Ancora su “Il diritto della libertà” di Axel Honneth di Eleonora

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Ancora su “Il diritto della libertà” di Axel Honneth
di Eleonora Piromalli
L'intervento di Pellizzetti su Il diritto della libertà di Axel Honneth mette in luce lo “stile
iniziatico di scrittura” del libro, ma aggira alcuni nodi concettuali di fondo. Perché è
invece importante un corpo a corpo ravvicinato con le tesi del libro.
Una nota di Pierfranco Pellizzetti1, recentemente pubblicata in questa stessa rubrica, ha il
merito di richiamare l’attenzione dei lettori sul nuovo volume di Axel Honneth, autore
che rappresenta uno dei nomi di punta dell’odierna ricerca filosofico-politica
internazionale. Il diritto della libertà costituisce un testo importante e corposo, che
apporta diverse innovazioni alla teoria del riconoscimento elaborata da Honneth a partire
dal volume del 1992 Lotta per il riconoscimento. Da quando è stato pubblicato in
Germania2 (e poi, in traduzione, nei principali Paesi europei, negli Stati Uniti, in Canada,
in Brasile, in Giappone, in Cina), Il diritto della libertà è stato quindi oggetto di decine e
decine di recensioni internazionali.
Nel suo intervento Pellizzetti preferisce non addentrarsi in una esposizione che restituisca
con precisione al lettore i contenuti del volume: nell’unica sezione in cui si confronta
direttamente con il libro, egli polemizza non senza sarcasmo con lo «stile iniziatico di
scrittura» di Honneth, il quale si servirebbe di costruzioni e termini eccessivamente e
inutilmente complessi per affermare – almeno nella frase portata ad esempio da
Pellizzetti – «qualcosa di tutto sommato ovvio». Al di là della polemica sullo stile, scarsa
luce viene fatta dunque sulle idee fondamentali de Il diritto della libertà, che, di
conseguenza, sono tratteggiate con qualche semplificazione di troppo.
Si sa, i filosofi tedeschi tendono a scrivere in modo complicato, ma la fatica richiesta al
lettore è spesso ben ripagata. Quello di Honneth, peraltro, è un libro che si presta bene
alla divulgazione: la sua architettura è semplice e limpida, e il linguaggio utilizzato, per il
pubblico specialistico a cui il testo è primariamente rivolto, risulta tutt’altro che oscuro o
involuto. Grazie non da ultimo alla chiara traduzione dal tedesco di Carlo Sandrelli, già
traduttore di altre opere di Honneth tra cui Lotta per il riconoscimento, e all’ottima
prefazione di Gustavo Zagrebelsky, che ripercorre in maniera lucida e dettagliata gli
snodi e i concetti fondamentali del testo, anche chi non abbia grande dimestichezza con
l’attuale ricerca filosofico-politica potrà capire il libro di Honneth senza particolari
1
P. Pellizzetti, Istituzioni e libertà. Su “Il diritto della libertà” di Axel Honneth,
http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/12/07/istituzioni-e-liberta-su%E2%80%9Cil-diritto-della-liberta%E2%80%9D-di-axel-honneth/
2
Ad esso è seguito il libro del 2015 Die Idee des Sozialismus (Suhrkamp, Frankfurt a. M.), in
corso di traduzione in italiano per Feltrinelli.
difficoltà, al di là forse di alcuni occasionali passaggi più densi. Al fine di rendere
giustizia a un volume dotato di notevoli punti di forza e ricco di idee tutt’altro che banali,
in questa sede si proverà a ripercorrere linee e concetti principali del libro in modo chiaro
e accessibile, evidenziando anche alcune problematiche che in esso si possono
riscontrare3.
