S. Stefano, Rivarolo, 26.12.2016

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EDOARDO ALDO CERRATO, C. O.
Vescovo di Ivrea
Omelia nella festa di S. Stefano primo martire
Rivarolo, 26 Dicembre 2016
Carissimi Fratelli e Sorelle, buon Natale a voi e a tutti i Rivarolesi in questa festa del primo
Martire cristiano in cui ogni anno ho la gioia di celebrare con voi la S. Messa!
1. «Si aprirono le porte del cielo per santo Stefano; – inizia oggi la celebrazione –: egli è il
primo nella schiera dei martiri e ha ricevuto in cielo la corona di gloria». E nella I Lettura abbiamo
ascoltato che, durante il processo nel Sinedrio, «Stefano, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e
Gesù che stava alla sua destra di Dio».
Proprio su questa gloria che Stefano contempla e di cui riceve la corona vogliamo soffermarci:
la Gloria di Dio che gli angeli hanno cantato nella notte di Natale – «Gloria in excelsis Deo» – e che
in questi giorni anche a noi si svela nel mistero del Natale, come canta il Prefazio: «Nel mistero del
Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore perché,
conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili».
«Lo splendore della gloria» del Padre è il Figlio unigenito che viene a noi nel Bimbo-Dio nato a
Betlemme. Il manifestarsi della gloria di Dio passa dunque attraverso l’«exinanivit», lo svuotarsi
della gloria che il Figlio ha nella sua natura divina: «apparso in forma umana – dice san Paolo –
umiliò se stesso, assumendo la forma di servo e divenendo simile agli uomini».
2. Lo svelarsi della gloria di Dio si compie nell’umiltà e nel sacrificio che è parte costitutiva
dell’Amore: «Dio – dirà infatti Gesù – ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» e
noi sappiamo che cosa significa questo “dare”, e fino a che ampiezza si estende…
E’ l’aspetto del Natale che non possiamo dimenticare, come non lo dimenticò, lungo i secoli, la
sensibilità del popolo cristiano, raccolta, ad esempio, dal bellissimo canto di sant’Alfonso: «Tu
scendi dalle stelle, o Re del cielo… Ah quanto ti costò l'avermi amato! Tu lasci il bel gioir del divin
seno, per venire a penar su questo fieno. Deh, mio bello e puro Agnello, a che pensi? Un dì morir
per te, rispondi, io penso».
E’ venuto «nell’umiltà della condizione umana». Diventare uomo, per Dio Creatore e Signore, è
un atto di infinita umiltà poiché ha assunto il limite, la piccolezza, la precarietà della nostra natura,
che è un dato di fatto che si constata; riconoscerlo è atto di ragione…
Ma c’è un’altra umiltà su cui non possiamo fare a meno di soffermarci: quella di cui parla Gesù
quando ci dice: «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore».
Questa umiltà è qualcosa di diverso dal solo riconoscimento che siamo povere creature. Si può
essere infatti coscienti dei nostri limiti e non essere «umili di cuore»… Quante volte sentiamo
montare in noi superbia e orgoglio, pur consapevoli che siamo costituiti in uno stato di precarietà.
L’umiltà è la progressiva consapevolezza – non teorica, non espressa solo a parole, ma nei gesti,
nelle scelte, nelle decisioni – che Dio, non io, è il Signore. E’, dunque, obbedienza a Lui, alla Verità
che ci ha rivelato e ai Comandamenti che ci ha dato per la nostra vera realizzazione; obbedienza
anche alla Chiesa, a cui il Signore ha affidato il servizio di trasmettere la Sua Parola; e, nella
Chiesa, concretamente, a chi esercita l’autorità a qualunque livello: «Chi ascolta voi ascolta me»
dice infatti il Signore.
L’umiltà è l’umile sentire di sé che si esprime nei rapporti fraterni impostati alla luce di quanto
san Paolo afferma, ad esempio, nella Lettera ai Filippesi: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria,
ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi
l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una
morte di croce». Qui siamo, Fratelli e Sorelle, al cuore del cristianesimo; questa è la base della
santificazione della vita. L’amore vero è rinuncia a se stessi per fare il bene dell’altro: si tratta,
come per Gesù, di svuotare se stessi, mettersi in una prospettiva in cui non l’ego sia al centro, porsi
in una posizione di sincera apertura agli altri e quindi di amore incondizionato. Ricordando che il
seme non dà frutto se non muore.
