L` “in quanto” ermeneutico e l` “in quanto” apofantico

annuncio pubblicitario
L’ “in quanto” ermeneutico e l’ “in quanto” apofantico
Studio sui §12-a e §12-b di
Logica. Il problema della verità di M. Heidegger
di Lorenzo Sieve
§1 Delucidazione sul carattere dell’ “in quanto”
Nell’articolo da me presentato nel numero scorso si è menzionato il carattere costitutivo
dell’interpretazione: l’ “in quanto”. In questa sede si dovrà fornire un approfondimento della suddetta struttura e
mostrare come essa si relaziona al senso.
«Ogni aver-davanti-a-sé e percepire qualcosa è in se stesso un “avere” qualcosa in quanto
qualcosa. Il nostro essere orientato verso le cose e verso gli uomini si muove in questa struttura del
qualcosa in quanto qualcosa; ha, in breve, la struttura dell’in quanto»1[1].
Che cosa significa «questo “in quanto tale”, l’ente in quanto tale, qualcosa in quanto qualcosa, a
in quanto b»2[2]? L’ “in quanto” si presenta immediatamente come un rapporto: un legame che si pone tra
due “qualcosa”. «Constatiamo facilmente che l’ “in quanto” significa una “relazione”, l’ “in quanto” per
sé non offre niente. Rimanda a qualcosa che sta nell’ “in quanto”; e rimanda altrettanto a qualcosa
d’altro, a ciò che esso è»3[3]. Emergono, quindi, due dimensioni. Da un lato abbiamo la funzione dell’ “in
quanto” come relazione tra due elementi (i qualcosa); per così dire la parte applicativa dell’ “in quanto”,
la relazione effettiva che si interpone tra le due componenti, quelle che stanno in esso. Dall’altro lato,
l’attenzione si può soffermare sull’ “in quanto”, per così dire, in se stesso; considerato per ciò che esso è.
Passando ad una caratterizzazione più specifica dell’ “in quanto” si può dire «l’ “a in quanto b” […] a
nella misura in cui è b»4[4]. Queste formulazione sinonimica avanza una chiarificazione. “a” considerato
“in quanto” “b” esprime la determinazione di “a” in forza di “b”. Ovvero l’essere di “a” è tale solamente
dal momento in cui è “b”. L’essere di “a” è legato a “b”, questi deve in qualche modo essere dato. «L’ “in
quanto” può dunque entrare in funzione solamente se l’ente è già dato in precedenza, e serve a rendere
esplicito questo ente in quanto fatto in un modo oppure in un altro»5[5]. L’ ente, “b”, è dato. In questo suo
darsi esso è sempre fornito di significato, quest’ultimo va inteso come possibilità d’azione, quindi l’ente ,
1[1]
M. Heidegger, Logik. Die Frage nach der Wahrheit, Frankfurt am Main, Vittorio Klostermann, 1976; tr. it. U. M.
Ugazio, Logica. Il problema della verità, Milano, U. Mursia editore, 1986, p. 97.
2[2]
M. Heidegger, Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt - Endlichkeit - Einsamkeit, Frankfurt am Main, Vittorio
Klostermann Verlag, 1983; tr. it. di P. Coriando, Concetti fondamentali della metafisica. Mondo – finitezza – solitudine,
Genova, Il melangolo, 1999, p. 367.
3[3]
Ibidem.
4[4]
Ivi, p. 368.
5[5]
Ibidem.
“b”, è un utilizzabile inserito in una specifica appagatività. Si consideri ora “b” come il significato
dell’ente suddetto. A partire da questa considerazione di “b” si può dire qualcosa di più anche rispetto ad
“a”.
