Sì. Anzi, no. La fine del tempo sembra tanto impossibile

[ cosmologia ]
Può finire il
tempo?
Sì. Anzi, no. La fine del tempo sembra tanto impossibile quanto inevitabile.
Un paradosso la cui soluzione è suggerita da ricerche recenti in fisica teorica
<< di George Musser >>
■ La
teoria della relatività generale
di Einstein prevede che il tempo
possa avere una fine in condizioni
dette di «singolarità» che si
verificano per esempio quando la
materia raggiunge il centro di un
buco nero o l’universo collassa in
un big crunch. Ma la teoria
prevede anche che le singolarità
siano fisicamente impossibili.
■ Considerando
la morte del tempo
come un processo graduale e non
improvviso potremmo risolvere
questo paradosso. Il tempo
potrebbe perdere le sue
numerose caratteristiche una
dopo l’altra: la direzionalità, la
nozione di durata e il ruolo
nell’ordine causale degli eventi.
Infine, il tempo potrebbe portare
a una fisica più profonda, che
faccia a meno del tempo.
100 LE SCIENZE
Questa tremenda prospettiva era una previsione inaspettata della teoria generale della relatività di Einstein, che fornisce l’interpretazione moderna della gravità.
Prima di quella teoria la maggior parte dei fisici e dei filosofi considerava il tempo
come un battito universale, come il ritmo che fa danzare il cosmo e che non varia,
non si interrompe e non si ferma. Einstein ha dimostrato che l’universo è più simile
a una jam session con tanti ritmi diversi. Il tempo può rallentare, distendersi o scatenarsi. Quando sperimentiamo la forza di gravità, in realtà stiamo sperimentando
l’improvvisazione ritmica del tempo. Gli oggetti in caduta sono attratti verso luoghi
in cui il tempo scorre più lentamente. Il tempo non solo influenza quello che la materia fa, ma reagisce anche a ciò che la materia sta facendo, come batteristi e ballerini che si infiammano a vicenda nella frenesia del ritmo. Quando perde il controllo, però, il tempo può andare in fumo come un batterista sovreccitato che prende
fuoco spontaneamente.
I momenti in cui ciò avviene sono detti «singolarità». Il termine in realtà si riferisce a qualsiasi confine del tempo, sia all’inizio sia alla fine. La singolarità più conosciuta è il big bang, quell’istante di 13,7 miliardi di anni fa in cui, in seguito a
507 novembre 2010
Holly Lindem (tutte le fotografie)
in sintesi
Nella nostra esperienza, nulla finisce davvero. Quando moriamo il nostro corpo si degrada, e la materia di cui è composto
torna alla terra e all’aria, permettendo la creazione di nuova
vita. Viviamo in quello che viene dopo. Ma sarà sempre così? Potremmo arrivare al punto in cui non c’è più un «dopo»?
Purtroppo, secondo la fisica, la risposta potrebbe essere «sì». Il
tempo stesso potrebbe finire e non ci sarebbe né rinnovamento né recupero. La fine del tempo sarebbe la fine delle fini.
[ COME PUÒ FINIRE IL TEMPO ]
Una stella collassa in un
buco nero (aumentando
di densità nel tempo)
Secondo la teoria generale della relatività di Einstein, il tempo
può finire in un’inquietante varietà di modi. Per esempio, quando
si forma un buco nero la densità della materia aumenta,
intensificando la forza di gravità, che a sua volta aumenta
ulteriormente la densità, che aumenta ulteriormente la gravità,
fino a quando entrambe diventano infinite: è una condizione
detta «singolarità» (a destra). La materia cessa di esistere, e il
tempo in quella regione di spazio si esaurisce. L’intero universo
potrebbe avere un destino del genere (sotto).
La densità
infinita (stella
totalmente
collassata)
segna la fine
del tempo
Tempo
SERI PROBLEMI PER IL TEMPO
Big Crunch
Big Whimper
Big Rip
Big Freeze
Big Brake
Big Lurch
L’espansione cosmica
rallenta, trattenuta
dalla gravità della
materia. A un certo
punto si ferma e inverte
il processo, collassando
in una singolarità che
decreta la fine del
tempo. In passato era
ritenuto uno scenario
probabile, oggi è
incerto. La materia è
troppo diffusa per agire
da freno, inoltre
una forma di energia
invisibile (l’energia
oscura) sembra
spingere
sull’acceleratore.
L’universo si espande
indefinitamente, e
diventa sempre più
vuoto e oscuro. Per gli
astronomi è lo scenario
più probabile. Il tempo
non finisce mai, ma
perde gradualmente di
significato. L’universo
subisce la «morte
termica», uno stato di
equilibrio in cui ogni
processo è subito
distrutto, in modo che il
tempo non ha una
chiara progressione
in avanti e non può
nemmeno presentarsi
in unità ben definite.
