nella fede in Dio e sia
attuato nel progetto stesso del Padre; cioè l’intima connessione tra Creazione e Redenzione. Questo
lo ha ribadito anche Benedetto XVI nel suo messaggio per la giornata mondiale della pace del 2007
quando affermava che
3
La pace è, infatti, una caratteristica dell'agire divino, che si manifesta sia nella creazione di un universo ordinato
e armonioso come anche nella redenzione dell'umanità bisognosa di essere recuperata dal disordine del peccato.
Creazione e redenzione offrono dunque la chiave di lettura che introduce alla comprensione del senso della
nostra esistenza sulla terra. Il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, rivolgendosi all'Assemblea Generale
delle Nazioni Unite il 5 ottobre 1995, ebbe a dire che noi « non viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso
[...] vi è una logica morale che illumina l'esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli
». La trascendente “grammatica”, vale a dire l'insieme di regole dell'agire individuale e del reciproco rapportarsi
delle persone secondo giustizia e solidarietà, è iscritta nelle coscienze, nelle quali si rispecchia il progetto
sapiente di Dio (n. 3).
La celebrazione del Giubileo del 2000 ha dato la possibilità di una riflessione più seria ed
approfondita di questo legame importante, per spronare i cristiani ad essere “luce del mondo e sale
della terra” (Mt 5,13). Tra le molte proposte che si potrebbero attuare c’è questa del teologo
pastoralista Sergio Lanza che vede come
Orientata alla positività dell'umano, la redenzione cristiana non archivia tra gli ambiti proibiti o sospetti la terra,
il gusto della vita, l'autentica realizzazione di sé; ma riconosce che la bontà originaria della creazione è posta in
scacco - e in scacco umanamente insuperabile - dalla forza del peccato, e apre la possibilità efficace – l’unica
efficace - di riscatto. Oltre ogni giustapposizione, questa visione organica della vita coglie il legame intrinseco
tra la parola della fede e le espressioni autentiche dell'uomo. Sulla via dell'uomo, la capacità di illuminazione
propria del Vangelo incontra gli slanci e le contraddizioni, le meraviglie e le umiliazioni della ricerca dell'uomo.
Non la soppianta; la orienta, la arricchisce, la guarisce. Alla luce del Vangelo, ciò che era disperso ritrova unità,
ciò che era effimero consistenza, ciò che era insignificante pienezza di senso1.
Con la redenzione, che si attua nell’incarnazione, morte e resurrezione del Figlio di Dio2 la
persona non è semplicemente restaurata, non ottiene un semplice ritocco esterno, ma viene creata
nuova, meglio di prima; lo afferma san Paolo che ci insegna come Cristo sia «la nostra pace, colui
che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè
l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per
creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con
Dio in un solo corpo» (Ef 2,14-15) e qualche pagina dopo continua affermando che «dovete
rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella
giustizia e nella santità vera (Ef 4,23-24); Infatti «nella dimensione interiore dell'uomo si radica, in
definitiva, l'impegno per la giustizia e la solidarietà, per l'edificazione di una vita sociale,
economica e politica conforme al disegno di Dio» (CDSC, n. 40).
Ne consegue che fa parte della missione della Chiesa, chiamata a rendere attuale e visibile
quella di Cristo, l’impegno per rinnovare l’uomo, con tutte le sue dinamiche di vita, alfine di
superare i conflitti ed i problemi e tutto sia per il riconoscimento della dignità della persona. La
DSC ha anche questo scopo all’interno di sé; Giovanni Paolo II ha indicato ciò molto chiaramente
quando diceva che
In effetti, per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e
fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della
società ed inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore. Essa
costituisce, altresì, una fonte di unità e di pace dinanzi ai conflitti che inevitabilmente insorgono nel settore
economico-sociale. Diventa in tal modo possibile vivere le nuove situazioni senza avvilire la trascendente dignità
della persona umana né in se stessi né negli avversari, ed avviarle a retta soluzione. (CA, n. 5)
Come Chiesa non abbiamo solo il compito di risolvere quelle situazioni di conflitto che
potrebbero svilire la dignità umana e anzi essa «in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in
nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è
insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana» (GS, n. 76).
1
S. Lanza, Umanesimo e Università: una riflessione teologica e pastorale, in Dossier - Giubileo e cultura,
http://www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01041999_p-26_it.html.