“a in quanto b” diviene ora: “a in quanto significato”. Ciò che è “in quanto significato”, è ciò che
per tratteggiarsi deve emergere da un significato ovvero il senso. L’utilizzabile ha sempre un significato
prestabilito di cui veniamo a conoscenza nel nostro commercio intramondano, dal momento che:
L’ente considerato è scoperto a partire dal per-cui della sua utilizzabilità; esso è già posto in un significato, è
già significato. E questo non dev’essere inteso come se all’inizio vi fosse qualcosa privo di significato cui si incolla
poi un significato, ma quel che è “dato” all’inizio […] è quel che serve per scrivere, per entrare ed uscire, per
illuminare, per sedersi; vale a dire che scrivere, entrare ed uscire, sedersi e simili sono qualcosa in cui ci muoviamo
sin dall’inizio: le cose che conosciamo quando ci orientiamo e che apprendiamo sono questi per-cui.6[6]
Il nostro rapportarci all’utilizzabile, lo scoprirlo e comprenderlo, non avviene in modo, per così
dire, “neutro”. «Ogni ente si svela solo sulla base di un’antecedente, anche se inconsapevole,
comprensione preconcettuale di ciò che questo relativo ente è, e di come esso è»7[7]. Quindi non siamo
dinnanzi agli enti scevri di qualsiasi “conoscenza” preliminare; bensì ci rapportiamo ad essi con tutte le
nostre esperienze culturali e personali vissute. La stessa definizione dell’ente che noi stessi sempre siamo,
l’esserci, mostra in maniera esemplare la dimensione entro la quale da sempre ci troviamo: essere-nelmondo. «Il reale è per essenza accessibile solo come ente intramondano. Ogni accesso a tale ente è
fondato ontologicamente nella costituzione fondamentale dell’Esserci, nell’essere-nel-mondo»8[8]. In tale
radicalità dell’esistenza (in-essere) veniamo formati dalla nostra cultura di appartenenza; la quale ci
fornisce una precomprensione grazie alla quale riusciamo a muoverci dentro i significati a noi familiari.
Significati degli enti che sono veicolati, appunto, dalla tradizione, ma sempre passibili di una “rimessa in
gioco” ermeneutica. Nel nostro commercio intramondano scopriamo e comprendiamo enti, questi si
tratteggiano come utilizzabili all’interno della nostra visione con un determinato significato (il loro essere
mezzo-per all’interno della totalità dell’appagatività). Quest’ultimo è il “b”, di cui si diceva
precedentemente. Da esso, attraverso la comprensione, è possibile far emergere la sua disponibilità
articolabile, i suoi sensi possibili, questo è l’ “a”.
6[6]
M. Heidegger, Logica. Il problema della verità, cit., p. 96.
Id., Phänomenologie und Theologie, in Wegmarken, F. W. von Herrmann (a cura di), Frankfurt am Main, Vittorio
Klostermann, 1976; tr. it. di F. Volpi (a cura di), Fenomenologia e teologia, in Segnavia, Milano, Adelphi, 20024, pp.
18-19.
8[8]
Id., Essere e tempo, cit., p. 246.
7[7]
Si consideri che, per quanto riguarda la struttura di “a in quanto b” vale che: «un a che-è-b è dato
in precedenza; questo essere-b di a viene delineato esplicitamente nell’ “in quanto”»9[9]. Ora se si legge
senso al posto di “a” e significato al posto di “b” si ottiene: “un senso che-è-significato è dato in
precedenza; questo essere-significato del (di) senso viene delineato esplicitamente nell’ “in quanto””. La
formulazione modificata esprime quel che è stato detto sinora. Con: “un senso che-è-significato è dato in
precedenza” si intende, l’ente immediatamente compreso nel suo significato specifico. Invece con:
“questo essere-significato del senso viene delineato esplicitamente nell’ “in quanto””, si intende che il
significato determinato, sopracitato, ha un’emersione, o, meglio, che si forma nel movimento dell’ “in
quanto” che è l’articolazione.
Il “senso in quanto significato” non rappresenta ribaltare la tesi sostenuta fin dall’inizio della presente
analisi; è solamente osservare il movimento di accesso, prensione ed articolazione da un’altra prospettiva: quella
del significato specifico. Se sinora ci si è mossi a considerare il senso come matrice della significatività,
l’atteggiamento qui proposto ripercorre la china nel verso opposto: dal significato si risale al senso, inteso come
orizzonte entro il quale le possibilità articolabili degli enti sono esibite. La relazione tra senso e significato è
propriamente quella della circolarità ermeneutica. Il significato si determina a partire da un orizzonte di senso il
quale esibisce le possibilità degli enti. L’orizzonte di senso invece è, per così dire, occasionato dall’incontro con
l’ente, il quale ha il suo significato e così viene compreso.
§2 L’ “in quanto” ermeneutico come comprensione prestrutturale: le possibilità articolabili entro
l’orizzonte di senso
La struttura del “qualcosa in quanto qualcosa” necessita di ulteriori chiarificazioni poiché se ci si
limita a determinare questa struttura «dell’ “in quanto” nel senso di una relazione, viene livellato l’intero
fenomeno»10[10] e così facendo «viene omessa la dimensione nella quale la relazione in questione può
essere ciò che è»11[11]. Il sito proprio dell’ “in quanto” è lo spazio pre-predicativo. Questa dimensione
corrisponde all’essere aperto pre-logico del senso: in tale sito il senso affonda le sue radici dove la
comprensione tratteggia la disponibilità degli enti. Questo “in quanto” è «l’ “in quanto” originario
proprio dell’interpretazione ambientale comprendente»12[12]. Esso è definito da Heidegger: «“in quanto”
ermeneutico-esistenziale»13[13]. «L’ “in quanto” ermeneutico si colloca su quel terreno pre-logico,
9[9]
Id., Concetti fondamentali della metafisica. Mondo - finitezza - solitudine, cit., p. 368.
