Andrea Monorchio: Dove va l'Italia. Democrazia, economia e stato sociale 1 di Tiziana Borriello Dal secondo dopoguerra ad oggi si eÁ realizzata, con varie tappe, l'Unione Europea. Si tratta di un processo di integrazione economica e politica del vecchio continente, iniziato con i trattati di Roma del 1957, per la costituzione della CEE e dell'EURATOM, e che, attualmente, introducendo l'Euro, ha subito una rapida accelerazione. In tale processo, la realizzazione dell'unione monetaria si eÁ resa indispensabile per costituire l'unitaÁ politica europea. Ci si chiede, peroÁ, se in tale processo, dell'Europa unita, l'Italia riusciraÁ ad ottenere vantaggi reali e a raggiungere i parametri di Maastricht, adeguando la propria economia a quella degli altri paesi aderenti, o se cioÁ finiraÁ per accentuare maggiormente il divario tra Nord e Sud, aggravando la questione meridionale. A questi e ad altri quesiti ha risposto il ragioniere generale dello stato, professore Andrea Monorchio, intervenuto al convegno ``L'economia e lo stato sociale in Italia prima e dopo l'avvento dell'Euro'', tenutosi, il 28 febbraio 2000, alla FacoltaÁ di Economia dell'UniversitaÁ di Napoli ``Federico II''. Il professore Monorchio eÁ un meridionale, nato a Reggio Calabria e laureato in Economia e Commercio all'UniversitaÁ di Messina. Ha una preparazione prevalentemente tecnica, percheÂ, dal 1989, eÁ ragioniere generale dello stato. Il suo ufficio eÁ stato paragonato ad un ``ministero dentro il ministero'', poiche non solo ha sede nello stesso palazzo del Tesoro e del Bilancio, ma, soprattutto, perche il ragioniere generale dello stato eÁ considerato come un super ministro a cui tutti i politici fanno riferimento per trovare nel bilancio pubblico i fondi necessari per finanziare l'attuazione delle leggi. I suoi studi riguardano vari argomenti, tra cui: l'informatica pubblica, che 1 Seminario tenuto, il 28 febbraio 2000, presso la FacoltaÁ di Economia dell'UniversitaÁ di Napoli Federico II, cattedra di Storia Economica (prof. Balletta), Associazione ex allievi della FacoltaÁ di Economia della stessa UniversitaÁ (ECO-Napoli) e dell'Editoriale Scientifica Srl. 83 gli ha consentito di controllare migliaia di dati finanziari e di effettuare previsioni sull'andamento dell'economia italiana, soprattutto nel lungo periodo; la previdenza sociale, nel tentativo di contenere, sempre piuÁ, la spesa previdenziale in rapporto al Prodotto Interno Lordo. Questo fa parte di un piuÁ ampio programma di risanamento della finanza pubblica, in cui il professore Monorchio rileva l'importanza di controllare e verificare la spesa pubblica; il bilancio dello stato e la necessitaÁ di sconfiggere la cultura dell'indebitamento; le privatizzazioni, di cui eÁ grande sostenitore; la costituzione di un super ministero, che accentri in se tutte le funzioni finanziarie; ed, infine, la matematica, di cui si eÁ interessato in una sua pubblicazione dal titolo ``Luca Pacioli e la matematica del Rinascimento''. Oggetto dell'intervento del professore Monorchio al convegno eÁ stata la presentazione del suo libro ``Dove va l'Italia. Democrazia, economia e stato sociale''. Questo lavoro, elaborato con il consigliere parlamentare della camera dei deputati Luigi Tivelli, rappresenta uno scambio di idee tra i due autori sulla necessitaÁ e sulle difficoltaÁ di portare l'Italia in Europa, rilevando gli avvenimenti economico-istituzionali che hanno accompagnato il passaggio da una ``vecchia Italia'', non ancora superata, ad una ``nuova Italia'', che sorge con difficoltaÁ. Il professore Monorchio esplicitamente dichiara che l'Italia va in Europa, non senza enormi sacrifici. L'unione europea nasce con motivazioni concrete, per le quali i paesi europei sono consapevoli che, senza l'Europa, sarebbero rimasti schiacciati nella competizione mondiale tra il Giappone e gli Stati Uniti. Il percorso che ha compiuto l'Europa eÁ stato enorme e non eÁ ancora terminato. Iniziato con la nascita delle ComunitaÁ Europee eÁ proseguito con la creazione dello SME, che ha previsto il rapporto di cambio delle monete dei paesi europei aderenti entro determinate bande di oscillazioni, definite