La metodologia della ricostruzione normativa
Il dibattito filosofico da cui il libro ha origine non è tanto quello, ormai sostanzialmente
superato, tra comunitaristi e liberali (che nel 1992 costituiva un importante riferimento
per Lotta per il riconoscimento), bensì quello, antico e nonostante questo sempre attuale,
tra le teorie filosofico-politiche costruttiviste, di derivazione kantiana, e le teorie di un
certo idealismo. Entrambi i tipi di teoria dovrebbero analizzare e descrivere la realtà
sociale contemporanea, e poi, successivamente, prescrivere princìpi di giustizia che
possano rettificare le negazioni della giustizia rilevate mediante l’analisi descrittiva. Le
teorie costruttiviste, afferma Honneth, trascurano invece il primo momento, finendo così
per proporre princìpi e ideali elaborati in via puramente intellettuale dal teorico, senza
considerare a sufficienza quanto questi siano effettivamente applicabili nel contesto
concreto delle società in cui viviamo4. Alcune forme di teorie idealiste, invece, cadono
nell’eccesso opposto: partono giustamente da un’analisi delle forme sociali, ma in esse
tendono a ravvisare, sempre e comunque, connotati di razionalità e di necessità, di fatto
abbandonando ogni intento prescrittivo e di critica sociale5.
Per trovare una terza via tra questi due esiti problematici Honneth riparte dall’Hegel della
Filosofia del diritto, servendosene come ispirazione per elaborare quella che denomina la
«metodologia della ricostruzione normativa»6: nelle società in cui viviamo vi sono già
idee di giustizia vigenti nella quotidianità. Quest’ultima non è dunque un campo
normativamente neutro, a cui princìpi normativi elaborati in maniera puramente
intellettuale debbano essere applicati dall’alto, in una superficiale riproposizione del
3
Una trattazione più estesa e dettagliata del volume ho svolto nel mio articolo La contrastata
promessa di libertà del moderno, in «La Cultura», L (2012), n. 1, pp. 133-156. Cfr. anche R. Claassen,
Social Freedom and the Demands of Justice, in «Constellations», XXI (2014), n. 1, pp. 67-82; L. Siep, Wir
sind dreifach frei, recensione a Das Recht der Freiheit, in «Die Zeit»,18.08.2011; e il numero monografico
di «Critical Horizons», XVI (2015), n. 2.
4
Cfr. A. Honneth, Il diritto della libertà. Lineamenti per un’eticità democratica, trad. it. Codice
Edizioni, Torino 2015, p. XXXIX.
5
Ivi, p. XLIII.
6
Ivi, p. XL.
dover-essere kantiano; i primi elaboratori di idee e prassi normative sono proprio coloro
che vivono nella società e si trovano a subire in prima persona esperienze che
percepiscono come ingiuste, contro ogni sedicente hegelismo che voglia identificare il
reale, in quanto tale, come razionale. Viene qui in primo piano il tema cardine della
ricerca filosofica di Honneth: la lotta per il riconoscimento. Si pensi alle lotte del
movimento operaio per orari e standard di lavoro accettabili, o alle battaglie per
l’emancipazione delle donne da strutture familiari, politiche e sociali oppressive: si tratta
di lotte messe in atto da persone che, all’inizio isolate nel percepire istintivamente
l’ingiustizia delle proprie condizioni di vita, si sono unite e organizzate per identificare
cosa esattamente vi fosse di ingiusto nella loro situazione e per lottare insieme contro chi,
per mantenere posizioni di privilegio, voleva conservare lo status quo. Queste persone si
sono riferite nelle loro lotte a princìpi di giustizia e di libertà che esse stesse hanno
contribuito a elaborare ed affinare, princìpi che ora sono parte integrante del nostro
orizzonte normativo quotidiano.
I princìpi che devono orientare una teoria della giustizia, conclude quindi Honneth, non
necessitano di essere elaborati da un filosofo alla sua scrivania e poi calati dall’alto sulla
società, né si identificano senza riserve con ciò che è già vigente nel reale: piuttosto,
vengono elaborati all’interno del tessuto stesso della società, richiamando sempre
quest’ultima a una più completa realizzazione dei suoi aspetti normativi, che, nel
presente, trovano un’applicazione tutt’al più manchevole e parziale7. L’idea fondamentale
alla base di tutte le elaborazioni normative che nella storia della modernità sono state
prodotte dai soggetti stessi, afferma Honneth, è la libertà8: libertà dagli impedimenti
arbitrari alla propria azione, libertà di essere autonomi decisori del proprio agire morale
al di là di ogni autorità autoproclamatasi, libertà di creare insieme una società più giusta e
soddisfacente. Ecco, per l’appunto, «il diritto della libertà».
