Appunti di Antenne C a p i t o l o 2 – A n t e n n e e l e me n t a r i ( I V ) Dipolo ripiegato ............................................................................................................ 1 Antenne a dipolo corto................................................................................................... 6 Effetti di bilanciamento e adattatori di impedenza......................................................... 12 Balun a bazooka ...................................................................................................... 15 Balun per antenne TV.............................................................................................. 16 Adattamento di impedenza ........................................................................................... 19 Adattatore resistivo .................................................................................................. 20 METODO DEI MOMENTI ..................................................................................................... 23 Descrizione del metodo ................................................................................................ 23 Procedura generale ..................................................................................................... 25 Interpretazione geometrica........................................................................................ 26 Dipolo ripiegato Riprendiamo velocemente alcuni concetti relativi al dipolo in λ/2 e, in particolare, alla sua impedenza di ingresso, che in generale è data da Z ing =(R perdita +R irr )+jX Abbiamo visto che questa antenna presenta generalmente una resistenza di perdita di 2 Ω, che si somma ad una resistenza di radiazione di 73 Ω. In prima approssimazione, quei 2 Ω possono anche essere trascurati. Per quanto riguarda, invece, la parte reattiva, abbiamo visto che può essere calcolata, in generale per tutte le antenne filiformi, tramite il modello delle linee di trasmissione e risulta avere (nell’ipotesi che la sezione di carico sia z=0, per cui la sezione di ingresso è z=-L, e nell’ipotesi che il carico sia un circuito aperto z L =∞) la seguente espressione generale: X=− jZ C tan (β L ) dove β=2π/λ e dove L è la lunghezza del singolo braccio dell’antenna. Nel caso del dipolo in λ /2, risulta L=λ 0 /4 (dove λ 0 è la lunghezza d’onda corrispondente alla frequenza centrale di lavoro), per cui il denominatore di quella frazione tende ad ∞ e quindi X tende a zero. Quindi, il dipolo in λ/2 presenta, in corrispondenza di λ 0 , una impedenza di ingresso essenzialmente a parte reale, il che ovviamente è un grosso vantaggio in termini di prestazioni dell’antenna. Purtroppo, però, per lunghezze d’onda maggiori e minori di quella centrale, X non è più nulla e quindi si innesca un fenomeno di riflessione dell’energia, che equivale ad una distorsione del segnale trasmesso. La banda dell’antenna viene perciò definita come quell’insieme di frequenze (e quindi di lunghezze d’onda), centrate su un valore f 0 (corrispondente a Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 λ 0 ), tali da dare una distorsione tollerabile sul segnale. Questa banda, per un dipolo in λ/2, è generalmente abbastanza ristretta. In definitiva, quindi, abbiamo sostanzialmente individuato due inconvenienti del dipolo in λ/2: una resistenza di radiazione non molto elevata e una banda di utilizzo non molto estesa. In aggiunta, sappiamo anche che la direttività (cioè il massimo guadagno direttivo) di quest’antenna ha valore 1.64, anche questo non molto elevato. Migliori prestazioni si possono ottenere con una particolare struttura denominata dipolo ripiegato, raffigurata nella figura seguente: L Si tratta sostanzialmente di due conduttori rettilinei, di lunghezza L ciascuno, collegati insieme alle rispettive estremità e posti a distanza molto piccola. Uno dei due (quello inferiore nella nostra figura) è aperto al centro e connesso ad una linea di trasmissione, che quindi alimenta l’intera struttura. Una struttura di questo tipo risulta avere, come vedremo, una resistenza di radiazione di 292 Ω , ossia quattro volte superiore a quella del singolo dipolo in λ/2. Questo è indice di una efficienza di radiazione dell’energia, a parità di potenza di alimentazione, decisamente migliore. Non solo, ma 292 Ω è un valore molto prossimo ai 300 Ω di impedenza caratteristica nominale delle linee di trasmissione molto spesso utilizzate per i ricevitori televisivi. Alla lunghezza di risonanza (L≅λ 0 /2), la corrente in ciascun conduttore risulta essere la stessa, considerando che i due conduttori sono identici strutturalmente: il motivo dell’uguaglianza è nel forte accoppiamento mutuo tra i due conduttori posti così vicini uno all’altro. La corrente in ciascun conduttore può essere approssimata con la classica espressione I(z) = I 0 cos(k 0 z ) Dato che i due conduttori sono distanziati di una frazione molto piccola di λ 0 , esiste anche una piccolissima variazione di fase nei due campi da essi irradiati. Di conseguenza, il campo totale irradiato è praticamente il doppio di quello irradiato dal singolo conduttore con distribuzione di corrente I 0 cos(k 0 z). Se il campo è pari al doppio, la potenza irradiata sarà quindi 4 volte quella del singolo conduttore. Allora, dato che la corrente fornita in ingresso dalla linea di trasmissione è pari a I 0 , la resistenza di radiazione, vista dai terminali di ingresso, è 4 volte quella dell’antenna a dipolo convenzionale. Ricordando che la resistenza di irradiazione del dipolo convenzionale era esattamente 73.13 Ω, deduciamo che ora essa è diventata R rad = 4 ⋅ 73.13Ω = 292.5 Ω come accennato prima. Abbiamo dunque risolto il primo problema del dipolo in λ/2 tradizionale, ossia aumentare la resistenza di radiazione. Dobbiamo ora vedere quanto può essere larga la banda di utilizzo del dipolo ripiegato. A tal fine, possiamo osservare che il comportamento del dipolo ripiegato può essere pensato come la sovrapposizione degli effetti ottenuti da due distinte strutture, una simmetrica e l’altra asimmetrica nella propria alimentazione, del tipo seguente: Autore: Sandro Petrizzelli 2 Antenne e metodi elementari (parte IV) L d I0=I1+I2 + V - L I1 L + V/2 - I2 d - V/2 + d I1 I2 + V/2 - + V/2 - Nella struttura a sinistra, è presente una eccitazione uguale nei due conduttori (even excitation), in modo che le correnti