10[10]
Ivi, p. 374.
Ibidem.
12[12]
Id., Essere e tempo, cit., p. 195.
13[13]
Ibidem.
11[11]
antepredicativo che è il mondo nella sua rete di significati e correlativi comportamenti possibili, anzi è la
condizione di manifestatività del mondo»14[14].
Il commercio intramondano, il rapportarsi all’utilizzabile si configura come un afferrarne l’uso,
ovvero comprendere il suo significato. «Nell’aver-a-che-fare con qualcosa non compio intorno alla cosa
nessuna enunciazione tematicamente predicativa»15[15]. In forza di questo contatto primario con l’ente,
esclusivamente di tipo pragmatico, l’ “in quanto” ermeneutico non può che situarsi in una dimensione
antepredicativa, che non ha a che fare con una considerazione tematico-assertoria intorno all’utilizzabile.
La matita non è caratterizzata come lunga o corta, come rossa o blu, ma semplicemente nel suo
significato ordinario, quello di essere un mezzo per scrivere, compreso nel suo specifico come, ossia nel
suo essere afferrato nel modo in cui si dà alla visione dell’esserci.
Questo “come” che accompagna ogni rapporto all’ente è il fondamento dell’ “in-quanto ermeneutico”: esso è
l’elemento strutturale della manifestatività dell’ente, ciò che lo manifesta in-quanto tale, co-includendo nella
manifestazione dell’ente la specifica modalità posizionale che gli è correlativa, cioè il suo specifico modo
d’essere.16[16]
Ciononostante il movimento dell’ “in quanto” può essere comunque rintracciato in una
determinazione assertoria, la matita è rossa, ma «allora bisogna capire che questo “in quanto” non è
primariamente quello della predicazione come predicazione, giacchè esso precede la predicazione, tanto
da renderne possibile la struttura»17[17].
All’interno della visione ambientale gli utilizzabili si danno all’esserci nelle loro vicendevoli
implicazioni; difatti «io preso strutturalmente, non accedo direttamente alla cosa schiettamente presa, ma
[…] la colgo essendo già, per così dire, sin dall’inizio in rapporto con essa, […] la comprendo in base a
ciò cui essa serve»18[18]. Così l’ente, scoperto e compreso, ha la struttura del “mezzo per”. L’utilizzabile è
inserito all’interno dell’opera come anello della rimandatività funzionale. Con la scoperta dell’utilizzabile
è sempre con-scoperto il suo “per”, il suo “rimando a”; quindi «io sono sempre, nel cogliere e nel
comprendere, già oltre rispetto a quel che in un senso estremo è dato direttamente, io sono sempre già
oltre nella comprensione di ciò per cui (in quanto che cosa) viene preso quel che è dato e incontrato»19[19].
Tale essere “oltre” nella comprensione è il carattere di appropriazione della rimandatività degli
utilizzabili.
14[14]
G. Chiurazzi, Teorie del giudizio, Roma, ARACNE editrice, 2005, p. 119.
M. Heidegger, Logica. Il problema della verità, cit., p. 97.
16[16]
G. Chiurazzi, Teorie del giudizio, cit., p. 119.
17[17]
M. Heidegger, Logica. Il problema della verità, cit., p. 97.
18[18]
Ivi, p. 98.
19[19]
Ibidem.
15[15]
Non è possibile, in questo rapporto, soffermarsi sull’utilizzabile, dal momento che sono già
sempre “oltre” nella comprensione; proprio perché nel rapportarmi al singolo utilizzabile scopro
contemporaneamente il suo contesto di appagatività20[20]. «Poiché il mio essere è fatto in modo che io sia
sempre avanti, devo, per cogliere qualcosa che mi viene incontro, retrocedere da questo essere-avanti a
quel che mi viene incontro»21[21]. Allo svilupparsi della comprensione nel suo essere “già oltre” va
contrapposto un movimento contrario, un retrocedere, che permetta di soffermare l’attenzione
sull’utilizzabile.