La libertà negativa e la libertà riflessiva
La libertà, principio che accomuna le lotte e le idee di giustizia portate avanti dai soggetti
nella storia, è un concetto internamente articolato. A livello di sistematizzazione teorica,
essa può venire distinta in cinque sfere, le quali compongono la struttura di base del
volume di Honneth: la sfera della libertà negativa, quella della libertà morale, e la triade
costituita dalla libertà sociale.
7
Cfr. N. Fraser, A. Honneth, Redistribuzione o riconoscimento?, trad. it. Meltemi, Roma 2003, p.
182.
8
A. Honneth, Il diritto della libertà, cit., p. 5.
La libertà negativa9 è la prima, storicamente e giuridicamente, ad essere stata elaborata e
affermata. Essa trova le sue origini nelle lotte illuministiche per il diritto di pensiero, di
parola, di stampa, di integrità personale contro gli abusi dell’autorità, di religione, di
attività economica. A livello concettuale, la libertà negativa prescrive la garanzia di un
ambito in cui l’individuo va lasciato libero, dalle leggi, dallo Stato, da ogni autorità e
anche dagli altri individui, di agire a suo piacimento: nessuno può ordinarmi cosa devo
leggere, cosa devo pensare, quale deve essere il mio credo. La garanzia giuridica della
libertà negativa, attraverso i cosiddetti diritti liberali, è l’aspetto più basilare attraverso
cui una dittatura può essere distinta da uno Stato libero, e pertanto rappresenta una
componente fondamentale di ogni teoria della giustizia.
Non è però l’unica: essa si riferisce all’individuo considerato come singolo, isolato, in un
rapporto quasi autodifensivo rispetto all’esterno, che non esaurisce la forme della nostra
vita sociale. Altra fondamentale tipologia di libertà è la libertà morale, o riflessiva10: essa,
che filosoficamente va ascritta a Kant, pone l’accento sul fatto che ad ogni persona vada
attribuita eguale dignità in quanto autonomo soggetto morale, e che quindi ognuno debba
essere libero di far valere, paritariamente agli altri, le sue scelte ricavate grazie al libero
uso della sua ragione. Essa prescrive quindi l’autodeterminazione dei soggetti: ha dato
vita a un concetto di «dignità umana» corrispondente all’idea di trattare ogni soggetto
come un fine in sé, a prescindere da differenze di status economico, sociale ecc., e ha
costituito il fondamento filosofico della possibilità di mettere in questione, sulla base del
criterio della loro giustificabilità morale davanti a ciascuno, norme e aspettative sociali.
La libertà sociale
Sia la libertà negativa che quella riflessiva, per quanto fondamentali, non esauriscono
l’ambito della libertà, e anzi, per poter essere davvero applicate, necessitano di
un’ulteriore determinazione di quest’ultima: la libertà sociale, o eticità11. La teorizzazione
originale di questa forma di libertà è il punto centrale del libro di Honneth. Essa è
formata dall’insieme di ambiti in cui, agendo insieme secondo libertà, i soggetti creano le
forme, le istituzioni e le strutture sociali che sono espressione e campo concreto di
applicazione di questa stessa libertà; in altre parole, la libertà sociale si identifica con le
relazioni di riconoscimento di cui è intessuta la nostra prassi, trova i suoi presupposti
nella libertà negativa e in quella riflessiva e a sua volta le completa.
9
Cfr. ivi, pp. 13-24 e pp. 85-118.
10
Cfr. ivi, pp. 25-43 e 119-154.
11
Ivi, pp. 45-74 e 155-481.
