IL CAFFÈ 19 febbraio 2012 C3SOCIETÀ E COSTUME @ www.zadig.it www.airc.it www.ricettedalmondo.it 41 COME STAR BENE COME MAN GIARE FABRIZIO VAGHI [email protected] ANTONINO MICHIENZI Quasi un bambino su dieci, tra quelli che hanno tra i cinque o sei anni, fa la pipì a letto. È quella che i medici chiamano enuresi notturna e che, se nella maggior parte dei casi si risolve spontaneamente nell’arco di pochi anni, alcune volte si protrae per tutta l’adolescenza e anche oltre. Sono facilmente immaginabili i disagi che incontra il piccolo, che spesso ha difficoltà a rapportarsi con i coetanei. Non da meno le preoccupazioni dei genitori, che il più delle volte fanno la spola da un medico all’altro senza trovare una soluzione definitiva e passano le notti svegli sperimentando i più diversi stratagemmi, in un clima di delusione. Tuttavia, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Urology, quando il bambino fa la pipì a letto, c’è un aspetto da prendere in considerazione e che invece viene molto spesso trascurato dai medici: la stitichezza. “Avere una eccessiva quantità di feci nell’intestino riduce la capacità della vescica”, ha spiegato uno degli autori della ricerca Steve J. Hodges del Wake Forest University School of Medicine di Winston-Salem in North Carolina. E questo porta ad avere la necessità di urinare più frequentemente di quanto non avvenga di solito. Lo studio è stato condotto soltanto su 30 bambini e adolescenti affetti da enuresi notturna, un numero troppo piccolo per trarre conclusioni definitive. Ma il gruppo di ricerca sembra aver imboccato la strada giusta. I ricercatori hanno prima sottoposto a una particolare radiografia i bambini riscontrando nella quasi totalità dei casi i segni della stitichezza. Successivamente, hanno somministrato loro dei normali lassativi. Nell’85 per cento dei casi, il risultato è stata la guarigione nell’arco di tre mesi. Un periodo relativa- L’enuresi Eneuresi secondaria, se ha ripreso a bagnare il letto dopo un periodo “asciutto” Circa il 10% dei bambini in età scolare fa ancora la pipì a letto Enuresi vera e propria è solo a partire dai 5-6 anni Enuresi primaria, quando il bimbo non ha mai raggiunto il controllo della vescica Un normale lassativo ha risolto l’85 per cento dei casi di enuresi notturna nell’arco di tre mesi Se il bimbo fa pipì attenti all’intestino La stitichezza riduce l’azione della vescica LO STUDIO I bambini sono stati sottoposti a una radiografia che ha evidenziato la stitichezza mente breve se si pensa che, con i sistemi messi in atto di consueto, possono passare anni prima che il bambino venga educato al controllo della vescica. Se si escludono alcuni farmaci, a cui la maggior parte dei genitori preferisce non ricorrere, per risolvere il problema della pipì a letto, oggi i rimedi più usati sono far bere poco il bambino prima di andare a letto, svegliarlo durante la notte o applicare uno speciale allarme che lo sveglia se inconsape- volmente bagna le mutandine. “In molti bambini la ragione per cui questi metodi non funzionano è che il problema è la stitichezza ha spiegato Hodges -. Tuttavia, la definizione di stitichezza è confusa e sia i bambini sia i loro genitori non hanno idea che il bambino ha problemi di stitichezza. Nel nostro studio, l’esame ai raggi X mostrava che tutti i bambini avevano una quantità eccessiva di feci nell’intestino retto che poteva interferire con la normale funzio- nalità della vescica. Nonostante ciò, solo tre di essi presentavano i sintomi consueti del disturbo”. Insomma, il fatto che il bambino vada normalmente in bagno non dà la certezza che non ci sia qualche disturbo intestinale. Ed è per questo - conclude l’esperto - che nei casi di enuresi notturna, anche in assenza di sintomi, la stitichezza è una causa che va presa in considerazione e indagata usando opportuni esami diagnostici. Se non fosse colpa della stitichezza, a quel punto è meglio non temporeggiare aspettando