in funzione dell'ECU, considerata moneta di conto. Nel 1989, il Consiglio europeo ha approvato il ``rapporto Delors'', che ha proposto la creazione dell'Unione economica e monetaria. Nel 1992, eÁ stato firmato il trattato di Maastricht, che ha stabilito le scadenze, i criteri e le condizioni di adesione all'Unione economica e monetaria. Nel 1995, il Consiglio europeo ha deciso la moneta europea, chiamandola Euro, in vigore solo nel 1999, anno in cui l'ECU eÁ stato convertito in Euro con la paritaÁ di uno contro uno. Il 21 gennaio 2002, entreranno in circolazione le monete e i biglietti in Euro, ritirando quelli nazionali. Il 1 luglio 2002, le monete e i biglietti in valuta nazionale non avranno piuÁ corso legale e saranno ritirati. Quali dovranno essere le condizioni economiche idonee per una perfetta integrazione europea? Dell'Unione Europea, costituita da 15 paesi, hanno aderito all'Euro soltanto 11 nazioni. La Gran Bretagna, la Svezia e la Danimarca non partecipano per loro libera scelta; la Grecia eÁ esclusa perche non ha 84 conseguito i difficili parametri di Maastricht. Il trattato prevede che l'Unione economica e monetaria deve essere realizzata in tre fasi. La prima eÁ stata attuata, tra il 1ë luglio 1990 e il 31 dicembre 1993, per la costituzione di un mercato unico, per la liberalizzazione dei pagamenti tra i paesi dell'unione, per il coordinamento delle banche centrali nazionali e per la possibilitaÁ agli stati membri, rimasti esclusi, di entrare nel Sistema Monetario Europeo. CioÁ che eÁ stato realizzato risponde ampiamente alle aspettative. Nella seconda fase (dal 1ë gennaio 1994 al 31 dicembre 1998) gli obblighi previsti a carico degli stati membri sono stati il divieto della creazione di disavanzi eccessivi, la completa indipendenza delle rispettive banche centrali dal potere politico e il divieto di accesso privilegiato ai finanziamenti della pubblica amministrazione e delle imprese statali. In questa seconda fase, e stato creato l'Istituto Monetario Europeo (IME) e, successivamente, nel 1998, la Banca Centrale Europea (BCE). Il primo con il compito di incentivare la cooperazione tra le banche centrali nazionali, di controllare il funzionamento dello SME e l'utilizzo dell'ECU, di creare le premesse per la costituzione della terza fase dell'Unione economica e monetaria, di gestire le riserve in divise estere per conto delle banche centrali nazionali, di preparare i rapporti annuali sull'evoluzione dell'Unione e di darne pareri e suggerimenti. La seconda, la BCE, ha l'incarico di predisporre il quadro giuridico per l'introduzione dell'Euro, assumendo pieni poteri dal 1ë gennaio 1999. Il momento decisivo per la costituzione dell'Unione monetaria eÁ rappresentato dalla terza fase, che eÁ iniziata il 1 gennaio 1999 e termineraÁ il 31 dicembre 2001. In realtaÁ, quest'ultima fase doveva iniziare nel 1997, ma il mancato raggiungimento dei criteri imposti dalla normativa dell'Unione economica e monetaria in tale termine ha vietato la partecipazione degli stati membri e ha fatto slittare l'introduzione dell'Euro al 1 gennaio 1999. Per partecipare alla terza fase eÁ necessario che gli stati membri rispettino i valori di riferimento e i parametri di convergenza. I primi, per ogni paese, riguardano il raggiungimento del 3 per cento come valore massimo nel rapporto tra PIL e deficit di bilancio annuale e il 60 per cento nel rapporto tra PIL e debito pubblico. Per il raggiungimento dei valori di riferimento eÁ necessario osservare i parametri di convergenza, secondo i quali: l'inflazione non deve risultare superiore all'1,5 per cento rispetto al livello medio conseguito nei tre paesi membri con un tasso di inflazione piuÁ basso raggiunto nell'anno precedente a quello in esame; i tassi di interesse nel lungo periodo non devono superare due punti rispetto al tasso medio dei tre stati membri con i risultati migliori; la stabilitaÁ dei cambi deve essere contenuta nei margini di fluttuazione previsti dallo SME. Per garantire i criteri di finanza pubblica stabiliti dal trattato di Maastricht eÁ stato previsto il ``patto di stabilitaÁ e crescita'', per il quale gli stati membri