L’universo va in pezzi,
e questo può accadere
se l’energia oscura non
è costante, come
prevedono molti
modelli, ma aumenta di
potenza. Ipotizzata nel
1999, questa forma
potentissima di energia
oscura è chiamata
«energia fantasma». Fa
espandere l’universo
all’infinito – anche gli
atomi vengono distrutti
– e pone fine al tempo.
Secondo alcuni
scenari, la fine
potrebbe avvenire fra
20 miliardi di anni.
L’universo si riempie di
energia fantasma e
raggiunge una densità
infinita, espandendosi
però di una quantità
finita. La materia
sopravvissuta è ferma,
impedita nel
movimento, e il tempo
si blocca. Un big freeze
localizzato può
avvenire se l’universo è
una membrana che si
muove in uno spazio di
dimensionalità
maggiore (come
ipotizza la teoria delle
stringhe) e inizia a
oscillare con violenza.
La materia oscura non
guida più l’espansione
cosmica, ma al
contrario la ritarda,
frenando bruscamente
l’espansione: il tasso
di decelerazione è
infinito. Ipotizzato per
la prima volta nel 1994,
l’evento è traumatico,
visto che le strutture
cosmiche sono
soggette a forze di
marea di intensità
infinita. Sebbene altre
grandezze rimangano
finite, la situazione ha
conseguenze infelici
per il tempo.
Ipotizzata nel 2004,
questa singolarità non
richiede energia
oscura; basta che la
materia ordinaria
assuma un movimento
sufficientemente
frenetico. Le forze di
pressione diventano
infinite, mentre densità
e tasso di espansione
rimangono in territorio
sicuro. Il tempo
potrebbe proseguire o
meno. Le osservazioni
astronomiche non
escludono una simile
catastrofe fra appena 9
milioni di anni.
102 LE SCIENZE
che coniughi la scoperta di Einstein con la meccanica quantistica per
dare vita a una teoria quantistica della relatività. In questo modo gli
scienziati sperano di eliminare le singolarità dalla teoria. Ma la soluzione richiede cautela: la fine del tempo è difficile da immaginare,
ma un tempo infinito potrebbe rivelarsi altrettanto paradossale.
Confini del tempo
I filosofi hanno discusso sulla mortalità del tempo molto prima di
Einstein. Immanuel Kant considerava la questione una «antinomia»,
cioè un caso in cui sia la tesi sia l’antitesi appaiono corrette, ed è difficile farsi un’opinione.
Una sera anche mio suocero è stato coinvolto in un dilemma del
genere. Era arrivato in aeroporto e aveva scoperto che il suo aereo
era partito molte ore prima. Al check-in lo avevano rimproverato
perché avrebbe dovuto sapere che l’orario di partenza delle 12 AM si
riferiva all’inizio del giorno. Tuttavia, la confusione di mio suocero
era comprensibile. Ufficialmente, le «12 AM» non esistono: la mezza507 novembre 2010
Jason Lee
un’esplosione, il nostro universo iniziò a esistere e a espandersi accompagnato dal tempo. Se un giorno l’universo smetterà di espandersi e inizierà di nuovo a contrarsi, evolverà in una specie di big bang al
contrario, il big crunch, e arresterà lo scorrere del tempo.
Il tempo non finirà necessariamente ovunque. Secondo la teoria
della relatività, il tempo può finire nei buchi neri e proseguire nel resto dell’universo. I buchi neri godono di una meritata fama distruttiva, ma la realtà è anche peggiore. Chi cadesse in uno buco nero non
solo sarebbe fatto a pezzi: i suoi resti arriverebbero in una singolarità
al centro del buco e il suo orizzonte del tempo scomparirebbe. Nessuna nuova vita rinascerebbe dalle sue ceneri, le sue molecole non sarebbero riciclate. Come un personaggio all’ultima pagina di un libro,
non incontrerebbe solo la morte, ma un’apocalisse esistenziale.
Ci sono voluti decenni prima che i fisici accettassero l’inquietante congettura di una morte priva di rinascita, come previsto dalla relatività, e ancora oggi non sanno che farsene. Forse le singolarità sono la ragione principale per cui i fisici cercano una teoria unificata,
Jason Lee
q
Aumento di densità
IL GIORNO DEL GIUDIZIO
notte non è né antimeridiana né pomeridiana. È allo stesso tempo la
fine di un giorno e l’inizio del successivo. Nella notazione basata sulle 24 ore si scrive sia 24:00 sia 00:00.