Questo trattenersi è il trattenersi nell’in-quanto-che-cosa l’oggetto incontrato viene preso, e nel retrocedere
da ciò in base a cui comprendo, ossia dal per-cui; questo retrocedere è proprio quel che mi mette in rapporto con
quel che mi viene incontro, ossia che me lo rende accessibile in quanto porta, in quanto gesso.22[22]
L’utilizzabile sul quale mi trattengo - in questo movimento di avanzamento e retrocessione - è
compreso effettivamente nel suo essere qualcosa in quanto qualcosa. Questo processo dell’«essere avantia-sé che retrocede»23[23] è ciò che effettivamente pone la relazione tra l’esserci e l’utilizzabile e rende
quest’ultimo accessibile in quanto quello specifico utilizzabile che è. La comprensione dell’utilizzabile, il
suo essere considerato “in quanto” se stesso, è secondaria alla scoperta della rimandatività funzionale.
L’incedere della visione, e il suo essere “già oltre”, porta all’appropriazione della rimandatività degli
utilizzabili (la matita che è per il foglio, il foglio che è per la tesi, etc.). L’appropriazione dell’utilizzabile,
inserito all’interno di questa catena avviene, per così dire, secondariamente. Il carattere del retrocedere
che è appartenente all’ “in quanto” ermeneutico, apre alla comprensione dell’utilizzabile nel suo “in
quanto” (la matita è compresa nel suo essere mezzo per scrivere sul foglio), al suo specifico significato.
Difatti è «solo a partire dal per-cui e dall’in-quanto-che-cosa la cosa incontrata è utilizzabile, solo a
partire da questo per-cui, presso il quale già sempre mi trovo, ritorno a quel che mi è venuto
incontro»24[24].
L’atteggiamento tenuto dall’ “in quanto” ermeneutico in questa sede è descrivibile come:
«l’essere-avanti-a-sé che retrocede verso qualcosa e nel retrocedere mette in rapporto»25[25]. Si è detto che
tale movimento porta alla prensione del significato dell’utilizzabile, nel suo essere aperto alla
comprensione della struttura del “qualcosa in quanto qualcosa”. Di fatti «l’in-quanto è ermeneutico
Nell’aver a che fare con una matita - scoperta nel suo significato di essere mezzo per scrivere - scopro
contemporaneamente il foglio su cui scrive, la gomma per cancellare ciò che si è scritto, etc..
21[21]
M. Heidegger, Logica. Il problema della verità, cit., p. 99. Corsivo mio.
22[22]
Ibidem.
23[23]
Ibidem.
24[24]
Ivi, p. 98.
25[25]
Ivi, p. 99.
20[20]
poiché costituisce l’ente come un significato che è in una relazione di senso con noi»26[26]. Tale processo
dell’ “in quanto” è definito: «significare di qualcosa»27[27]. Il “significare di qualcosa” può essere detto
anche in altro modo: «Ciò da cui proviene il significato dev’essere condotto al che cosa della
significazione e collegato con esso»28[28]. “Ciò da cui proviene il significato” fa riferimento all’orizzonte
di senso, come a ciò che è matrice dell’articolabilità, ovvero a ciò che è origine del processo che mette
capo ad una determinazione di significato; il “che cosa della significazione” richiama all’utilizzabile sul
quale ci si trattiene nel movimento di retrocessione. Ora il rapporto che si pone tra i due è precisamente il
movimento di interpretazione che determina una possibilità dell’ente. L’ “in quanto ermeneutico” apre
alla comprensione del significato, mettendo in relazione la comprensione all’utilizzabile, rendendo
possibile il movimento di prensione ed articolazione della circolarità ermeneutica. «Nella comprensione
primaria dell’aver-a-che-fare-con, quel che è compreso o significato è aperto al rapporto. In questo modo,
alla comprensione stessa è data la possibilità di prendere per sé e di conservare il rapporto, il “risultato”,
per così dire; il risultato del significare è sempre un significato»29[29].