assumano lo stesso verso e quindi che i due conduttori si comportino come due antenne a dipolo tradizionali. Nella struttura a destra, invece, l’eccitazione è uguale ed opposta (odd excitation), in modo tale che le correnti scorrano in verso opposto nei due conduttori; è quindi come aver connesso in serie due linee di trasmissione cortocircuitate. Dato che le correnti nella linea di trasmissione sono opposte e molto vicine fisicamente, i rispettivi campi irradiati praticamente si compensano a vicenda (la fase dei due campi è infatti diversa ma di poco, mentre i versi sono opposti). Sovrapponendo gli effetti delle due strutture, la tensione di alimentazione risultante è V per il conduttore inferiore e zero per quello superiore. Per quanto riguarda, invece, le correnti, basta sommare quelle nei due casi. Consideriamo dapprima la struttura simmetrica (quella a sinistra), che è perfettamente equivalente alla seguente: I1 I1 + V/2 - Si tratta cioè di un classico dipolo con tensione di alimentazione V/2 e corrente in ingresso 2I 1 , per cui scriviamo che Z ing ,simm = V/2 1 V = 2I1 4 I1 dove Z ing,simm è l’impedenza di ingresso di una antenna a dipolo realizzata tramite due conduttori paralleli connessi tramite le rispettive estremità e connessi anche al centro. Poniamo perciò Z ing,simm =Z dip . Se invece consideriamo la struttura asimmetrica, essa risulta equivalente a quella riportata nella figura seguente: 3 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 I2 - V/4 + - V/4 + + V/4 - + V/4 - I2 Abbiamo semplicemente sdoppiato i due generatori di tensione (e ovviamente dimezzato i rispettivi valori), in modo da individuare i punti intermedi dei due conduttori: per simmetria, tali punti sono allo stesso potenziale e quindi possono essere cortocircuitati. Di conseguenza, possiamo considerare un’unica struttura (non radiativa, per le considerazioni fatte prima) del tipo seguente: - V/4 + I2 I2 + V/4 In questa struttura, abbiamo praticamente un unico generatore V/2 che genera una corrente I 2 , per cui scriviamo che Z ing ,asimm = V/2 1 V = I2 2 I2 L’espressione dell’impedenza di ingresso che compare qui è quella generale derivata dalla teoria delle linee di trasmissione: Z ing ,asimm = − ZC L j ⋅ cot an β 2 dove Z C è l’impedenza caratteristica di una linea di trasmissione costituita dai due conduttori che realizzano il dipolo ripiegato. Scriviamo dunque che − ZC 1V = L 2 I2 j cot an β 2 Andiamo adesso ad applicare la sovrapposizione degli effetti, in modo da ottenere l’alimentazione originale. L’impedenza totale vista ai morsetti di ingresso è Z ing = V 1 1 1 = = = I1 + I 2 I1 I 2 1 1 1 1 L L + + − j cot an β − j cot an β V V 4Z dip 2 ZC 2 4Z dip 2 Z C 2 Autore: Sandro Petrizzelli 4 Antenne e metodi elementari (parte IV) Se, dunque, ragioniamo in termini di ammettenza di ingresso, scriviamo che essa vale Ying = 1 1 L −j cot an β 2ZC 4 Z dip 2 Su questa espressione, tenendo conto che sia Z dip sia β dipendono dalla lunghezza d’onda di lavoro, possiamo fare varie considerazioni: • in primo luogo, notiamo che l’ammettenza di ingresso del dipolo è stata ridotta di un fattore 4, come già detto in precedenza; • in secondo luogo, a tale ammettenza di ingresso risulta sommata (cioè posta in parallelo) una ammettenza di compensazione. Mettiamoci allora nel caso particolare in cui L=λ 0 /2: otteniamo evidentemente che 2π λ 0 / 2 π L = cot an = 0 , ossia che la parte immaginaria cot an β 0 = cot an 2 2 λ0 2 scompare. Dato che, per L=λ 0 /2, risulta Z dip ≅73Ω, deduciamo che anche il dipolo ripiegato ha lunghezza di risonanza L=λ 0 /2 (ossia non presenta reattanza di ingresso) e la resistenza di ingresso vale circa 292 Ω ; • al di fuori della risonanza, invece, l’ammettenza di ingresso risulta avere una parte immaginaria non nulla: • quando β L π < 2 2 (cioè L<λ/2), risulta Y dip =G dip +B dip con B dip >0 (cioè L risulta positiva, per cui abbiamo una 2 capacitiva) ed anche cot an β ammettenza di compensazione induttiva; • quando invece β L π > (cioè L>λ/2), risulta B dip <0 (cioè induttiva) ed anche 2 2 L cot an β < 0 , per cui anche l’ammettenza di compensazione è in questo 2 caso capacitiva. In ogni caso, dunque, si ha compensazione dell’ammettenza di ingresso del singolo dipolo, il che indica che la struttura può essere sfruttata su una banda più larga rispetto a quella del singolo dipolo . In definitiva, quindi, il dipolo ripiegato consente di ottenere maggiori prestazioni, rispetto ad un dipolo classico realizzato con conduttori dello stesso spessore, sia in termini di efficienza di radiazione (la resistenza di radiazione vale 292Ω) sia in termini di banda di funzionamento (che risulta aumentata talvolta di un fattore abbastanza elevato). Proprio in base a queste considerazioni, quando vedremo le cosiddette schiere passive di antenne, osserveremo che risulta opportuno utilizzare proprio un dipolo ripiegato come elemento attivo (cioè alimentato da una sorgente) cui poi affiancare un certo numero di elementi passivi (cioè non alimentati direttamente da una sorgente, ma tramite l’accoppiamento con l’elemento attivo). 5 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Segnaliamo, comunque, che, nei dipoli ripiegati di reale applicazione, la lunghezza di risonanza è leggermente inferiore a λ 0 /2, per cui le frequenze di risonanza dell’antenna e della linea di trasmissione non coincidono esattamente. Un’altra osservazione interessante è la seguente: una antenna a dipolo ripiegato non necessariamente è costituita da due conduttori di ugual diametro; anzi, variando il rapporto tra i diametri, l’impedenza di ingresso può essere aumentata da 2 a 20 volte in più rispetto a quella del singolo dipolo. Non solo, ma è possibile usare tre o più conduttori in parallelo, di cui uno solo alimentato: se i conduttori sono 3 e sono identici, l’impedenza di ingresso risulta aumentata di un fattore 9. Antenne a dipolo di polo corto Alle frequenze basse, dove la lunghezza d’onda è elevata, le inevitabili limitazioni di spazio spesso non permettono di usare una antenna a dipolo lunga esattamente λ/2. E’ necessario usare L<λ/2, ma questo ha sostanzialmente due svantaggi: da un lato riduce considerevolmente la resistenza di radiazione e, dall’altro, aumenta molto la reattanza capacitiva dell’antenna. Quest’ultimo problema impone di prendere provvedimenti atti a compensare l’aumento della reattanza e spesso