2
L’incarnazione, la morte e la risurrezione del Cristo,assumono una circolarità ermeneutica che da fondamento
teologico all’azione sociale del cristiano
4
Possiamo avviarci alla conclusione di questo primo paragrafo sottolineando come questa visone
della trascendente dignità della persona si concretizza in uno sguardo positivo che la DSC ha nei
confronti dell’uomo. Questo è necessario per riconoscere l’identità e la vocazione della persona e
per essere capaci di quella speranza che rende coraggioso, profetico e fruttuoso l’impegno nella
società. La DSC concepisce la persona come capace di vero e di bene e di trascendenza, cioè aperta
agli altri, in grado di relazioni positive; in definitiva la dignità umana ha in sé la capacità di
riconoscere il vero, il bene e Dio3.
Questo uomo è oggetto dell’amore che Dio ha concretizzato nell’incarnazione del suo Figlio
e infatti
Egli è il Re universale venuto sulla terra per redimere l’uomo. Al di là delle differenze etniche, culturali e sociali,
Cristo cerca l’uomo nella sua natura, nella sua capacità di vero e di bene, nella sua condizione di creatura
bisognosa di perdono e di salvezza. Egli cerca l’uomo che, come dice il Concilio Vaticano II, è l’unico essere che
Dio abbia voluto per se stesso (cf. GS, n. 24). Incarnandosi, il Figlio di Dio “svela pienamente l’uomo all’uomo e
gli fa nota la sua altissima vocazione” (Ivi).4
Questa fiducia nell’uomo è indispensabile per avere quel desiderio che ti permette di
lavorare per una società degna dell’uomo.
4. Il principio della Sussidiarietà
Procedendo e giungendo a questo secondo paragrafo di questa nostra serata mi pare
importante ricordare, almeno per linee generali, il contesto storico in cui è nato il principio della
sussidiarietà che è un po’ il filo rosso di questo nostro secondo momento. Vediamo quindi alcuni
spezzoni di un filmato che ci presentano le figure di Mussolini ed Hitler.
4.1 La sussidiarietà per la valorizzazione della persona
Abbiamo notato come il mito dell’uomo forte, che sia in grado di risolvere i problemi e di
sollevare un popolo dalla sua miseria e dalle sue frustrazioni, sia stato una delle molle che ha
portato a queste dittature con le loro tragiche e drammatiche conseguenze.
Avevamo già parlato della situazione in cui versavano la Germania e l’Austria dopo la prima
Guerra mondiale, ma anche le frustrazioni dell’Italia (seppur tra i paesi vincitori) furono uno degli
elementi che portarono al vedere in Mussolini il salvatore della patria, “l’uomo della provvidenza”.
Ricordiamo proprio quest’aria che si respirava a quel tempo e tra le tante cose che potremmo citare
ci soffermiamo sul testo di Oswald Splenger, che nel 1918, pubblicò Il declino dell’occidente5, in
cui espresse una chiara sfiducia nella democrazia e il bisogno di nuovi Cesari, affermando la
necessità di restaurare un’autorità centralizzata dello Stato e di dar vita ad un socialismo coerente
con la tradizione prussiana; questo autore tedesco interpreta bene il clima di difficoltà dopo la prima
guerra mondiale nel «trapasso dalle strutture belliche a quelle di pace, per il lento ed arduo
ristabilimento dell’ordine interno»6.
Difficoltà che apparivano insormontabili, frustrazioni che creavano angoscia per il presente
ed il futuro, speranze infrante erano gli ingredienti che si mescolavano con la poca forza e la scarsa
coesione dei governi democratici di questo dopo guerra. Inoltre la sconfitta della prima guerra
3
Cfr. M. Toso, Democrazia delle regole o dei valori? La dimensione antropologica ed etica della democrazia, in
http://www.chiesacattolica.it/cci_new/PagineCCI/AllegatiTools/12/Testo_DonMarioToso.doc
4
Giovanni Paolo II, Angelus, Roma, 6 gennaio 1991.
5
Oswald Spengler (Blankenburg 1880 – Monaco 1936) filosofo tedesco pubblicò questa sua opera col titolo
originale di Der Untergang des Abendlandes e con il sottotitolo Umrisse einer Morphologie der Weltgeschichte
(Compendio di una morfologia di una storia universale). Successivamente, nel 1933, pubblicherà Scritti politici, che
sono la raccolta di sue opere precedenti, come La rigenerazione del Reich (1924) in cui accusa i partiti politici di essere
causa della frammentazione della stato per la loro ricerca di interessi particolari. In altre opere affronta i problemi
dell’economia tedesca e indica, in un certo “ethos prussiano” e in una capacità di decisione di un forte “uomo di
governo”, la via della rinascita della Germania.
6
G. MARTINA, La chiesa nell’età del totalitarismo, Brescia 19876, p. 92.
5
mondiale segnò sul piano internazionale
la fine del primato dell’Europa centro-occidentale. Le tre nuove potenze affacciatesi alla ribalta
mondiale, Stati Uniti, Russia e Giappone influirono da allora più decisamente sui destini dell’umanità intera [...].
