10 Sabato 12 Novembre 2011 PRIMO PIANO Gli economisti A’Hearn e Venables parlano di circolo vizioso davvero difficile da spezzare Nord-Sud, divario incolmabile L’università di Oxford: il gap tra le due Italie non si riduce DI I GIAMPIERO DI SANTO nutile illudersi: politica economica o meno, il Nord d’Italia sarà sempre molto più sviluppato del Sud, sia per le caratteristiche geografiche del paese, sia per l’orientamento del commercio internazionale, che privilegia i mercati europei e Usa rispetto alle rotte dell’Africa. E per conseguenza, anche le istituzioni pubbliche meridionali, poco stimolate dalla domanda di servizi di alto livello da parte delle imprese e dei cittadini, hanno contribuito e contribuiranno ad accentuare il divario tra le due aree del paese. Non è un mantra leghista né un sussulto di grandeur padana ad accendere l’ennesimo faro sulla distanza siderale tra l’economia industriale e postindustriale del Settentrione d’Italia e quella del Meridione. No, in questo caso il verdetto sfavorevole per il Sud arriva da una delle due più prestigiose università del britanniche, Oxford, la cui facoltà di economia ha dedicato al dualismo italiano un discussion paper, «Internal geography and external trade. Regional disparities in Italy 1861-2011», che ancora una volta dimostra come il problema del ritardo del Mezzogiorno sia davvero enorme per l’Italia. Tanto da far concludere agli autori, Brian A’Hearn e Anthony J. Venables, che nel corso della storia di Italia si è creato un circolo vizioso con davvero poche possibilità di essere spezzato nel futuro. «In Italia la geografia interna e la struttura del commercio estero hanno sistematicamente collocato i settori dinamici dell’economia e quelli più orientati all’export orientati all’export nel Nord», si legge nel documento elaborato da A’Hearn e Venables. «Per questo, il Sud Italia pesa sul totale dell’export meno del 10%» Una situazione grave, che comunque si trascina si può dire da sempre. E che non è migliorata neanche con il boom economico tra la metà degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta. Anche in quel periodo felice, «le diverse combinazioni tra le relazioni commerciali e estero e e la geografia interna del paese hanno lavorato a favore del Nord Italia, dove si è verificata una forte concentrazione dell’industria fino agli anni Sessanta, seguita da un de- Giulio Tremonti clino negli anni successivi. Un andamento simile a quello seguito da Francia e Spagna, che però hanno preceduto di circa 20 anni il nostro paese. E non è stata soltanto l’industrializzazione ritardata la particolarità dell’Italia, sottolinea lo studio, perché il predominio dell’economia settentrionale non ha mai conosciuto pause o battute di arresto. «La dispersione parziale dell’industria manifatturiera al di fuori del Nord-Ovest ha portato a partire dal 2001 alla creazione di un compatto gruppo di regioni industrializzate contigue nel Nord-Est e nel Centro-Nord», si legge nel paper. «L’Italia si distingue dagli altri paesi per i tempi di industrializzazione, ma anche per il dominio continuo di un’area del paese ». Al contrario di quanto è avvenuto in Spagna, per esempio, dove l’attività industriale si è concentrata al principio, nel diciannovesimo secolo, in Catalogna, per poi espandersi, nei cento anni successivi, ai Paesi Baschi, e nella regioone di Madrid. O del caso francese, dove nel 1860 16 dei 26 dipartimenti più industrializzati erano a Nord di Parigi e 10 al Sud, nel 1930 si era quasi arrivati alla pari (8-9) e nel 2000 era stato registrato l’assoluto equilibrio, 14 a 14. Né potrà essere per esempio la Banca del Sud immaginata dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, a risolvere i problemi, se è vero che la disuguale distribuzione dell’industria tra Nord e Sud influenza nel nostro paese il tenore di vita della popolazione molto più di quanto avvenga altrove. «Le variazioni regionali di prodotto pro capite sono molto più ampie in Italia di quanto avvenga in paesi simili», nota il paper di Oxford. «Per esempio, nel 2001 il pil pro capite delle quattro regioni più ricche era 1,6 in rapporto a quello delle quattro più povere, mentre in Spagna era a 1,45 e in Francia 1,12». Una variabilità dovuta a una serie di fattori (tassi di partecipazione, occupazione e produttività), che hanno contribuito a creare il gap tra Nord e Sud «rivelatosi impossibile da ridurre nelle ultime decadi». © Riproduzione riservata