Brahim Maarad: l`Isis non è l`Islam e noi musulmani

Brahim Maarad: l'Isis non è l'Islam e noi musulmani ne siamo
le prime vittime
Martedì 6 Ottobre 2015
Brahim Maarad
Incontro Brahim Maarad, alla Sala Buzzi in Via Berlinguer, durante la serata in cui si parla di dialogo interculturale e
interreligioso e si presenta il libro curato da Michele Zanzucchi “L’Islam spiegato a chi ha paura dei musulmani”. Brahim è
giovane, appena 26 anni, è nato in Marocco e si è trasferito in Italia a 10 anni. A 23 anni è diventato giornalista professionista.
Ha lavorato prima al Corriere Romagna, come collaboratore, e poi come redattore e caposervizio al Nuovo Quotidiano di
Rimini. Ha un blog (maarad.net) ed è membro attivo della comunità islamica di Rimini. Oltre a tutto questo, Brahim è anche
molto preparato e ha le idee molte chiare su parecchie cose e prima di tutto sull'Isis.
L’Islam spiegato a chi ha paura dei musulmani. Un titolo che registra una situazione complessa, per certi versi
drammatica. Gli occidentali hanno paura dell’Islam. Perchè? Come vincerla?
“Il titolo del libro è molto azzeccato perché recita ‘L’Islam spiegato a chi ha paura dei musulmani’, non a chi ha paura
dell’Islam. Credo sia una differenza fondamentale. Se comprendiamo questo, possiamo superare insieme tutta una serie di
pregiudizi di cui siamo vittime, tutti, e fermare quella macchina del terrore purtroppo alimentata negli ultimi anni non solo
contro l’opinione pubblica e la comunità occidentale, ma anche contro la parte sana della comunità musulmana, che
rappresenta la stragrande maggioranza dei musulmani.”
Purtroppo nel nome dell’Islam vengono compiute azioni efferate e indicibili. Come è possibile?
“Il fatto è che noi non dobbiamo giudicare tutte le azioni di tutti coloro che si professano o si spacciano per musulmani come
se fossero dettate dalla religione islamica. Tantissime persone sono scambiate per interpreti dell’Islam quando con l’Islam
invece hanno in comune a volte solo l’origine oppure seguono unicamente interessi personali, economici, politici o militari. E
così si finisce per associare le loro azioni all’Islam: con l’Islam non c’entrano. In realtà l’Islam è usato da queste persone per
fini illegittimi e impropri.”
Per esempio?
“La Sharia, che è la costituzione, la legge fondamentale dell’Islam, che regola l’intera vita di ogni musulmano, non è così
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negativa come viene descritta superficialmente nei talk show e in certi dibattiti televisivi. La Sharia non autorizza affatto
l’omicidio, la cosiddetta guerra santa o il terrorismo, come pensano molti occidentali, per intenderci.”
A proposito di stragi, il libro di cui parliamo è stato scritto sull’onda delle emozioni suscitate dalla strage al giornale
satirico francese Charlie Hebdo.
“I fatti di Charlie Hebdo ci hanno riportato indietro di tanti anni. Dopo il 2001 abbiamo fatto tante cose, abbiamo costruito molte
azioni per cercare il dialogo, per spiegarci e capirci meglio fra musulmani e non musulmani; ma poi i fatti del gennaio 2015 ci
hanno riportato ancora al clima del 2001. Mi è sembrato a gennaio di vivere di nuovo quell’incubo. Sono morte delle persone,
è stata commessa un’atrocità, una cosa inqualificabile e ingiustificabile per qualsiasi comunità umana, e quindi anche per noi
musulmani. E oltre alla strage e all’atrocità gli assassini ci hanno riportati tutti indietro: i non musulmani ad avere paura
dell’Islam e i musulmani a doversi scusare per qualcosa che non hanno commesso e che non avrebbero mai potuto
commettere in quanto musulmani. Il fatto che io mi debba scusare o giustificare per un atto commesso da un terrorista è un
fatto enorme. Il doversi sentire in difficoltà per il fatto di professare una religione che, in quel momento, per l’atto di un
assassino, viene associata al terrore e alla violenza, è una cosa profondamente ingiusta. È una violenza per la mia
coscienza.”