si usano uno o più induttori connessi in serie con l’antenna. Naturalmente, anche questo non è un rimedio privo di problemi, in quanto gli induttori, non essendo perfetti, comportano perdite addizionali di potenza e quindi una riduzione dell’efficienza e del guadagno dell’antenna. Una semplice configurazione che spesso viene utilizzata è quella riportata nella figura seguente, in cui i due induttori sono posti all’inizio di ciascun “braccio” dell’antenna: L/2 L/2 z Ci sono tuttavia altre possibilità, come ad esempio quella di porre i due induttori al centro di ciascun braccio dell’antenna, come nella figura seguente: L/2 z L/2 L0/2 L0/2 z=-L/4 z=L/4 Il motivo per cui abbiamo posto le due induttanze pari a L 0 /2 sarà chiaro più avanti, ma si tratta di una semplice comodità matematica quando useremo ancora una volta il modello delle linee di trasmissione per studiare questo tipo di struttura. In questo caso, si riesce a ottenere una distribuzione di corrente nell’antenna più uniforme e questo comporta un aumento della resistenza di radiazione. Per comprendere l’entità di questo aumento, osserviamo quanto segue: abbiamo già visto in precedenza che, se la lunghezza del singolo braccio dell’antenna è abbastanza minore di λ/4, la distribuzione di corrente è approssimativamente triangolare, Autore: Sandro Petrizzelli 6 Antenne e metodi elementari (parte IV) proporzionale cioè ad un termine del tipo 2π (| L | − | z |) , λ e la potenza irradiata è proporzionale all’area sottesa dall’andamento della corrente stessa: z I( z ) ≅ I 0 2π (| L | − | z |) λ Allora, in presenza dei due induttori al centro dei due bracci dell’antenna, se si riuscisse ad ottenere una distribuzione uniforme di corrente potrebbe anche essere ottenuto un aumento della resistenza di radiazione di un fattore 4 rispetto a quella relativa alla distribuzione triangolare di corrente. Al fine di studiare come gli induttori possano influire sulla distribuzione di corrente I(z) nell’antenna descritta nella penultima figura, possiamo come al solito modellare l’antenna come una linea di trasmissione avente come carico un circuito aperto (quindi z L =∞): L/2 z=-L z=-L/4 z=0 z I due induttori devono essere scelti in modo tale che l’antenna risulti risonante alla frequenza centrale di lavoro (tuning dell’antenna). Questo equivale a fare in modo che la linea di trasmissione sia lunga esattamente λ 0 /4 (dove λ 0 è la lunghezza d’onda centrale di lavoro), il che significa che l’impedenza di ingresso della linea di trasmissione deve azzerarsi in corrispondenza di λ 0 . In generale, l’espressione di questa impedenza può essere ricavata nel modo seguente: • in primo luogo, se consideriamo la sezione immediatamente a destra dei due induttori, possiamo utilizzare l’espressione classica dell’impedenza di ingresso (a distanza d=L/2 dal carico) per le linee di trasmissione chiuse su z L =∞: scriviamo perciò che L Z DX = − jZ C cot an β 0 4 7 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 • in secondo luogo, spostandoci alla sezione immediatamente a sinistra dei due induttori, dobbiamo sommare, all’impedenza determinata al punto precedente, una impedenza concentrata jωL 0 dovuta appunto agli induttori: abbiamo perciò che L ZSX = jωL 0 − jZ C cot an β 0 4 • infine, dobbiamo portarci all’ingresso vero e proprio della linea, ossia dobbiamo vedere come si trasforma Z SX muovendoci di un ulteriore tratto L/2 verso il generatore: in questo caso, nell’ipotesi di riportare nuovamente l’origine z=0 del sistema di riferimento in corrispondenza dell’ingresso della linea, si trova l’espressione L L − jZ C cot an β 0 + jωL 0 + jZ C tan β 0 4 4 Z in = L L Z C + jωL 0 − jZ C cot an β 0 ⋅ j tan β 0 4 4 In base a questa espressione, è evidente che l’impedenza di ingresso della linea scompare quando si annulla quel numeratore, ossia quando L L jωL 0 = jZ C cot an β 0 − jZ C tan β 0 4 4 La risoluzione di questa equazione, in corrispondenza di una prefissata ω0 , fornisce il desiderato valore di induttanza. A questo punto, ci interessa vedere come è fatta la distribuzione della corrente e della tensione lungo la linea. Tenendo conto che il carico di valore infinito impedisce le riflessioni e che abbiamo fatto in modo che l’impedenza di ingresso della linea sia zero, necessariamente l’onda diretta di tensione dovrà valere 0 in corrispondenza dell’ingresso (z=0), mentre invece l’onda di corrente dovrà avere un massimo. Questo impone che l’andamento di V(z) e I(z), nella parte sinistra della linea (vale a dire fino al centro z=L/4 delle induttanze), non possa che essere il seguente: V (z) = V1 sin (β 0 z ) I(z) = I1 cos(β 0 z ) Possiamo facilmente calcolare il legame esistente tra V 1 ed I 1 ricordando che, per una qualsiasi linea di trasmissione, sussiste la relazione dV(z ) = − jωL L I(z ) dz dove L L è l’induttanza concentrata della linea stessa. Calcolando dunque la derivata di V(z) e uguagliandola a -jωL L I(z), otteniamo β 0 V1 cos(β 0 z ) = − jωL L I1 cos(β 0 z ) → Autore: Sandro Petrizzelli 8 V1 ωL L = −j I1 β0 Antenne e metodi elementari (parte IV) Il rapporto ωL L /β 0 in una linea di trasmissione è notoriamente pari all’impedenza caratteristica della linea stessa, per cui concludiamo che V1 = − jZ C I1 Se ora passiamo nella sezione destra della linea (quindi per z≥L/4), la corrente deve necessariamente essere nulla all’estremo (in z=L/4) mentre invece la tensione avrà un massimo: avremo di conseguenza che L V(z) = V2 cos β 0 − z 2 I(z) = I sin β L − z 2 0 2 dove naturalmente vale sempre la relazione V2 = − jZ C . I2 A questo punto, dato che la corrente deve essere necessariamente continua attraverso gli induttori, possiamo imporre l’uguaglianza dei due andamenti (per z<L/4 e z>L/4) in corrispondenza appunto di z=L/4: z= I L L L → 1 = tan β 0 → I1 cos(β 0 z ) = I 2 sin β 0 − z I2 4 4 2 Al contrario, la tensione subisce una variazione, in corrispondenza degli induttori, pari a L jωL 0 ⋅ I1 cos β 0 , il che comporta che la tensione sia discontinua in 2 corrispondenza di z=L/4: perciò, dato che in corrispondenza di z=L/4 risulta L 2 L DX → V(z) = V2 cos β 0 4 SX → V(z) = V1 sin β 0 scriviamo che L L L V1 sin β 0 − V2 cos β 0 = jωL 0 ⋅ I1 cos β 0 2 4 2 Se ora esprimiamo le due tensioni in funzione delle rispettive correnti, questa diventa L L L − jZ C I1 sin β 0 + jZ C I 2 cos β 0 = jωL 0 ⋅ I1 cos β 0 2 4 2 Non solo, ma se utilizziamo l’espressione