Aristotele sfruttava un principio analogo per sostenere che il tempo non può avere né inizio né fine. Ogni istante è sia la fine di un’era
sia l’inizio di qualcosa di nuovo; ogni evento è sia il risultato di qualcosa sia la causa di altro. Come potrebbe avere fine il tempo? Che cosa impedirebbe all’ultimo evento della storia di causarne un altro? In
effetti, come definire la fine del tempo, se il concetto stesso di «fine»
presuppone il tempo? «Non è logicamente possibile che il tempo abbia fine», dice Richard Swinburne, filosofo dell’Università di Oxford.
Ma se il tempo non può finire, l’universo deve essere infinitamente
longevo, e questo porta agli enigmi legati al concetto di infinito. In
passato i filosofi avevano ritenuto assurdo che l’infinito non fosse
altro che un’idealizzazione matematica.
Il trionfo della teoria del big bang e la scoperta dei buchi neri
sembravano aver chiarito la questione. L’universo è ricco di singolarità, e potrebbe subire vari cataclismi temporali; anche se
sfuggisse al big crunch (grande collasso), potrebbe finire in un
big rip (grande strappo), big freeze (grande gelo) o big brake (grande frenata) (si veda il box a fronte). Ma se ci chiediamo che cosa siano davvero queste singolarità, la risposta non è chiara. «La fisica delle
singolarità è terra di conquista», dice il filosofo della fisica Lawrence
Sklar dell’Università del Michigan ad Ann Arbor.
La stessa teoria che ha prodotto simili mostri suggerisce che non
possano esistere. Alla singolarità del big bang, per esempio, la teoria
della relatività sostiene che i precursori di ogni galassia che vediamo erano compressi in un unico punto matematico: non una punta di spillo, ma un vero e proprio punto di dimensione nulla. Analogamente, in un buco nero ogni particella di un astronauta sarebbe
schiacciata in un punto infinitesimale. In entrambi i casi calcolare la
densità significa dividere per un volume nullo, ottenendo un valore
infinito. In altri tipi di singolarità non è la densità, sono altre grandezze a diventare infinite.
I fisici non condividono l’avversione di Aristotele e Kant nei confronti dell’infinito, che interpretano come segnale del fatto che la
teoria si è spinta troppo lontano. Consideriamo per esempio la teoria dell’ottica geometrica, insegnata nelle scuole medie, che spiega
molto bene le prescrizioni dell’oculista e gli specchi dei luna park.
Secondo questa teoria, una lente concentra la luce di una sorgente lontana in un solo punto matematico, generando un’intensità luminosa infinita. In realtà la luce non è concentrata in un solo punto, ma su un’area circolare. La sua intensità è elevata, ma comunque
finita. L’ottica geometrica sbaglia, perché la luce non è un raggio, è
un’onda.
In modo simile, quasi tutti i fisici presumono che le singolarità cosmiche abbiano una densità finita, anche se elevata. La teoria della relatività cade in errore perché non spiega alcuni aspetti rilevanti
della gravità o della materia che entrano in gioco presso le singolarità e tengono sotto controllo la densità. «Molti direbbero che questi
aspetti segnalano che la teoria è sbagliata in quel punto», dice James
B. Hartle, fisico all’Università della California di Santa Barbara.
Per capire che cosa succeda davvero servirà una teoria quantistica
della gravità. I fisici stanno lavorando a questa teoria che dovrebbe
integrare l’intuizione centrale della meccanica quantistica: la matewww.lescienze.it
I QUATTRO STADI DELLA FINE DEL TEMPO
La fine del tempo potrebbe essere un processo che avviene per
gradi, mentre l’universo regredisce verso uno stato più primitivo
in cui il tempo non ha significato. (La sequenza mostrata qui sotto
e nelle pagine seguenti non è rigida; i singoli passaggi potrebbero
sovrapporsi o verificarsi in un ordine diverso).
1LA FRECCIA DEL TEMPO SI ROMPE
[ PERDITA DI DIREZIONALITÀ ]
Il tempo smetterà di marciare in avanti quando
l’universo esaurirà l’energia a disposizione e
raggiungerà una condizione di stasi generale.
Lo scenario mostrato qui sotto avviene in un
universo in espansione perpetua, ma il
tempo può perdere la sua direzionalità
anche in altri scenari. Da quel momento in
poi, l’unica attività consisterà in fluttuazioni
casuali di densità ed energia, a causa delle
quali gli eventuali orologi presenti si
limiteranno a oscillare avanti e indietro.
