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IL VANINI
E LA BIOLOGIA DEL SUO TEMPO
Tra le avventure e le disavventure che, con varia vicenda, toccarono alla fama del Vanini ci fu anche, in età di positivistico candore acritico, l'attribuzione di un precorrimento della darwiniana, o almeno lamarkiana teorica evolutiva delle specie e della specie umana : « assolutamente nessun filosofo dalla
più remota antichità sino agli ultimi anni del secolo scorso, espose una simile
serie di idee consonanti col moderno trasfomismo », proclamava G. Cattaneo
nell'84 dalle colonne della Rivista di filosofia scientifica. E qualcosa di simile
veniva fatto di asserire, nella stessa rivista, al Morselli ; che fin nella sua
Antropologia generale del 1911 sostenne che il Vanini « divinò il parallelismo fra embriologia ed evoluzione ed il mimetismo (relazione tra un animale
e il luogo in cui vive)
» (1).
Ora, a parte il fatto che persino al non sospetto Porzio tali attribuzion.
di precorrimenti più o men divinatori apparvero alquanto precipitose ed accessine, c'é pur da ritentare di domandarsi, con più cauto e spregiudicato
procedimento, che valore abbiano rispetto alle cognizioni scientifiche del primo
seicento quelle pagine del De arcanis cui questa questione si riferisce. Inserire
una pagina di non grande, ma neppure trascurabile interesse filosofico-scientifico nel contesto della ricerca contemporanea è sempre buon canone storiografico : che può, oltre tutto, giovarci a lumeggiare qualche tratto ancora non chiaro di questa ancora tormentata, e quasi stravolta, figura di « venturiero senza
ventura » della scienza e della filosafia.
Sarà allora il caso di ripercorrere, per quel po' che ne sappiamo, il corso
degli studi del Vanini, tra Napoli e Padova. A Napoli dunque, tra gli studi di
giurisprudenza all'università e quelli di filosofia e teologia nel chiostro carmelitano, il Vanini ebbe la consueta iniziazione naturalistica per opera dei due
più singolari e attraenti campioni di quegli studi nella cultura partenopea : il
Della Porta e l'Imperato ; il buon speziale Ferrante Imperato, che non si sa
perché il Vanini nel De arcanis trasformi in « Ferdinando imperatore » (2).
Sarà stata, naturalmente, iniziazione frettolosa e avventurosa, corrispondente
<1) Vedi in Potuto G. Biografi storici della filosofia e alterne vicende della fama di
G. C. Vanni. Le opere di G. Cesare Vanini, V. H, Lecce, 1912, pag. LXXX[V e s.
idem ego vidi in Neapoli, in celeberrimo Ferdinandi imperatoris musaeo n. Le
<2) «
Opere di G. C. Vanini e le loro fonti, a cura di L. Corvaglia, Roma 1934, V. 11, pag. 156.
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all'indole avidamente irrequieta del giovane salentino, ma anche all'indirizzo
assai poco sistematico di quei due Insigni collezionisti di dilettose e cuirose
rarità.
Meno ancora sappiamo, com'é noto, degli studi padovani, che dovettero
essere quasi esclusivamente teologici, sia per le comprensibili imposizioni dell'ordine cui il Vanini apparteneva, sia, forse, perché a lui stesso tali studi apparivano promettenti di più 'facili e rapide fortune: come sarebbe confermato
da quella rapida ascesa di oratore sacro che fu interrotta dalle persecuzioni del
generale dell'ordine, Enea Silvio, e dalla conseguente decisione della fuga in
Inghilterra.
Ora il fatto é che negli anni degli studi padovani del Vanini si continuava in quella illustre università, e si avviava al conclusivo adempimento, la
grande tradizione delle ricerche anatomiche-filosofiche del Vesalio e del Fabrizi di Aequapendente: al quale, dopo l'abbandono della cattedra, nel 1954,
era succeduto il Casserio, buon anatomico ed embriologo, e creatore e perfezionatone di quelle ricerche di anatomia ed embriologia comparata dal maestro già portate ad alto livello scientifico. Si pensi che pochi anni prima che il
Vanini vi pingesse, aveva compiuto gli studi in Padova, alla scuola del Fabrizio e del Casserio, del Galilei e del Cremonini ( !) il grande W. Harvey :
che ne avrebbe riportato una impronta definitiva, trasferendo in patria il
grande legato naturalismo della scuola padovana (3).