di ωL 0 ricavata in precedenza per rendere l’antenna risonante, si trova facilmente che questa equazione si riduce nella forma 9 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 I1 L = tan β 0 e questo è esattamente quanto trovato prima per la continuità delle I2 4 correnti, a testimonianza della correttezza dei discorsi fatti. Consideriamo ora le distribuzioni di corrente appena descritte; se supponiamo che l’antenna sia caratterizzata da L≤λ 0/4, possiamo fare le seguenti approssimazioni: z≤L/4 → I(z) = I1 cos(β 0 z ) ≅ I1 L L − z ≅ I 2 ⋅ β 0 − z 2 2 z≥L/4 → I(z) = I 2 sin β 0 In base a queste espressioni, la corrente è praticamente costante sul valore I1 per z≤L/4, mentre invece ha andamento triangolare per z≥L/4: I 1 cos (β 0 z ) V(z) L − z I2 ⋅β 0 2 V(z) z=0 L/2 z=L/4 z Allora, in questa approssimazione, l’area al di sotto della curva della corrente vale L L L Area = 2 I1 ⋅ + I1 ⋅ = 3I1 ⋅ 4 8 4 Questa espressione, confrontata con il valore I1 ⋅ L 2 che si ottiene per la distribuzione triangolare di corrente, mostra un incremento dell’area di un fattore 1.5 e quindi un incremento della resistenza di radiazione di un fattore (1.5)2, ossia 2.25. Questo incremento mostra l’utilità di porre gli induttori al centro dell’antenna anziché agli estremi di ingresso. Un altro metodo usato per ottenere una distribuzione di corrente quanto più uniforme possibile su una antenna a dipolo corto è quello di inserire dei carichi capacitivi alle due estremità dell’antenna stessa. Ad esempio, si ottiene questo risultato collegando le suddette estremità con 4 o più conduttori radiali, disposti su un piano ortogonale all’asse dell’antenna e ciascuno di lunghezza L1 opportuna: Autore: Sandro Petrizzelli 10 Antenne e metodi elementari (parte IV) z L1 Così facendo, la corrente non si annulla agli estremi dell’antenna, dato che può fluire nei conduttori radiali. Ovviamente, essa si annulla alle estremità dei conduttori radiali. L’effetto conseguente è sostanzialmente un allungamento dell’antenna di una quantità 2L 1 e questo rende la distribuzione della corrente sull’antenna più uniforme, conseguendo perciò i vantaggi di cui si è parlato in precedenza. 11 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Effetti di bilanciamento bilanciamen to e adattatori di impedenza Fino ad ora, abbiamo considerato solo antenne ideali, non solo dal punto di vista dell’assenza di perdite (il che determina l’uguaglianza tra guadagno di potenza e guadagno direttivo), ma anche dal punto di vista del cosiddetto bilanciamento. E’ possibile dare varie definizioni del concetto di struttura bilanciata. Ad esempio, consideriamo l’antenna a dipolo elettricamente lungo rappresentata nella figura seguente: Per analizzare questa antenna, è conveniente ipotizzare che la corrente I(z), in un qualsiasi punto z 1 del braccio superiore, abbia lo stesso valore assoluto della corrente calcolata nel punto -z 1 del braccio inferiore (punto che, quindi, è posto ad una distanza dai morsetti di alimentazione pari a quella che separa questi ultimi dal corrispondente punto del braccio superiore). In questo senso, possiamo dire che l’antenna risulta essere una struttura bilanciata dal punto di vista della simmetria delle correnti dell’antenna stessa. La conseguenza di ciò è che la corrente entrante in un morsetto dell’antenna sia uguale ed opposta a quella entrante nell’altro morsetto. Tuttavia, la presenza di oggetti metallici (ad esempio piani di massa) nelle vicinanze dell’antenna potrebbe rompere la suddetta proprietà di bilanciamento, il che andrebbe inevitabilmente a modificare il diagramma di irradiazione rispetto alla forma ideale ottenuta supponendo che le due correnti risultino bilanciate lungo i due bracci dell’antenna. Per capire meglio questo concetto, consideriamo una generica antenna filiforme (ad esempio un dipolo in λ/4) alimentata da una sorgente di segnale tramite una linea di trasmissione con impedenza caratteristica Z C . Vogliamo vedere cosa succede alle correnti che percorrono la linea e giungono all’antenna, in quanto queste correnti risentono inevitabilmente dell’accoppiamento con eventuali oggetti metallici posti nelle vicinanze della linea stessa. A tal fine, possiamo considerare due casi emblematici: nel primo usiamo una comune piattina come linea di trasmissione, mentre nel secondo usiamo un cavo coassiale. Cominciamo dalla piattina (o, in generale, da una tradizionale struttura bifilare, ossia una linea composta dai classici due conduttori paralleli e non schermati): Autore: Sandro Petrizzelli 12 Antenne e metodi elementari (parte IV) Come riportato nella figura, le correnti nel conduttore di andata e nel conduttore di ritorno della linea risentono dell’accoppiamento capacitivo ad esempio con un piano metallico posto nei pressi della linea e questo provoca quindi un drenaggio di corrente verso tale piano (si tratta ovviamente di correnti di spostamento, data la natura capacitiva dell’accoppiamento). Tuttavia, la corrente drenata risulta essere praticamente la stessa nei due accoppiamenti, il che mantiene la struttura bilanciata, nel senso che la corrente nei due conduttori rimane comunque uguale e quindi lo stesso avviene per i due “bracci” dell’antenna. Adesso invece consideriamo una linea di trasmissione realizzata tramite un cavo coassiale: In condizioni ideali, la corrente arriva all’antenna (proveniente dalla sorgente) attraverso il conduttore centrale (l’anima del cavo coassiale) e torna alla sorgente percorrendo la superficie interna dello schermo del cavo. Tuttavia, in presenza del piano di massa, si verifica ancora una volta un accoppiamento capacitivo tra tale piano e i due conduttori del cavo, con la differenza, rispetto alla struttura bifilare di prima, che il conduttore esterno risente di un accoppiamento molto maggiore rispetto 13 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 a quello interno. Questo determina appunto lo sbilanciamento della struttura, in quanto all’antenna giungono correnti diverse. Possiamo dunque esprimerci nel modo seguente: • una antenna a dipolo alimentata da una linea di trasmissione bifilare è bilanciata rispetto a terra, presupponendo ovviamente che i due conduttori dell’antenna abbiano la stessa orientazione e posizione rispetto alla terra stessa; tali due conduttori sono a potenziale +V e –V da terra; • se invece l’antenna è alimentata da una linea