Il processo di articolazione è un processo di significazione dal momento che l’esserci nel suo
essere aperto al compreso e retrocesso ad esso si appropria del significato ed ha la possibilità di
rifoggiarlo: «nel significare, l’esserci è in rapporto con il suo mondo; questo rapporto stesso è lo
scoprimento dell’appagatività di volta in volta corrispondente, in cui è presente l’ente in quanto
ente»30[30]. L’ “in quanto” ermeneutico gioca quindi un ruolo centrale all’interno del processo di
comprensione ed articolazione, la sua struttura è «la fondamentale struttura ermeneutica dell’essere
dell’ente che noi chiamiamo esserci (la vita umana)»31[31]. Tale struttura è quella propria della
comprensione, la quale apre agli intramondani. «L’ “in quanto” ha la funzione dello scoprire qualcosa,
dello scoprire a partire da qualcosa, dello scoprire qualcosa in quanto, ossia in quanto questa cosa, ha cioè
la struttura della comprensione in generale»32[32]. L’ “in quanto” ermeneutico nel suo scoprire apre la
comprensione come appropriazione dell’utilizzabile nel suo significato. Ovvero: l’ “in quanto”
ermeneutico scopre una matita (“qualcosa”), tale utilizzabile è scoperto a partire dall’opera in cui è
inserito (“lo scoprire a partire da qualcosa”); la matita è scoperta nel suo significato di essere un mezzo
per scrivere (“lo scoprire qualcosa in quanto, ossia in quanto questa cosa”). L’ “in quanto” ermeneutico
avviene all’interno della circolarità ermeneutica. Nell’affaccendarsi intramondano l’utilizzabile è
scoperto e compreso a partire dalla struttura sopra indicata. Tale visione ambientale è una comprensione
possibile degli utilizzabili; l’ “in quanto” ermeneutico schiude al plesso possibile delle articolabilità
26[26]
G. Chiurazzi, Teorie del giudizio, cit., p. 120.
M. Heidegger, Logica. Il problema della verità, cit., p. 100.
28[28]
Ibidem.
29[29]
Ivi, p. 101.
30[30]
Ivi, p. 100.
31[31]
Ivi, p. 101.
32[32]
Ibidem.
27[27]
(interpretazioni possibili) dove la visione ambientale preveggente determina una ramificazione
interpretativa (l’interpretazione). L’operazione svolta dall’ “in quanto” ermeneutico è il disporre la
visione comprendente delle articolabilità possibili. In tale sito si collocano i caratteri della predisponibilità, della pre-visione e della pre-cognizione propri dell’interpretazione. In forza di ciò questo
spazio aperto dall’ “in-quanto” ermeneutico è tematizzabile come la pre-strutturazione del senso. In
questa sede rientrano le tre accezioni di senso sin qui trattate (accesso, disponibilità ed orientamento). Da
un lato il senso come scoperta sensibile dell’utilizzabile (“lo scoprire qualcosa”), dall’altro lato il senso
come disponibilità ovvero il “colpo d’occhio” sull’opera, la comprensione dell’utilizzabile nella sua
rimandatività di essere mezzo-per e il tracciarsi dell’orizzonte entro il quale le possibili articolazioni si
collocano (“lo scoprire a partire da qualcosa”) e, in ultima istanza, la prensione del significato
dell’utilizzabile (dello scoprire qualcosa in quanto, ossia in quanto questa cosa”).
§3 L’ “in quanto” apofantico: la determinazione predicativa dell’articolazione
Precedentemente si è parlato del fatto che la struttura dell’ “in quanto” è rintracciabile nel luogo
della predicazione33[33], ma tale struttura che in esso si può trovare non è quella dell’ “in quanto”
ermeneutico, la quale nella predicazione è «stata confinata nell’uniformità piatta di ciò che è solo
semplice-presenza»34[34] ed è ora definibile come “in quanto” apofantico. In questa parte dell’analisi si
vedrà come queste due forme di “in quanto” si relazionino l’una all’altra: come nell’ “in quanto
apofantico” avvenga una modificazione dell’ “in quanto ermeneutico”, inteso come momento
prestrutturale dell’articolarsi del senso. «Poiché l’asserzione (il “giudizio”) è fondata nella comprensione
e costituisce una forma derivata di attuazione dell’interpretazione, anch’essa “ha” un senso. Ma non si
può definire il senso come ciò che nasce “in” un giudizio in seguito al suo pronunciamento»35[35]. Il senso
dell’asserzione dev’essere dunque considerato come un senso derivato, o meglio, come ultimo momento
del processo di comprensione ed articolazione. Per far emergere il carattere dell’ “in quanto” apofantico
si deve muovere da un’analisi dell’asserzione36[36]. Heidegger attribuisce all’asserzione tre significati «in
modo da definire, nella loro unità, l’intera struttura dell’asserzione»37[37].
«1) Asserzione significa, in primo luogo, manifestazione. Teniamo così fermo il senso originario
di λόγος come αjπόφανσις: far sì che l’ente si mostri da se stesso»38[38]. In questa accezione l’asserzione è
33[33]
Cfr. supra, p. 59.
M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 194.
35[35]
Ivi., p. 190.
36[36]
Tale procedimento di ricerca è il medesimo condotto da Heidegger all’interno del §33 di Essere e tempo.