Honneth, ricalcando la struttura della Filosofia del diritto hegeliana, suddivide la libertà
sociale in tre sfere: le relazioni affettive, la sfera del mercato, e lo Stato democratico. Le
relazioni affettive12 (che siano di amicizia, di coppia o di tipo familiare, ossia implicanti
una prole) sono quelle relazioni in cui i soggetti coinvolti si riconoscono reciprocamente
come necessari l’uno per la vita emotiva dell’altro, e quindi per il proprio benessere più
profondo. La libertà sociale è qualcosa che si realizza insieme, gli uni grazie agli altri, e il
proprio bene è al contempo il bene dell’altro. Gli ambiti della libertà sociale vanno
pertanto salvaguardati a livello sociale, e la loro determinazione interna va portata a
sempre più alti livelli di giustizia. Questo è un processo che negli ultimi secoli, scrive
Honneth, si è realizzato con particolare efficacia nell’istituzione della famiglia. La lotta
per la condizione femminile, il mutamento dei metodi educativi applicati nei confronti
dei figli, la perdita di rigidità nei ruoli familiari, il recedere delle idee naturalistiche su di
essi, e, nel complesso, una maggiore libertà nell’espressione e nell’articolazione dei
sentimenti reciproci e dei bisogni personali sono stati altrettanti passaggi attraverso cui,
grazie a diversi tipi di lotte per il riconoscimento, è andato totalmente compiendosi il
potenziale normativo di questa sfera13.
Una diagnosi a nostro parere eccessivamente ottimistica, che risente anche di una
descrizione della famiglia come ambito al suo interno perfettamente conciliato, privo di
quelle ambivalenze che sempre caratterizzano i rapporti affettivi umani. Questo nulla
toglie però alle dettagliate e appassionanti ricostruzioni della storia dei movimenti per
l’emancipazione che Honneth, a illustrazione delle sue tesi, svolge per questa sfera come
per le altre, e che rappresentano uno dei punti più notevoli del volume.
Su tutti altri toni, rispetto alla sfera delle relazioni affettive, si pone la diagnosi di
Honneth relativamente all’attuale situazione dell’ambito del mercato14, seconda sfera di
libertà sociale: esso è classicamente identificato come un ambito in cui ognuno, mediante
la sua azione, non solo realizza le proprie finalità, ma anche quelle del suo interlocutore,
all’interno di un contesto di regole formali e informali. A partire dagli albori del
capitalismo, le lotte per il riconoscimento in ambito lavorativo e industriale hanno
permesso uno straordinario avanzamento dei diritti sul lavoro e delle tutele di welfare per
i cittadini, rendendo possibile una sempre più completa realizzazione della libertà
intrinseca a questa sfera (libertà che può dirsi tale se, per l’appunto, ogni soggetto
contribuisce con la sua azione al bene dell’altro). Oggi tuttavia, scrive Honneth, non solo
gli ultimi sviluppi del capitalismo hanno tragicamente ridotto le tutele giuridiche dei
soggetti, ma, per effetto del prevalere di una mentalità individualistica, non è nemmeno
12
Ivi, pp. 168-233.
13
Ivi, pp. 232-233.
14
Ivi, pp. 234-358.
ravvisabile una reale lotta collettiva contro la deregolamentazione e la recrudescenza
dello sfruttamento15 (il quale in verità, secondo la lettura marxiana – che Honneth però
non segue - è parte integrante di questa sfera fin dal principio).
È chiaro che questa diagnosi, che probabilmente nella sua sana indignazione è fin troppo
pessimistica nel negare l’assenza di ogni contrapposizione collettiva, comporta problemi
anche per la stessa intenzione di Honneth di ricavare una teoria della giustizia a partire
dalla normatività presente nella realtà sociale: se ormai questa sfera ha davvero perso le
sue connotazioni normative e perfino (dato su cui non concordiamo) ogni traccia di lotte
collettive per il riconoscimento radicate sui territori, come giustificare la sua immutata
permanenza tra le sfere della libertà sociale? E come argomentare in modo stringente che,
al di là degli sviluppi storico-sociali presenti, questa sfera dovrebbe comunque essere
intesa, a livello normativo (e non di semplice descrizione della realtà), come sfera di
libertà sociale? La ricostruzione storica che Honneth utilizza per dimostrare l’intrinseca
normatività «sociale» della sfera dell’economia in riferimento ad epoche passate, e
motivarne quindi l’appartenenza di diritto all’eticità, è la stessa che, contro le intenzioni
dell’autore, finisce per smentire questa appartenenza per quanto riguarda il presente.
