Master in difesa tributaria e assistenza al

Scuola di Alta Formazione Luigi Martino
Master in difesa tributaria
e assistenza al contribuente
Principio della motivazione nell’atto amministrativo
(con riferimento agli artt. 97 e 24 della Costituzione)
Paolo Brecciaroli
V Presidente di Sezione
Commissione Tributaria Provinciale di Milano
Milano, 13 dicembre 2013
1
Premessa
LE FONTI DEL DIRITTO IN GENERALE E LE RELAZIONI TRA ESSE
Le fonti del diritto sono tutti quei fatti (meri accadimenti o situazioni obiettive) ed atti
(apposite manifestazioni di volontà di determinati soggetti ed organi) giuridici cui
l’ordinamento giuridico riconosce l’idoneità a porre in essere, modificare o abrogare
norme giuridiche. Esse si pongono fra loro in relazioni in base a precise regole che
definiscono i rapporti tra le fonti stabiliti secondo tre criteri:
1) criterio cronologico: quando si tratti di fonti confliggenti dello stesso tipo, la
norma precedente prevale su quella successiva secondo il principio “lex
posterior derogat legi priori”;
2) criterio gerarchico: in caso di norme configgenti, le norme di rango superiore
prevalgono su quelle di rango inferiore;
3) criterio di competenza: fa riferimento alla competenza fondata sull’ambito
territoriale o sulla diversità di oggetti regolabili. Per la disciplina di una
particolare materia ci può essere anche una preferenza della Costituzione verso
una fonte anziché un’altra.
Nell’Ordinamento italiano la regolamentazione delle fonti, è disposta sia dalla
Costituzione che da norme contenuta in leggi ordinarie ivi comprese “le
disposizioni preliminari del Codice Civile”.
2
QUADRO DI CLASSIFICAZIONE DELLE FONTI
NELL’ORDINAMENTO ITALIANO
Le fonti nell’ordinamento italiano possono così classificarsi
1. fonti superprimarie o di rango costituzionale: la Costituzione e le leggi
formalmente costituzionali (fra le quali: gli statuti delle Regioni ad autonomia
speciale);
2. fonti primarie: norme comunitarie; le leggi. formali (che sono le norme
giuridiche statali per antonomasia: da cui il frequente uso dell'espressione
legge, assunta nel senso puramente materiale di norma) e gli atti equiparati del
Potere Esecutivo, come i decreti-legislativi (ora rappresentati dalle sole leggidelegate) e le ordinanze di necessità (tra cui: i decreti-leggi); le leggi regionali
e gli atti equiparati dei "Governi regionali, nonché le leggi provinciali della
Regione Trentino-Alto Adige (nelle materie di rispettiva competenza e, di
regola, sempre nei limiti segnati dai «principi fondamentali delle leggi
ordinarie »), gli statuti delle Regioni ordinarie; e, con contenuto puramente
negativo, il referendum abrogativo delle leggi formali;
3. fonti secondarie: i regolamenti statali (validi solo se conformi alle leggi e
distribuiti secondo una scala d efficacia in relazione alla gerarchia degli organi
che li emanano, avendo, quindi, al vertice quelli presidenziali); gli statuti ed i
regolamenti di tutti gli altri soggetti dotati di autonomia (le cui norme, se
devono uniformarsi ai regolamenti di esecuzioni di leggi statali, d'altro lato,
nelle materie conferite alla potestà normativa dei soggetti stessi, non possono
venir comunque limitati dai regolamenti indipendenti dello Stato); i contratti
collettivi di lavoro (valevoli per tutti gli appartenenti alle categorie interessate,
se emanati secondo le modalità previste dall'art. 39 Cost.).
Al primo gradino della gerarchia delle fonti, sono posti i “principi
fondamentali” della Costituzione (si tratta dei primi 12 articoli che
costituiscono le basi essenziali della Costituzione) ai quali si ispira
l’ordinamento italiano cui costituiscono la struttura organizzativa.
Tutte le norme di diritto debbono conformarsi ai principi in essa contenuti.
“Il parlamento può modificare la Costituzione, seguendo le procedure stabilite
(art. 138), … purchè non intacchi quei “ principi supremi” (tra cui il nucleo
essenziale dei diritti inviolabili delle persone) che si ritengono sottratti allo
stesso potere di revisione della Costituzione” (ONIDA).
3
LE NORME DELL’UNIONE EUROPEA
Le norme comunitarie prevalgono su quelle interne e vanno collocate nella
gerarchia delle fonti dopo la Costituzione e sovraordinate alla legge ordinaria.
Ciò discende dalla previsione normativa dell’art. 11 Costituzione che la rende
permeabile ai poteri sopranazionali, in cui si afferma che l’Italia “consente, in
condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie
ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni” e
“Promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Tale norma, che rende permeabile la Costituzione ai poteri sovramìnazionali,
finalizzata all’ingresso dell’Italia all’ONU (1955), ha anche avuto la funzione
di legittimare costituzionalmente le limitazioni alla sovranità dello Stato
italiano conseguenti all’adesione alle Comunità e poi all’Unione Europea. La
limitazione è consistita nell’attribuire – nei confronti dei cittadini negli ambiti
previsti dai trattati – ad Istituzioni sopranazionali (organi delle comunità
europee) compiti e poteri con efficacia superiore a quella espressa dalle
istituzioni nazionali, cosicché le leggi italiane non possono operare in contrasto
con le leggi comunitarie che giudici ed amministrazioni debbono rispettare e
fare rispettare.