37[37]
M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 190.
38[38]
Ibidem.
34[34]
assunta come manifestatività dell’ente, questi deve mostrarsi. La manifestazione interessa l’ente stesso
nel suo essere qui ed ora. L’asserzione: “la matita è troppo corta”, fa sì che la matita si esibisca nel suo
“essere troppo corta”, così che essa si mostri nella sua semplice-presenza.
«2) Asserzione significa anche predicazione. Di un “soggetto” è “asserito” un “predicato”, quello
è determinato per mezzo di questo»39[39]. L’asserzione: “la matita è troppo corta”, qualifica la matitasoggetto, il suo essere “troppo corta” dice qualcosa sul suo stato, specificando il soggetto in questione: è
questa matita qui ad essere “troppo corta”, non un’altra matita in generale. “La matita” nel suo mostrarsi
è asserita nel suo “essere troppo corta”. «Ogni predicazione è ciò che è solo in quanto manifestazione. Il
secondo significato di asserzione ha il suo fondamento nel primo»40[40]. Affinchè si possa dire qualcosa
sul soggetto (l’essere troppo corta della matita) tale soggetto dev’essere dato, ovvero deve rendersi
manifesto.
«3) Asserzione significa comunicazione, espressione»41[41]. Quest’ultima accezione è in
riferimento ai significati precedenti di asserzione. «Essa è un far-sì-che-si-veda-assieme ciò che si è
manifestato nel modo del determinare»42[42]. La comunicazione è propriamente il porre un altro esserci
nella condizione di compartecipare alla manifestazione e determinazione dell’ente. Ovvero nel far
constatare a qualcuno che la matita è troppo corta. Tale comunicazione è anche possibile nell’assenza
diretta dell’ente, dal momento che «l’asserito può essere “ri-ferito”»43[43].
I tre significati di asserzione sopra proposti possono venir riassunti così: «l’asserzione è una
manifestazione che determina e comunica»44[44].
«Il manifestare proprio dell’asserzione si attua sul fondamento di ciò che nella comprensione è già
aperto»45[45]. Affinchè l’ente si mostri è necessario che esso sia preliminarmente scoperto, ovvero
compreso: che si acceda ad esso. Difatti «l’enunciazione come lasciar-vedere dichiarativo è possibile solo
in base a un essere-già-presso quel che dev’essere dichiarato, e in modo tale che quel che dev’essere
dichiarato sia in un certo modo aperto al rapporto»46[46]. L’essere-già-presso è per l’appunto l’essere
aperto all’ente e scoprire quest’ultimo in modo tale che esso sia manifestabile, così facendo nel
comprenderlo è possibile sviluppare un rapporto con esso. Il determinarsi dell’ente avviene sul
fondamento della componente orientativa dell’interpretazione (pre-visione) la quale si sviluppa nella
direzionalità del senso dell’interpretazione che predilige, a partire da una totalità compresa
indifferenziatamente, una serie di articolazioni seguendo una traiettoria tracciata. L’articolazione, in
39[39]
Ivi., pp. 190-191.
Ivi., p. 191.
41[41]
Ibidem.
42[42]
Ibidem.
43[43]
Ibidem.
44[44]
Ivi., p. 192.
45[45]
M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 193.
46[46]
Id., Logica. Il problema della verità, cit., p. 102.
40[40]
questa sede, diviene determinazione la quale porta alla luce specifiche caratteristiche dell’ente. Infatti
«l’asserzione abbisogna di una pre-visione in cui il predicato che fungerà da attributo, sia per così dire,
sciolto dalla inesplicitezza che lo tiene chiuso nell’ente stesso»47[47]. «Il lasciar-vedere dichiarativo si
muove, qualunque struttura particolare esso possa avere come predicazione, nell’avere comprendente
dell’intorno-a-che. Questo avere comprendente, l’orientarsi che sta alla base di ciò intorno a cui deve
vertere il discorso, ha la struttura dell’in-quanto»48[48]. Il manifestarsi dell’ente e la sua determinazione si
muovono entro la dimensione dell’intorno-a-che la quale possiede la struttura dell’ “in quanto”.
