INFORSARSI indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa d’esta moneta già la lega e ’l peso; ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa». Ond’io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda, che nel suo conio nulla mi s’inforsa». (Par. XXIV, vv. 83-87) Inforsarsi ‘risultare dubbio’ è parola nuova coniata da Dante; come molti altri neologismi danteschi, si trova nel Paradiso, dove le risorse linguistiche del poeta si tendono al massimo nel tentativo di approssimarsi all’ineffabile divino. Abbiamo qui un verbo parasintetico formato con il prefisso in- e l’avverbio forse, sul modello di altri verbi rimasti anch’essi degli hapax legomena (ossia delle voci ad attestazione unica), come indovarsi ‘trovare luogo’ (Par. XXXIII, v. 138), insemprarsi ‘durare per sempre’ (Par. X, v. 148), inmiarsi ‘penetrare in me’ (Par. IX, v. 81), intuarsi ‘penetrare in te’ (Par. IX, v. 81), inleiarsi ‘penetrare in in lei’ (Par. XXII, v. 127), inluiarsi ‘penetrare in lui’ (Par. IX, 73); inoltre inmillarsi (vedi la scheda relativa). Inforsarsi è ripreso nel ’300 dal Boccaccio (Ameto 39. 86) che lo usa, come Dante, in senso intransitivo. Petrarca, nel Canzoniere, utilizza invece il verbo in senso transitivo per ‘mettere in forse’, ‘rendere instabile’ («ogni mio stato inforsa», Canz. 152. 4). Ed è nella forma transitiva, inaugurata da Petrarca, che il verbo inforsare continua a vivere nella lingua letteraria italiana, con esempi in Della Casa, Tasso, Pulci, Gozzi, Alfieri, fino ad arrivare anche a Bacchelli.