4
LA COSTITUZIONE
La Costituzione italiana è una Costituzione votata 8e cioè adottata
volontariamente e liberamente dal popolo, attraverso l’assemblea costituente);
rigida (nel senso che è modificabile solo seguendo procedure stabilite – cfr. art
138 Costituzione); lunga (oltre alle norme sull’organizzazione statle, statuisce
anche i principi fondamentali dello Stato ed i diritti fondamentali dei cittadini);
scritta (è consacrata in un documento formale).
La Costituzione è la legge fondamentale dello Stato. Produce precisi effetti
normativi:
a) l’intrerpretazione di altre norme viene vincolata ai significati più vicini
al suo contenuto programmatico e di principi;
b) la normazione statale e regionale è vincolata ad ispirarsi ai suoi principi;
c) le disposizioni in contrasto con i suoi contenuti vengono dichiarate
illegittime dalla Corte Costituzionale.
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PRINCIPI COSTITUZIONALE IN MATERIA AMMINISTRATIVA
-
La Costituzione contiene importanti principi in materia amministrativa che è
opportuno richiamare:
principio di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97
Cost.);
principio della riserva di legge in materia di organizzazione dei pubblici uffici
(art. 97 Cost.)
principio del diritto alla tutela giurisdizionale nei confronti dell’azione
amministrativa (art. 24 e 103, comma 1 Cost.);
principio del decentramento amministrativo (art. 5 Cost.);
principio della tutela delle autonomie locali (artt. 5 e 128 Cost.);
principio del libero accesso dei cittadini ai pubblici impieghi per concorso (artt.
51 e 97, ultimo comma Cost.);
principio della riserva di legge per l’imposizione di prestazioni coattive (art. 23
Cost.);
principio della espropriabilità della proprietà privata ai fini di pubblica utilità e
indennizzo (artt. 42, terzo comma e 43 Cost.);
principio dell’obbligo di tutti a concorrere alle spese pubbliche (art. 53 Cost.);
principio della programmazione economica (art. 41, terzo comma Cost.);
principio della indipendenza dei giudici amministrativi (art. 100 Cost.).
(V. 379)
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LA RISERVA DI LEGGE
La riserva di legge è una limitazione della potestà normativa operata dalla
Costituzione a favore del legislatore.
Può essere assoluta, quando al legislatore si affida di disciplinare la materia in
modo sostanzialmente completo.
La riserva è relativa, quando la Costituzione affida al legislatore la disciplina
della materia nel suo aspetto fondamentale lasciando spazio ai regolamenti ed
alla discrezionalità dei pubblici poteri.
La distinzione tra i due tipi di usura è affidata al diverso modo di indicazione:
si usa l’espressione “nei casi e modi previsti dalla legge” per le riserve
assolute e l’espressione meno pregnante “in base alla legge” per le riserve
relative.
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LE FONTI DI ORIGINE COMUNITARIA
In base all’art. 11 della Costituzione ed ai trattati dell’Unione Europea “L’Italia
… consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra
le Nazioni” anche gli organi comunitari sono abilitati ad emanare “atti” quali
manifestazioni del potere normativo.
L’art. 189 (ora 249) del trattato CE, prevede che gli organi comunitari siano
abilitati ad emanare atti con carattere vincolante, quali:
a) regolamenti;
b) direttive;
c) decisioni.
Ed altri atti senza potere vincolante, quali
d) raccomandazioni e pareri.
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Norme comunitarie con carattere vincolante
-aRegolamenti: sono atti di normazione derivata comunitaria che hanno portata
generale e che sono direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri.
-bDirettive: sono atti che vincolano lo Stato membro cui sono riferite per il
risultato da raggiungere, mentre quanto alla forma ed ai mezzi, la competenza
resta degli organi nazionali che possono recepirla utilizzando una legge, un
regolamento o un atto amministrativo.
Il mancato o incompleto recepimento delle direttive alla scadenza del termine
di attuazione assegnato al singolo Stato, comporta a carico dello Stato un
obbligo di risarcimento, come è stato più volte statuito dalla Corte di Giustizia.
-cDecisioni: sono obbligatorie per i destinatari in tutti i loro elementi:
secondo una giurisprudenza della Corte di Giustizia anche le pronunce della
Corte di Giustizia costituirebbero fonte normativa direttamente applicabile.
Atti comunitari non vincolanti
-dRaccomandazioni e pareri.
Le raccomandazioni, sono atti che costituiscono esortazioni dirette ai singoli
Stati membri senza portata obbligatoria rispetto alle direttive;
i pareri sono – invece – da considerare sostanziali opinioni su determinate
questioni.
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ATTI AMMINISTRATIVI
L’atto amministrativo, è un atto che promana da un’autorità
amministrativa (aspetto formale) nell’esercizio di una funzione
amministrativa (aspetto sostanziale).