L’universo primordiale
è un gas quasi uniforme
Il gas si aggrega
a causa della forza
di gravità
La materia collassa fino
a formare buchi neri
I buchi neri
emettono radiazione
e scompaiono
La radiazione si dissipa
e rimane solo spazio
vuoto
Da quel momento,
praticamente non
cambia più nulla
LE SCIENZE 103
104 LE SCIENZE
2 IMPOSSIBILE STABILIRE IL TEMPO
3 IL TEMPO svanisce NELLO SPAZIO
[ SCOMPARSA DELLA DURATA ]
[ perdita della causalità ]
Il concetto di durata non avrà più senso quando
ogni sistema che segna intervalli di tempo
regolari sarà annientato o inghiottito dai
buchi neri. L’energia potrebbe sfuggire
dai buchi neri, ma sotto forma di
radiazione, cioè fotoni e altre particelle
prive di massa. Dato che queste particelle
non hanno una scala di tempo fissata e
non cambiano nel tempo, non si possono
usare per costruire nuovi orologi.
Il tempo sarà ridotto a una semplice dimensione
dello spazio, rompendo il legame tra causa ed
effetto. Ciò potrebbe succedere se il nostro
universo è una «brana» che fluttua in uno
spazio di dimensionalità maggiore, e che
inizia a oscillare in modo tanto forte che la
dimensione temporale si piega e si
trasforma in una dimensione spaziale,
producendo quello che sperimenteremmo
come big freeze.
La nostra brana fluttua
tranquillamente nello
spazio, e siamo liberi
di muoverci su di essa
I sistemi planetari
si disintegrano,
e i buchi neri attraggono
la materia
Pianeta
in fuga
Brana
Galassia
Ma se la brana accelera
o diventa fortemente
curva, dobbiamo essere
più veloci della luce per
continuare a muoverci
su di essa. Visto che è
impossibile, verremmo
immobilizzati nella
posizione che occupiamo
I buchi neri emettono radiazione,
che non si può usare per costruire
orologi o loro equivalenti naturali
Probabilmente il personaggio più umano di 2001: Odissea nello spazio è il computer HAL9000: espressivo e creativo, è un fascio
di cavi elettrici e anche di contraddizioni. La sua morte evoca quella
umana. Mentre Dave estrae lentamente i circuiti stampati, HAL perde le facoltà mentali e descrive le sue sensazioni, articolando l’esperienza della regressione in un modo in cui le persone che muoiono
spesso non sono in grado di fare. La vita umana è la più complessa
opera di organizzazione tra quelle note agli scienziati e il suo emergere attraversa la linea d’ombra tra vita e non-vita. La medicina accende una luce in quell’ombra, i clinici salvano neonati prematuri
che un tempo non sarebbero sopravvissuti e riportano in vita persone che hanno oltrepassato il punto da cui un tempo non si sarebbe fatto ritorno.
Mentre fisici e filosofi lottano per capire la fine del tempo, molti
vedono analogie con la fine della vita. Come la vita emerge da molecole che si auto-organizzano, il tempo potrebbe emergere da qualche
sostanza elementare atemporale che raggiunge un ordine (si veda Il
507 novembre 2010
Jason Lee
Come passa il tempo
Jason Lee
ria, come la luce, ha le proprietà di un’onda. Queste proprietà dovrebbero spalmare la presunta singolarità in un piccolo batuffolo e
non in un punto, eliminando l’errore della divisione per zero. Se così
fosse, il tempo potrebbe non finire.
I fisici sostengono entrambe le tesi. Alcuni pensano che il tempo finirà. Il problema di questa opzione è che le leggi note della fisica sono valide all’interno del tempo e descrivono il modo in cui si
muovono ed evolvono le cose. La fine del tempo va oltre il raggio d’azione di queste leggi e dovrebbe essere governata da un
nuovo tipo di legge fisica, che eviti concetti temporali come il
moto e l’evoluzione in favore di concetti privi di tempo come
l’eleganza geometrica. Tre anni fa Brett McInnes della National
University di Singapore si è ispirato alla principale candidata per
una teoria quantistica della gravità, la teoria delle stringhe, ipotizzando che l’universo primordiale avesse la forma di un toro; in base ai teoremi matematici sul toro, l’universo doveva essere uniforme e liscio. Al momento del big crunch o della singolarità di un buco
nero, però, l’universo potrebbe avere qualsiasi forma, e lo stesso ragionamento non è più necessariamente valido; l’universo, in generale, potrebbe essere molto frastagliato. Una simile legge geometrica
della fisica differisce dalle consuete leggi dinamiche in modo fondamentale: non è simmetrica rispetto al tempo. La fine non sarebbe solo l’inizio visto al contrario.