devono comunicare alla Commissione europea e al Consiglio dell'U85 nione Europea precisi programmi che predispongono un bilancio finanziario in pareggio, in virtuÁ del quale il disavanzo annuale del 3 per cento, rispetto al PIL, deve costituire il massimo risultato negativo consentito per ogni stato membro. Il patto stabilisce anche delle sanzioni in caso di superamento del 3 per cento e i rimedi per risanare i conti pubblici. In quest'ultima fase sono stati stabiliti i tassi di conversione tra le singole unitaÁ monetarie nazionali e l'Euro. Per l'Italia il cambio eÁ stato fissato a 1.936,27 lire per un Euro. Solo nel 2002 si avraÁ la circolazione dell'Euro sui mercati dei paesi membri e il ritiro delle monete nazionali, che non avranno piuÁ corso legale. L'Unione economica e monetaria mira non solo al coordinamento delle politiche economiche degli stati membri e all'eliminazione dei disavanzi eccessivi, ma anche a degli obiettivi monetari, tra cui la stabilitaÁ dei prezzi, il controllo dell'inflazione, un cambio stabile e tassi di interesse a lungo termine entro limiti ragionevoli. Aderendo, infatti, all'Unione monetaria, l'Italia, come qualsiasi altro paese membro, deve rinunciare ai benefici della variazione del cambio, per la creazione di una moneta unitaria, e ad una politica monetaria nazionale, perche sostituita da una politica centralizzata o, anche, detta ``federale''. Prima la politica monetaria nazionale era uno strumento per affrontare gli shock asimmetrici ± come un aumento improvviso del prezzo del petrolio ± che riguardavano solo uno o pochi paesi dell'Unione, influendo negativamente sulle esportazioni e sulla produzione di quel paese rispetto agli altri. Uno shock asimmetrico, interessando pochi paesi, richiede soluzioni solo a livello nazionale, a differenza degli shock simmetrici che possono essere superati con politiche federali, poiche coinvolgono tutti i paesi membri. Con l'Unione monetaria, la politica fiscale eÁ l'unico strumento a disposizione degli stati membri per la stabilizzazione dei redditi e per fronteggiare gli shock economici con il possesso di risorse adeguate, cioÁ che non accade per l'Italia. La politica monetaria, invece, eÁ stata affidata all'Eurosistema, formato dalla Banca Centrale Europea e dai governatori delle banche centrali dei paesi dell'Unione. La Banca d'Italia, non potendo piuÁ manovrare il saggio di interesse e quello di cambio, controlla l'attivitaÁ degli istituti creditizi in modo indiretto, poicheÂ, essendo un organo piuÁ vicino ai cittadini, in Italia opera per conto della Banca Centrale Europea. Alla domanda se in tale contesto l'Italia eÁ pronta ad entrare in Europa, il professore Monorchio ha risposto che, alla fine del 1996, la partecipazione dell'Italia all'Unione economica e monetaria era impensabile. L'impegno, peroÁ, sostenuto dal nostro paese, tra il 1996 e il 1997, non solo ha portato al rispetto dei parametri di Maastricht, riducendo il rapporto deficit/PIL, dal 6,7 per cento al 3 per cento, ma stabilendo tale rapporto al 2,7 per cento, cioeÁ inferiore al 3 per cento. 86 Per il raggiungimento del 60 per cento nel rapporto tra debito pubblico e PIL, gli italiani non hanno ancora le risorse per incrementare in maniera decisiva la leva dello sviluppo e incentivare del 2-3 per cento la crescita del PIL. Le risorse, infatti, sono indispensabili per l'Italia in virtuÁ dell'attuazione di un'adeguata politica fiscale. In merito, il professore Monorchio afferma che gli italiani raggiungeranno il 60 per cento solo nel 2010 o, al piuÁ tardi, nel 2013. Il professore sottolinea che, fino al 1970, gli italiani hanno avuto un bilancio pubblico in pareggio, almeno per cioÁ che ha riguardato la contabilitaÁ di cassa. Dalla seconda metaÁ degli anni Settanta, in particolare negli anni Ottanta, l'adozione di una politica di ``spesa facile'' ha contribuito ad aggravare il debito pubblico. Nonostante il quarto comma dell'articolo 81 della Costituzione, che prevede la copertura finanziaria per tutte le spese aggiuntive, l'Italia ha due milioni di miliardi di debito pubblico. Non si puoÁ affermare che la responsabilitaÁ dell'aumento della