coassiale, che è un sistema sbilanciato in base a quanto detto prima, il conduttore esterno della linea ed uno dei due conduttori dell’antenna sono, rispetto a terra, ad un potenziale diverso da quello del conduttore interno della linea e dell’altro conduttore dell’antenna. Questo fatto determina l’insorgere di correnti anche sulla superficie esterna del conduttore esterno della linea, cui conseguono quindi correnti diverse nei due conduttori dell’antenna. Il campo irradiato dalle correnti sul conduttore esterno della linea interferiscono con quello irradiato dall’antenna e quindi viene modificato il paterno di radiazione. In aggiunta a questo, risulta anche modificata l’impedenza di ingresso dell’antenna, sempre a causa delle correnti sbilanciate. In base a queste considerazioni, deduciamo che un cavo coassiale va usato per alimentare solo antenne sbilanciate (che cioè necessitano di correnti diverse nelle loro varie parti), mentre invece, volendolo usare per alimentare una antenna bilanciata come un dipolo in λ/2 o un dipolo ripiegato, è necessario usare un adattatore di impedenza, chiamato balun (acronimo di BAlanced e UNbalanced) proprio perché viene interposto tra un cavo coassiale sbilanciato ed una antenna bilanciata. Questo adattatore viene inserito all’ingresso dell’antenna secondo lo schema della figura seguente: Se il cavo di alimentazione è coassiale, l’obbiettivo del balun è quello di aumentare l’impedenza tra la superficie esterna dello schermo e la massa: in tal modo, la corrente di ritorno tende a fluire attraverso il percorso a minore impedenza, ossia quello rappresentato dalla superficie interna dello schermo. I balun sono realizzati in modi diversi, in dipendenza soprattutto della banda di frequenza che si prevede di utilizzare. Autore: Sandro Petrizzelli 14 Antenne e metodi elementari (parte IV) B Baallu un n aa bbaazzooook kaa La quantità di corrente che fluisce sulla superficie esterna del conduttore esterno del cavo coassiale dipende sia dall’impedenza Z G tra la stessa superficie esterna e il piano di massa sia dall’eccitazione (non volontaria) della parte esterna dello schermo. Una tipologia comune è quella del cosiddetto adattatore di impedenza a bazooka, rappresentato nella figura seguente e usato tipicamente alle alte frequenze: Abbiamo qui schematizzato sia la situazione reale (a sinistra) sia il corrispondente circuito (a destra). L’adattatore consiste evidentemente in uno schermo cilindrico, di lunghezza pari ad un quarto di lunghezza d’onda (per cui si parla di blocco in quarto d’onda), inserito attorno allo schermo del cavo coassiale; l’estremità inferiore è posta in cortocircuito con il conduttore esterno del cavo, mentre l’altra estremità è lasciata libera. Con questo schema, si realizza perciò una particolare linea di trasmissione, i cui conduttori sono lo schermo aggiunto e lo schermo del cavo. Questa linea ha la particolarità di essere lunga λ/4 e di avere un estremo in cortocircuito: come è noto, questa configurazione fa sì che la linea, all’altro estremo, si comporti come un circuito aperto, ossia con impedenza infinita. Di conseguenza, l’impedenza tra i punti A e B mostrati in figura è teoricamente infinita (in realtà, è solo molto grande) e quindi risulta anche infinita l’impedenza tra schermo esterno e piano di massa. Questo fa’ sì che la corrente torni alla sorgente tramite il percorso da noi desiderato. Esistono altri modi per ottenere alimentazioni bilanciate, tutti con lo stesso scopo, ossia annullare la corrente che fluisce sulla superficie esterna dello schermo. Ad esempio, è possibile aggiungere delle perline di ferrite attorno al cavo di alimentazione, come mostrato nella figura seguente: 15 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Queste perline si comportano come induttori di modo comune. Un altro metodo, per ottenere lo stesso risultato, è quello invece di usare toroidi di ferrite, come illustrato nella figura seguente, dove viene anche visualizzato il circuito equivalente della struttura: In generale, sottolineiamo che gli adattatori di impedenza in ferrite permettono un bilanciamento a larga banda : tipicamente, il rapporto tra la massima e la minima frequenza di funzionamento è circa 3. La situazione è invece diversa per l’adattatore a bazooka: in quel caso, infatti, essendo fissa la lunghezza fisica L della linea di trasmissione, esiste solo un valore di frequenza al quale risulta L=λ/4, per cui l’adattamento si ha solo per questa frequenza. B TV V ntteen nn nee T un np peerr aan Baallu Un tipo molto comune di balun, usato spesso nei sistemi di antenne TV (nei quali ricordiamo che l’impedenza del cavo coassiale e l’impedenza di ingresso del ricevitore TV valgono entrambe 75 Ω) è mostrato nella figura seguente: Autore: Sandro Petrizzelli 16 Antenne e metodi elementari (parte IV) ZL=2ZC • ƒ „ ‚ Esso consiste di due linee di trasmissione (la prima corrispondente ai morsetti 1 e 3, la seconda corrispondente ai morsetti 2 e 4), con impedenza caratteristica Z C , con un carico Z L (sarebbe la nostra antenna) pari esattamente a 2Z C , connesse in serie (tramite il collegamento dei morsetti 3 e 2) e con i terminali di ingresso connessi in parallelo. L’impedenza di ingresso è pari a Z L /4, per cui una linea standard di tipo coassiale con impedenza caratteristica di 75 Ω (tipica delle applicazioni TV) può essere usata all’ingresso quando l’antenna è realizzata tramite un dipolo ripiegato con resistenza di ingresso di 292 Ω. Questo tipo di balun consente dunque ad un cavo coassiale di essere usato per collegare l’antenna al ricevitore e provvedere ad un ottimale adattamento di impedenza. Il comportamento di questo balun può essere compreso ipotizzando di alimentare le due linee di trasmissione in due modi diversi (uno bilanciato e l’altro sbilanciato) e poi sovrapponendo gli effetti. Nella figura seguente è riportato il caso di una alimentazione bilanciata rispetto a terra: A ZL=2ZC I1 I1 • B +V -V I 1+I 2 ‚ -V ƒ I 1 +I2 +V „ Si nota infatti che i terminali sono alternativamente posti a +V e –V. Data questa simmetria dell’alimentazione, il punto intermedio del carico, indicato con A, e il corrispondente punto B sono a potenziale zero e quindi possono essere cortocircuitati. Facendo questo, otteniamo due linee (morsetti 1-2 e morsetti 3-4) con una impedenza di carico di Z L /2 per ciascuna, che risulta perciò uguale