Sul piano delle istituzioni politiche, la guerra provocò una crisi nei sistemi parlamentari di modello europeo,
favorendo la diffusione di nuovi metodi di azione politica, extraparlamentari e antiparlamentari e la nascita di
nuove forme di organizzazione e di lotta7
tanto da incrementare nell’opinione pubblica, in ambienti sempre più ampi, il
convincimento, che solo un potere forte e un regime autoritario potessero risollevare le sorti delle
nazioni europee. I partiti che palesavano una forza e una visione gloriosa del futuro della propria
patria ottennero pian piano il consenso e la loro vittoria fu «determinata in modo prossimo
dall’appoggio economico del capitalismo, da quello politico delle caste militari, dalla violenza delle
squadre di azione, dalla forza di suggestione dei capi. [...] La forza permise a questi partiti di farsi
avanti e di persuadere i responsabili ad affidar loro il governo»8, e questo accadde in Italia e in
Germania, mentre in Russia le modalità di realizzazione furono differenti, ma egualmente nefasti i
frutti.
Come atto di riflessione della Chiesa di fronte a questi eventi, il papa Pio XI, scrisse
l’enciclica sociale Qudragesimo anno, che come dice il titolo fu redatta in occasione del
quarantesimo della Rerum Novarum. Partendo dalla difficile situazione attuale il Santo Padre
affronta il problema relativo all’equa distribuzione della ricchezza, in una società segnata da gravi
disuguaglianze: si vuole dunque tracciare un ideale di società dove tutti producono ricchezza e tutti
ne partecipano (contro il modello individualista – capitalista e quello collettivista). Ma certamente
«si può scorgere un prezioso contributo della Quadragesimo Anno alla progettazione della Stato
sociale, è il rimodellamento della figura della Stato e del suo intervento nell’ordine sociale ed
economico»9. Abbiamo qui la formulazione del principio di sussidiarietà, che vuole limitare
l’intervento dello Stato per non soffocare, ma valorizzare l’autonomia e la responsabilità dei singoli
e delle società intermedie: evidente la non accettazione dell’invadenza dello Stato, sia di natura
collettivista o fascista, che erano già operanti e di quello nazista che si stava profilando. Compito
della Stato è quello di aiutare le parti del corpo sociale e non di soffocarle o assorbirle. Interessante
è la lettura di alcuni passi dove si evince che
È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si
possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche delle piccole. Ma deve
tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofa sociale: che siccome è illecito togliere agli
individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è
ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è
questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di
qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non
già distruggerle e assorbirle (QA, n. 80).
In questa prospettiva si colloca anche la proposta di un corporativismo cattolico che «doveva
essere espressione autonoma e libera della vita socioeconomica, non emanazione della Stato e
strumento esecutivo del potere centrale, come nel caso del corporativismo di Stato, quale era
imposto dal fascismo»10e questo in conseguenza della visione epistemologica dello Stato che il
cattolicesimo ha sempre espresso, cioè di uno stato che era solo garante della dignità, della liberta e
dei diritti della persone e non fonte. Ecco perché come credenti non possiamo accettare
l’affermazione di “dare dignità alle persone”, in quanto ciascuno l’ha originariamente, come propria
essenza, ma dobbiamo invece impegnarci perché essa sia rispettata e promossa.
Il concetto di sussidiarietà acquisto una notevole importanza nel pensiero della Chiesa e
7
F. TRANIELLO – G. CRACCO – A. PRANDI, Corso di storia. L’età contemporanea, vol. 3, Torino 1981, p.
377.
8
G. MARTINA, La chiesa nell’età del totalitarismo, Brescia 19876, p. 92.
M. TOSO, Welfare..., op. cit., p. 88.
10
Ibid., p. 90.
9
6
venne attuato nella ricostruzione democratica dell’Italia al termine della seconda guerra mondiale.
La riflessione che ne seguì non vide la sussidiarietà semplicemente come un principio
regolatore dei rapporti tra lo stato e i cosiddetti “corpi sociali intermedi” o la realtà del privato (tra
cui la famiglia, il sindacato, associazioni, impresa, ecc.) ma soprattutto un elemento che dà la
possibilità di valorizzare la persona, chiamandola a dare il proprio contributo, per la costruzione di
una società democratica
Il principio di sussidiarietà protegge le persone dagli abusi delle istanze sociali superiori e sollecita queste
ultime ad aiutare i singoli individui e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti. Questo principio si impone
perché ogni persona, famiglia e corpo intermedio ha qualcosa di originale da offrire alla comunità. L'esperienza
attesta che la negazione della sussidiarietà, o la sua limitazione in nome di una pretesa democratizzazione o
uguaglianza di tutti nella società, limita e talvolta anche annulla lo spirito di libertà e di iniziativa.