Altri ricercatori ritengono che il tempo duri per sempre, senza inizio né fine. Dal loro punto di vista, il big bang fu semplicemente
una brusca transizione nella vita eterna dell’universo. Forse l’universo prima del big bang aveva cominciato a collassare, e aveva invertito la marcia con un big bounce quando la densità era diventata troppo grande. Alcune testimonianze di questo passato potrebbero essere
giunte fino ai nostri giorni (si veda L’universo che rimbalza, di Martin Bojowald, in «Le Scienze» n. 484, dicembre 2008). Secondo un ragionamento simile, il vortice nel cuore di un buco nero dovrebbe bollire e gorgogliare come una stella in miniatura. Cadendo in un buco
nero patiremmo una morte dolorosa, ma almeno l’orizzonte del tempo non scomparirebbe. Le particelle sarebbero catturate dal vortice
su cui lascerebbero un’impronta che le future generazioni potrebbero
vedere nella debole luce proveniente dal buco nero.
Supponendo che il tempo sopravviva, i sostenitori di questo approccio si sottraggono al dibattito su un nuovo tipo di legge della fisica. Ma anche loro hanno qualche problema da risolvere. Per esempio, l’universo diventa sempre meno ordinato nel tempo: ma se è
sempre esistito, perché oggi non si trova in uno stato di disordine totale? E come può la luce che trasporta le nostre impronte sfuggire
all’attrazione gravitazionale di un buco nero?
La verità è che i fisici combattono con l’antinomia non meno dei
filosofi. John Archibald Wheeler, pioniere della gravità quantistica,
scriveva: «L’equazione di Einstein dice “ecco la fine” e la fisica dice
“non c’è alcuna fine”». Di fronte a questo dilemma, alcuni gettano la
spugna e concludono che la scienza non potrà mai stabilire se il tempo finisce. Per questi scienziati le frontiere del tempo sono anche le
frontiere della ragione e dell’osservazione empirica. Ma secondo altri il problema richiede solo qualche intuizione innovativa. «È nelle possibilità della fisica», dice il fisico Gary Horowitz all’Università
di California a Santa Barbara. «La gravità quantistica dovrebbe darci una risposta definitiva».
tempo è un’illusione?, di Craig Callender, in «Le Scienze» n. 504, agosto 2010). Un mondo temporale ha una struttura organizzata. Il tempo ci dice quando gli eventi accadono, quanto durano e in che ordine
avvengono. Forse questa struttura è emersa dell’interno. Quello che si
può fare, si può disfare. Quando la struttura crolla, il tempo finisce.
Secondo questo pensiero, l’estinzione del tempo non è più paradossale della disintegrazione di ogni altro sistema complesso. Come la morte umana, non si tratta di un evento, ma di un processo.
Il tempo perde le sue proprietà una dopo l’altra e attraversa la linea
d’ombra tra esistenza e non-esistenza.
La prima proprietà a sparire potrebbe essere la freccia del tempo,
che punta dal passato al futuro. Fin dal XIX secolo i fisici hanno riconosciuto che la freccia non è una proprietà del tempo in sé, ma della
materia. Il tempo è intrinsecamente bidirezionale; la freccia che percepiamo è la degenerazione della materia dall’ordine al caos. (L’ordine
originale potrebbe essere dovuto al principio geometrico congetturato
da McInnes.) Se questa tendenza sarà mantenuta l’universo si avvicinerà a uno stato di equilibrio, o di morte termica, in cui il disordine
www.lescienze.it
non potrà aumentare. Le particelle continueranno a mescolarsi, ma
l’universo smetterà di evolvere, ogni orologio oscillerà in entrambe le
direzioni e il futuro non si distinguerà dal passato (si veda Le origini
cosmiche della freccia del tempo, di Sean M. Carroll, in «Le Scienze»
n. 480, agosto 2008). Qualche fisico ha ipotizzato che la freccia possa
invertirsi e riordinare l’universo. Ma per le creature mortali, la cui esistenza dipende dall’incedere del tempo, questa inversione rappresenterebbe la fine del tempo proprio come la morte termica.
Perdere traccia del tempo
Gli studi più recenti suggeriscono che la freccia non è l’unica proprietà che il tempo potrebbe perdere nella morte per logoramento,
un’altra potrebbe essere il concetto di durata. Il tempo a noi familiare
si presenta come quantità: secondi, giorni, anni. Altrimenti potremmo affermare che gli eventi avvengono in ordine cronologico ma
non sapremmo quanto durano. Questo scenario è descritto da Roger
Penrose, fisico dell’Università di Oxford, nel suo nuovo libro Cycles
of Time: An Extraordinary New View of the Universe.
Nella sua carriera, sembra davvero che Penrose si sia accanito
contro il tempo. Negli anni sessanta, con Stephen Hawking, ha dimostrato che le singolarità non compaiono solo in particolari condizioni ma dovrebbero essere ovunque. Ha anche sostenuto che la materia
che precipita in un buco nero non ha vita ulteriore e che non c’è posto per il tempo in una teoria della fisica davvero fondamentale.