Si trattava, però, di studi e ricerche di troppo alto livello, e di troppo
positivo rigore per l'ingegno e la preparazione e le ambizioni del nostro giovane studioso : poichè, come ha mostrato recentemente in un eccellente saggio Francesco Alessio, la tradizione del naturalismo francamente organicistico
della scuola astristotelica, arricchito e fecondato dalla sapiente precisione artistica e analitica del Vesalio, perfettamente si prestava a una rinnovata penetrazione dei fenomeni anatomici-fisiologici: con tal felicità inventiva che ne sarebbe venuta direttamente la grande scoperta harveyana della circolazione del
sangue.
Ma non era, si diceva, impresa adatta al Vanini: sicché ci é più facile
veder il giavane carmelitano, in leggera e frusta toga accademico-claustrale,
a [tendere alle clamorose controversie nelle aule di teologia, anziché immaginarlo nel teatro anatomico reso illustre dalle lezione dello Acquapendente,
intento a seguire le dissezioni di cadaveri e le esibizioni degli organi martoriati dal coltello anatomico (4).
,(3) Sugli studi anatomici in Padova agli inizi del Seicento v. ALESSIO F. Introduzione
alle opere di W. Harvey. Milano 1961; e SINGER C. A short History of Anatomy and
Physiology from the Greeks to Harvey. New York, 1957. Sulla funzione scientifica e
metodologica della medicina padovana si V. J. H. RANDALL j. The development of scientific method in the school of Padua. Journal of history of Ideas, 1, 1940, pag. 122 e s.;
dello stesso : Paduan Aristotelianism : An Apprai.sal in : Aristotelismo padovano e filosofici
aristotelica (Atti del XII Congr. intern. di filosofia) Firenze, 1960, pag. 199 e s.
(4) Una buona rievocazione di questo insegnamento anatomico in Padova è in un
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Aristotelico divenne, certamente, il Vanini, perfezionando in Padova l'avviamento ricevuto negli studi del chiostro napoletano, nelle pagine del dottore
anglo-carmelitano, e fierissimo averroista, Baconthorp : ma, direi, di un aristotelismo generico, più ricco di venature polemiche per la petulante prontezza a
confutare le aniles fabellae dei platonici, e le loro eccessive propensioni, oltre
elie fideistiche, umanistiche, che di quella precisa disciplina analitica che
era stata conferita dalle grandi ricerche logiche dello Zabarella e dello Zimara, come dalle grandi ricerche biologiche dell'Aacquapendente. Aristotelismo antiumanistico, soprattutto, per la irremobile decisione a riportare l'uomo
alla natura, anche a costo di degradarlo e umiliarlo livellandolo tra le altre
specie viventi, sia per i caratteri morfologici sia per le necessità fisiologiche.
Conclusasi ben poco lietamente la vicenda della fuga e della conversione all'anglicanesimo, rientrato nel cattolicesimo, nella torbidissima condizione interiore testimoniata dall' Anfiteatro, riemersone con quella decisione di
ritornare a più sereni e proficui studi sulla natura di cui é indizio non trascurabile il titolo stesso dei Dialoghi, investito infine dalla vocazione improvvisa (ma n.on volgare né insincera) per la professione di medico, il Vanini dové, evidentemente, fare almeno un tentativo di riodinamento delle sue conoscenze naturalistiche : attingendo alle fonti stesse dell'Anfiteatro, cioé soprattutto al Cardano e allo Scaligero. Ma poichè occorreva pure aggiornare, anche per i fini più strettamente professionali, quella sua farraginosa erudizione
così da porla almeno al confronto della cultura medico-biologica della Francia, nella quale era capitato, e contava operare, non poté ricorrere che al Fernel, principe della medicina francese, « Galeno di Francia »: ma appunto perciò ancora strettamente legato alla dottrina anatomico-,fisiologica dei galenici,
già notevolmente arretrato, fin dal suo tempo, rispetto alle ben superiori conoscenze dei medici padovani. Sicché si ebbe il paradosso dei Vanini discepolo
della scuola padovana, ricaduto al livello inferiore della rivale cultura medico-biologica francese.
Ma anche questi termini appaiono sproporzionati alla reale consistenza
della questione : poichè anche dal Fernel, come provano le diligentissime ricerche del 'Corvaglia, il Vanini non prese se non i motivi si direbbe, più
facilmente orecchiabili e appariscenti e suggestivi della dottrina, guardandosi
bene dal sottoporli ad alcun controllo. Basti ricordare, a proposito di una delle sue predilette dottrine ( quella della diretta ed attiva partecipazione della
donna all'atto venereo ed alla generazione) l'accenno a un controllo anatomico :
vidi » ( 5): ma si tratta di una delle solite trascriin femina dissecta zioni dal Feruel : sicché la dissezione sarebbe stata fatta, sein mai. dal medico francese, che quasi sicuramente non poteva averla compiuta.
saggio commemorativo dell'Harvey ,(« A 300 anni dalla morte di W. Harvey. L'ambiente,
l'uomo, il filosofo, lo scienziato ») in li giardino dì Escalapio, 1957, pag. 37 e s., riccamente illustrato.