L’ultima sfera in cui si articola la libertà sociale è quella dello Stato democratico.
Anch’essa, naturalmente, è andata incontro, nei secoli, a una notevole evoluzione
normativa, con l’estensione progressiva dei diritti politici, la maggiore informazione e
coinvolgimento dei cittadini nelle vicende della politica, e la formazione della società
civile, tutti passaggi magistralmente ricostruiti da Honneth nelle sezioni descrittive.
L’analisi critica compiuta da Honneth circa gli attuali problemi della sfera pubblica è in
gran parte focalizzata sul ruolo dei media nelle nostre società, e in particolare sulla
questione dell’uso ideologico di essi: la costruzione mediatica della realtà, la
spettacolarizzazione di temi scelti non in base a considerazioni normative ma alla loro
capacità di impatto sull’audience, la collusione dei media con poteri politici ed
economici, l’uso strumentale dell’informazione, la carenza di approfondimento e la
sottrazione di spazi alle voci critiche.
Un cauto ottimismo trapela però dalle considerazioni rivolte al ruolo di internet in quanto
strumento di organizzazione politica e come risorsa di informazione alternativa alle fonti
centralizzate rappresentate dai media tradizionali16. Viene inoltre in primo piano il
problema della disaffezione dei cittadini rispetto alla politica, per la sfiducia risultante
dalla percezione che le decisioni prese nelle sfere della politica formalmente
istituzionalizzate si orientino spesso a garantire gli interessi, ormai scatenati per effetto di
una carenza di regolazione giuridico-normativa, di una ristretta élite dominante e di
lobbies economiche. A differenza che per la sfera economica, qui una via d’uscita viene
15
Ivi. pp. 355-361.
16
Cfr. ivi, pp. 432-434.
però da Honneth trovata «nelle associazioni, nei movimenti sociali e nelle organizzazioni
civili»17, operanti a livello non solo sovranazionale, i quali dovrebbero unire le proprie
forze per esercitare pressione sugli organi legislativi al fine di una più stringente
regolamentazione degli interessi che minano la libertà sociale, in prima istanza quelli del
capitale. La preoccupazione che in modo più evidente contraddistingue Il diritto della
libertà è quella relativa alla difficoltà di arginare il capitalismo neoliberistico che,
impostosi a livello globale ed europeo, sfugge alla regolazione da parte dei tradizionali
dispositivi democratici degli Stati nazionali.
Nell’insieme, Il diritto della libertà è un testo che si pone obiettivi vari e difficili - di
analisi sociale, elaborazione normativa e diagnosi del tempo. L’impresa che Honneth si
proponeva, quella di ricavare una teoria della giustizia a partire da un’analisi della
società, risulta sostanzialmente compiuta; la metodologia della ricostruzione normativa si
rivela quindi, complessivamente, un dispositivo valido. Quanto all’elaborazione teorica,
quella di Honneth rappresenta, al di là di alcuni aspetti problematici 18, una concezione
articolata e sistematica oltre che chiara nella sua struttura, sostenuta da un argomentare
attento e mai banale come anche dal ricorso a un’ampissima documentazione storicosociologica. Una teoria che conduce a incisive diagnosi del presente, e che, nel suo
appello alla salvaguardia della libertà negativa, riflessiva e soprattutto sociale, porta in
primo piano concetti e ideali che, al giorno d’oggi, necessitano più che mai di essere
richiamati e difesi.
Eleonora Piromalli è autrice della prima monografia in italiano sull'opera di Honneth
(Axel Honneth: giustizia sociale come riconoscimento, Mimesis 2012) e svolge attività di
ricerca presso il Dipartimento di Filosofia di “Sapienza” - Università di Roma.
17
Ivi, p. 469, trad. leggermente modificata.
18
Per una disamina che vada oltre quelli qui rilevati, rimando ancora a E. Piromalli, La contrastata
promessa di libertà del moderno, cit.
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