che il disturbo passi spontaneamente. Le nuove linee guida pubblicate dal National Institute for Health and Clinical Excellence (Nice) inglese in merito sono chiare: i medici rompano gli indugi e intervengano anche se il bambino ha meno di sette anni, ricorrendo, se necessario, anche ai farmaci, pur di evitare che imbarazzo e perdita di autostima condizionino la serenità e la vita sociale del piccolo. Lo studio La ricerca L’antiacido rompe il femore Il fruttosio fa male ai giovani Le donne che hanno superato la menopausa e che hanno assunto regolarmente nel corso della loro vita farmaci anti-acido (i cosiddetti inibitori di pompa protonica) hanno il 35 per cento di probabilità in più di incorrere in una frattura del femore. E questo rischio aumenta fino al 50 per cento se la donna è ancora o è stata fumatrice. A lanciare l’allarme è uno studio condotto da ricercatori del Massachusetts General Hospital e pubblicato sul British Medical Journal che ha passato in rassegna le cartelle cliniche di quasi 80mila donne. L’autorità americana che sovrintende il controllo dei farmaci (la Food and Drug Administration) sta ora valutando il caso per capire se è necessario intervenire, consigliando maggiore cautela nell’uso prolungato di questi farmaci. Dallo studio, tuttavia, emerge un dato rassicurante: il rischio di fratture torna ai livelli normali due anni dopo la sospensione del trattamento. I ragazzi che consumano grandi quantità di cibi e bevande ricchi di fruttosio, uno zucchero ampiamente utilizzato dall’industria alimentare, non rischiano solo di ingrassare, ma anche di andare precocemente incontro a malattie cardiovascolari e diabete. A segnalare i pericoli di un’alimentazione troppo “dolce” è uno studio pubblicato sul numero di febbraio del Journal of Nutrition. La ricerca ha coinvolto circa seicento ragazzi tra i 14 e i 18 anni, misurando diversi indicatori come la glicemia a digiuno o il livelli di colesterolo buono, che si sono dimostrati decisamente peggiori rispetto al consueto. “È di massima importanza dare ai nostri bambini una dieta bilanciata e ricca di cibi ‘di qualità’ - ha sottolineato una delle autrici dello studio, Vanessa Bundy del Medical College of Georgia di Augusta in Usa -. Altrettanto importante è prestare la massima attenzione al fruttosio e al saccarosio che consumano a casa e in ogni altro luogo”. COME AM ARE LINDA ROSSI, psicoterapeuta e sessuologa Posta: Linda Rossi – Il Caffè Via Luini 19 - 6600 Locarno E-mail: [email protected] Prima di infilarvi sci e scarponi fate una colazione ricca e energetica Crisi permettendo, questa è la stagione migliore per concedersi una bella settimana bianca. Ma così come per calcare le piste innevate è fondamentale un’adeguata preparazione fisica, allo stesso modo è raccomandabile una corretta nutrizione prima di mettere gli scarponi ai piedi. Vediamo come. Iniziamo dalla colazione. Importantissima sempre, ancor di più quando si ha davanti a se un’intera giornata sulle piste. Una colazione degna di questo nome, quindi, deve garantire in modo adeguato tutti gli apporti necessari alla prima parte della giornata sportiva. Prima di tutto ricordiamo che il nostro corpo avrà bisogno Ci aspetta una settimana bianca per cui è fondamentale prepararsi anche a tavola di acqua - visto che ha alle spalle una notte di digiuno non solo per i cibi solidi, ma anche di liquidi - per cui iniziamo immediatamente con un bel bicchiere. L’energia e i carboidrati necessari potranno essere rappresentati da un bel frutto o una spremuta fresca, oltre che da cereali nelle forme più svariate (pane, fette, cereali…), senza dimenticare che i più utili sono certamente quelli integrali. Meglio sarebbe evitare invece il caffè-latte, che alcuni di noi impiegano anche quattro ore per digerirlo completamente. Numerose sono le altre fonti di proteine, utilissime allo scopo di avere energia a lungo rilascio, senza andare in “crisi di fame” dopo due