(5) 3d. cit. pag. '148: con la corrispondente fonte ne] De abditis causis del Fernel.
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Ma veniamo al famoso capitolo « De prima hominum generatione », nel
quale si sarebbe avuto il precorrimento del lamarkismo, o addirittura del darvinismo. Dopo una avventurata scorribanda per i vari capitoli della embriogenia cinquecentesca. riboccante di petulanti sortite ed estrose considerazioni,
si viene a parlare della generazione del primo uomo : al posto del testo biblico
del Genesi, sottaciuto ma evidentemente presente, si riferisce la narrazione di
Diodoro, d'una generazione « fortuita » del primo uomo dal limo terrestre :
nella quale la revisione più importante della narrazione biblica è costituita dal
cospicuo arretramento cronologico : « a quingentis mille annis » (6).
All'obiezione, strettamente valida anche pel testo biblico, che di tal tipo
di generazione dovrebbe pur essersi dato qualche altro caso, oltre quello originario, si replica col Cardano che, alla fine tal caso potrebbe pure essersi dato
e darsi ancora, quando si fossero date le favorevoli concomitanze dí influssi
astrali dispensatori di forme adattabili al limo terrestre. Non nascono forse di
continuo dalla putretudine del fango o del concie i topi? Ergo, posson nascerne
gli uomini: tanto più che lo stesso Diodoro parla (sarà stata una favola, ma
potrebbe anche essere verità) che dal limo del Nilo nascono grandi animali.
buoi, cavalli,, coccodrilli, ecc. Menzogna, replica compunto Alessandro : senza
dubbio : ma non ci sono quei che sostengono che l'uomo viene dalla stessa
putredine da cui hanno origine le scimmie, i porci e le rane, ai quali è estremamente affine in carne, moribusque, per i tessuti e per il temperamento?
Sicché appaiono persino più miti quegli atei che attribuiscono l'origine dalla
scimmia ai soli Etiopi, per la somiglianza del colore! Altra compunta obiezione di sapore schiettamente umanistico : come osano codesti impudenti trascurare l'andatura eretta dell'uomo, perfetto sintomo della sua ben più nobile
origine? Risposta del naturalista : si può ammettere senza fatica che gli uomini primitivi fossero quadrupedi, tanto vero che, invecchiando, ritorniamo ad
andar curvi come all'origine. L'andatura eretta potrebbe benissimo essere spiegata con una (si direbbe modernamente) mutazione prodotta « industria », artificiosamente, per effetto della consuetudine del fasciare strettamente i neonati.
Il compunto obiettore si lascia ora sedurre dall'ipotesi « libertina » e si domanda se non sarebbe possibile riprodurre sperimentalmente quella condizione
primitiva riportando i fanciulli all'andatura bestiale!
Ora è evidente che qui non c'è traccia di una considerazione biologica
del processo generativo, e neppure di quella positiva, accurata e ponderata
comparazione dei processi genetici dei quali avevan dato perfetto esempio
l'Acquapendente e il suo discepolo Camerio : basterà dare uno sguardo alla
tavola qui riprodotta, nella quale, nell'esame minuzioso dell'organo uditivo,
sono considerati quasi tutti quegli animali nei quali il Vanini scorge affin'tà
con l'uomo. Ma per lui, evidentemente, quella osservazione non vale se non
come obiezione, tra impertinente e svagata, alla presunta « eccellenza » dell'uomo, alla sua divina origine e destinazione, al suo rango di sovrano indi,(6) Ed. eit.
pag. 178 e s.
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scusso dell'universo, cui tutti gli altri esseri viventi dovrebbero docilmente
sottostare.
Infatti : subito dopo aver condotto a termine la demolizione del presupposto
teologico-umanistico, viene la consueta palinodia : « Sed cur factus est homo? ».