Parlava della Sharia, del fatto che non giustifica certe azioni.
“La Sharia dice, per esempio, che il musulmano deve rispettare le leggi dello Stato. Si tratta di una cosa quasi elementare ma
molti pensano che invece i musulmani non lo facciano o non siano tenuti a farlo. Non è così. La Sharia non ci dice ovviamente
di fermarci con il rosso al semaforo o di rispettare i limiti di velocità sulle strade. Ci dice però di rispettare le leggi dello Stato e
se la legge dello Stato prescrive che bisogna fermarsi con il rosso allora il musulmano è tenuto a rispettare questa regola per
essere un buon musulmano. Se il musulmano passa con il rosso, non solo trasgredisce il Codice della strada e la legge dello
Stato ma anche la Sharia. E infatti ci sono delle Fatwa, cioè ordinanze dei sapienti che interpretano la legge coranica e la
accordano con la vita attuale, emerse negli ultimi anni, le quali dicono che chi per eccesso di velocità provoca la morte di se
stesso o di qualcun altro allora è come se commettesse volontariamente quel reato e dovrà rispondere di omicidio davanti a
Dio. Insomma, come si vede, è complesso il discorso del rapporto dei musulmani con la legge e non è vero che gli islamici
non debbano rispettare le leggi degli Stati in cui vivono.”
Che cosa pensa dell’Isis?
“Oggi ascoltavo al TG le ultime notizie sui bombardamenti in Siria contro l’Isis: ebbene per la prima volta, non so cosa sia
successo al giornalista, ma lui ha parlato di ‘sedicente’ stato islamico. La parola sedicente davanti alla parola islamico è una
rivoluzione per me: il fatto di dovere e potere dissociare l’Islam dall’Isis è un grande passo in avanti. Una volta che
comprendiamo che lo stato islamico è ‘sedicente’ e quindi non ha il diritto di definirsi islamico e come tale non è riconosciuto,
allora non solo sappiamo che questo stato è nemico dell’Occidente ma è nemico anche e prima di tutto dei musulmani stessi.
Certe cifre non sono note. Ma il maggior numero di vittime dell’Isis appartiene alla comunità musulmana. I terroristi dell’Isis
hanno ucciso più credenti musulmani di persone di altre religioni o etnie. Così come possiamo considerare vittime dello stato
islamico i milioni di profughi, in gran parte musulmani, cacciati dalle loro terre e dalle loro case. Sedicente Stato Islamico:
questo cambia tutto.”
Tracciamo dunque una linea di demarcazione. Di là assassini e terroristi. Di qua persone ragionevoli che possono
riconoscersi e dialogare nelle reciproche differenze.
“Sì. Tracciare una linea è importante per capire, per dare più certezze e tranquillità a tutti, per evitare di confondere Islam e
Isis. La Umma dell’Islam, cioè il popolo di Dio, che va dal Marocco all’Indonesia, non può essere confusa con 30.000 terroristi
che operano fra Siria e Iraq o in Libia. Un miliardo e 600 milioni sono i musulmani nel mondo e 30.000 terroristi assassini non
possono essere identificati per tutti i musulmani e tenere in scacco un miliardo e 600 milioni di persone, di cui 44 milioni
vivono in Europa, contribuendo alla vita economica, politica e sociale del nostro Continente. Se non facciamo questa
distinzione è una tragedia per tutti.”
Che cosa pensa dell’integrazione in Italia?
“In questi giorni è in discussione in Parlamento la Legge di Riforma sulla cittadinanza per il riconoscimento giuridico dei figli
degli immigrati nati in Italia, per riconoscerli finalmente come italiani… è difficile dire loro che sono stranieri o immigrati. Sono
nati qui, parlano perfettamente italiano, hanno amici italiani, vanno nelle scuole italiane. Allo stesso modo non possiamo
nemmeno chiedere a questi bambini nati in famiglie di religione islamica di abbandonare la loro religione per diventare
italiani… non ci può essere integrazione cancellando il passato e le identità, le diversità vanno rispettate, sono una ricchezza.