spesa pensionistica sia o del Governo o del Parlamento ma di entrambi. Nel 1992, peroÁ, si eÁ avuta una svolta, cercando di porre rimedio alla crisi con un programma di legge delega su sanitaÁ, pensioni, pubblico impiego e finanza locale. A cioÁ si aggiunge che il trattato di Maastricht prevede il patto di stabilitaÁ, che impone il pareggio di bilancio. Per lo stato la regola aurea eÁ che l'indebitamento si crea solo se c'eÁ necessitaÁ di investire. Per rispettare il patto di stabilitaÁ occorre che tutte le spese di funzionamento e di investimento siano finanziate con la pressione fiscale, poiche nel momento in cui si ha pareggio di bilancio eÁ necessario che tutte le entrate fronteggino le spese, in rapporto sempre alla ricchezza nazionale e non alla pressione fiscale. Monorchio fa notare che il debito italiano eÁ interamente interno ± cioeÁ a somma zero'' ± perche i cittadini, sottoscrittori di titoli pubblici, sono creditori nei confronti dello stato, mentre gli altri sono debitori. Per l'Italia il debito esterno non esiste piuÁ, perche coperto dagli avanzi della bilancia dei pagamenti accumulati dall'Italia negli anni passati. L'Italia, infatti, non crea l'effetto ``spiazzamento'' nei confronti degli altri paesi, anzi, con l'avanzo della bilancia dei pagamenti, esporta risparmio, investendolo all'estero. Oggi, gli italiani non solo si adoperano per pagare il debito pubblico accumulato negli anni precedenti, ma cercano di trasferire infrastrutture alle generazioni future, che, per un paese con poche risorse, diventa uno dei principali obiettivi. Che cosa bisogna fare per incrementare tali risorse e partecipare all'ultima fase dell'unificazione monetaria europea? Il professore Monorchio fa notare che, dal 1 gennaio 1999, l'Italia eÁ entrata nel sistema Euro, peroÁ con condizioni precarie. Nelle graduatorie pubblicate dai giornali, infatti, l'Italia occupa l'ul87 timo posto per la crescita del PIL. Il 1999 si eÁ aperto con una tendenza negativa, infatti, a fine 1998, il livello della crescita reale del PIL ha registrato un incremento dell'1,3 per cento, inferiore alla previsione ufficiale del 2,5 per cento. Il professore Monorchio addebita tale rallentamento alla riduzione dei consumi e della domanda globale, determinando anche la crescita della disoccupazione intorno al 12 per cento. Cosa occorre, allora, per incentivare la crescita economica? EÁ necessario, prima di tutto, ridurre la pressione fiscale e concedere incentivi in modo tale da incrementare la domanda aggregata e i consumi delle famiglie con l'obiettivo di ridurre la disoccupazione. A cioÁ si deve aggiungere la necessitaÁ di incentivare gli investimenti in infrastrutture ed opere pubbliche, indispensabili per l'incremento di reddito e per la crescita della produttivitaÁ. Il piano di risanamento, iniziato nel 1993 e previsto per cinque anni, ha avuto un ruolo positivo, in termini contabili, per la finanza pubblica, ma non altrettanto per lo sviluppo e l'occupazione. I tagli alla spesa pubblica e una politica salariale moderata hanno determinato il ristagno degli investimenti privati. A cioÁ si aggiunge la riduzione degli investimenti dello stato nelle aree depresse, in particolare nel Mezzogiorno. Nel 2000, purtroppo, la crescita del PIL non supera l'1,3 per cento, a causa, soprattutto, di un aumento della spesa previdenziale. Per incrementare la crescita, in definitiva, sono necessarie nuove risorse, non nel senso di fare qualcosa di nuovo o di diverso da quanto giaÁ stabilito dal Parlamento, ma in termini di risultati concreti. Per far cioÁ, sottolinea Monorchio, bisogna ridurre la pressione fiscale, controllare la spesa sociale e incentivare gli investimenti. In termini di spesa, si puoÁ ridurre quella corrente. Un esempio sono stati gli incentivi sulla rottamazione nel settore automobilistico, concessi nel 1997, che hanno prodotto un incremento della ricchezza nazionale di quasi mezzo punto percentuale. CioÁ vuol dire che la rottamazione ha fruttato molto di piuÁ di quanto non sia stata la perdita di gettito se lo stato avesse scelto l'imposizione fiscale come copertura degli investimenti. Il professore Monorchio