Risposta : « Sic olim concionando hanc quaestionein resolvi, ut nemo aliquid
esset, quod intercessione sua summis ima coaptaret ». Vi è qui, oltre l'interessante riferimento alla fase che diremmo teologale del suo pensiero e della sua
carriera (« dum concionabam ;... », ai tempi in ui affascinava, stando a quel
che ne aveva raccontato al Carleton, gli ascoltatori padovani e veneziani della
sua singolare predicazione), il ritorno a quella professione di semiumanesimo
aristotelizzante che nell'Anfiteatro attribuiva all'uomo, se non la dignità di
microcosmo riconosciutagli dai platonici, quella di trait d'union tra le due
zone dell'universo, la celeste e la sublunare. Segue una altrettanto bene intenzionata professione di fede nella dottrina aristotelico-averroistica della informabilità della materia per opera della triplice anima (« brutae duae, vegetans
et sentiens, et super has potior intellectus, minor Intelligentiis »): ma era
soluzione valida per l'ancor vacillante e contorto discorso dello Anfiteatro:
qui conta evidentemente l'ostentato candore delle parole di Alessandro che
semplifica, in un linguaggio tra platonico e popolare quella complicata dottrina della informazione: « Acute ratiocinaris. At ego credebam creatum hominem ut reliquis imperaret animantibus ». E conta la replica trionfante di
Giulio Cesare : osi sostenere che l'uomo comanda al basilisco, o al coccodrillo
o alle api o alle balene o alle aquile, con le quali non ebbe mai una comune
società? O lo riterresti tale perché egli è di solito più forte, e uccide e divora tali
bestie? Ma poiché egli è a sua volta ucciso e divorato, quel suo imperio e
dominio è alquanto insicuro: « Denique, si interfecit, homo, interficitur quoque. si vorat, voratur ».
Saremmo dunque alla darwiniana « struggle for life »? Non direi: si tratta
solo di una « boutade » antiumanistica di più (7), che l'impenitente iconoclasta mostra subito capace di interessanti ammenicoli teologici: sopravviene
infatti una irrisione spietata (benché coperta della consueta impassibile unzione)
del peccato originale, della redenzione, e della angelica assistenza pedagogica
ai mortali: con la furbesca riserva che tali materie si lascino ai « dotti vegliardi
((7) Si v., tra le altre trovate di cui è prodigo per questo aspetto il genio polemicofarsesco del Vanini, d'espediente a cui egli ricorre nel cap. introduttivo di questo 1. 3 0 dei
Dialoghi («De semine genitali ») per irridere 'la distinzione, adottata dall'aristotelismo
più rispettoso della ortodossia cattolica, tra le anime ,vegetativa e sensitiva, che ,posso n
farsi trasmettere col seme, e l'anima razionale, direttamente infusa da Dio : « Eas persolvi
mihi cupio gratias, ut intelligas me de vegetativa et sensitiva anima loctitum esse, non
de rationali, quam non a semine sed a Deo infondi credimus, quod, cum affiori repeto
contemplationem, humanam deplorare cogor miseriam; ». (Ed. cit. pag. 148). Ed ecco la
spiegazione di cotesta inattesa deplorazione dell'umana sorte; mentre all'anima del cane
sarà concesso di rigenerarsi nella prole, non è concesso all'uomo la cui forma razionale
« a Deo infunditur » : e allora « quare eatelli semen meo semine praexcellentius erit? ».
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della Sorbona », e si ritorni ad esercitare l'ingegno nelle non compromettenti
questioni filosofiche...
Concludendo : potremo ben dire, mi pare, che ai problemi della biologia
e della embriologia comparata, cui il. Fabrizi di Acquapendente e il Casserio
avevan dato rigoroso fondamento scientifico, confutando Galeno e riprendendo
il migliore Aristotele, il Vanini si accostò cori ancor fanciullesca curiosità non
priva di qualche barlume d'ingenuo fervore, ma del tutto priva di positiva
e oggettiva serietà scientifica. Aristotelico egli ci appare nell'Anfiteatro e ci si
conferma nel De Arcanis (8): ma il suo aristotelismo ha sapore schiettamente
polemico e iconoclastico, è antiplatonico quanto antiumanistico. e pertanto non
esita ad accostare « in carne moribusque » l'uomo agli altri organismi, specialmente ai mammiferi superiori. Questo non esclude che il Vanini nello stesso
De Arcanis mostri elevata capacità di tracciare con acume veramente moderno
certe sindromi cliniche di natura psìco-patologica : sicché gli resta il merito
impareggiabile di aver protestato contro l'ancora imperversante superstizione
antidemonologica, che continuava a mietere vittime innocenti con pazzo fanatismo. Il suo dileggio delle umanistiche prevenzioni di superiore dignità dell'uomo si converte così in umana commiserazione di medico per quelle sofferenze che l'opinione corrente curava ancora col ferro e col fuoco. Non è certo
merito da poco.
ANTONIO CORSANO
1(8) Per la tuttora sincera adesione del Vanini all'aristotelismo basterà riferire la sua
brusca esplosione d'impazienza d'ogni obiezione antiaristotelica, a proposito della respirazione dei pesci : « Ut veterum philosophorum deliria sunt ab illo veritatis Hercule debellata,
sic ad modernorum audaciam retundere et comprimere ego aggredior ». <Ed. cit. pag. 162).
Ma così è anche ben confermato come fosse poco autentico e facilmente appagabile il suo
impulso di ricerca naturalistica.
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