all’impedenza caratteristica Z C delle linee stesse: 17 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 I1 • +V +V ƒ ZL/2 -V ZL/2 -V ‚ „ In entrambi i casi, indicata con I 1 la corrente in ingresso, otteniamo che I1 ⋅ Z ZL V Z = 2V → Zing = = L = C I1 4 2 2 Nella prossima figura è invece riportato il caso in cui l’alimentazione è sbilanciata rispetto a terra, in quanto tutti i conduttori sono alimentati con tensione +V rispetto a terra: C C ZL=2ZC I2 I2 • +V +V I2 +V ƒ I2 +V „ ‚ Allora, i 4 conduttori sono equivalenti ad un unico conduttore e la corrente in ingresso è molto piccola, dato che l’impedenza di carico è data adesso essenzialmente dalla capacità tra l’antenna e la terra. L’induttanza dei quattro conduttori in parallelo rappresenta anche una impedenza elevata per la corrente. A questo punto, sommiamo le due diverse situazioni, applicando la sovrapposizione degli effetti: ZL=2ZC • 0 ƒ +2V 0 ‚ +2V „ Evidentemente, otteniamo i terminali 1 e 4 alla tensione +2V, mentre i terminali 2 e 3 risultano a tensione nulla. Possiamo allora cortocircuitarli a coppie (1-4 e 2-3), collegando la prima coppia all’anima del cavo coassiale e la seconda coppia alla Autore: Sandro Petrizzelli 18 Antenne e metodi elementari (parte IV) calza. In questo modo, indicate con I 1 e I 2 le correnti di ingresso, rispettivamente, per l’alimentazione bilanciata e sbilanciata, deduciamo che l’impedenza di ingresso della connessione vale Z ing = Z 2V V V Z = ≅ = L = C 2(I1 + I 2 ) I1 + I 2 I1 4 2 dove abbiamo trascurato I 2 essendo questa sicuramente molto più piccola di I 1 . Quindi, come anticipato prima, se la nostra antenna è un dipolo ripiegato (quindi con impedenza di ingresso Z L =292 Ω) ed il cavo è di 75 Ω, siamo riusciti ad adattare perfettamente la struttura, pur usando una linea sbilanciata ed una antenna bilanciata. Adattamento di impedenza Quando è necessario compiere misure per la caratterizzazione delle emissioni radiate di un dispositivo, al fine di verificare se esso soddisfi o meno i limiti normativi, dobbiamo poter compiere tali misure al variare della frequenza, in modo da poter interpretare rapidamente i dati ottenuti. Ad esempio, le norme FCC vigenti negli Stati Uniti suggeriscono di usare un dipolo in mezza lunghezza d’onda e impongono di compiere misure per frequenze comprese tra 30 MHz e 40 GHz: al variare della frequenza, la lunghezza elettrica dell’antenna a dipolo necessariamente cambia (mentre invece rimane invariata la lunghezza fisica L); di conseguenza, per ottenere sempre L=λ/2 ad ogni frequenza, siamo costretti a modificare di volta in volta la lunghezza fisica. Questo non è certo un procedimento di utilità pratica. Un modo sicuramente più vantaggioso di procedere consiste nell’usare le cosiddette antenne per misure a larga banda: tipicamente, vengono usate antenne biconiche e antenne log-periodiche. Queste antenne a larga banda vengono preventivamente tarate e i dati rilevati durante la taratura vengono riportati generalmente su un grafico in cui si traccia l’andamento del fattore d’antenna con la frequenza. Come già detto in precedenza, i dati relativi al fattore d’antenna sono da intendersi rilevati sotto due ipotesi: la prima è che l’antenna sia bilanciata e la seconda è che l’impedenza di carico che si vede ai morsetti dell’antenna sia di 50 Ω. Tuttavia, quando noi usiamo l’antenna per compiere le misure, generalmente non possiamo connetterla direttamente allo strumento ricevitore (ad esempio l’analizzatore di spettro, con impedenza di ingresso da 50 Ω), ma dobbiamo farlo tramite un cavo, di solito coassiale: 19 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Se anche l’impedenza caratteristica del cavo coassiale è di 50 Ω (come solitamente avviene), sappiamo che anche l’impedenza di ingresso del cavo stesso, una volta che il ricevitore è stato inserito, risulta essere di 50 Ω per qualsiasi frequenza, proprio per l’adattamento tra cavo e ricevitore. In questa condizione operativa, quindi, l’antenna vede ai propri morsetti una impedenza di 50 Ω per qualsiasi frequenza, come appunto ipotizzato in sede di taratura: in questo caso, possiamo tranquillamente procedere alle nostre misure e utilizzare poi la conoscenza delle perdite nel cavo e del fattore di antenna per ottenere i valori di campo incidente sull’antenna a partire dai valori di tensione misurati dall’analizzatore di spettro: (E inc )dBµV / m = AFdB + (Vanalizz )dBµV + (perdite)dBµV Tuttavia, se, per qualche ragione, l’impedenza di carico del ricevitore non fosse di 50 Ω, sorgerebbero dei problemi: infatti, l’impedenza vista ai morsetti dell’antenna, guardando verso il cavo, non solo non sarebbe di 50 Ω, ma varierebbe anche con la frequenza. L’unica possibilità per avere una impedenza di ingresso del cavo costante e pari all’impedenza caratteristica Z C del cavo stesso è che il carico su cui il cavo è chiuso sia Z L =Z C. Allora, per ottenere questo adattamento tutte le volte che le terminazioni assumono valori diversi dall’impedenza caratteristica del cavo, si usano i cosiddetti adattatori di impedenza e, in particolare, gli adattatori resistivi. A daattttaattoorree rreessiissttiivvoo Ad Un adattatore resistivo è semplicemente una rete resistiva la cui impedenza di ingresso rimane pressoché costante, su un valore predefinito, al variare dell’impedenza di carico e delle frequenza. Un tipico esempio di adattatore resistivo è riportato nella figura seguente: Questo circuito è detto adattatore a pi greco per la sua struttura simile alla lettera greca π. In effetti, ci sono altri tipi di adattatori, come ad esempio quelli con configurazione a T. In ogni caso, essendo costituiti solo da resistori, questi circuiti permettono l’adattamento su un ampio intervallo di frequenza (per cui sono dispositivi a larga banda), ma, d’altro canto, introducono una inevitabile attenuazione sul segnale, detta attenuazione di inserzione (indicata con IL, che sta per insertion loss, e specificata spesso in dB) Quest’ultima è definita come il rapporto tra la potenza fornita al carico una volta inserito l’adattatore e quella fornita al carico in assenza dell’adattatore: Autore: Sandro Petrizzelli 20 Antenne e metodi elementari (parte IV) IL dB = 10 log 10 (PL )senza adattatore (PL )con adattatore Ovviamente, ricordando che la potenza trasferita al carico è pari al rapporto tra il quadrato della tensione sul carico ed il valore