continua il suo intervento soffermandosi sulla necessitaÁ di incentivare gli investimenti in modo tale che questi siano effettuati in maniera efficiente, ad esempio sostenendo lo sviluppo del Mezzogiorno, valorizzando le risorse culturali, ambientali e turistiche di questa zona, senza dimenticare di incentivare le piccole e medie imprese. Con l'ansia di voler rispettare i parametri di Maastricht per entrare in Europa, l'Italia, e non solo, ha sacrificato la ricerca scientifica e tecnologica, cosicche i ricercatori italiani sono costretti, spesso, a lavorare all'estero. Le risorse servono anche ad investire nella ricerca e nell'informazione per sviluppare il nostro paese. Entrare in Europa quali vantaggi comporta? Il professore Monorchio ne 88 mette in evidenza, in particolare, due: in primo luogo l'integrazione, coinvolgendo paesi forti, quali la Germania e la Francia. CioÁ protegge la moneta nazionale dalle ricorrenti crisi finanziarie che interessano i mercati mondiali; la realizzazione del libero scambio e della competitivitaÁ. E necessario, per conseguire una perfetta integrazione e una crescita economica, che ciascun paese, che partecipa all'Unione Europea, sviluppi le proprie aree depresse, in particolare, per l'Italia, il problema riguarda le zone piuÁ arretrate del Mezzogiorno. Per questo motivo, la maggiore preoccupazione per lo stato eÁ quella di assicurare all'Italia la stabilitaÁ economica e piuÁ benessere. In particolare, si punta sull'eliminazione delle differenze economiche tra Nord e Sud, perche l'entrata in Europa non ammette aree marginali. Lo sforzo per l'incremento delle risorse da destinare alle aree meridionali deve essere maggiore, poiche senza lo sviluppo del Mezzogiorno non c'eÁ il decollo dell'Italia, cosõÁ come, a livello europeo, senza lo sviluppo del bacino del Mediterraneo non vi eÁ il progresso dell'Europa. CioÁ non basta, perche l'obiettivo dell'Italia di entrare in Europa presuppone un avanzo della bilancia dei pagamenti e quindi un buon livello di concorrenza. La difficoltaÁ consiste, per le imprese, di mantenere questa competitivitaÁ in termini di costo di lavoro, di flessibilitaÁ dei mercati, di beni e di manodopera. Se per entrare in Europa eÁ necessario l'adeguamento della burocrazia italiana con quella degli altri paesi europei, cosõÁ eÁ indispensabile un'omogeneitaÁ a livello locale, pensando che ormai l'Italia si dirige al federalismo, in cui gran parte dei programmi europei sono affidati alle regioni e alle autonomie locali. Si tratta di un federalismo di tipo cooperativo, poiche il patto di stabilitaÁ prevede il sistema delle autonomie della finanza pubblica per un'attivitaÁ di controllo nel rispetto dei parametri fissati dallo stesso patto. Per la popolazione, dal 1994, l'Italia si presenta in Europa con una societaÁ di ultrasessantenni la cui crescita arriveraÁ, nel 2044, al 179 per cento degli italiani. Il numero dei giovani si ridurraÁ del 21 per cento, mentre gli ultraottantenni passeranno dal 4 all'11 per cento. CioÁ incideraÁ negativamente sulla spesa per l'istruzione, per una remunerazione maggiore rispetto al calo delle nascite, sulla spesa sanitaria, per effetto di una popolazione che invecchia, e sui sistemi pensionistici a ripartizione, per un incremento della spesa pensionistica e una riduzione dei contributi. Le previsioni per il futuro rilevano un incremento delle pensioni, fino al 2030, dell'1,6 per cento per il processo di invecchiamento. Per effetto della riforma pensionistica, si prevede il calo della spesa delle pensioni sul PIL, per poi arrivare al 2045 ai valori attuali. SaraÁ necessario attuare, in termini di bilancio, una politica restrittiva per contenere il debito pubblico in modo tale che il rapporto debito/PIL si mantenga nei limiti del 60 per cento. 