Con il principio della sussidiarietà contrastano forme di accentramento, di burocratizzazione, di assistenzialismo,
di presenza ingiustificata ed eccessiva dello Stato e dell'apparato pubblico: « Intervenendo direttamente e
deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato
degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con
enorme crescita delle spese » (cfr CA, n. 48) Il mancato o inadeguato riconoscimento dell'iniziativa privata,
anche economica, e della sua funzione pubblica, nonché i monopoli, concorrono a mortificare il principio della
sussidiarietà.
All'attuazione del principio di sussidiarietà corrispondono: il rispetto e la promozione effettiva del primato della
persona e della famiglia; la valorizzazione delle associazioni e delle organizzazioni intermedie, nelle proprie
scelte fondamentali e in tutte quelle che non possono essere delegate o assunte da altri; l'incoraggiamento offerto
all'iniziativa privata, in modo tale che ogni organismo sociale rimanga a servizio, con le proprie peculiarità, del
bene comune; l'articolazione pluralistica della società e la rappresentanza delle sue forze vitali; la salvaguardia
dei diritti umani e delle minoranze; il decentramento burocratico e amministrativo; l'equilibrio tra la sfera
pubblica e quella privata, con il conseguente riconoscimento della funzione sociale del privato; un'adeguata
responsabilizzazione del cittadino nel suo « essere parte » attiva della realtà politica e sociale del Paese (CDSC,
n. 187).
A nostro avviso, pare chiaro che il principio di sussidiarietà sia la concretizzazione sociale
del progetto di redenzione del Cristo che ha creato l’uomo nuovo; la sussidiarietà valorizza e non
schiaccia, apre una possibilità per esprimere concretamente la propria dignità e non arriva a
considerare la persona solo come un oggetto verso la quale attuare qualche programma. Essa
permette di non restare spettatori passivi delle vicende della società. Per realizzare la susidiarietà la
miglior forma di organizzazione politica che noi ora conosciamo è la democrazia ed è per questo
che pian piano la Chiesa l’ha come miglior sistema politico, attualmente esistente, per la
promozione e la partecipazione della persona.
4.2 La sussidiarietà: un anima della democrazia
Ci sembra importante soffermarci ora sul concetto di democrazia. Esso, però, non possiamo
certo coglierlo nella Bibbia. In essa troviamo, senz’altro, un’attenzione particolare e concreta al
vivere sociale del popolo, che è visto come un insieme di persone unite tra loro. Il popolo di JHWH
non è un’idea o un simbolo, ma una realtà storica costituita da un gruppo di uomini che sviluppano
legami e strutture sociali.
Sfogliando una concordanza biblica e trovandovi la parola democrazia possiamo constatare
che i riferimenti riguardano momenti in cui il popolo, radunato in assemblea, prende decisioni in
modo collegiale. Viene anche dato un certo valore alla maggioranza: in senso positivo, quando essa
unanimemente sceglie di seguire il Signore e la sua legge, come realtà negativa da non imitare,
anche se tutti o quasi si comportano in un certo modo11, quando essa è estranea o contraria al
progetto di Dio.
Oltre al valore del popolo, nella Sacra Scrittura viene presentato il significato del potere che
trova il suo fondamento nella Signoria di Dio. Anche la scelta d’Israele di volere un re come guida
(dopo il periodo dei Giudici) assume delle caratteristiche particolari: infatti egli sarà «scelto da
11
A tale riguardo possiamo leggere i brani biblici di Es 23,2; Es 24,7; Nm 16,3; 1 Cr 13,4; 1Mac 5,16.
7
JHWH (cfr. Dt 17,15; 1Sam 9,16) e da Lui consacrato (cfr. 1 Sam 16,12-13), sarà come suo Figlio
(cfr Sal 2,7) e dovrà rendere visibile la signoria e il disegno di salvezza. Dovrà dunque farsi
difensore dei deboli e assicurare al popolo la giustizia» (CDSC, n. 377).