Sono indirizzati a soggetti determinati o determinabili e sono in grado di
apportare una modificazione unilaterale nella sfera giuridica degli stessi.
CARATTERI DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
Gli atti amministrativi impongono unilateralmente modificazioni nella sfera
giuridica dei destinatari (autotorietà o imperatività) e sono dotati di una
particolare efficacia, la esecutorietà, che consente di dare immediata e diretta
esecuzione nei confronti del soggetto destinatario di provvedimento
sfavorevole senza previa pronuncia giurisdizionale.
Altri caratteri dell’atto amministrativo sono:
la tipicità con riferimento ad atti previsti dall’Ordinamento (l’autorizzazione e
similari quali l’abilitazione, l’approvazione, il nulla-osta, le licenze, le
registrazioni, le dispense; le concessioni ed atti similari quali la delega, la
ammissione (es. conferimento di cittadinanza); le concessioni edilizie; gli
ordini (es. ordine pubblico); gli atti ablativi reali (provvedimenti che privano il
titolare di un determinato diritto reale);
provvedimenti di secondo grado (ad es. provvedimenti che decidono
controversie amministrative)); la nominatività, a ciascun interesse pubblico da
realizzare è preordinato un tipo di atto perfettamente definito.
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LA DELEGA E LA CONCESSIONE
Con la delega, l’autorità amministrativa attribuisce, nei casi previsti dalla
legge, ad altri potestà o facoltà inerenti a diritti suoi propri (es. delega di
poteri).
Con tale atto l’amministrazione conferisce ad un soggetto diverso da essa la
facoltà di esercitare un potere suo proprio.
La delega non va confusa con la concessione traslativa poiché con tale istituto
l’amministrazione si spoglia di certi poteri trasferendoli al concessionario,
diversamente da quanto avviene con la delega in cui l’autorità delegante non si
priva dei propri poteri in ordine all’attività delegata, ma demanda al delegato
soltanto l’esercizio dei poteri stessi conservando il potere di esercitare l’attività
stessa.
(v. pag. 179, sulla delega)
(v. anche “GERARCHIA”)
L’ART. 97 DELLA COSTITUZIONE ED I PRINCIPI FONDAMENTALI
DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA
L’art. 97 della Costituzione, comma 1, statuisce
“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che
siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
Tale articolo detta i principi fondamentali che devono ispirare sia il legislatore
che la pubblica amministrazione nella gestione delle strutture organizzatorie e
che si possono sintetizzare come segue.
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PRINCIPIO DI LEGALITA’
Stabilisce i rapporti tra “legge” ed “attività amministrativa” nel senso che deve
esserci corrispondenza tra “attività amministrativa” e “prescrizione di legge”.
In buona sostanza è conforme a legge ogni atto: che, non si ponga in contrasto
con la legge; che è conforme alla legge; che sia positivamente fondato sulla
legge; che abbia forma e contenuto sostanzialmente predeterminati dalla legge.
In buona sostanza il legislatore deve disciplinare compiutamente i pubblici
poteri.
Il principio è ribadito dal disposto degli artt. 24 e 13 della Costituzione che
sanciscono il controllo del Giudice sull’attività della pubblica amministrazione
e quindi la non esercitabilità di tale attività in contrasto con la legge e ribadito
dall’art. 101 della Costituzione che stabilisce che “la giustizia è amministrata
in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Il giudice, in
buona sostanza, non potrà, nel suo esercizio, decidere una controversia
applicando un diritto oggettivo diverso da quello legislativo e quindi potrà dare
applicazione a norme amministrative solo se conformi alla legge. Da ciò
discende che le norme riguardanti l’organizzazione amministrativa sono
previste dalla legge e non dal potere amministrativo.
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PRINCIPIO DI IMPARZIALITA’
-
-
Il principio di imparzialità deve essere il criterio – guida della Pubblica
Amministrazione nella sua completezza.
Deve intendersi nel senso che il responsabile del procedimento
nell’espletamento delle proprie funzioni deve far prevalere l’interesse pubblico
solo a conclusione di un’attenta ed oggettiva valutazione delle posizioni e delle
ragioni di chi si trova in conflitto con la Pubblica Amministrazione.
In particolare, il principio comporta:
che tutti i soggetti siano ammessi ad usufruire dei pubblici servizi;
che sia bandito qualsiasi favoritismo e siano considerati illegittimi quegli atti
amministrativi emanati senza valutazione di tutti gli interessi esistenti;
che i funzionari si astengano dal partecipare a quegli atti in cui abbiamo
interesse direttamente o per interposta persona;
che i cittadini possano ricusare il funzionario portatore di interessi personali
sulle questioni su cui deve decidere;
che i concorsi e le gare pubbliche siano impostati su criteri tecnici e di
imparzialità delle commissioni giudicatrici;
che l’amministrazione assicuri l’imparzialità attraverso la pubblicità degli atti,
la loro motivazione, il rispetto dei criteri fissati, la previa determinazione dei
criteri di massima per l’attribuzione di sussidi ed altre erogazioni;
che vengano identificati e valutati tutti gli interessi coinvolti;
che sia bandita la discriminazione arbitraria;
che tuteli equamente gli interessi pubblici e privati in gioco evitando sacrifici
non imposti dall’interesse pubblico;
che rivesta posizioni neutrali, di terzietà, di arbitro rispetto ad interessi
configgenti da regolare e comporre senza condizionamenti politici.