Nel suo ultimo attacco, Penrose inizia da un’osservazione basilare sull’universo primordiale, che immagina come una scatola di Lego
appena gettata sul pavimento e non ancora montata: un miscuglio di
quark, elettroni e altre particelle elementari da cui si sono aggregate
strutture come atomi, molecole, stelle e galassie, una dopo l’altra. Il
primo passo è stata la formazione di protoni e neutroni, composti da
tre quark e con il diametro di un femtometro (10–15 metri), avvenuta
dieci microsecondi dopo il big bang (o quello che è stato).
Prima di allora non c’era alcuna struttura, non c'era nulla composto da elementi legati tra loro. Dunque non c’era nulla che potesse funzionare come orologio. Le oscillazioni di un orologio si basano
su un riferimento preciso come la lunghezza di un pendolo, la distanza tra due specchi o la dimensione degli orbitali atomici. Un sistema
di riferimento del genere non esisteva ancora. Forse gruppi di particelle potevano associarsi temporaneamente, ma non potevano misurare il tempo, visto che non avevano una dimensione fissa. Quark ed
elettroni non potevano essere un riferimento, perché non avevano dimensione. Per quanto i fisici osservino queste particelle da vicino, riescono a vedere solo un punto. L’unica caratteristica simile alla dimensione da assegnare alle particelle è la «lunghezza d’onda Compton»,
che determina la scala degli effetti quantistici ed è inversamente proporzionale alla massa. E fino a circa 10 picosecondi dopo il big bang
non c’era nemmeno questa scala rudimentale, perché i processi con
cui le particelle acquisivano massa non erano iniziati.
«Non c’è alcun orologio», dice Penrose. «Le cose non sanno come
tenere traccia del tempo». Senza nulla in grado di segnare intervalli
di tempo regolari, le particelle nel brodo primordiale non avrebbero
percepito alcuna differenza tra un attosecondo e un femtosecondo.
Penrose sostiene che questa situazione descrive non solo il passato remoto, ma anche il futuro più lontano. Molto tempo dopo lo spegnimento delle stelle, l’universo sarà un tetro miscuglio di buchi neri
LE SCIENZE 105
4 LA GEOMETRIA SI DISSOLVE
[ PERDITA della STRUTTURA ]
Il tempo scompare improvvisamente quando
l’universo precipita nell’anarchia, che
esplode al livello di realtà più profondo,
addirittura più profondo di quello delle
particelle e delle forze conosciute. I
processi sono tanto complessi che
diventa impossibile stabilire se
avvengono in luoghi e tempi specifici.
Per farci un’idea, consideriamo il
cosiddetto principio olografico.
L’universo
potrebbe essere
bidimensionale,
ma certe sue
regolarità
potrebbero farlo
apparire
tridimensionale,
come se fosse
la proiezione di
un ologramma
Stella che collassa
bile. Come conseguenza tutti i processi si bloccherebbero, visto che
ogni processo implicherebbe un movimento di qualche tipo.
Vista dall’esterno, la cronologia composta da momenti successivi
della nostra vita non ha fine: si piega per trasformarsi in una linea attraverso lo spazio. La brana è ancora quadridimensionale, ma ora le
quattro dimensioni sarebbero tutte spaziali. Mars sostiene che gli oggetti «sono costretti dalla brana a muoversi a velocità sempre più vicine alla velocità della luce, fino a quando le traiettorie si piegano al
punto di diventare superluminali e il tempo scompare. Il punto chiave
è che gli oggetti potrebbero essere ignari di ciò che sta accadendo».
Dato che anche gli orologi rallenterebbero e si fermerebbero, non
avremmo modo di accertare che il tempo si stia trasformando in spazio. Osserveremmo solo che oggetti come le galassie sembrano accelerare. Proprio il fenomeno osservato dagli astronomi e di solito
spiegato con la cosiddetta «energia oscura». L’accelerazione, invece,
potrebbe essere il canto del cigno del tempo?
e particelle libere; a quel punto spariranno addirittura i buchi neri e
rimarranno solo particelle, la maggior parte delle quali prive di massa come i fotoni, e sarà impossibile costruire un orologio. Anche negli scenari alternativi gli orologi non se la passano bene.
Si potrebbe pensare che la durata avrà un senso in astratto, anche se nulla riuscirà a misurarla. Ma i ricercatori dubitano che una
quantità che non si può misurare nemmeno in teoria esista veramente. Secondo gli scienziati, l’impossibilità di costruire un orologio è il
segnale che il tempo è stato privato di una delle sue caratteristiche
fondamentali. «Se il tempo è ciò che si misura con un orologio e non
ci sono orologi, il tempo non esiste», dice il filosofo della fisica Henrik Zinkernagel dell’Università di Granada.