Gesù Cristo parlerà chiaramente di un atteggiamento di servizio, che, sul suo esempio, con il
suo stesso amore e con la sua grazia, deve animare ogni persona. Egli indicherà ciò con il suo
donarsi in croce per la sconfitta del peccato e della morte e nella resurrezione porterà a tutti quella
vita nuova che è per la salvezza e il bene di ciascuno. Per questo Cristo «rifiuta ogni potere
oppressivo e dispotico dei capi sulle Nazioni (cfr Mc 10,42) [...], ma non contesterà mai
direttamente le autorità del Suo tempo. Nella diatriba sul tributo da dare a Cesare (cfr. Mc 12,1317; Mt 22,15-22; Lc 20, 20-26), egli afferma che occorre dare a Dio quel che è di Dio12,
condannando ogni tentativo di divinizzazione e di assolutizzazione del potere temporale: solo Dio
può esigere tutto dall’uomo» (CDSC, n. 379). Qui Gesù ci offre un criterio di giudizio, che,
partendo dalla dipendenza da Dio, arriva ad indicare che di fronte «ad una tendenza teocratica [...]
viene affermato uno spazio reale, doveroso, per la società, le sue strutture e le autorità che la
governano [...]. Di fronte, invece, ad una invadenza politica (come poteva essere il caso dell’impero
romano), l’accento cade ovviamente sulla seconda parte dell’affermazione “date a Dio quello che è
di Dio»13. Qualsiasi tipo di potere, religioso o no, non può assorbire tutto l’uomo e qui si pone il
primato della coscienza e cioè della libertà della persona che si radica in Dio stesso.
Il rapporto tra la Chiesa e il potere temporale ha avuto vari sviluppi e modalità di relazione,
che qui non possiamo affrontare. Ci preme però ricordare che la loro relazione deve essere
interpretata con le categorie della differenziazione e della distinzione, più che con l’idea di
separazione, perché «ha grande importanza rilevare che Gesù, se stabilì una distinzione, non ne creò
un’opposizione»14. La proposta di Gesù ha anche un’altra conseguenza molto importante, che nella
storia avrà i suoi risvolti benefici «in quanto l’autorità del sovrano deriva da Dio (come insegnerà
Gesù a Pilato), anche Cesare deve dare a Dio quel che a Dio compete [...]. Ciò limita la potestà
politica; [...] essa riconosce un limite al suo potere che le è segnato da altri»15. L’interpretazione che
da Giordani è il risultato di una capacità di leggere attentamente la storia, ma anche egli sa indicare
una situazione di degrado nell’evidenziare che «la tumefazione dello Stato era inevitabile una volta
che si era rimossa la Chiesa, [...]. La Chiesa era stata istituita anche per tutelare l’autonomia della
spirito e della morale dal potere politico, il quale da essa risultava limitato. Tolto il limite, lo Stato
sconfinò fino a considerasi sacro, superiore alla legge e alla morale»16. Invero, l’atteggiamento dei
cristiani si riscontra nel non pretendere «che la loro fede regga la polis nella forma del potere
cristiano, [...]: i cristiani perciò, senza strabismi, guardano alle cose dell’alto restando fedeli alla
terra17, [...], capaci di profezia quando sono minacciate la giustizia, la pace, la dignità della
12
Gesù chiedendo una moneta e facendone notare l’effige di Cesare e l’iscrizione lancia un messaggio molto
importante: coloro che lo ascoltavano, da buoni intenditori della Sacra Scrittura, compresero subito che la proposta di
vita e salvezza del Cristo era nel ricordare che le persone sono fatte a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1, 2628). Su di loro è impressa l’immagine di Dio (Imago Dei) per cui esse appartengono a Lui e a Lui vanno condotte. Così
anche l’iscrizione che è sulla moneta trova un corrispettivo nell’iscrizione che è sull’uomo secondo il testo di Isaia 44,5:
«Questi dirà: Io appartengo al Signore, e l’altro scriverà sulla mano: Io sono del Signore». L’uomo ha quindi sulla mano
questa iscrizione: «Sono del Signore». A questo punto riusciamo a capire la seconda frase di Gesù, che riesce a troncare
qualsiasi domanda dei suoi interlocutori: «Quello che è di Cesare (immagine e iscrizione) datelo a Cesare, quello che è
di Dio (immagine e iscrizione) datelo a Dio».
13
R. FABRIS, Assunse la condizione di servo: cristologia e potere, in Parola, Spirito e Vita, 51 (2005), p. 172.
14
I. GIORDANI, Il messaggio sociale del cristianesimo, Roma 20019, p. 207.
15
Ibid., p. 208.
16
I. GIORDANI, Le Due città. Religione e politica nella vicenda delle libertà umane, Roma 1961, p. 263.
17
I cristiani hanno colto, fin da subito, il particolare rapporto tra la loro fede e la vita su questa terra. Per cogliere
con più profondità questa autocomprensione, tra le varie testimonianza, merita qui ricordare la lettera A Diogneto, in
particolare, per ciò che ci riguarda, il capitolo V: «5. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto
come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. 6. Si
sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. 7. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. 8. Sono
nella carne, ma non vivono secondo la carne. 9. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. 10.
Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi».
8
persona»18. Il cristiano, quindi, ha sempre colto il valore delle realtà di questo mondo e la dignità
dell’esistenza terrena che hanno, però, il bisogno di essere rese piene di sapore e illuminate19
proprio dalla sua presenza in quanto testimone di valori.
Il percorso che portò la Chiesa all’accoglienza del concetto di democrazia fu sempre attento
al bene della persona; fu l’indifferenza verso le varie forme di governo che segnò l’atteggiamento e
il pensiero cattolico, ma non verso la centralità del bene della persona. Infatti «le modalità concrete
con le quali la comunità politica organizza le proprie strutture e l'esercizio dei pubblici poteri
possono variare, secondo l'indole dei diversi popoli e il progresso della storia, ma sempre devono
mirare alla formazione di un uomo educato, pacifico e benefico verso tutti, per il vantaggio di tutta
la famiglia umana» (GS, n. 74).
Con Pio XII abbiamo le prime riflessioni sull’importanza della presenza attiva del cittadino
nell’ordinamento politico in quanto esso ha il diritto di «esprimere il proprio parere sui doveri e i
sacrifici, che gli vengono imposti; non essere costretto ad ubbidire senza essere stato ascoltato: ecco
due diritti del cittadino, che trovano nella democrazia, come indica il suo nome stesso, la loro
espressione»20. La costituzione pastorale — del Concilio Vaticano II — sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo, approfondirà questo aspetto e, se anche non citerà la parola democrazia, abbiamo la
chiara idea che
è pienamente conforme alla natura umana che si trovino strutture giuridico—politiche che
sempre meglio offrano a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di
partecipare liberamente e attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità
politica, sia al governo degli affari pubblici, sia alla determinazione del campo d'azione e dei limiti dei
differenti organismi, sia alla elezione dei governanti (GS, n. 75).
La democrazia risponde, quindi, meglio alla soggettività della persona e dei corpi intermedi
all’interno di una società e da la possibilità di realizzare le esigenze della sussidiarietà. Ciò sarà
ribadito da Paolo VI nella Octogesima adveniens, nella quale «vengono richiamate vivacemente alla
coscienza cristiana le motivazioni dell’impegno politico e la sua urgenza soprattutto in ordine alla
creazione di una democrazia veramente partecipata»21.
Ci sembra di cominciare a capire che la partecipazione del cittadino sia un aspetto molto
importante per la dottrina sociale della Chiesa: la responsabilità del singolo, infatti, risponde alla
vocazione che ogni persona ha ricevuto da Dio di essere una presenza positiva ed attiva
nell’ambiente in cui ciascuno vive, mettendo a frutto i propri talenti (cfr. Mt 25,14-30) e donando se
stesso per prendersi cura di chi ci sta accanto, secondo l’indicazione di Gesù nel brano della
moltiplicazione dei pani e dei pesci, dove egli chiede ai suoi discepoli «date loro voi stessi da
mangiare» (cfr. MT 14, 15-21), cioè diventate responsabili e solidali gli uni con gli altri, attraverso
il dono della propria vita.
Giovanni Paolo II nella sua profonda e autentica visione antropologica parlerà di
partecipazione come «l’azione che ciascun uomo compie in unione con gli altri uomini,
raggiungendo obiettivi che solo in comunanza con gli altri sono raggiungibili [...]. La
“partecipazione” si configura, quindi, come la capacità che l’uomo come persona ha di instaurare
rapporti con gli altri uomini come persone, nella maniera più varia e più complessa e più ricca»22 .
18
E. BIANCHI, Cristiani nella società, Milano 2003, p. 144.
Il Redentore ha dato una vocazione molto chiara ai suoi discepoli: « 13 Voi siete il sale della terra; ma se il sale
perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli
uomini. 14 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, 15 né si accende una
lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. 16 Così
risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è
nei cieli» (Mt 5,13-16). Infatti il sale rende i cibi saporosi e li conserva per cui il credente in Cristo è chiamato a rendere
gustoso il vivere e a conservare l’umanità nell’Alleanza con Dio.
20
PIUS XII, Radiomessaggio natalizio sul problema della democrazia (24 dicembre 1944), in AAS 37 (1945) 13.
21
G. MATTAI, Democrazia, in ROSSI L. – VALSECCHI A. (diretto da), Dizionario enciclopedico di teologia
morale, Roma 1981, p. 229.
19
9
La creazione di quella società in cui la persona possa esprimere la propria soggettività
diventa un impegno per tutti i credenti e ciò ci sembra che possa essere realizzato attraverso «il
sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e
garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli
in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno» (CA, n. 46). Da questa affermazione possiamo
comprendere che «la persona umana è fondamento e fine della convivenza politica» (CDSC, n.