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PRINCIPIO DI BUONA AMMINISTRAZIONE
Il principio di buona amministrazione trova rispondenza nell’art. 13 del T.U.
degli impiegati civili dello Stato (DPR3/57) che recita: “l’impiegato deve
prestare tutta la sua opera nel disimpegno delle sue mansioni che le sono
affidate curando in conformità delle legge con diligenza nel miglior modo,
l’interesse dell’amministrazione per il pubblico bene”.
Il principio di buona amministrazione si articola su criteri di efficacia e di
economicità.
Il criterio di economicità, mutuato dalla logica imprenditoriale, impone alla
Pubblica Amministrazione di conseguire l’ottimizzazione dei risultati in
relazione ai mezzi a disposizione. Il criterio di efficacia impone l’idoneità
dell’azione amministrativa a perseguire gli obbiettivi legislativamente enucleati
in tema degli interessi pubblici. Il tutto secondo logiche di produttività
imprenditoriale.
Tale principio oltre ad economicità ed efficacia prevede anche il miglior
contemperamento degli interessi nonchè il minor danno per i destinatari
dell’azione amministrativa.
Con la legge 241/90 i predetti criteri assumono la veste di precetti
dell’Ordinamento generale attinenti alla legittimità dell’operato di Pubblici
poteri che comporta in caso di loro violazione la deducibilità in sede
giurisdizionale amministrativa del vizio di violazione di legge o il vizio di
eccesso di potere.
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PRINCIPIO DI RAGIONEVOLEZZA
Il principio di ragionevolezza comporta che la P.A. deve adeguarsi a canoni di
razionalità operativa. Ciò significa che i provvedimenti amministrativi devono
basarsi sul principio della logica, della proporzionalità, della adeguatezza. In
buona sostanza devono essere immuni da censure sul piano della logica,
aderenti ai dati di fatto ed interessi emersi nel corso dell’istruttoria, coerenti
con le premesse fissate dalla P.A., esenti da ingiustificata disparità di
trattamento (ciò avviene quando la P.A. si comporti in maniera diversa dinanzi
a situazioni analoghe) nonché esenti da contraddittorietà della motivazione.
La violazione del principio di ragionevolezza comporta un vizio di eccesso di
potere.
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PRINCIPIO DI TRASPARENZA EX LEGGE 7.8.1990, N. 241
Il principio di trasparenza dell’azione amministrativa comporta l’immediata e
facile controllabilità di tutti i momenti e di tutti i passaggi in cui si esplica
l’operato della P.A. onde garantirne e favorirne lo svolgimento imparziale.
Inoltre secondo la previsione dalla L. 241/90 costituiscono ulteriori
articolazioni del principio di trasparenza:
l’obbligatorietà della motivazione del provvedimento amministrativo (art. 3,
L. 241/90) che consente al privato di controllare la correttezza dell’operato
della P.A.;
il principio del giusto provvedimento (art. 7, L. 241/90) che consiste ai privati
di partecipare attivamente al procedimento amministrativo. In tal modo il
privato può controllare dall’interno lo sviluppo dell’azione della P.A..
Il principio di trasparenza trova concreta applicazione nell’12, c. 1, Dlgs 29/93
che al fine di garantire la piena attuazione della legge 241/90 individua, gli
uffici per le relazioni con il pubblico che svolgono le seguenti attività:
• servizi all’utenza per i diritti di partecipazione di cui al Capo III della
legge 7 agosto1990,n.241;
• informazioni all'utenza: - sugli atti amministrativi; - sui responsabili;
- sullo svolgimento; - sui tempi di conclusione dei procedimenti nonché
sulle modalità di erogazione dei servizi;
• ricerca ed analisi finalizzate alla conoscenza dei bisogni e proposte per
il miglioramento dei rapporti con l’utenza;
• promozione e realizzazione di iniziative di comunicazione di pubblica
utilità per assicurare la conoscenza di normative, strutture pubbliche e
servizi erogati e l’informazione sui diritti dell’utenza nei rapporti con le
amministrazioni.
L’art. 2 della L. 241/90 sancisce, inoltre, l’obbligo della P.A. di concludere il
procedimento con un provvedimento esplicito nel termine stabilito dalla P.A. per
ogni tipo di procedimento. In mancanza di tale determinazione, entro 30 giorni
dall’inizio d’ufficio del procedimento.
Il termine di 30 giorni, decorso inutilmente, alla luce dell’art. 328 c.p. integra il
reato di omissione di atti d’ufficio.
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DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA
I limiti all’attività amministrativa possono essere fissati in modo ben
determinato oppure con criteri di elasticità. Tale diversa caratteristica
conseguono alla presenza di riserve di legge assolute o relative. Nel primo
caso, l’attività dell’amministrazione si dice vincolata; nel secondo caso, si è in
presenza di attività dell’amministrazione detta discrezionale.