Integrazione significa unione, mettere insieme due parti diverse, senza cancellare una parte. Integrazione è mettere insieme
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le due parti diverse e spesso da questa unione escono cose meravigliose, straordinarie. E i ragazzi oggi vivono coniugando
due mondi, apparentemente lontani e diversissimi, ma ci riescono spesso benissimo: da una parte il mondo di origine e
dall’altra il mondo occidentale. A casa parlano arabo, seguono la fede musulmana, mangiano il cous cous ma poi quando
sono con gli amici parlano italiano, mangiano una pizza e si divertono con il calcio.”
Nella paura del diverso islamico c’è la responsabilità della crisi economica che morde e c’è la colpa degli impresari
della paura che soffiano sul fuoco. Ma c’è anche una responsabilità degli islamici, una difficoltà a farsi capire?
“Ci sono le cose che lei dice. E io posso capire la paura verso i musulmani, ci sta. Spesso viene chiesto a noi musulmani
ragionevoli e pacifici di denunciare ciò che viene fatto di tremendo in nome dell’Islam. Ma questo noi lo facciamo, lo abbiamo
sempre fatto e continuiamo a farlo. Purtroppo non fa notizia. Ma dobbiamo ammettere che a volte non siamo noi stessi
abbastanza attrezzati, non abbiamo strumenti adeguati. In Francia i musulmani sono alla terza generazione e hanno assunto
ruoli significativi nella società. Qui siamo ancora alla prima e solo ora i figli della prima generazione si affacciano alla vita,
cominciano a diplomarsi e laurearsi. Dovete pensare che a volte la lingua è un ostacolo al dialogo insormontabile. Molti
musulmani della prima generazione in Italia parlano male italiano e hanno difficoltà a capire e a farsi capire, e quindi anche
per questo si sono ritirati dal dialogo con gli altri. Semplicemente, non hanno gli strumenti, si ritraggono per frustrazione. A
volte molti musulmani, persone semplici, non capiscono nemmeno le vostre domande e quindi non sanno rispondervi su cose
peraltro molto complicate, come l’Islam, il Corano, la Sharia, le sue interpretazioni, le divisioni nel mondo islamico. Queste
difficoltà a volte portano all’isolamento di persone, gruppi, perfino comunità. Certo questo significa che anche noi dobbiamo
fare uno sforzo e lavorare di più in questa direzione, per darci più strumenti di dialogo ed essere più pronti e preparati.”
Le moschee fanno paura. Si pensa siano centri di diffusione di una ideologia del terrore piuttosto che luogo di
preghiera.
“Vedere le persone che vestono in modo diverso e con le barbe tipiche degli islamici andare in moschea e riunirsi… fa venire
il sospetto. Lo capisco. Dopo il 2001 e dopo Charlie Hebdo ecco che il sospetto cresce sempre di più. E il fare a volte
impacciato di quella persona vestita in modo diverso e con la barba fa pensare che quella persona sia sospetta, nasconda
qualcosa, non voglia integrarsi e sia ostile. Magari è la persona più buona del mondo. E semplicemente non sa parlare bene
italiano o è timida e non ha abbastanza strumenti per un dialogo e perciò preferisce stare sulle sue. Ne nasce un circolo
vizioso. Noi abbiamo tutti il dovere di rompere questo circolo vizioso di paura e di sospetto e dobbiamo aprirci sempre al
dialogo e allo scambio.”
Lei dice che la condanna degli atti criminali compiuti in nome dell’Islam da parte vostra è costante. Però la voce non
arriva.
“Lo dicevo prima: purtroppo non fa audience. A volte poi quando prendiamo le distanze e condanniamo gli atti orrendi
compiuti in nome dell’Islam lo facciamo sempre troppo in difesa, siamo costretti a stare sulla difensiva. Raramente
organizziamo iniziative per parlare di Islam come religione di pace in tempi di pace, normali, sereni. Lo facciamo solo in tempi
di guerra e per difenderci. Ma questo rende tutto più difficile, perché la guerra scava solchi difficili da colmare. Questo è anche
un errore nostro. Dovremmo ogni giorno ricordare a tutti, a noi stessi e agli altri, che l’Islam è una religione di pace.”