384) e che «la comunità politica è essenzialmente al servizio della società civile e, in ultima analisi,
delle persone e dei gruppi che la compongono» (CDSC, n. 418).
A riguardo di queste affermazioni appena citate, Toso ci aiuta a comprendere come «più che
disquisire sulle formule della democrazia, [...], la Chiesa si è sempre interessata della sua naturale
connessione con l’essere libero ed intelligente delle persone, nonché della sua dimensione etica e
del suo senso compiuto»23; infatti la Chiesa, per la visione antropologica biblica, sceglie il rispetto
della libertà, la quale però «è pienamente valorizzata soltanto dall’accettazione della verità: in un
mondo senza verità la libertà perde la sua consistenza [...]. Ma soprattutto non condividerà mai l’affermazione che il pluralismo etico sia condizione per la democrazia»24. Per realizzare questa prospettiva anche i credenti sono chiamati alla partecipazione e ad una chiara presa di responsabilità, in
quanto «l’apporto originale della Chiesa si traduce nella costruzione di una società, giudicata democratica se e nella misura in cui è più degna dell’uomo. [...]. La democrazia viene fondata sulla dignità originaria della persona e delle relazioni sociali»25. Su queste considerazioni si potrebbe aprire un
nuovo lavoro per cogliere quella mentalità in cui i valori, la dignità della persona, sono solo questione numerica di maggioranza; in una visione cristiana alla base di ciò «non possono esservi provvisorie e mutevoli “maggioranze” di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva»26.
Oggi la parola democrazia può correre il rischio di essere un po’ abusata e ci pare che esista
un po’ una moda nel voler affermare che ogni decisione è presa in modo democratico; anche alcuni
sistemi politici, che non possono essere definiti democratici con molta facilità si auto-definiscono
tali. Per questo Kerber ci tiene a definirla come «la partecipazione attiva di tutti i membri di
un’entità sociale alle decisioni che li riguardano prese dall’autorità sociale»27: non basta quindi che
ci sia la possibilità del suffragio universale per affermare che si è in regime politico democratico.
Ma per realizzare tale partecipazione dobbiamo essere in grado di affrontare un compito che
«richiede moralità, onestà, sensibilità umana, saggezza, pazienza, rispetto per gli altri, disponibilità
a rinunciare ogni qualvolta lo richieda il bene comune»28; per questo l’impegno della Chiesa nella
società di oggi è più che mai importante ed anche urgente. Questa presenza, già capita, tematizzata
e attuata dai nostri due autori, ha il compito di tenere alti i valori e sottolineare la dimensione etica
di ogni realtà perché
la democrazia, in quanto metodo che stabilisce che “cosa sarà legge” in base ad un determinato
assetto politico istituzionale caratterizzato dal ruolo attivo della gran parte della popolazione nel
processo di formazione dell’opinione politica e di selezione della classe dirigente, è da considerarsi uno
strumento e non un ideale ultimo, poiché non ha alcuna possibilità di indicare quali debbano essere i fini
che il potere costituito dovrà perseguire; da ciò ne deriva che la democrazia andrà giudicata non in
22
G. REALE , Fondamenti e concetti base di “Persona e atto” di Karol Wojtyła, (saggio introduttivo) in G.
REALE e T. STYCZEŃ (a cura di), K. WOJTYŁA, Persona e atto, Milano 2001, p. 22.
23
M. TOSO, Umanesimo sociale. Viaggio nella dottrina sociale della Chiesa e dintorni, Roma 20022, p. 270.
24
S. ZANINELLI, Democrazia, in Università cattolica del Sacro Cuore- Centro di ricerche per lo studio della
dottrina sociale della Chiesa (a cura di), Dizionario della ..., op. cit., p. 235.
25
G. MANZONE, Invito alla dottrina sociale della chiesa, Roma 2004, p. 62.
26
A. CASPANI, Chiesa e democrazia nel secondo Novecento (1949-2000), in Università cattolica del Sacro
Cuore- Centro di ricerche per lo studio della dottrina sociale della Chiesa (a cura di), Dizionario della ..., op. cit., p. 743.
27
W. KERBER, Etica sociale. Verso una morale rinnovata dei comportamenti sociali, Cinisello Balsamo 2002, p.
87.
28
IOANNES PAULUS II, Discorso al nuovo Ambasciatore di Bosnia ed Erzegovina, in L’osservatore Romano, 1
dicembre 2002.
10
quanto valore – poiché mezzo -, bensì per quello che sarà in grado di realizzare, e limitata alla luce degli
scopi che noi vogliamo che essa realizzi29.