La maggiore o minore libertà riconosciuta alla P.A. nell’espletamento della
propria attività riflette la finalità di lasciare alla P.A. un margine di autonomia
decisionale nella scelta della soluzione migliore da decidere caso per caso.
Costituiscono limiti sull’attività discrezionale:
a) l’interesse pubblico, che non è l’interesse della P.A. ne la somma degli
interessi individuali. Si tratta di interesse concreto, obiettivo, collettivo;
b) la causa del potere, e cioè il fine specifico, causa, per cui il potere è stato
conferito;
c) i principi di logica e imparzialità che accanto al principio di legalità debbono
sempre sorreggere l’attività amministrativa;
d) principio dell’esatta e completa informazione.
La violazione dei limiti della discrezionalità dà luogo a quel particolare vizio
dell’atto amministrativo che è l’ “eccesso di potere”.
Diversa dalla discrezionalità amministrativa è la “discrezionalità tecnica” che
consiste in un potere di valutazione di carattere tecnico, basato su conoscenze
scientifiche.
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DIRITTI SOGGETTIVI
Il diritto soggettivo consiste nella posizione giuridica soggettiva di vantaggio
che l’ordinamento giuridico conferisce ad un soggetto cui vengono riconosciute
determinate utilità nonché la relativa tutela degli interessi afferenti al bene su cui
si esercita il diritto soggettivo.
La tutela dei diritti soggettivi è generalmente rimessa al giudice ordinario. La
competenza del giudice amministrativo ricorre solo in casi tassativamente
previsti.
INTERESSI LEGITTIMI
La definizione di interesse legittimo, anche se di esso si occupa la Costituzione
negli artt. 24, 103, 113, è operata dalla dottrina che sul punto non è del tutto
concorde. Si ritiene comunque, quale maggiormente accreditata, che possa
essere adottata la definizione che si è mossa nella direzione maggiormente
condivisa in base a tale orientamento della dottrina. L’interesse legittimo va
individuato
nell’interesse
alla
legittimità
del
comportamento
dell’amministrazione.
Il diritto consiste nella pretesa del singolo alla legittimità dell’atto
amministrativo oppure ad un corretto esercizio del potere da parte della P.A.
Questa definizione trova la sua fonte nel principio di legalità che impone alla
P.A. il divieto di porre in essere provvedimenti illegittimi.
In buona sostanza l’interesse legittimo è l’interesse alla legittimità dell’azione
amministrativa, interesse che può essere tutelato solo in sede di giurisdizione
amministrativa.
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La risarcibilità del danno da lesione degli interessi legittimi
Recentemente, la giurisprudenza, invertendo la rotta, ha riconosciuto la
risarcibilità degli interessi legittimi qualora l’attività illegittima della P.A.
determini la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo
si ricollega e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’Ordinamento.
In sostanza, stabilisce la Suprema Corte con la sentenza 500/99, per ottenere il
risarcimento è necessario che la lesione dell’interesse legittimo riguardi
l’interesse ad un bene della vita meritevole di tutela alla luce dell’Ordinamento
positivo.
La legge 21.7.2000 n. 205, art. 7 conferma, positivandolo, il principio esposto
prevedendo la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione a tutte le
controversie risarcitorie nell’ambito della sua giurisdizione sia esclusiva che di
legittimità. Ciò implica l’implicita presa di posizione a favore della risarcibilità
del danno da lesione di interessi legittimi posto che il giudice amministrativo
non può che conoscere di giudizi di interessi legittimi
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STRUTTURA FORMALE DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
-
-
La struttura formale dell’atto amministrativo prevede:
intestazione: si tratta dell’indicazione dell’Autorità che ha emanato l’atto;
preambolo: dove sono indicate le norme di legge in base alle quali l’atto
stesso è stato adottato;
motivazione: articolata in una parte descrittiva nella quale la P.A. descrive gli
interessi coinvolti; una parte valutativa in cui la P.A. esprime una valutazione
in base alle quale motiva la scelta di interessi;
dispositivo: è la parte precettiva dell’atto;
luogo: è il luogo in cui è stato emanato;
data: è la data di emissione del provvedimento;
sottoscrizione: è la firma dell’Autorità che emana l’atto o di quella delegata.
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La motivazione
La legge 241/90 ha profondamente innovato in materia di motivazione.
L’articolo 3, in aderenza al principio di trasparenza e di effettività della tutela
giurisdizionale del privato, ha statuito che ogni provvedimento amministrativo
debba essere motivato.
La Corte Costituzionale con sentenza 15.7.1994, n. 311, ha affermato la generalità
di tale principio estendendone l’operatività ai procedimenti disciplinati dalla legge
anteriore.
La motivazione, come prevede l’art. 3, deve indicare i presupposti di fatto e cioè
gli elementi e i dati di fatto oggetto di valutazione da parte della P.A.. Deve
indicare le ragioni giuridiche e cioè le argomentazioni giuridiche e i ragionamenti
di supporto al provvedimento.