89 Per la responsabilitaÁ della classe politica, Monorchio sottolinea la necessitaÁ di una riforma della dirigenza politica, che non sia piuÁ quella degli anni Settanta e Ottanta, caratterizzata da una gestione arbitraria della ``cosa pubblica'' e da un potere incontrollato, salvo alcune eccezioni. Il professore accetta la figura del ``citymanager'' della nuova dirigenza comunale, cioeÁ un modello di scelta delle professionalitaÁ piuÁ adeguato al ruolo da ricoprire. Dal 1993, la nuova disciplina della dirigenza statale prevede la contrattualizzazione del rapporto di lavoro, anche per l'alta dirigenza, la temporaneitaÁ degli incarichi, l'inserimento dei dirigenti in due fasce nell'ambito di un ruolo unico, la rotazione e la piuÁ ampia mobilitaÁ dei soggetti. Da non dimenticare la necessitaÁ di scegliere il miglior personale, non solo attraverso concorsi pubblici, ma anche valutando accuratamente i curricula e le effettive capacitaÁ manageriali e formare una classe dirigenziale che acquisisca l'esperienza sia del settore privato che di quello pubblico. Si daÁ molta importanza all'organizzazione dell'amministrazione pubblica, in particolare quella regionale e locale, perche la sua struttura deve assicurare un continuo aggiornamento, tale da rendere il livello di professionalitaÁ competitivo nei confronti dei sistemi burocratici degli altri paesi. Per una riforma della pubblica amministrazione bisogna puntare su cinque elementi: la delegificazione, semplificando l'attivitaÁ amministrativa con provvedimenti normativi meno complessi, piuÁ diretti ed efficaci; la semplificazione, che eÁ un obiettivo molto lontano per l'Italia ± come ad esempio l'autocertificazione prevista con una legge del 1968, ma applicata solo nel 1999 ± perche lo stato ha una struttura burocratica per la quale si tutela da qualsiasi rischio legato al cittadino e all'impresa; la sussidiarietaÁ, che richiede la cooperazione tra il potere locale e centrale, proprio perche il primo eÁ parte integrante del secondo; la trasparenza sulle informazioni da fornire al pubblico e sull'attivitaÁ della Pubblica Amministrazione; infine, la comunicazione delle informazioni, da attuare non solo per il bilancio statale ma per qualsiasi importante legge e atto amministrativo. La partecipazione all'Unione Europea richiede un grosso cambiamento della Carta Costituzionale. In particolare, il governo dovraÁ assumersi piena responsabilitaÁ nella gestione della finanza pubblica, mentre il parlamento potraÁ approvare, o respingere, il piano finanziario senza peroÁ decidere alcuna variazione di spesa. Il professore Monorchio sottolinea la necessitaÁ di una migliore cooperazione tra stato e mercato, anche se giaÁ eÁ stato fatto molto con la liberalizzazione dei settori delle telecomunicazioni e dell'energia elettrica, con l'introduzione delle ``Authorities'' in alcuni settori, come quello delle telecomunicazioni e delle televisioni. E necessario l'intervento dello stato nell'economia per risanare la gestione di alcuni enti, quale l'IRI. Resta ancora qualcosa da fare per le 90 poste e le ferrovie e, soprattutto, nel settore assicurativo ancora poco liberalizzato. Alla fine del suo intervento, il professore Monorchio insiste sulla necessitaÁ di risollevare il Mezzogiorno, perche da questo dipende il futuro dell'Italia. Cercare di puntare verso obiettivi sempre piuÁ alti di sviluppo, riducendo la spesa pubblica corrente e la pressione fiscale, elementi che riuscirebbero a far affrontare all'Italia anche il calo demografico, considerando che il nostro Walfare State si eÁ trasformato in uno stato assistenziale. SaraÁ necessario, nel futuro, sfruttare al massimo l'impegno che i politici italiani hanno avuto a livello europeo ed internazionale per rafforzare la posizione economica dell'Italia. Uno degli ultimi obiettivi, ma non in termini di importanza, eÁ la necessitaÁ di effettuare nuovi investimenti per la formazione delle risorse umane, per la riorganizzazione della classe dirigente e per lo sviluppo dei sistemi pubblici. Per superare tali ostacoli e rendere concreti gli obiettivi, le forze politiche dovranno confrontarsi e discutere sulle proposte per il futuro. Nel libro del professore Monorchio i problemi dell'economia, della finanza pubblica, dell'amministrazione statale e delle istituzioni sono paragonati alle varie tappe del gioco dell'oca, perche l'importante non eÁ arrivare per primi, ma eÁ saper raggiungere le caselle intermedie ed essere in grado di ripartire subito verso nuovi obiettivi. 91