Sebbene sia elegante, lo scenario di Penrose ha alcuni punti deboli. Nel futuro remoto non tutte le particelle avranno massa nulla;
sopravvivrà qualche elettrone con cui si potrebbe costruire un orologio. Penrose sostiene che gli elettroni perderanno massa, ma ammette la debolezza della sua tesi: «È uno dei punti meno efficaci della
teoria», dice. Inoltre, se l’universo primordiale non aveva scala, come
poteva espandersi, diradarsi e raffreddarsi?
Se Penrose avesse intuito qualcosa, invece, le conseguenze sarebbero notevoli. Sebbene l’universo compatto dei primordi e l’evanescente vuoto del futuro sembrino in opposizione, sono ugualmente
privi di orologi e di altre misure di scala. «Il big bang è molto simile
al futuro remoto», dice Penrose. Secondo la sua ipotesi, in realtà sono lo stesso stadio di un grande ciclo cosmico. Quando il tempo finirà, tornerà indietro a un nuovo big bang. Penrose potrebbe aver trovato il modo di tenere in vita il tempo dopo aver speso una carriera a
sostenere che le singolarità ne segnano la fine.
Il tuo tempo è finito
Vicino ai buchi
neri, l’universo
diventa sempre
più caotico,
producendo
un’ambiguità nella
collocazione
spaziale e
temporale degli
eventi
A un certo punto
la proiezione
tridimensionale
si interrompe,
e rimane solo
un sistema
bidimensionale
altamente
complesso
106 LE SCIENZE
Buco nero
Anche se la durata perdesse di significato, il tempo non sarebbe
ancora morto e continuerebbe a fare in modo che gli eventi si sviluppino in una sequenza di causa ed effetto. A questo proposito, il tempo è diverso dallo spazio, che pone pochi vincoli alla disposizione
degli oggetti. Due eventi adiacenti nel tempo sono indissolubilmente legati: se batto sulla tastiera, le lettere appaiono sullo schermo. Invece due oggetti adiacenti nello spazio, una tastiera e un post-it, potrebbero non avere alcuna relazione. Le relazioni spaziali non hanno
la stessa inevitabilità di quelle temporali.
Ma in certe condizioni il tempo potrebbe perdere addirittura questa funzione basilare di ordinamento e trasformarsi in una dimensione dello spazio. L’idea è degli anni ottanta, quando Hawking e Hartle
hanno provato a spiegare il big bang come il momento in cui il tempo e lo spazio si differenziarono. Tre anni fa Marc Mars, dell’Università di Salamanca, con José M.M. Senovilla e Raül Vera, dell’Università
dei Paesi Baschi, ha applicato un’idea analoga alla fine del tempo.
Hawking e Hartle si sono ispirati alla teoria delle stringhe e alla
sua congettura secondo cui il nostro universo quadridimensionale –
tre dimensioni dello spazio più una del tempo – potrebbe essere una
membrana, o «brana», che fluttua in uno spazio di dimensione superiore come una foglia al vento. In genere siamo liberi di vagabondare nella nostra prigione a quattro dimensioni. Ma se la brana viene
tirata abbastanza forte possiamo solo tenere duro; non possiamo più
muoverci. In particolare, per compiere un movimento in avanti lungo la brana dovremmo procedere più veloci della luce, ed è impossi507 novembre 2010
Jason Lee
Il tempo si ferma
A questo ultimo stadio potrebbe sembrare che il tempo svanisca,
ma in realtà una sua ombra resiste ancora. Anche se non si possono più definire durata e relazioni causali, si possono etichettare gli
eventi con il tempo in cui accadono e li si può disporre su una linea
cronologica. Diversi teorici hanno fatto progressi su come il tempo
potrebbe perdere anche quest’ultima caratteristica. Emil J. Martinec e
Savdeep S. Sethi dell’Università di Chicago, Daniel Robbins della Texas A&M University, Horowitz e Eva Silverstein della Stanford University e Albion Lawrence della Brandeis University hanno studiato
che cosa succede al tempo nella singolarità di un buco nero, sfruttando una delle idee più potenti della teoria delle stringhe: il principio olografico.
Un ologramma è un’immagine che crea un senso di profondità.
Sebbene sia piatto, l’ologramma è disegnato in modo da sembrare un
oggetto solido che galleggia di fronte a noi nello spazio tridimensionale. Il principio olografico sostiene che l’universo sia simile a una
proiezione olografica. Un sistema complesso di particelle quantistiche che interagiscono tra loro può evocare un senso di profondità,
cioè una dimensione spaziale che nel sistema originario non esiste.
Ma il contrario non è vero. Non tutte le immagini sono ologrammi, perché ogni ologramma deve essere disegnato nel modo giusto.
