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Ordine di prossimità occasionale
di Jacopo Figura
La memoria è una condizione della mente consapevole ed inconsapevole, perché quello che siamo
è il frutto di una catena più o meno fortunosa di eventi causali che dai nostri progenitori arriva fino
al ricordo che abbiamo della nostra vita. Avremmo potuto anche essere altri nell’infinita varietà
dei mondi possibili. In un mondo dove ci siamo ritrovati e che conosciamo nel limite delle nostre
personali esperienze anche la possibilità di farne di nuove e di progettare sembra rimanere legata
alla memoria. Di essa non ci si libera, viene a noi in modo spontaneo, attivata, o meglio, occasionata da qualche impulso particolare, i cui meccanismi sono oggetto di studio delle neuroscienze.
In generale possediamo una memoria tanto quanto noi apparteniamo a lei. Noi siamo la nostra
memoria, o più esattamente, ciò che siamo indotti - e come - a ricordare, attraverso i complicati
meccanismi della psiche dell’uomo occidentale(izzato) separato dal tutto, anche da sé stesso.
La memoria è un atto che ha il suo svolgimento nel presente, ma il suo contenuto è il passato costitui to sostanzialmente da esperienze particolari che costituiscono ciò che noi siamo; la stessa
immagine che abbiamo di noi è strutturata sulla memoria di esperienze che a loro volta influiscono
sul modo di relazionarci alle nuove. Questa condizione coinvolge tutto il genere umano. Ogni individuo ha un passato ed una memoria che fa di lui ciò che è. Senza memoria non si dà individualità, tanto che la relazione tra individui è una relazione fra memorie.
Come condizione fondante della soggettualità la memoria trova il suo limite nel tempo essendo
appartenente ad una dimensione interiore - dell’anima - che non misura il tempo secondo un ordine di successione spaziale, ma seguendo la dilatazione indefinibile del ricordo, degli stati emotivi,
della coscienza. L’eternità della memoria è pensabile solo nella memoria dell’eternità; ma il tempo
fisico della vita separa il passato dal presente ed il ricordo si perde nella trama del racconto fra
l’elegia e il dramma (o la commedia), disperso fra una cantina e una piazza, fra una fotografia e
un monumento.
L’intervento dell’artista s’inserisce in questa separazione temporale reale ed illusoria nello stesso
momento, sullo scarto fra il tempo interiore della coscienza in presente continuo e quello esteriore
della vita biologica soggetto a superamento. L’esperienza della vita è un continuo alternarsi di
questi stadi temporali di cui la morte rappresenta fine e continuità, non solo attraverso il ricordo,
che nella sua manifestazione soggettiva è unico, ma come partecipazione universale al perpetuo
mutamento della sua forma. Essere e non essere si ripropongono entrambi nello stesso momento come esigenza metodologica irrinunciabile. Questa sorta di spiritualismo panteistico informa
di sé un’estetica dell’esistenza che individua nella transitorietà e nella mutevolezza il carattere
immutabile - permanente - del tutto. L’esperienza di vivere l’esistenza nel suo intreccio di vita e
morte, rappresenta la soluzione al timore del mutamento e afferma l’assoluta relatività relazionale
del reale.
Questo le consente di non approdare ad esiti fatalistici o divinatori, quanto piuttosto aprire un
orizzonte sulla causalità nella quale siamo stati casualmente calati, nell’intreccio di permanenza
e impermanenza delle faccende umane, delle relazioni, delle glorie, delle esperienze e dei ricordi.
Il cimitero è il luogo dove vengono riposte le memorie ma è anche un luogo di riflessione sulla
condizione dell’essere la cui memoria vive il tempo indefinito del ricordo. La scoperta di resti
umani abbandonati è così soltanto l’occasione per realizzare (intellettivamente) la consapevolezza
che guiderà il suo operare e che la porterà a realizzare (materialmente) un’opera come guida e
meta di un percorso esperienziale e di coscienza.
Il primo giorno di sole è il giorno in cui tutto comincia, in cui avviene l’incontro con il sé dall’altro, sperimentando attraverso la compenetrazione di vita e morte un’esperienza di esperienze sconosciute e sconosciute memorie. L’artista si è imbattuta nei resti mortali di alcuni ignoti le cui
Via Salicotto 1/3, Piazza del Campo - Siena - Italy
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tombe erano state scoperchiate e dilavate dalle abbondanti piogge dei giorni precedenti. Pietà,
abbandono, cura, descrivono le alterazioni emotive che agitano la sua mente e il suo corpo,
annullandosi come individuo e consacrandosi a nume tutelare del loro passato. La volontà
di riportare alla vita la memoria di queste identità perdute è tutt’uno con il bisogno di tenere
sempre vivo il ricordo di un’esperienza nella quale si fa chiara, illuminata dai raggi del sole,
la dinamica dell’esistenza. Vivere significa perciò donarsi all’eterna mutevolezza della realtà
in un abbraccio che la comprenda, addentrandovisi fino a quando è possibile alle proprie forze
fisiche e spirituali.
Questo incontro fortuito con il sé e l’altro e la loro continuità innestata nella dialettica vitamorte, essere-non essere, ritorna negli altri lavori riconducibili alla stessa esperienza. Opere
che sono la scrematura di un’esperienza assoluta che la meditazione raggiunge con un atto
intellegibile di visione del tutto in cui noi siamo e non siamo. L’esperienza della permanente
impermanenza dell’esperienza stessa, che, come una macchia d’olio, muta ma non svanisce.
Scarti di memoria, come le impronte che lasciano i desideri gettati, e che ritrovano in questa,
come nella continuità fra vita e morte, il principio dell’essere come permanente impermanenza,
chiaro scuro, unito e diviso, uguale e diverso.
L’esposizione nella galleria FuoriCampo è la descrizione di questo percorso interiore, spirituale, che dal ritrovamento delle spoglie umane nel primo giorno di sole si “conclude” in un gesto
di amore assunto a valore universale; un’esperienza totalizzante in cui l’artista si è condotta
fino in fondo, in cui la cura del ricordo di qualcuno che non conosce è ricompresa nell’espressione dell’esperienza di questo incontro con la vita in cui lo spazio della figurazione è lasciato
alle parole e dal residuo della memoria di questa esperienza. Quello che si vede - quello che
rimane - è il risultato - il precipitato - di un’operazione che l’artista ha compiuto in modo inconsapevole, guidata unicamente dal senso di cura e di amorevolezza verso ignoti scomparsi
partecipanti, sconosciute individualità abbandonate. Il significato di questa esperienza si cristallizza nel materiale della pulitura portando a termine il compito che ha condizionato il suo
operare come cura della memoria. Il risultato della pulizia delle lapidi come della sua mente
è di fronte ai vostri occhi come l’orizzonte e i paesaggi che si mostravano ai suoi nel primo
giorno di sole.
Il fare come forma di presenza nel mondo e la memoria come condizione dell’esistenza convergono nell’unicità dell’esperienza che diventa in questo modo l’universale esperienza di sé.
La processualità dell’opera è un percorso che si scopre facendo, ma ha alle spalle convinzioni
teoriche e spirituali ben radicate. L’aspetto performativo che traspare nel suo agire non è perciò
importante come pubblica rappresentazione, ma è funzionale alla resa attiva e “formale” dell’opera come momento realizzativo del lavoro.
La temporanea presenza al mondo come summa experientuarum si sperimenta in un’alternanza
continua di relatività fra illusione e necessità, fra il caso e la ragione con l’unico appiglio del
ricordo come farmaco contro l’inedia o contro la follia, per avere qualcosa di buono addosso.
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