L’intorno-a-che è possibile solo all’interno dell’operazione svolta dall’ “in quanto” ermeneutico; esso
avendo il carattere della comprensione rende possibile l’appropriazione dell’ente. Quindi solo dopo tale
appropriazione è possibile l’asserzione che verte a tematizzare la “cosa”. «Nella realizzazione di
un’enunciazione nella forma della predicazione, ossia nel senso dell’enunciazione categorica, l’ “in
quanto” primariamente comprendente si porta al livello della pura e semplice determinazione della
cosa»49[49]. L’ “in quanto” presente nella forma della asserzione, appunto quello proprio dell’intorno-acui, l’ “in quanto” apofantico, è la «struttura del mero lasciar vedere che determina la semplice
presenza»50[50]. Esso, che rappresenta la struttura propria dell’asserzione è caratterizzato «per il suo
concentrare l’attenzione sull’ente, nel
tentativo di
coglierne delle determinazioni
che lo
identificano»51[51].
Nel nostro commercio intramondano, nell’avere-a-che-fare-con, scopriamo e comprendiamo gli
enti nel loro essere mezzo-per, nel loro in-vista-di-cui; tale visione degli utilizzabili fa si che essi siano
colti all’interno dell’opera, nelle maglie della rimandatività funzionale. Tale visione è appunto quella che
si ha degli utilizzabili. «In questo aver-a-che-fare, il per cui da cui proviene la comprensione, nel senso
dell’ “in quanto che cosa”, non è mai né tematicamente raggiunto né tematicamente pensato»52[52].
Ovvero l’utilizzabile, nella visione comprendente, non è isolato dal suo rimandare per essere determinato,
ma sempre collocato all’interno della rimandatività. L’appropriazione dell’utilizzabile, inserito all’interno
di questa catena avviene grazie al carattere del retrocedere che è appartenente all’ “in quanto”
ermeneutico, esso apre alla comprensione dell’utilizzabile nel suo “in quanto”, al suo significato, il suo
con-che.
Quando il con-che di un semplice aver-a-che-fare è tale da produrre un’enunciazione, esso diventa un
intorno-a-che. La tematizzazione che risiede nell’intorno-a-che dapprima non modifica nulla nel con-che, non
47[47]
Id., Essere e tempo, cit., p. 193.
Id., Logica. Il problema della verità, cit., p. 103.
49[49]
Ibidem.
50[50]
M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 194.
51[51]
G. Chiurazzi, Teorie del giudizio, cit., p. 121.
52[52]
M. Heidegger, Logica. Il problema della verità, cit., p. 103.
48[48]
modifica nulla nella sua comprensibilità; lo si incontra come ciò che è già stato anticipatamente compreso, nella
struttura dell’ “in quanto” primario.53[53]
L’ “in quanto” apofantico scopre, nella forma dell’intorno-a-che, qualcosa che è già stato scoperto
e compreso. Si assiste quindi ad una scoperta ulteriore, dal momento che l’ente è già stato scoperto dalla
comprensione nel suo “in quanto” ermeneutico per essere ora riscoperto ed esibito nel suo essere
semplicemente-presente determinato dalle sue proprietà; in forza del fatto che «l’enunciazione è un avera-che-fare comprendente la cui cura è lo scoprire»54[54]. L’asserzione ha quindi il compito di manifestare
ed esibire l’ente; l’ “in quanto” apofantico si muove nell’ intorno-a-che, «in altri termini, l’enunciare in
cui ora si pone il prendersi-cura procura in quanto tale puramente l’αjπόφαίνεσθαι, lo scoprire»55[55]. Tale
scoprire dell’asserzione non avviene sul terreno della rimandatività compresa, l’utilizzabile non è
compreso nel suo essere mezzo-per, nel suo per-cui (qualcosa in quanto qualcosa ermeneutico).
L’utilizzabile è “sganciato” dal suo riferirsi a qualcosa, è considerato nel suo essere presente, a partire da
se stesso: «ora l’in-quanto-che-cosa-con non è raggiunto a partire dal per-cui di una effettuazione, ma a
partire da ciò intorno a cui si realizza l’enunciazione»56[56]. L’utilizzabile diviene ente, e nel suo essere
presente viene scoperto ed esibito.