del carico stesso, si può anche scrivere che IL dB = 20 log 10 (VL )senza adattatore (VL )con adattatore Una spiegazione essenzialmente qualitativa di come possa funzionare un adattatore di impedenza, in presenza di ampie variazioni dell’impedenza di carico, è la seguente, con riferimento all’adattatore a π dell’ultima figura: possiamo facilmente calcolare la resistenza vista dai morsetti di ingresso dell’adattatore, in quanto risulta R in = R 1 //[R 2 + (R 3 // R L )] Se facciamo in modo che la resistenza R 3 sia molto più piccola di tutti i valori possibili dell’impedenza di carico R L , possiamo sicuramente approssimare (R 3 // R L ) ≅ R 3 . Inoltre, se scegliamo R 2 in modo che sia molto più grande di R 3 , possiamo anche porre R 2 +R 3 ≅R 2 . Sotto queste due condizioni, risulta R in = R 1 //[R 2 + (R 3 // R L )] ≅ R 1 //[R 2 + R 3 ] ≅ R 1 // R 2 Ovviamente, quanto più piccola è R 3 tanto maggiore è l’intervallo di variazione di R L che possiamo tollerare; inoltre, al crescere di R 2 il valore di R 3 diventa sempre meno importante. A fronte di questo, un valore basso di R 3 ed un valore alto di R 2 provocano un aumento della perdita di inserzione. Di conseguenza, quanto maggiore è la perdita di inserzione che possiamo tollerare tanto migliore sarà la capacità di adattamento del dispositivo, ossia tanto più ampio sarà l’intervallo delle impedenze di carico per cui riusciremo ad ottenere R in ≅Z C . In base a queste considerazioni, i parametri caratteristici di un adattatore di impedenza sono il valore di impedenza che si vede ai morsetti di ingresso nell’intervallo di frequenza e di R L specificati e il valore della perdita di inserzione. Ad esempio, nella figura seguente è riportato un adattatore a π di 50 Ω e 6 dB: 21 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Tanto per avere una idea della bontà di un simile dispositivo, consideriamo il valore della resistenza di ingresso R in in due condizioni estreme: la prima è quella in cui l’uscita è un circuito aperto (R L =∞), nel qual caso di ottiene R in =85.55Ω; la seconda è quella in cui l’uscita è un cortocircuito (R L =0), nel qual caso di ottiene R in =29.92Ω. Se questo adattatore viene inserito tra un cavo coassiale con Z C =50Ω ed un carico generico, allora il ROS sul cavo risulta essere minore di 1.67 per tutti i carichi compresi tra il circuito aperto ed il cortocircuito, dove ricordiamo che ROS = 1 + ρL 1 − ρL dove ρ L è il coefficiente di riflessione. Generalmente, un ROS accettabile è minore di 1.2: se allora consideriamo carichi di valore più realistico rispetto a R L =∞ e R L =0, un valore accettabile del ROS si riesce senz’altro ad ottenere. Se aumentassimo la perdita di inserzione, ad esempio usando un adattatore a π da 50 Ω e 20 dB (per ottenere il quale bisogna prendere R 1 =R 3 =61.11Ω e R 2 =247.5Ω), otterremmo un ulteriore miglioramento, ossia un campo di variazione inferiore per il ROS: infatti, il ROS risulta praticamente pari a 1.2 sia con il carico in cortocircuito (nel qual caso risulta R in =49.01Ω) sia con il carico aperto (nel qual caso risulta R in =51.01Ω). Autore: Sandro Petrizzelli 22 Antenne e metodi elementari (parte IV) M Meetto od do od deeii m mo om meen nttii Descrizione del metodo Quando ci siamo posti il problema di determinare la distribuzione di corrente in una antenna filiforme, abbiamo condotto un ragionamento ci ha portato alla seguente equazione, detta equazione di Hallen: jωµ 0 ε 0 Vg µ0 e − jk 0 R ds' = C1 cos(k 0 z ) − sin( k 0 | z |) I ( s ' ) ∫ R 2k 0 4π l In questa equazione, di tipo integrale, l’incognita è proprio I(s’). Ci sono vari metodi per risolverla, uno dei quali è stato già visto in precedenza e consiste nell’applicare il classico metodo ad per approssimazione successive. Un'altra possibile metodologia è quella basata sul metodo dei momenti, che vogliamo descrivere in questo paragrafo. Appare subito evidente che la complessità di quella equazione deriva dalla presenza di quell’integrale. Si tratta di un integrale un po’ “particolare”, nel senso che la funzione integranda è data dal prodotto di due funzioni, una incognita e dipendente solo dalla variabile s’ di integrazione e l’altra (detta nucleo dell’integrazione), nota, dipendente sia da s’ sia dalla variabile che compare all’esterno dell’integrale (in quel caso, infatti, R può espresso in funzione di s’ e di z: R= (z − s')2 + a 2 ). Possiamo perciò esprimere quell’equazione nella seguente forma generale: 1 ∫ G (u, u ' )I(u ' )du ' = f (u ) 0 Una equazione in questa forma viene detta equazione di Fredholm di prima specie, in cui il nucleo dell’integrazione è G(u,u’), noto, mentre la funzione da determinare è I(u’). Ovviamente, anche f(u) si ritiene nota. Vediamo allora come è possibile applicare il metodo dei momenti per calcolare I(u’) che soddisfa quella equazione. Il primo passo fondamentale del metodo dei momenti consiste nell’esprimere I(u’) come una espansione in serie, ossia come una combinazione lineare, secondo opportuni coefficienti da determinarsi, di un certo numero (al limite infinito) di funzioni base note: se indichiamo con Φ n (u ' ) la funzione base di n-simo ordine, ipotizzeremo perciò che risulti N I( u ' ) = ∑ I n Φ n ( u ' ) n =1 I coefficienti I n dello sviluppo sono costanti (in generale complesse) da determinarsi. Per esempio, le funzioni Φ n (u ' ) potrebbero essere i Seni e Coseni dello sviluppo in serie di Fourier, nel qual caso i coefficienti I n sarebbero da calcolarsi tramite formule ben note. In alternativa, le Φ n (u ' ) potrebbero anche essere funzioni triangolari, nel qual caso l’approssimazione fornita dall’espansione in serie corrisponderebbe semplicemente ad una interpolazione lineare di I(u’) tra punti di campionamento rappresentati proprio dai coefficienti I n . In ogni caso, vale il principio generale per cui l’approssimazione fornita dall’espansione in serie è tanto migliore 23 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 quanto maggiore è il numero N di funzioni base utilizzate. Allo stesso tempo, però, il numero N determina anche la complessità degli algoritmi per il calcolo dei coefficienti I n , per cui si tratta in ogni caso di raggiungere un soddisfacente compromesso tra approssimazione ottenibile e costo computazionale necessario per ottenerla. Il secondo passo del metodo consiste nel sostituire l’espansione di I(u’) nell’equazione di partenza: 