Motivazione per relationem. Si tratta di una motivazione che non risulta
direttamente dal provvedimento ma dagli atti precedentemente compiuti nel corso
dell’iter procedimentale. Tale atto deve essere espressamente indicato e reso
disponibile. L’atto amministrativo deve indicare il termine per impugnazione e
l’Autorità alla quale ricorrere.
L’omissione di tale indicazione non determina l’illegittimità dell’atto ma può dar
vita ad un ricorso per remissione in termini qualora vi sia un errore scusabile.
La mancata indicazione della motivazione determina il “vizio per violazione di
legge”. Sono invece da reputarsi affetti dal vizio di eccesso di potere quegli atti
che presentano carenze nella motivazione per illogicità, contrarietà della
motivazione e altro di simile.
La giurisprudenza, sul difetto di motivazione ha assunto un orientamento
conservativo per cui l’ipotesi di annullamento ricorre solo nei casi di impossibilità
di definire il merito della controversia.
Si esclude l’annullamento dell’atto nei casi in cui in qualche modo sia possibile
ricostruire l’iter logico seguito dall’amministrazione in sede di decisone.
Tale orientamento della giurisprudenza sembra tuttavia collidere con la ratio e la
lettera dell’art. 3 tendente a sancire l’obbligo formale di motivazione
indispensabile per l’esistenza di un provvedimento legittimo.
Di fatto svilisce la portata innovativa della L. 241/90.
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Elementi accidentali dall’atto amministrativo
Sono elementi accidentali dell’atto amministrativo:
- il termine che può essere iniziale o finale;
- la condizione, diretta a subordinare l’inizio o la cessazione di un atto al
verificarsi di un evento futuro ed incerto;
- l’onere, che può essere apposto alle autorizzazioni, concessioni e comunque a
quegli atti che determinano un ampliamento della sfera dei diritti dei
destinatari;
- le riserve e cioè atti con cui la P.A. si riserva di adottare provvedimenti.
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RAPPORTI GERARCHICI
La gerarchia si sostanzia nella subordinazione di un organo, gerarchicamente
inferiore, rispetto ad altro organo, gerarchicamente superiore.
Si manifesta con un potere di supremazia che viene riconosciuto al secondo sul
primo organo.
L’organo gerarchicamente superiore è investito, nei confronti dell’organo
inferiore, di una serie di poteri:
- posizione di supremazia generale rispetto all’organo subordinato;
- potere di direzione dell’attività dell’organo inferiore, che si esercita con
l’emanazione di circolari o istruzioni o direttive;
- potere di delegare all’organo inferiore l’esercizio di propri poteri, nei casi
consentiti dalla legge;
- potere di risolvere i conflitti di competenza tra organi gerarchicamente
inferiori;
- potere di vigilanza, che importa un controllo sull’attività dell’inferiore
mediante ispezioni o inchieste;
- potere di sostituzione, cioè di agire in luogo dell’inferiore, quando questi
ometta di prendere provvedimenti che è obbligato ad adottare;
- potere di avocazione, di assumere un compito spettante all’inferiore;
- potere annullamento d’ufficio, nei confronti di atti illegittimi dell’inferiore;
- potere di riforma, su atti che, pur conformi a legge, si palesino inopportuni;
- potere di decisione dei ricorsi gerarchici.
La gerarchia in senso stretto è in fase recessiva, permanendo solo nelle
amministrazioni militari.
Attualmente si registra una progressiva sostituzione del modello della gerarchia
con quello della direzione in cui l’organo sovra ordinato non impartisce ordini, ma
direttive, indica cioè gli obiettivi da raggiungere lasciando libertà di azione
all’organo sottostante sulle modalità di perseguimento degli obiettivi stessi.
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IL TRASFERIMENTO DELL’EESERCIZIO DELLA COMPETENZA
Le attribuzioni e le competenze sono fissate dal legislatore. In buona sostanza la
competenza amministrativa è inderogabile.
Tuttavia, nei casi previsti dalla legge, si determina lo spostamento dell’esercizio
della competenza pur non operandosi un trasferimento della titolarità della
competenza.
Ciò s verifica attraverso gli istituti di:
a) la delega del potere, da parte dell’organo titolare, od altro organo
amministrativo. Ciò non comporta un trasferimento ……………… dal
delegante al delegato in ordine all’atto oggetto delega, ma solo una
competenza derivata sempre oggetto di revoca da parte dell’organo superiore;
b) l’avocazione da parte dell’organo giuridicamente superiore (avocante),
dell’atto di competenza dell’organo inferiore (avocato).
L’avocazione comporta che vi sia un rapporto di gerarchia e che l’atto non sia
rimesso alla competenza esclusiva dell’organo inferiore.
Quanto all’affare viene avocato, l’organo inferiore non può più esercitare la
propria competenza.
c) la sostituzione, quando a causa di inerzia dell’organo gerarchicamente
inferiore, l’organo superiore si sostituisce ad esso per eseguire un atto
vincolato.
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LA DELEGA DEI POTERI
La delega dei poteri è un atto amministrativo organizzatorio per effetto del quale
nei casi espressamente previsti dalla legge un organo o un ente investito in via
originaria della competenza a provvedere in una determinata materia, conferisce
ad un altro organo o ad un altro ente, autoritativamente ed unilateralmente, una
competenza di tipo derivata in quella stessa materia (QUARANTA).