In modo analogo, non tutte le particelle danno vita a un universo
come il nostro. Se il sistema iniziale è privo delle necessarie proprietà di regolarità e le sviluppa in un secondo momento, compare la dimensione spaziale. Se il disordine riappare, la dimensione torna da
dove era venuta.
Immaginiamo dunque il collasso di una stella che diventa un buco nero. La stella ci appare tridimensionale, ma corrisponde a uno
schema in un sistema di particelle a due dimensioni. Se la gravità
aumenta, il corrispondente sistema planare viene scosso sempre più
forte. Quando si forma una singolarità l’ordine scompare. Il processo è simile alla fusione di un cubetto di ghiaccio: le molecole d’acqua
passano da una struttura cristallina al miscuglio disordinato di un liquido. La terza dimensione, dunque, fonde letteralmente.
La stessa sorte tocca al tempo. Se cadiamo in un buco nero, il
tempo sull’orologio dipende dalla distanza dal centro del buco, definito entro la dimensione spaziale che sta fondendo. Appena scompawww.lescienze.it
re quella dimensione il nostro orologio inizia a girare senza controllo, e diventa impossibile stabilire se gli eventi avvengono in tempi
specifici o se gli oggetti si trovano i luoghi determinati. «La nozione
geometrica usuale dello spazio-tempo – dice Martinec – è finita».
In pratica ciò significa che spazio e tempo non costituiscono più
la struttura del mondo. Se misuriamo la posizione degli oggetti scopriremo che sembrano trovarsi in più di un luogo. La separazione
spaziale perde significato, gli oggetti saltano da una posizione all’altra senza attraversare la distanza intermedia. In effetti, è proprio
questo il modo in cui l’impronta dell’astronauta che supera il punto
di non ritorno di un buco nero, il suo orizzonte degli eventi, può ricomparire. «Se spazio e tempo non esistono vicino a una singolarità,
l’orizzonte degli eventi non è più ben definito», dice Horowitz.
In altre parole la teoria delle stringhe non si limita a «spalmare» la
presunta singolarità, sostituendo il punto vagante con qualcosa di più
accettabile mentre il resto dell’universo resta invariato. La teoria rivela un esaurimento più generale dei concetti di spazio e tempo, i cui
effetti permangono anche allontanandosi dalla singolarità. Per esserne certi, la teoria richiede ancora una nozione primitiva di tempo nel
sistema delle particelle. Gli scienziati stanno sviluppando un concetto di dinamica che non presupponga il tempo. Fino ad allora, il tempo rimarrà aggrappato alla vita. È tanto radicato nella fisica che gli
scienziati non sanno ancora immaginarne la scomparsa.
La scienza spiega l’inspiegabile scomponendolo e dimostrando
che un viaggio impegnativo è solo una successione di piccoli passi. E
questo vale anche per la fine del tempo. Riflettendo sul tempo, rivalutiamo il nostro posto nell’universo come creature morali. Le caratteristiche che il tempo via via perderà sono i prerequisiti della nostra
esistenza. L’unidirezionalità del tempo è necessaria per la nostra evoluzione. Ci serve una nozione di durata e di scala per capire come si
formano le strutture complesse; abbiamo bisogno di un ordinamento
causale dei processi; abbiamo bisogno della separazione spaziale in
modo che i nostri corpi creino una piccola tasca di ordine nel mondo.
Perdute queste qualità, svaniscono anche la nostre possibilità di sopravvivenza. La fine del tempo è qualcosa che forse possiamo immaginare, ma di cui non possiamo avere esperienza diretta, come non si
può mantenere la coscienza al momento della propria morte.
Quando i nostri discendenti lontani saranno prossimi alla fine del
tempo, dovranno lottare per sopravvivere in un universo sempre più
ostile, e i loro sforzi non faranno altro che affrettare l’inevitabile.
Dopo tutto, non siamo vittime passive dell’estinzione del tempo, ne
siamo gli autori. Vivendo, convertiamo energia in rifiuti, e contri­
buiamo alla degenerazione dell’universo. Il tempo deve morire perché noi possiamo vivere.
n
➥ Letture
Toward the End of Time. Martinec E.J., Robbins D. e Sethi S., in «Journal of High
Energy Physics», Vol. 2006, n. 8, 16 agosto 2006. Disponibile all’indirizzo http://
arxiv.org/abs/hep-th/0603104.
Is the Accelerated Expansion Evidence of a Forthcoming Change of Signature
on the Brane? Mars M., Senovilla J.M.M. e Vera R., in «Physical Review D», Vol. 77,
n. 2, 11 gennaio 2008. Disponibile all’indirizzo: http://arxiv.org/abs/0710.0820.
Cycles of Time: An Extraordinary New View of the Universe. Penrose R., Bodley
Head, 2010.
LE SCIENZE 107