1 N 0 n =1 ∫ G(u, u' )∑ I n Φ n (u' )du ' = f (u) Sfruttando la linearità degli integrali, possiamo portare la sommatoria al di fuori dell’integrale, per cui scriviamo che N 1 ∑ ∫ G ( u , u ' )I n Φ n ( u ' ) du ' = f ( u ) n =1 0 A questo punto, possiamo porre 1 G n (u ) = ∫ G (u , u ' )I n Φ n (u ' )du ' 0 in modo tale che la nostra equazione diventi semplicemente N ∑I G n =1 n n (u ) = f (u ) In base a questa espressione, la funzione f(u) (nota) risulta espressa come sommatoria di N termini, secondo ancora i coefficienti I n . Il generico di questi termini è I n G n (u) e, in base alla definizione utilizzata, la generica G n (u) può essere vista come il momento di G(u,u’) rispetto alla funzione Φ n (u’), da cui quindi il nome di metodo dei momenti. In definitiva, quindi, l’equazione integrale di partenza è stata approssimata da una N nuova equazione ∑I G n =1 n n (u ) = f (u ) e, con N numero finito, il primo membro di questa equazione può essere uguale ad f(u) solo in modo approssimato. L’obbiettivo è adesso quello di determinare i coefficienti In in modo che la nuova equazione risulti soddisfatta nel miglior modo possibile. Avendo N incognite, abbiamo bisogno di un sistema (lineare) di N equazioni in tutte e sole queste incognite. Un possibile modo per ottenere questo sistema è quello di considerare N differenti valori di u e di imporre l’uguaglianza dei due membri in corrispondenza di tali valori: ad esempio, spesso si usano valori di u equispaziati di una quantità h = 1 m , il che significa considerare i punti u = m ⋅ h = . Calcolando i due N −1 N −1 membri dell’equazione in tali punti, si ottiene N ∑I G n =1 Autore: Sandro Petrizzelli n n m m = f N −1 N −1 m = 0,1,2,......, N - 1 24 Antenne e metodi elementari (parte IV) Questa equazione equivale evidentemente ad N equazioni scalari nelle N incognite In, per cui abbiamo ottenuto il nostro sistema lineare da risolvere: scritto in forma matriciale, questo sistema è [G mn ]⋅ [I n ] = [f m ] da cui, per inversione della matrice dei coefficienti, si ottiene [I n ] = [G mn ]−1 ⋅ [f m ] Esistono appositi programmi per PC in grado di risolvere sistemi lineari come questo, per cui la soluzione desiderata può essere ricavata tutto sommato facilmente. Procedura generale Esiste d’altra parte un metodo più generale di applicazione del metodo dei momenti. Esso prevede in primo luogo di scegliere un insieme di N funzioni peso, indicate ad esempio con ψ m (u) con m=1,2,…...,N. Ciascuna di queste funzioni va moltiplicata per l’equazione da risolvere, dopodiché si effettua l’integrazione tra 0 ed 1. Per spiegarci meglio, considerando l’equazione N ∑I G n =1 n n (u ) = f (u ) dobbiamo per prima cosa moltiplicarla per ciascuna considerando la generica di queste, avremo perciò N ∑I G n =1 n n ( u )ψ m ( u ) = f ( u )ψ m ( u ) delle funzioni peso: m=1,2,………,N Successivamente, dobbiamo integrare ambo i membri tra 0 ed 1: 1 N ∫ ∑I G 0 n =1 n 1 n (u )ψ m (u )du = ∫ f (u )ψ m (u )du m=1,2,………,N 0 Portando ancora una volta la sommatoria fuori dall’integrale e sostituendo inoltre l’espressione di G n (u), otteniamo N 1 1 1 n =1 0 0 0 ∑ I n ∫ ∫ G(u, u' )Φ n (u ' )ψ m (u)du ' du = ∫ f (u)ψ m (u)du m=1,2,………,N Questa metodologia è detta metodo dei residui pesati: questo nome deriva dal fatto che l’errore residuo N ∑ I n G n ( u ) − f ( u ) n =1 risulta pesato dalla generica ψ m (u), integrato ed uguagliato a zero. 25 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Nel caso particolare in cui le funzioni ψ m (u) coincidono con le funzioni Φ m (u) usate per lo sviluppo in serie di I(u), allora di parla di metodo di Galerkin. IIn ntteerrp prreettaazziioon nee ggeeoom meettrriiccaa La procedura appena descritta può essere meglio compresa sulla base della seguente interpretazione geometrica. Innanzitutto, pensiamo alla funzione f(u) come un vettore in uno spazio vettoriale ad infinite dimensioni e alle funzioni ψ m (u) come vettori unitari nello stesso spazio vettoriale. In tal modo, le componenti del vettore f(u) non sono altro che le proiezioni del vettore lungo le direzioni individuate dai vettori ψ m (u): la generica componente di f(u) risulta essere infatti 1 f m = ∫ f (u )ψ m (u )du m=1,2,………,N 0 Inoltre, la generica ψ m (u) può essere normalizzata tramite la condizione 1 ∫ψ 2 m (u )du = 1 m=1,2,………,N 0 In tal modo, le ψ m (u) corrispondono ai vettori base unitari. Non solo, ma se le ψ m (u) sono per ipotesi ortogonali tra loro, il che significa che 1 ∫ψ n (u )ψ m (u )du = 0 m≠n 0 allora essi corrispondono ad un insieme di vettori unitari ortogonali. Se vogliamo rappresentare f(u) esattamente, dobbiamo trovare tutte le sue componenti e questo richiede, perciò, in generale, un infinito numero di funzioni ψ m (u). Se invece noi consideriamo un numero finito di funzioni ψ m (u), il che equivale a considerare N f (u ) ≅ ∑ f m ψ m (u ) m =1 stiamo in pratica trovando la proiezione del vettore f(u) in un sottospazio vettoriale ad N dimensioni ottenuto appunto tramite le N funzioni ψ m (u). Quindi, il metodo dei momenti può essere visto come la ricerca delle proiezioni del vettore f(u) e dei vettori I n G n (u) su un sottospazio vettoriale ad N dimensioni (con N finito), che poi corrisponde a trovare i coefficienti I n affinché le rispettive proiezioni in tale sottospazio siano uguali. Il fatto di usare un N finito implica che si stiano in pratica trascurando le proiezioni nelle rimanenti dimensioni dello spazio vettoriale complessivo di partenza. Quando le funzioni peso ψ m (u) sono scelte arbitrariamente, la soluzione non ha alcuna particolare proprietà. Se poi è fatta una cattiva scelta delle funzioni ψ m (u), N allora può capitare che sia f(u) sia ∑I G n =1 n n (u ) abbiano diverse componenti rilevanti ortogonali al sottospazio creato con le ψ m (u), il che significa che l’approssimazione ottenuta è davvero scadente. Autore: Sandro Petrizzelli 26 Antenne e metodi elementari (parte IV) Concludiamo ricordando che la maggior parte degli integrali che compaiono nelle equazioni cui è applicabile il metodo dei momenti non possono essere risolti analiticamente e bisogna perciò ricorrere a metodi numerici, uno dei quali è l’algoritmo di integrazione numerica noto come regola di Simpson. Autore: Sandro Petrizzelli e-mail: [email protected] sito personale: http://users.iol.it/sandry succursale: http://digilander.iol.it/sandry1 27 Autore: Sandro Petrizzelli