Dalla definizione si ricavano questi principi generali sulla delega:
- è ammissibile solo se espressamente prevista dalla legge.
Si tratta di una deroga alla competenza non inclusa nel potere gerarchico; deve
essere prevista esplicitamente o implicitamente dalla norma attributiva della
competenza (v. Corte Costituzione, sez. enti locali 2.4.93 n.2);
- deve sempre essere conferita per iscritto
(per via del carattere derogatorio – artt. 9 e 10 L. 400/88)
Effetti
Con la delega si trasferisce dal delegante al delegato, non già la titolarità del
potere ma solo l’esercizio dello stesso. Il delegato, quindi, viene a trovarsi nella
stessa posizione del delegante nell’esercizio del potere che il delegato esercita in
nome proprio e ne è direttamente responsabile.
La delega quindi è un atto amministrativo:
- organizzatoria; discrezionale, essendo rimessa alla facoltà del delegante;
essenzialmente temporanea, non essendo possibile delega permanente;
ampliativa, della sfera giuridico del delegato.
Tipi di delega: delega interorganica, quando avviene da un organo ad altro organo
della stessa amministrazione; delega intersoggettiva, quando avviene tra soggetti
diversi.
Sulla possibilità di impugnare davanti al delegante l’atto posto in essere del
delegato, la questione è controversa.
Una Commissione del D.d.S. (parere 12.7.1999) si è dichiarata favorevole.
Validità degli atti del delegato per vizio di delega
La validità esiste per i soli atti che producono effetti favorevoli nei confronti dei
terzi. Non lo è, per gli effetti sfavorevoli (così decide la giurisprudenza).
Poteri del delegante nei confronti del delegato:
- potere di impartire direttive;
- il potere di sostituzione in caso di inerzia;
- il potere di annullamento mediante autotutela degli atti eventualmente
illegittimi effettuati dal delegato.
- L’autorità delegato acquista una legittimazione esclusiva solo in caso di delega
intersoggettiva, altrimenti, in caso di delega interorganica, il soggetto delegante
conserva il potere di agire in ordine all’oggetto della delega.
La delega è sempre revocabile per iscritto
Solo nel caso di delega interorganica è configurabile una revoca implicita, con
l’esercizio del potere da parte del delegante.
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AUTOTUTELA AMMINISTRATIVA
L’autotutela amministrativa si configura come quel complesso di attività
amministrative con cui ogni pubblica amministrazione risolve i conflitti parziali
od attuali, relativi ai suoi provvedimento o alle sue pretese.
E’ la possibilità per la P.A. di farsi ragione da sè con i mezzi amministrativi a sua
disposizione. Implica il potere di pronunciarsi unilateralmente su tutte le questioni
amministrative di propria competenza
L’autotutela viene suddivisa in autotutela decisoria riferita ad atti amministrativi
precedentemente posti in essere dalla pubblica amministrazione ed in
autotutela esecutiva quando è volta ad attuare le decisioni già adottate
dall’amministrazione.
L’autotutela decisoria può essere “diretta” o “non contenziosa”, quando la P:A.
esercita i suoi poteri spontaneamente. (esempio: gli atti di ritiro di precedenti
provvedimenti di atti amministrativi, quali revoca, rimozione, sospensione,
annullamento ecc).
Può essere autotutela decisoria “indiretta” o “contenziosa” nei casi in cui il potere
della P.A. trova fondamento in una iniziativa dell’interessato e cioè in un ricorso.
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PATOLOGIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
L’atto amministrativo può presentare i seguenti stati patologici. Può essere:
Inesistente. L’atto amministrativo è inesistente quando manca di uno degli
elementi essenziali che ne condizionano l’esistenza.
L’atto è inesistente per:
Inesistenza del soggetto: quando l’agente che ha emanato l’atto non è qualificabile
organo della P.A.
Incompetenza assoluta per territorio: ricorre quando l’atto sia stato emanato da un
organo che non ha la competenza territoriale.
Incompetenza assoluta per materia: si verifica quando l’organo amministrativo
emana un atto in una materia del tutto sottratta alla sua competenza oppure quando
l’organo amministrativo emana un atto riservato alla competenza di altro settore
amministrativo.
Inesistenza dell’oggetto: l’atto è inesistente perché manca in natura il bene su cui
l’atto è destinato a produrre gli effetti giuridici oppure quando il bene è
indeterminato o indeterminabile oppure non è idoneo a raggiungere gli effetti che
l’atto si propone.
Mancanza di forma essenziale: ad esempio quando manca la forma scritta
richiesta dalla legge ad substantiam.
In tal caso l’atto è considerato dall’ordinamento “tanquan non esset”.
Inesistenza del contenuto: è inesistente l’atto amministrativo che intende
autorizzare o attestare o altro, ciò che è indeterminato o indeterminabile, illecito,
impossibile.
Mancanza di finalità: ogni atto amministrativo è inesistente quando non è rivolto a
realizzare compiti della P.A. (fini illeciti; o atto posto in essere “iocj causa”.
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Imperfetto. L’atto amministrativo risulta imperfetto quando il suo ciclo di
formazione non sia ancora concluso.