E voi musulmani avete paura di altri musulmani?
“Noi musulmani siamo i primi ad avere paura di altri musulmani che usano la religione per compiere assassinii e altri atti
blasfemi, che sono contro la nostra religione. Io sono originario del Marocco e sono felicissimo che il mio Paese di origine sia
stato risparmiato dal flagello dell’Isis, perché non c’è nulla di peggio di vivere nel terrore che qualcuno, in casa propria, usi la
religione per annientare ogni forma di libertà e di diritto, per compiere stragi e atrocità. Stiamo parlando di persone che sono
giudici ed esecutori, che hanno eliminato qualsiasi forma di diritto per gli uomini e le donne.”
Torniamo a parlare dell’Isis. Come mai molti ragazzi occidentali si arruolano nell’esercito dell’Isis?
“Si dice che l’Isis sia stato costruito con un investimento di un miliardo di dollari. E agisce in condizioni diverse da Al-Qaeda:
usa perfettamente le nuove tecnologie. Se pensiamo che Osama Bin Laden per mandare un messaggio registrava un video in
una caverna e poi lo faceva arrivare ad Al-Jazeera e questa tv lo esaminava e poi lo pubblicava per stralci o integralmente
con commenti o interpellando esperti, capiamo la differenza rispetto all’oggi. Ora l’Isis con un tweet o su Facebook arriva a
milioni e milioni di persone. Oggi i nuovi social media permettono a chiunque di arrivare a chiunque nel mondo… senza filtri.
Da qui la catena del terrore, una catena che arriva più facilmente a includere anche persone deboli, emarginate, sbandate,
isolate, persone che spesso sono lontane dalle comunità islamiche. Gli esecutori della strage di Charlie Hebdo erano degli
isolati, se fossero andati in moschea, in una delle tante moschee di Parigi, non avrebbero mai compiuto quella strage. Perché
nelle moschee non si predicano la violenza e l’omicidio. Queste cose sono fuori dall’orizzonte dell’Islam e dei musulmani che
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vivono in pace con Dio. Se pensiamo che hanno perfino fatto un sondaggio online per chiedere agli internauti il modo migliore
per punire e uccidere i piloti giordani catturati, ci rendiamo conto del livello di barbarie cui sono giunti quelli dell’Isis. Qui l’Islam
non c’entra.”
Anche i musulmani hanno bisogno al più presto di liberarsi dell’Isis. Ma come?
"I fronti su cui intervenire sono diversi. Alcuni Paesi sono in prima linea contro l’Isis, altri sono rimasti in disparte. Purtroppo
prevale il ragionamento stretto attorno ai propri interessi. Un intervento militare in Siria tre anni fa avrebbe senza dubbio
soffocato l’attuale evoluzione del sedicente Stato islamico. L’Arabia Saudita, con la propria coalizione composta da diversi
Paesi arabi, sta portando avanti un’azione militare nello Yemen. Più che per demolire l’Isis è per proteggere i propri confini da
un’invasione. Sui fronti di intelligence il Marocco ad esempio è molto impegnato all’interno. Ormai ogni settimana vengono
annunciati arresti di persone, o gruppi, che tentavano di unirsi all’esercito di Al Baghdadi. Qualche anno fa andare a
combattere in Siria non era ritenuto reato. Oggi è tra i più gravi. Questa battaglia non va combattuta solo con le armi ma
anche, e soprattutto, con la giusta informazione sui pericoli dell’Isis. Molti giovani musulmani vengono ingannati e quando
arrivano in Siria si trovano in sostanza condannati a morte. E’ indispensabile quindi smascherare la vera identità dello Stato
Islamico. Per potersi liberare dell’esercito dell’Isis è indispensabile liberarsi prima della sua ideologia."
A cura di P. G. C.
Le interviste, Politica, Società
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