3. Tutta questa storia – che è vera storia di fatti, di gesti – la storia dell’amore di Dio per noi
realizza l’Alleanza nuova, siglata dal Sangue di Dio fatto Uomo; l’Alleanza eterna, che non sarà
mai infranta poiché si è compiuta «una volta per sempre», come dice la Lettera agli Ebrei: «Questo
Figlio, che è irradiazione della gloria [del Padre] e impronta della sua sostanza, entrò una volta
per sempre nel santuario, con il proprio sangue, procurandoci così una redenzione eterna».
Alleanza, dunque, è il termine che esprime la sostanza del rapporto tra Dio e l’uomo. Da questa
realtà dipende tutta la nostra vita di credenti.
Questa Alleanza in ebraico è detta berît. Quando i Settanta tradussero in greco la Bibbia,
avevano due termini a disposizione per rendere berît: synthêkê (che esprime un’intesa bilaterale, tra
due contraenti), e diathêkê: una disposizione nella quale una sola volontà (quella di Dio) è in atto.
Tradussero diathêkê, poiché l’Alleanza dalla quale riceviamo la salvezza, non è la relazione
contrattuale di due partner che si accordano. Il patto, l’Alleanza, è offerto; è Dono dell’Amore di
Dio e l’uomo è chiamato a rispondere, ma non spetta a lui contrattare le condizioni.
Lo vediamo nell’Ultima Cena: «Prendete e mangiate: questo è il mio corpo offerto in sacrificio
per voi; prendete e bevete: questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza nuova ed eterna, versato
per voi…». La comunione sacramentale che unisce con Gesù i partecipanti al banchetto, è data: né
chiesta dall’uomo, né da lui contrattata. E’ Dono la cui accettazione comporta la nostra volontà di
vivere in comunione con il Donatore: «Siete miei amici se fate quello che io vi comando… Questo è
il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi». Comporta la volontà di
vivere in comunione con il Donatore, ma non si contratta: si accoglie e si fa ciò che Egli dice!
4. Gloria, umiltà, alleanza, comunione… Di tutto questo ci parla oggi Stefano, nella luce del S.
Natale! E noi, con la preghiera della Chiesa supplichiamo: «conferma in noi, Signore, l'opera della
tua misericordia e trasforma la nostra vita in perenne rendimento di grazie».
Essere cristiani, essere di Cristo, come Stefano, significa essere “uniti a Lui in comunione di
vita”. In Cristo siamo creature nuove: nel Sacramento del Battesimo siamo divenuti partecipi della
vita di Dio; nella SS. Eucaristia riceviamo il Suo Corpo e il Suo Sangue; nella Cresima l’immenso
dono dello Spirito, l’Amore infinito con cui il Padre e il Figlio si amano; nel Sacramento della
Penitenza siamo strappati al peccato e riammessi alla comunione con Dio. Realtà stupefacenti, di
cui possiamo fare quotidiana esperienza!
Essere cristiani significa essere di Cristo, al punto di poter dire con san Paolo: «Siamo membra
del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa»… Apparteniamo a Lui, siamo parte di Lui, fino a
poter dire: «Vivo io non più io; è Cristo che vive in me, e questa vita che io vivo nella carne, la vivo
nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me»… «Mihi vivere Christus
est»: per me vivere è Cristo; la mia vita è Cristo.
S. Stefano primo Martire ci sostenga nell’impegno di essere cristiani davvero.
Di nulla più di questo ha bisogno il mondo, la società, l’uomo confuso e brancolante del nostro
tempo, l’uomo che non conosce più le cause profonde del suo soffrire, poiché non conosce più il
significato vero del suo vivere! Ha bisogno di cristiani capaci di vedere la gloria di Dio, di vivere
nell’umiltà che è il segno splendente di questa gloria divina; di uomini e donne di pace che mettono
fine all’egoismo, alle gelosie, alla superbia, alla chiusura del cuore! Dove? In famiglia, nelle
comunità, nel mondo del lavoro, là dove si vive: nella società e nella Chiesa!
Buon Natale, Fratelli e Sorelle! Il Natale di Gesù Cristo, il Natale di Stefano!
Sia lodato Gesù Cristo!
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