Diventa “perfetto” al termine della fase costitutiva del procedimento.
Inefficace. L’atto amministrativo è inefficace quando, benché perfetto, e cioè al
termine della fase costitutiva del procedimento, non è idoneo a produrre gli effetti
giuridici essendo inesistenti i requisiti di efficacia previsti. Ad esempio, i controlli
previsti dalla legge; le comunicazioni previste dall’atto ricettizio; la condizione
sospensiva o termine iniziale quando prevista dal provvedimento.
L’atto inefficace va considerato non esecutivo.
Ineseguibile. L’atto è ineseguibile quando diventa inefficace per il sopravvenire
di un atto ostativo.
Invalido. E’ invalido il provvedimento nel quale uno degli elementi o requisiti
prescritti per quel tipo di atto difetti o sia viziato.
A seconda della gravità del vizio l’atto invalido può essere nullo o annullabile.
Irregolare. Si ha irregolarità dell’atto quando presenta un vizio per il quale la
legge non commina conseguenze negative per l’atto stesso (esempio, inefficacia,
annullabilità etc.) ma solo eventuali sanzioni amministrative a carico dell’agente
che lo ha posto in essere (esempio violazione delle norme sul bollo).
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Nullo. E’ nullo l’atto quando manca di un elemento essenziale dell’atto stesso
(soggetto, oggetto, volontà, forma, destinatario) o nel caso di violazione di norma
imperativa sanzionata con la nullità (cfr. L 444/94 sulla prorogatio degli atti
amministrativi) o nel caso di atto amministrativo in contrasto con sentenza passata
in giudicato.
Conseguenze della nullità di un atto amministrativo (come ricavabili dai principi
generali validi per tutti i rami del diritto) la nullità comporta le seguenti
conseguenze:
inesistenza giuridica dell’atto (“quoa nullum est, nullum effectum producit”);
inesecutorietà: l’atto nullo è inesecutorio;
inanullabilità: l’atto nullo è inesistente e come tale non può essere annullato;
insanabilità e inconvalidabilità: l’atto nullo non può essere sanato né convalidato;
illegittimo: l’atto amministrativo che presenti dei vizi di legittimità che incidono
su elementi essenziali di esso è illegittimo e come tale annullabile.
Fonte positiva dei vizi di legittimità è l’art. 26 R.D. 1054/24 (T.U. delle leggi del
consiglio di Stato) che menziona tre categorie di vizi: incompetenza; eccesso di
potere e violazione di legge.
Differenza tra illegittimità e illiceità.
E’ illegittimo l’atto amministrativo esistente che presenta un vizio di uno dei suoi
elementi essenziali.
L’atto amministrativo di per sè non può mai essere qualificato illecito poiché si
concretizza nella violazione di norme giuridiche che non disciplinano atti ma che
sanzionano comportamenti lesivi di diritti soggettivi altrui .
Pertanto l’illecito è sempre e solo un comportamento “contra jus” al quale la
legge ricollega una responsabilità e un’assoggettabilità a sanzione per l’autore
dell’illecito.
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VIZI DI LEGITTIMITA’
Fonte positiva dei vizi di legittimità è l’art. 26 R.D. 1052/24 (T.U. delle leggi del
Consiglio di Stato) che menziona tre categorie di vizi:
incompetenza
eccesso di potere
violazione di legge
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INCOMPETENZA
L’incompetenza, quale vizio di legittimità dell’atto amministrativo che comporta
l’annullabilità, è solo l’incompetenza relativa che può essere per grado o per
materia .
L’incompetenza assoluta e la competenza – invece - sono causa di nullità o di
inesistenza dell’atto.
Si ritiene da parte della dottrina prevalente che nel vizio di incompetenza rientrano
sia i vizi di legittimazione che quelli di irregolare composizione dell’organo
collegiale.
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ECCESSO DI POTERE
L’eccesso di potere che viene anche definito come scorrettezza in una scelta
discrezionale è una figura dei vizi di legittimità.
Occorrono tre requisiti per l’eccesso di potere:
1) potere discrezionale della P.A.
2) uno sviamento di potere e cioè l’esercizio del potere per fini diversi da quelli
stabiliti dal legislatore con la norma che lo ha attribuito
3) la prova dello sviamento, necessaria per far venir meno la presunzione della
legittimità dell’atto.
Potere discrezionale della P.A.
Esiste l’eccesso di potere in presenza di violazione dell’osservanza dei precetti di
logica e di imparzialità, di interesse pubblico, di causa del potere esercitato,
insomma in presenza di violazione dei limiti interni della discrezionalità
amministrativa.
Sviamento di potere.
Esiste lo sviamento di potere, sia nel caso in cui si usi un potere discrezionale per
interessi personali o politici o per un fine diverso da quello per il quale il potere
stesso era stato conferito, sia nel caso in cui la P.A. persegua l’interesse pubblico
ma con un potere diverso da quello previsto a tal fine dalla legge.
Figure sintomatiche di sviamento di potere
Si tratta di ipotesi in cui, pur senza raggiungere la prova, si verificano sintomi di
un esercizio sviato del potere amministrativo.
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