Il fattore umano. Sfoglio i giornali e leggo solo cifre, cioè pensiero

Il fattore umano.
Sfoglio i giornali e leggo solo cifre, cioè pensiero amorfo e improduttivo. Non pensieri, non idee,
non progetti, solo cifre! Di diverso è possibile trovare sensazioni, curiosità e polemiche attorno al presente.
Quell’eterno presente che, prodotto dell’”accelerazione della storia” (D. Halévy), circoscrive le nostre vite.
Mi domando allora che ne è del “fattore umano”, della sua ricchezza, della sua complessità, della sua
evoluzione nella grande storia civile dell’umanità. Dove erano sentimenti restano sensazioni, dove scaturiva
forza creativa non c’è più che accettazioine passiva di un destino che appare immutabile. L’ economicismo
come mentalità e “religione universale” (W. Benjamin) tramuta tutte le cose e tutti gli eventi adattandoli
all’egoismo individuale e all’utilitarismo del regime di massa. Il presente è la grande trappola nella quale
siamo caduti, la “gabbia d’acciaio” dalla quale non riusciamo a uscire e che suscita la nostalgia di un’epoca
che appare sempre più un’epoca d’oro anche se non lo era affatto.
L’economicismo è lo strumento di potere degli economisti. Una dittatura ideologica indotta dal
capitalismo, che consente a pochi individui di decidere il destino del mondo e di mettere da parte il “fattore
umano” senza trovare opposizione o limite. Vi potrà essere un ravvedimento che ricollochi l’ economia
nella società? Forse sì a leggere sul “Corriere della sera” (18.6.2013) un articolo di Maurizio Ferrara dal
titolo “Economisti iniziamo a dubitare di noi stessi”.In realtà la coscienza dei limiti della teoria economica
ha sempre fatto parte del pensiero dei classici, da Adam Smith ai nostri Pareto, Luigi Einaudi e Federico
Caffè. Solo dopo di loro ci siamo rinchiusi in un modello di società che non diversifica, che non accende gli
entusiasmi, che non riconosce altri valori e meriti, che segue piattamente i mercati, laddove i mercati sono
solo la volontà di chi ha il potere di “fare il mercato”. In questa società sarà inutile credere di poter
sviluppare la crescita, di creare innovazione o utilizzare nuove energie giovanili.
Non c’è crescita se si ragiona solo sulla borsa della spesa. E’ dal fattore umano che bisogna partire e
non dai libri contabili. E chi volesse capire che cosa significa fattore umano potrebbe leggersi tre brevi saggi
pubblicati dall’editore Rubbettino alcuni anni fa: quello del polacco Piotr Sztompka, “La fiducia nelle società
post-comuniste. Una risorsa scomparsa” (con presentazione di Paolo Jedlowski), quello di Luis Roniger, “La
fiducia nelle società moderne. Un approccio comparativo” e quello di Axel Honneth, “Riconoscimento e
disprezzo. Sui fondamenti di un’etica post-tradizionale”.
La fiducia è una risorsa essenziale nella vita delle società e nel tessuto della democrazia.
Giustamente Sztompka scrive che la fiducia è “la chiave per ricostruire una robusta società civile in senso
culturale”. In fase di crescita essa si espande dal livello personale (fiducia nell’altro) al livello istituzionale, al
livello generalizzato. Questa crescita, scrive ancora Sztompka, rende possibile “ una piena e appropriata
utilizzazione delle altre risorse, come l’imprenditorialità, la cittadinanza, la legalità” e “un pieno
sfruttamento delle opportunità istituzionali” (p. 23). Laddove la fiducia viene meno, essa è sostituita dalla
corruzione, con la quale si immagina “di esercitare un controllo su coloro che hanno potere decisionale” (p.
46).
Politica ed economia hanno bisogno di “una considerevole quantità di fiducia”. “La democrazia
rimarrà una facciata fino a quando non ci saranno cittadini attivi che ripongono fiducia nell’intero sistema e
nelle sue istituzioni”. Così pure il mercato “rimarrà una facciata, finchè non ci saranno attori economici
fiduciosi nella continuità e persistenza del sistema, nella sicurezza dei termini di scambio, nella permanenza
del contesto legale, fiscale e amministrativo, nell’onestà dei partner in affari”(p.93).
Se la fiducia non oltrepassa l’ambito familiare, aggiunge da parte sua Roniger, l’individuo instaura
rapporti clientelari che suppliscono di fatto alla fiducia generalizzata. Quest’ultima va valutata come un
bene economico. Infatti è fondamentale “in ogni transazione economica” ma ”è stata largamente ignorata
come concetto centrale nei modelli delle teorie dei giochi e del comportamento di mercato, dal momento
che questi presuppongono attori sociali dotati di razionalità e di informazione”(p.50).
Ma se la fiducia rappresenta il quadro di riferimento di ogni agire sociale, la dinamica della società
civile, la competizione e il conflitto che in essa si svolgono richiedono anche, secondo Honneth, un livello di
riconoscimento morale, giuridico e civile dell’altro. Perciò occorre proteggere l’individuo non solo da forme
di offesa a “livello corporeo”, ma anche da forme di umiliazione e di esclusione che possono minacciare la
sua integrità morale (cfr. p. 21 e segg.). Non occorre poi solo proteggere, ma anche incentivare. Una società
che vuole sviluppare il proprio livello di crescita civile e economica dovrà adottare un sistema di
riconoscimenti e di gratificazioni che spinga gli individui a impegnarsi nel realizzare i valori di una cultura e
nel procedere a continue trasformazioni materiali delle strutture economiche e tecnologiche (cfr. p. 45).
Quello che dunque si presenta come il “fattore umano” nel processo di sviluppo e di crescita, anche
economica, di uno Stato è un aspetto ben più ampio e complesso della realtà contemporanea a fronte di
ragionamenti fatti solo di cifre e fondati sulla razionalità economica. Occorre che gli economisti ne
prendano coscienza e deleghino ad altri l’attivazione di risorse non economiche di cui né essi né i politici
oggi dispongono.