Nella dimensione dell’intorno-a-che, l’ente viene considerato tematicamente, esso, scoperto ed
esibito, viene caratterizzato da come esso è nel suo manifestarsi. Ad esempio nell’asserzione: “la matita è
rossa”, si ha che nello scoprire la matita essa viene caratterizzata dal fatto di essere rossa. L’ente è quindi
determinato dal suo avere specifiche proprietà (secondo significato di asserzione). In questo significato di
asserzione rientra la struttura dell’ “in quanto” apofantico: Qualcosa, la matita, è considerata, nel suo
essere matita-rossa (in quanto qualcosa). Tale considerazione è appunto una tematizzazione dell’ente:
esso è oggetto a cui si attribuiscono dei predicati. L’ente è interpellato nel suo essere semplicemente
presente. L’ “in quanto” apofantico si muove sul terreno della semplice presenza: l’utilizzabile, divenuto
ente, è considerato nella sua semplice presenza a partire da se stesso e culminante in se stesso
(Vorhandenheit), omettendo la dimensione del per-cui della comprensione usante-manipolante
(Zuhandenheit). «L’aver-a-che-fare con qualcosa si è ora, in quanto enunciazione, ritirato
dall’effettuazione primaria, ossia, per esempio, dallo scrivere»57[57]. In tale “ritiro” dell’aver-a-che-fare
con qualcosa si assiste ad un occultamento dell’utilizzabile, difatti «mediante questo modo di vedere e
per esso, l’utilizzabile è velato come utilizzabile»58[58]. L’utilizzabile occultato assume i tratti dell’ente
53[53]
Ivi., p. 104.
Ibidem.
55[55]
Ibidem.
56[56]
Ibidem.
57[57]
Ivi., p. 105.
58[58]
M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 194.
54[54]
semplicemente presente in un certo modo e con certe caratteristiche. Ed è in questa modalità che l’ente
viene scoperto ed esibito nell’asserzione.
Ora dopo che sono state delucidate le caratteristiche dell’asserzione, e del rispettivo “in quanto”
apofantico, è possibile accostare ad essa la struttura dell’ “in quanto ermeneutico”. All’interno dell’ “in quanto”
apofantico si è assistito ad una modificazione della struttura dell’ “in quanto” della comprensione primaria:
L’ “in quanto”, nella sua funzione di appropriazione del compreso, non arriva più a cogliere una totalità di
appagatività. Esso è tagliato fuori dalle sue possibilità di articolazione dei rapporti di rimando proprio della
significatività costitutiva del mondo ambiente. L’ “in quanto” è confinato nell’uniformità piatta di ciò che è solo
semplice-presenza.59[59]
L’ “in quanto” ermeneutico dallo scoprire l’utilizzabile - a partire dalla rimandatività funzionale
dell’opera - nel suo significato (con-che), passa nell’asserzione a riscoprire l’utilizzabile, nel suo essere
semplicemente presente, sganciato dalla rimandatività e tematizzato secondo la struttura dell’intorno-ache. Tale ente così scoperto si caratterizza tramite la modalità del suo essere semplicemente presente qui
ed ora. L’ente viene determinato dalle sue proprietà, le sue caratteristiche anch’esse semplicemente
presenti. «Questo determinare in quanto dichiarazione è un modo dello scoprire e ha quindi
necessariamente la struttura dell’in-quanto. Nella misura in cui è un modo, l’originaria struttura
ermeneutica dell’in-quanto è modificata»60[60]. Nell’ “in quanto” ermeneutico l’utilizzabile è compreso
nel suo significato ed è risignificabile attraverso il processo di articolazione del compreso; l’ “in quanto”,
in questa sede, apre alle determinazioni possibili, le quali stanno l’una all’altra come differenze di
senso61[61], le quali si collocano in quella dimensione ante-predicativa che è il mondo come totalità di
significati disposti entro l’orizzonte di senso. La comprensione e la determinazione del significato, sotto
il profilo dell’ “in quanto” apofantico, diviene invece la determinazione dell’ente tramite le sue
caratteristiche presenti; tutto ciò si tratteggia come un modo possibile di cogliere e considerare l’ente,
modo che trova la sua possibilità nella matrice dell’ “in quanto” ermeneutico: «questa modificazione
della struttura dell’in-quanto nell’enunciazione presuppone sempre la struttura originaria dell’in-quanto,
ossia la basilare comprensione di quel che nell’enunciazione e per il suo tramite viene livellato»62[62].
Il senso all’interno dell’asserzione - venendo l’ “in quanto” ermeneutico livellato nella dimensione della
semplice presenza - non apre più alla circolarità ermeneutica. Si assiste ad un passaggio dimensionale: dall’antepredicativo al predicativo, dalla rimandatività utilizzabile alla semplice presenza. Cosicchè l’utilizzabile
59[59]
Ibidem.
M. Heidegger, Logica. Il problema della verità, cit., p. 106. Corsivo mio.
61[61]
G. Chiurazzi, Teorie del giudizio, cfr., p. 121.
62[62]
M. Heidegger, Logica. Il problema della verità, cit., p. 107.
60[60]
cristallizzato nel suo significato specifico (strutturato ed orientato) può solamente essere scoperto e mostrato per
come si presenta, non avendo più nulla a che fare con il processo di comprensione ed articolazione.
Scarica