discese. È provato che gli incidenti sulle piste sono maggiori proprio prima dell’ora di pranzo. Ecco che la colazione può quindi anche trasformarsi in un piatto salato, in cui metterci prosciutto crudo, bresaola e, perché no, anche una bella noce di sbrinz. E ricordiamoci di bere ancora. Ovviamente questi suggerimenti non valgono soltanto per la settimana bianca o la giornata sulla neve. La colazione deve gradualmente rappresentare un pasto come gli altri. Perché il trucco sta nel consumare i quantitativi della cena a colazione. La lettera La risposta Ho spasmi dolorosi e non può penetrarmi È una contrazione muscolare che può riuscire a dominare Venticinque anni e da cinque tento di avere un rapporto sessuale completo confrontandomi però sempre a problemi al momento della penetrazione. Forti e dolorosi spasmi non mi lasciavano aprire le gambe e farmi penetrare dal partner. Dalla visita ginecologica non sono state riscontrate anomalie fisiche. Non mi considero frigida perché sento il desiderio, ho secrezioni vaginali e provo intense e piacevoli sensazioni nei preliminari, mi sento a mio agio con il partner e senza imbarazzo al momento del coito. Così ho vissuto con difficoltà le storie d’amore, anche se con l’aiuto di un gel lubrificante sono riuscita ad avere la rottura dell’imene. Aver perso la verginità sembrava aver risolto il problema e psicologicamente stavo meglio, sebbene non abbia raggiunto l’orgasmo. Da tre mesi ho lasciato il mio ragazzo. Sono attratta da altri e nel frattempo ho provato ad avere rapporti occasionali ma si è verificato lo stesso problema: irrigidimento, spasmi di dolori al momento della penetrazione con il dito e chiusura a scatto delle gambe. Preciso che non ho nulla contro i rapporti occasionali. Mi sento depressa e frustrata. Sento in me un enorme desiderio di avere un rapporto, poi però al momento in cui lo vivo, invece di aprire le gambe le chiudo irrigidendomi. La penetrazione è dolorosa o fastidiosa. Voglio vivere una storia d’amore normale appagata dal piacere sessuale. Soffro di vaginismo? C’è soluzione al mio problema? È vero, lei soffre di vaginismo. Questa non è però una malattia incurabile, bensì un disturbo risolvibile. È ovvio che abbia un impatto negativo sulla relazione amorosa. Lei avrebbe tutto per vivere una sessualità appagante, prova desiderio, si eccita, sa godere dei preliminari, sta bene nel suo corpo di donna, non è inibita nell’incontro con un ragazzo e non ha reticenze ideologiche o di altro tipo. Ma, ma, ma... il suo corpo la ‘boicotta’ al momento dell’introduzione del pene in vagina. Grazie alle precise descrizioni in merito alle sue reazioni corporee, sappiamo che si contrae intensamente a livello muscolare, prova dolore alla penetrazione, persino con un dito, e chiude le gambe in modo riflesso. Qui già sta rispondendo alla sua prima domanda. Il vaginismo infatti consiste in una contrazione muscolare che rende difficile o impedisce la penetrazione. Ora lei anticipa la VAGINISMO Il vaginismo non è una malattia incurabile, bensì un disturbo risolvibile paura del dolore chiudendo le gambe per evitare ciò che le procura sofferenza. Così facendo però la situazione peggiora. Si chieda se tale reazione, sicuramente accompagnata dalla chiusura vaginale, è presente sin dall’inizio della sua sessualità relazionale o se è apparsa dopo aver constatato che la penetrazione è difficoltosa e dolorosa. In questo secondo caso si tratterebbe di una reazione di difesa e si parlerebbe di vaginismo di tipo fobico. Nel primo caso potrebbe trattarsi di un modo eccitatorio inconciliabile con la sessualità condivisa. In ogni caso, per superare tale difficoltà, deve imparare a impedire a questi muscoli, che tra l’altro sono dell’ordine del volontario, di determinare la sua vita amorosa. Ribalti il rapporto e sia lei a dominarne l’andamento. Se non riesce da sola, ricorra alla guida di uno specialista. Arrendersi non fa parte delle soluzioni.