La presenza del cristiano nella società risulta essere anche oggi importante, in quanto si
necessità quel legame a Dio e ai principi sociali del cristianesimo, in quanto riescono a dare
un’anima e dei riferimenti certi, a questa società.
5. Il sistema ACLI
Avevamo già accennato nel primo incontro alla nascita del Patronato come primo elemento
che le ACLI hanno realizzato per avere un’attenzione completa alle persone (in particolare ai
lavoratori). La creazione del patronato rientra proprio in quella prospettiva della sussidiarietà, in cui
i corpi sociali intermedi, si pongono in atteggiamento di soggettività e diventano quindi soggetti che
costituiscono una società e soggetti del suo sviluppo.
Oggi il sistema ACLI è molto complesso: qui non si entra nel suo organigramma, ma mi
pare di poter evidenziare piuttosto quegli elementi di principio e valoriali che danno ad esso la
possibilità di avere sempre un’anima.
Abbiamo ricordato come, fin dalla fondazione, si è parlato di associazioni cristiane e ne
abbiamo sottolineato la positività di questa pluralità. Ciò è stato sentito come un sistema aperto, in
una prospettiva che voleva valorizzare la capacità di responsabilità e di iniziativa di ciascuna
persona. Questo è un elemento che ci mostra concretamente come la visione positiva dell’uomo,
permetta a lui di esprimere quelle dimensioni con le quali egli è costituito a “immagine di Dio”. Un
Dio che è creatore, che è attento a tutti i bisogni della persona, e che regala queste sue qualità anche
alla sua creatura.
Le ACLI bolognesi nel loro documento preparatorio alla COP (conferenza organizzativa e
programmatica di metà mandato delle ACLI), a riguardo della verifica di una coesione tra l’esterno
del movimento e l’interno, sostengono che « Senza l’orizzonte esterno, lo sguardo rivolto alle
nostre azioni, ai loro risultati, ai processi in corso, si esaurirebbe nell’auto-analisi, utile ma autocentrata e in ultima analisi sterile. Anche in questo senso, il punto di vista organizzativo è
squisitamente politico e non c’è ri-pensamento delle forme associative e del sistema-ACLI che non
sia al servizio di un’idea di ACLI e di società».
Dalla mozione finale dalla COP di Milano, al punto c si legge che è importante
continuare il processo di integrazione del sistema Acli con attenzione:
- alle dinamiche dello stato sociale e alle risposte delle imprese sociali ai nuovi bisogni delle persone ed alle
nuove tipologie di lavoratori,
- all’importanza assunta dalle imprese sociali all’interno del mondo del no profit e all’interno del movimento;
- alla caratterizzazione delle Imprese sociali promosse dalle Acli come organizzazioni no profit con un’evidente
vocazione imprenditoriale;
-alla preziosa risorsa dei volontari che consentono di avvicinare persone che i Circoli non riescono a raggiungere
ma che spesso sono quelle che hanno più bisogno di aiuto e di relazioni;
- all’integrazione del sistema Acli per tenere insieme la dimensione associativa con i valori che la caratterizzano
e la dimensione dei servizi;
-alla costituzione di centri servizi organizzati in modo da accogliere ed orientare le persone.
Il sistema ACLI è effetto di un’idea condivisa ed espressione del valore della soggettività
che realizza il principio della sussidiarietà. Siamo quindi chiamati a sviluppare una dialettica con la
società politica, la società civile ed il sistema ACLI in questa logica della sussidiarietà che
permetterà di esprimere tutte le potenzialità e la creatività della persona e per il bene comune.
29
F. FELICE, Le ragioni etiche dell’economia di mercato, in D. Antiseri - F. Felice - M. Novak - R. Sirico, Le
ragioni epistemologiche ed economiche della società libera, (a cura di F. Felice), Soveria Mannelli 2003, p. 54.
11
Sigle:
AAS
CCC
CDSC
DSC
GS
CA
CL
LG
PT
QA
SRS
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Acta Apostolicae Sedis
Catechismo della Chiesa Cattolica
Compendio della dottrina sociale della Chiesa
Dottrina sociale della Chiesa
Concilio ecumenico vaticano II- Costituzione pastorale - Gaudium et spes
Giovanni Paolo II – Enciclica sociale: Centesimus annus
Giovanni Paolo II – Esortazione apostolica post-sinodale: Christifideles laici
Concilio ecumenico vaticano II - Costituzione dogmatica - Lumen gentium
Giovanni XXIII – Enciclica sociale – Pacem in terris
Pio XI – Enciclica sociale – Quadragesimo annus
Giovanni Paolo II – Enciclica sociale: Sollicitudo rei socialis
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